Torri Gemelle: Parla una ragazza americana



Milano, 18 gennaio 2002

INTERVENTO DI MARNIE JOYCE SULLA SITUAZIONE
A NEW YORK E IN AMERICA

[Marnie Joyce e' una ragazza americana che ama la pace e che collabora con il Movimento Umanista americano. Per contattarla si puo' scrivere a <marnie at humanism.org> ]

Sono molto contenta dell’opportunità che mi è stata offerta di far conoscere quelli che, a mio parere, sono i sentimenti e le paure di molti statunitensi che normalmente non appaiono sui telegiornali. Il quadro che viene fornito dai media è sicuramente accurato per una percentuale della popolazione, ma non rispecchia la totalità. E’ chiaro, io sono americana e da molti anni lavoro per promuovere la non-violenza, una reale democrazia, i diritti umani… non sono “un’americana media”, ma non sono neanche così rara come si potrebbe pensare. Non sono un’esperta. Sono una ragazza che vive a New York e ha guardato dalla finestra, come altri milioni in questa città, una devastazione inaspettata che non si è conclusa in quel momento. Le cose di cui vi parlerò sono in parte semplici osservazioni sulla vita a New York, in parte cose che ho sentito parlando con amici e parenti ed in parte notizie, disponibili pubblicamente, che ho ricercato con pazienza. Purtroppo molta gente si fida del governo e non vuole sapere altro. Fin dai primi giorni è stato chiaro che non avremmo avuto molteplicità di punti di vista da parte dei mass media. Immediatamente tutte le maggiori reti televisive hanno cominciato a battere il chiodo della rappresaglia, senza mai fornire chiare spiegazioni e delucidazioni sulle possibili motivazioni degli attentatori. Pochi giorni dopo l’attacco il presentatore della trasmissione “Politically incorrect”, Maher, ha fatto un’affermazione piuttosto provocatoria, che suonava più o meno così: “Noi siamo i vigliacchi, lanciare missili da 2000 miglia di distanza, questa è vigliaccheria; stare sull’aeroplano quando va contro al palazzo, puoi dire quello che vuoi, ma non è vigliaccheria”. Non voglio entrare in una discussione se fosse appropriato o no fare questa affermazione, ma sta di fatto che questa semplice frase è quasi costata il licenziamento al presentatore ed è costata alla TV il ritiro di alcuni dei suoi maggiori sponsor. Peter Jennings, il giornalista che secondo una votazione riscuote maggiore fiducia negli americani, nei giorni immediatamente successivi all’attacco ha dichiarato in diretta: “La nazione si aspetta di essere riassicurata dal presidente in situazioni come questa; alcuni presidenti lo fanno bene, altri meno”. Questa affermazione ha prodotto una valanga d’emails e telefonate di protesta e si è parlato di licenziamento. Non ci sono molti altri esempi di commentatori che, in una maniera o in un’altra, si siano distaccati dal branco. Forse questi episodi hanno fatto passare la voglia a chiunque ci stesse pensando. Grazie a questo schieramento compatto dei media una mattina gli americani si sono svegliati ed hanno imparato quanto cattivi fossero i Taliban. Trattano male le donne, sono violenti, non ti permettono neanche di guardare la televisione. Decine, se non centinaia, di organizzazioni per la difesa dei diritti umani da anni denunciavano pubblicamente queste violazioni, senza mai riuscire ad interessare i media; il 10 settembre non gliene fregava niente a nessuno, l'11 non si parlava d'altro.. Di fatto gli eventi di settembre sono stati sfruttati dai rappresentanti del potere economico e politico per fini propri. Gli uni hanno sfruttato l’occasione per effettuare licenziamenti di massa che, in un altro momento, sarebbero stati improponibili, mentre gli altri sono riusciti a portare avanti politiche di incremento delle spese militari e di limitazioni alle libertà individuali che sarebbero risultate perlomeno “antipopolari” in un altro momento. Questo è stato possibile grazie