Balcani e Quirra. Gli impegni di Martino



dalla  nuova sardegna del  4\3\2002

«Faremo chiarezza
sulle morti misteriose
dei nostri soldati»

di Piero Mannironi

ROMA. Il ministro della Difesa, Antonio Martino (nella foto), fa una promessa formale: «Vogliamo chiarezza sulla cosiddetta sindrome dei Balcani e sulle morti per tumore nella zona di Quirra». Martino ha riconosciuto che esiste un'incidenza anomala dei linfomi tra i militari italiani nei Balcani e tra i nostri soldati e quelli degli altri contingenti della forza multinazionale. Anche per quanto riguarda il "caso Quirra" ha detto: «Dobbiamo sapere cosa sta realmente accadendo in Sardegna, ne va di mezzo la nostra credibilità». Gli accertamenti della Difesa intorno alla base di Capo San Lorenzo cominceranno questa settimana.

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ROMA. Si deve dare atto al ministro della Difesa Antonio Martino di avere dimostrato una grande onestà intellettuale. Sabato, tornando dalla sua breve visita a Kabul, ha infatti ammesso che l'incidenza di linfomi rilevata tra i militari italiani in missione nei Balcani, è sicuramente superiore alla media nazionale. Ha poi anche fatto un'importante precisazione. «L'incidenza del linfoma Hodgkin - ha detto - è stata più alta fra i militari italiani nei Balcani di quanto non sia stata negli altri contingenti». Si tratta di una dichiarazione politicamente molto importante. Prima di tutto perché segna una modifica dell'atteggiamento della Difesa sulla possibile relazione tra l'insorgenza di tumori del sistema emolinfatico e materiali radioattivi, come l'uranio impoverito. In un primo momento, il problema era stato negato in modo assoluto. Poi, davanti ai documenti della Nato e alle dichiarazioni degli alti papaveri dell'Alleanza atlantica, erano arrivate le prime ammissioni: sì, i proiettili all'uranio impoverito sono stati utilizzati nei Balcani, ma non dalle nostre truppe. E infine, le indagini effettuate sul terreno in Kosovo. Un monitoraggio che ha ufficialmente stabilito che «non sono state rilevate tracce di inquinamento da uranio». Anche qui, però, subito una polemica. Falco Accame, presidente di un'associazione che tutela i diritti dei militari e delle loro famiglie, ha infatti smentito: «L'Organizzazione mondiale della sanità ha rilevato sul terreno e nell'acqua tracce evidenti di inquinamento da uranio». Insomma, per ogni verità affermata, eccone saltare fuori una alternativa. Il caso più clamoroso è stato sicuramente quello dei risultati ai quali è arrivata la commissione Mandelli, istituita dal ministero della Difesa. Risultati apparentemente rassicuranti, nel senso che non ritenevano significativa la differenza di incidenza del linfoma di Hodgkin tra la popolazione italiana in generale, e i soldati impegnati nel teatro di guerra dei Balcani. Autorevole la contestazione. E' stato infatti il professor Lucio Bertoli-Barsotti, docente di Statistica all'università di Torino, a dire: «C'è un errore statistico nell'analisi operata da parte della relazione Mandelli. In particolare, questo errore non permette alla stessa commissione di rilevare l'effettiva "significatività statistica" del numero di casi di linfoma di Hodgkin nel gruppo di militari considerato. Cioé il fatto che tale numero è abnorme rispetto all'incidenza spontanea della malattia ed è ragionevolmente inspiegabile alla luce del solo effetto del caso». Contestazione seria, fondata. Tanto che è stato lo stesso ministro della Difesa Antonio Martino a chiedere un approfondimento alla commissione, che si è rimessa al lavoro e dovrebbe ora fornire nuove indicazioni. Il ministro Martino ha poi detto: «A giugno ho disposto la proroga dei lavori della Commissione e ora aspettiamo la nuova relazione, che sarà pronta a brevissima scadenza, già dalle prossime settimane». «Dobbiamo capire - ha aggiunto - perchè questo avviene e se ci riuscissimo sarebbe molto importante, anche da un punto di vista scientifico. Vorrei incontrare anch'io il professor Mandelli per capire esattamente cosa hanno trovato». C'è infine un ulteriore elemento di conoscenza che, in questi ultimi giorni, è passato un po' sotto silenzio, e che invece dovrebbe essere valutato con molta attenzione. Si tratta delle conclusioni alle quali è arrivata una commissione d'inchiesta del parlamento francese, sui proiettili all'uranio impoverito, sparati dalle forze Nato nei Balcani. «Erano le truppe tedesche e italiane quelle posizionate più vicino alle zone degli attacchi nel Kosovo, mentre le truppe francesi e statunitensi ne rimasero lontane» si legge nella relazione. Insomma, un elemento non secondario nella valutazione che deve essere fatta anche dal punto di vista medico-statistico. Importante a questo punto, verificare cosa è accaduto all'interno della spedizione tedesca: che tipo di cautele siano state utilizzate per il personale militare e che incidenza di linfomi ci sia stata. «Fra il 6 aprile ed il 30 giugno 1999, nella fase di maggiore intensità della campagna aerea della Nato contro la Jugoslavia per il Kosovo - si legge ancora nella relazione della commissione parlamentare francese - furono sferrati complessivamente 112 attacchi con proiettili all'uranio impoverito contro 84 bersagli». Riguardo alla vicenda dei poligoni in Sardegna, il ministro della Difesa Martino ha detto che «il caso va approfondito. Bisogna dare delle risposte convincenti per evitare che si diffonda il panico e soprattutto per evitare che, se c'è una correlazione, questi fenomeni si ripetano. Indagheremo perché, al di là dell'aspetto umano importantissimo, è interesse della Difesa che tutti questi episodi vengano chiariti in modo soddisfacente per l'opinione pubblica. Altrimenti la nostra cedibilità verrebbe intaccata». L'impegno politico è quindi chiaro. Per essere ancora più credibile, però, il ministero deve garantire quattro passaggi procedurali. Eccoli: 1) togliere il segreto su tutta la materia dell'impiego di armi nel poligono; 2) conoscere le posizioni in cui sono stati sparati proiettili e lanciati missili negli ultimi vent'anni, precisando chi ha eseguito le operazioni, con quali modalità e con quali finalità; 3) sapere come è stato effettualo lo stoccaggio dei proiettili distrutti e dei rottami, precisando se il personale ha operato con maschere, guanti e tute di protezione e chiarendo quali sono le vie di discarica dei luoghi di stoccaggio; 4) precisare, per le ricerche nel poligono, quali strumenti verranno usati per i rilievi chimici e radiologici, lo status scientifico del personale che verrà impiegato, che tipi di elaborazione si intendono effettuare, le modalità del campionamento, quali saranno i parametri di riferimento per le indagini epidemiologiche e quali saranno gli ambiti temporali e spaziali a cui si riferiranno. Ovviamente questi elementi andrebbero chiariti prima dell'inizio del controllo, perché tutto possa essere sottoposto alla valutazione di scienziati ed esperti estranei alla Difesa.