[viator-buone-notizie] Sognando l'Ecumene



Carissime/i

al vespero di questa straordinaria giornata di Pace e di Preghiera delle
diverse Religioni ad Assisi, vi invio l'articolo con il quale abbiamo
introdotto la sezione dedicata a questo evento sul numero di gennaio di Viator.

Shalom

Alberto Vitali

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Sognando l'Ecumene

In questi tempi tristi, in cui il cannone (e non solo) è tornato a far
sentire la sua cupa voce e ad imporre le proprie ragioni, mentre la forza
del pensiero è manipolata da abili burattinai di parole e il mondo sembra
essere sempre più appannaggio dei "furbi", non manca, grazie a Dio - è
proprio il caso di dirlo! - chi ancora riesce a farci sognare. E' quasi un
miracolo, ma il 24 gennaio prossimo, sul colle di Assisi vedremo, un'altra
volta, uomini e donne di tutte le religioni, insieme, a pregare per la
Pace. Profezia e piccola anticipazione di quanto avverrà alla fine dei
tempi, secondo quel cantico di Isaia che è il sogno di Dio: "Alla fine dei
giorni, il monte del tempio del Signore sarà eretto sulla cima dei monti e
sarà più alto dei colli; ad esso affluiranno tutte le genti. Verranno molti
popoli e diranno: “Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio
di Giacobbe, perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi
sentieri”" (Is 2,2-3). Che il Signore realizzerà, senza problemi, i suoi
progetti alla fine dei tempi non ne dubitiamo, ma questa anticipazione ha
veramente qualche cosa di incredibile nel momento in cui non sono pochi
coloro che vorrebbero strumentalizzare le differenze religiose e culturali
dei popoli, per mascherare ben altri conflitti e interessi. Ed è
sconcertante la facilità con cui i "figli della menzogna" (cfr. Gv 8,44),
riescono a propinare le proprie mistificazioni, potendo contare
sull'ingenuità, la superficialità o, più semplicemente, la pigrizia mentale
di tante persone. Così, tra un bombardamento e l'atro, tra un passo in
Europa e uno nel Medio Evo, assistiamo, increduli, a diatribe assurde, ma
astutamente architettate, sull'eventuale rimozione di presepi e crocifissi
dalle scuole, su diete mediterranee o mediorientali negli asili, sulla
possibilità che il nostro vicino di casa, poiché prega, sia un kamikaze…:
tutte cose che incendiano l'opinione pubblica, risuscitano sentimenti
patriottici che credevamo sepolti più di Lazzaro e investono un numero
imprecisato di "paladini" della cristianità, ai quali manca "solo" di aver
letto - almeno una volta - nientemeno che il Vangelo. Siamo onesti: sarebbe
persino divertente costatare come alcune maestre, dopo anni di inutili
tentativi per rimuovere i simboli cristiani dalle classi, in nome della
laicità dello stato, cercano ora di cavalcare la tigre dell'islam, di cui
non potrebbe importargliene meno. O ascoltare novelli predicatori, tra il
politico e il religioso, annunciare con enfasi: "come dice la Bibbia…" e
poi una serie di banalità e luoghi comuni scritti dappertutto fuorché nel
testo sacro. Ma a frenare la nostra ilarità è la constatazione della
ricaduta sociale, in termini di discriminazione, diffidenza, sospetto… fino
a vere e proprie forme di persecuzione, che tutto questo comporta. Mai i
principi cristiani dell'accoglienza e della solidarietà, dell'amore e della
condivisione, e quelli illuministici di uguaglianza, libertà e fraternità
erano stati così posti a dura prova - almeno a livello ideale - nell'epoca
contemporanea. Ci eravamo forse illusi, cinquant'anni fa, allorché si
promulgò la Carta dei Diritti Umani, che l'umanità avesse fatto un passo
avanti? Ci eravamo ingannati credendo di aver raggiunto un punto di non
ritorno? La tentazione di crederlo sarebbe forte. Ma su questo triste
spettacolo di povertà culturale, ancora una volta, si alza forte, direi
"luminosa" come luce che squarcia le tenebre (cfr. Is 9,1), la voce del
papa, ad offrire una indicazione a coloro - e siamo tutti - che abitano in
terra sempre più "tenebrosa". "Non di là… per di qua!" e indica Assisi,
l'unica e ultima possibilità dell'umanità per non auto-distruggersi. Non
c'è salvezza nella contrapposizione, nell'esclusione, nella violenza: solo
un amore eroico, accogliente, compassionevole e capace di perdono può
salvare. "Senza perdono non c'è pace": è il tema che il Papa aveva già
scelto per la prossima Giornata mondiale della Pace (1 gennaio) in tempi
non sospetti, l'estate scorsa, prima dell'11 settembre. Sarebbe però
riduttivo leggere questa scelta in chiave esclusivamente contingente o
"strategica". Tutto il pontificato di Giovanni Paolo II è stato segnato da
slanci verso gli "altri", fossero essi i fratelli cristiani separati, i