all’aiuto dei mass-media principali, che hanno spostato l’opinione pubblica (che, attenzione, non è l’opinione dei cittadini, ma l’opinione che viene pubblicata) da una parte all’altra a seconda dei vari interessi. Con la motivazione ufficiale di proteggere la libertà dell’America e del mondo sono state varate alcune leggi. Una di queste leggi (ASPA) prevede l’utilizzo della forza per liberare militari statunitensi che siano accusati di crimini davanti al Tribunale Internazionale dell’Aia. Ci sono stati molti episodi inquietanti di repressione della libertà individuale, tutti passati sotto la copertura della necessità di “difenderci dai nemici della libertà”. Le informazioni al riguardo sono molto scarse e difficili da reperire, ma un paio di casi hanno raggiunto i mezzi di comunicazione. Uno studente d’arte di origine libanese, di nome Salam Ibrahim El Zaatari, ad esempio, è stato trovato in possesso di un temperino che usava per le sue creazioni mentre stava per salire su un aereo. Il ragazzo è stato lasciato in cella d’isolamento per 6 settimane, finché si è dichiarato colpevole. E' stato espulso e non potrà tornare negli Stati Uniti. L’accusa al suo processo ha ammesso di non credere che si trattasse di un terrorista, ma ha aggiunto che la cosa non faceva alcuna differenza.. Una legge varata di recente si chiama MATA (Mobilization Against Terrorism Act). In base a questa legge in questo momento a casa mia, come in quella di qualsiasi altra persona, potrebbe esserci l’FBI che fruga tra le mie cose, installa cimici per registrare le mie comunicazioni ed esamina i files del mio computer; tutto questo senza minimamente coinvolgere un giudice che valuti se ci siano sufficienti sospetti o prove per giustificare tali azioni. Nella legge è specificato che essa è valida anche se viola la Costituzione. Poi c’è la USA PATRIOT, secondo la quale l’FBI può verificare ogni tipo di informazione privata quali i precedenti medici, le carte di credito ecc… di coloro per i quali non ha prove, o ne ha troppo poche. Ci sono casi di militanti che preferiscono non parlare al telefono delle loro idee o dell’organizzazione di manifestazioni di protesta, per timore di essere un giorno accusati di tradimento della patria o qualcosa di simile. In generale i più spaventati sono sicuramente i musulmani, o coloro che, per il loro aspetto fisico, potrebbero essere scambiati per musulmani. New York non è stato il centro di attacchi a moschee ecc… come nel resto d’America, ma è comunque tappezzata di bandiere a stelle e strisce. Quasi ogni negozio ne ha una appesa alla vetrina; più il proprietario del negozio è di aspetto mediorientale, più bandiere sono appese nelle vetrine. C’è un fenomeno di patriottismo sfrenato che è dettato per alcuni dagli incitamenti del presidente Bush e per altri, io credo, dalla paura di essere scambiati per terroristi. E’ ironico che i settori più svantaggiati ­ e sempre discriminati da questo governo - quali gli immigrati, siano quelli nei quali questo patriottismo trovi più facile presa. Devo dire però che, in mezzo a questo panorama cupo, ho avuto anche alcune piacevoli sorprese. Molti newyorkesi sono contrari alla guerra, come se dicessero: “Abbiamo sofferto abbastanza, perché far soffrire anche altri?”. Ovviamente questo tipo di sentimento varia a seconda delle frange sociali ed è lontano dall’essere una maggioranza, ma in confronto alla media americana mi sembra che New York si stia riscoprendo non-violenta. Alle manifestazioni per la pace spesso c’erano cartelli che dicevano: “La guerra: non a nome mio!”. Senz’altro questi fatti drammatici hanno risvegliato il desiderio di partecipazione. Ho sentito più di una persona affermare: “Sono sempre stato favorevole all’attività sociale e sempre mi sono detto che prima o poi mi sarei impegnato. Domani potrebbe essere troppo tardi, è meglio che cominci subito“.