fedeli delle altre religioni o uomini e donne di culture laiche. Basterebbe
pensare agli innumerevoli viaggi, col loro carico di valenza religiosa,
sociale e politica, alle richieste di perdono più volte espresse durante
l'anno del giubileo e anche, recentemente, alle sue visite in sinagoga o in
moschea. Questi slanci non sono una semplice formula di cortesia, ma
nascono da una profonda convinzione teologica che, sebbene ancora tutta da
esplicitare a livello sistematico - ma questo sarà compito della teologia -
traspare chiaramente (fin troppo per qualcuno) dai suoi gesti e dalle sue
parole. Ce ne eravamo già accorti in quel ormai lontano 1986, quando
spiazzando tutti, annunciò il primo incontro di preghiera delle religioni
ad Assisi. Fino ad allora si era trattato unicamente di dialogo
interreligioso. Ma incontrarsi per pregare (sebbene con parole e riti
diversi) è tutta un'altra cosa. Dialogare è buona cosa, ma al limite lo
fanno anche i nemici quando non possono più muoversi guerra. Il dialogo può
nascere da una mera necessità e non implica necessariamente un
riconoscimento reciproco, tanto meno stima e apprezzamento. Pregare vicini
significa invece riconoscere il valore del gesto che l'altro sta compiendo,
la verità del suo rapporto con il Mistero divino. Era una vera svolta
epocale. Ma in questi ultimi mesi il papa è andato ancora oltre. Il 30
ottobre scorso, parlando all'Angelus della situazione presente, si è
rivolto ai fedeli con queste parole: "Non possiamo non ricordare che ebrei,
cristiani a musulmani adorano Dio come l'Unico. Le tre religioni hanno,
perciò, la vocazione all'unità e alla pace". Le parole, è evidente, non
sono casuali ed il papa non parla certo "pour parler". Nella tradizione
teologica e spirituale il termine "vocazione" ha un significato tutto
peculiare: esprime l'iniziativa di Dio che interviene nella storia di una
persona o di un popolo, per invitarlo ad accogliere il suo progetto di
salvezza, assumendosi quel compito che in esso Gli ha riservato. Ora,
riconoscere alle tre religioni la medesima "vocazione", significa
riconoscere che attraverso di esse Dio sta relazionandosi con i rispettivi
fedeli, e che esse, di conseguenza, siano tre, diversi, ma reali strumenti
di salvezza, posto che l'incontro con Dio ha sempre una efficacia
salvifica. Come ciò possa essere pensato in termini cristiani, cioè
attraverso quale modello teologico cristiano sia esprimibile tutto questo,
è compito riservato agli addetti ai lavori e ben ce ne guardiamo
dall'avventurarci per tali impervi sentieri. Non è compito nostro e neanche
del Papa. Come Gesù egli deve indicare ai popoli le vie di Dio ed essi
devono iniziare ad incamminarsi per esse, senza aspettare che i dottori o
gli scribi di turno "codifichino" l'annuncio. Ad importarci è invece la
sostanza: senza cadere nel sincretismo o in banali semplificazioni del tipo
"tutte le religioni sono uguali" (che sarebbero ingiuste nei confronti di
ciascuna), siamo proiettati ben oltre la contrapposizione del vero e del
falso. Dopo avere insieme pregato e riconoscendo che siamo destinatari
della medesima vocazione da parte di Dio, non possiamo più pensare ed
esprimerci in termini, grossolani e scorretti, di "vera e false religioni".
Siamo piuttosto impegnati a percorrere un cammino comune di ricerca sempre
più rigorosa e sincera della volontà di Dio e di costruzione del suo
progetto di pace. E già questa coscienza originaria è un buon inizio,
perché ci permette di superare definitivamente quella violenza ideologica,
sottile ma reale, che è insita nella presunzione di possedere l'esclusiva
sulla verità. Evidentemente non sarà sufficiente che il papa ci offra
questa occasione: la sua intuizione dovrà essere tradotta in gesti
concreti, quotidiani, da parte di tutti gli uomini e le donne che si
professano credenti in questo Dio. E non sarà facile. Significherà
scontrarsi con gli interessi dei potenti, con i pregiudizi e i luoghi
comuni del volgo, ma sarà anche un'esperienza entusiasmante. Saliremo ad
Assisi con il papa e con i credenti di tutte le religioni per rivivere il
sogno di una Ecumene riconciliata, il sogno di papa Giovanni XXIII nella
Pacem in Terris, in definitiva il sogno di Dio. Saremo per un giorno forse
un po' estasiati come i discepoli sul Tabor (Mc 9), ma con la
consapevolezza e la disponibilità di chi sa che si sale per scendere, che
non potremo costruire alcuna tenda, perché sulla terra non c'è tenda
sufficientemente grande per contenere tutti. La nostra casa sarà l'umanità
stessa, nella sua pluralità di tradizioni, culture, riti e religioni. Una
umanità pluralista e colorata, così voluta da un Dio creativo e fantasioso.

Alberto Vitali


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