La nonviolenza e' in cammino. 335



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 335 del 7 gennaio 2002

Sommario di questo numero:
1. Seconda assemblea nazionale della Rete di Lilliput il 18-20 gennaio a
Marina di Massa
2. Le occhiatacce di Scontentone
3. Eduardo Galeano, gli invisibili
4. Silvia Macchi, un diario di "Action for peace" (parte seconda)
5. Giulio Vittorangeli: la guerra, notte della politica e della democrazia
6. Guido Calogero, capire gli altri
7. Riletture: Lisli Basso Carini, Cose mai dette
8. Riletture: Alfonso Leonetti, Da Andria contadina a Torino operaia
9. Riletture: Joyce Lussu, Fronti e frontiere
10. Riletture: Franco Basaglia, Paolo Tranchina (a cura di), Autobiografia
di un movimento
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'

1. INCONTRI. SECONDA ASSEMBLEA NAZIONALE DELLA RETE DI LILLIPUT IL 18-20
GENNAIO A MARINA DI MASSA
[Riceviamo e diffondiamo]
Seconda assemblea nazionale della Rete di Lilliput. Venerdi' 18 - domenica
20 gennaio, Ostello Internazionale Turimar, Marina di Massa (circa 4 km. da
Massa).
* Programma del sabato e della domenica:
- Sabato 19: Ma si e' girato il vecchio mondo?
ore 10-13: Etica, economia, politica e globalizzazione dopo l'11 Settembre.
Tavola rotonda con Aldo Bonomi, Lidia Menapace e Manlio Dinucci, coordina
Maurizio Meloni;
ore 15-19: Strategie e azioni locali per cambiamenti globali. Divisione in
gruppi di lavoro per individuare le priorita' per il 2002: 1) La formazione
per Lilliput, 2) Nonviolenza e conflitti, 3) Impronta ecologica e sociale,
4) Commercio e finanza, 5) La lente sulle imprese;
dalle ore 21: Festa e fiera delle virtu'.
- Domenica 20: "Con il futuro sulle spalle"
ore 9.30: Presentazione in assemblea dei lavori di gruppo;
ore 11: Presentazione della proposta organizzativa.
A seguire: Conclusioni di Francesco Gesualdi e Sabina Siniscalchi; lettura
della dichiarazione di Marina di Massa.
* Informazioni utili
Iscrizioni all'incontro e altre informazioni: e-mail:
segreteria at retelilliput.org oppure: tel. 3336737265.
Iscrizione on-line: www.retelilliput.org/2assembleanazionale/iscrizione.asp
Altre informazioni tecnico-logistiche:
www.retelilliput.org/2assembleanazionale/logistica.asp
Materiale preparatorio su temi organizzativi (e il programma del venerdi):
www.retelilliput.org/2assembleanazionale/default.asp
E' possibile dormire e mangiare all'interno della struttura dove si
svolgera' l'incontro (pensione completa intorno ai 30 Euro al giorno).
Pranzi, cene e colazioni saranno preparati con l'utilizzo di prodotti
biologici e del Commercio equo. Prenotazioni direttamente all'Ostello tel
0585243282 (specificando incontro Rete Lilliput), e-mail:
info at ostelloturimar.com. La prenotazione non comporta l'automatica
iscrizione all'incontro. Si puo' prenotare anche un servizio di Baby Sitter
a pagamento.
Per chi arriva in treno, bus ogni mezz'ora dalla stazione di Massa.

2. LE OCCHIATACCE DI SCONTENTONE
[Scontentone e' quello che quando passa per strada perennemente lo senti
bofonchiare, in mancanza d'altro contro il bel tempo, che vorrei proprio
sapere cosa ha da essere cosi' bello di questi tempi. Ma c'e' sempre
qualcosa d'altro]
* Contare. Non partecipo al macabro esercizio del contare i morti. Non sono
conti che vanno a pareggio, due morti non fanno una resurrezione.
Controcanto. Ma vi e' un esercizio ancora piu' macabro: applaudire chi li ha
assassinati.
* Civile. E' il contrario di barbaro, ed e' il contrario di militare.
Significhera' pur qualcosa.
Controcanto. Ma oggi e' solo un aggettivo che designa le vittime, il cui
altro nome nella neolingua vigente e' "effetti collaterali".
* Come cambia il mondo. C'era in Afghanistan un regime islamico insediato
dagli americani. Ora esso e' stato abbattuto dagli americani. Ed e' stato
sostituito da un regime islamico insediato dagli americani.
Postilla. Il tutto al modico costo di migliaia e migliaia di morti innocenti
e di sofferenze infinite per i superstiti.
* "Perche' ci odiano tanto?", dicono si chiedano i nipotini di Eichmann.

3. RIFLESSIONE. EDUARDO GALEANO: GLI INVISIBILI
[Questo articolo del grande giornalista e scrittore latinoamericano
(l'autore de Le vene aperte dell'America Latina e di Memoria del fuoco)
abbiamo ripreso dal quotidiano "Il manifesto" del 27 dicembre]
Tutto inizio' con un'esplosione di violenza. Pochi giorni prima di Natale,
molti affamati si lanciarono all'assalto dei supermercati. Fra i disperati,
come succede di solito, s'infiltrarono diversi delinquenti. E in quelle ore
di caos, mentre il sangue scorreva, il presidente argentino parlo' in
televisione. Parola piu', parola meno, disse: la realta' non esiste, la
gente non esiste.
E allora nacque la musica. Inizio' piano piano, risuonando nelle cucine di
alcune case, mestoli che colpivano le pentole, e ando' alle finestre e ai
balconi. Ando' moltiplicandosi, di casa in casa, e conquisto' le strade di
Buenos Aires. Ogni suono si uni' ad altri suoni, la gente si uni' alla
gente, e nella notte esplose il concerto della rabbia collettiva. Al suono
delle pignatte, e senza altre armi che queste, si levo' il clamore
dell'indignazione. Convocata da nessuno, la folla invase i quartieri, la
citta', il paese. La polizia rispose a suon di spari. Ma la gente,
inaspettatamente potente, rovescio' il governo.
Gli invisibili avevano occupato, fatto nuovo, il centro della scena.
Non solo in Argentina, non solo in America Latina, il sistema e' cieco. Che
cosa sono mai le persone di carne e ossa? Per gli economisti piu' famosi,
numeri. Per i banchieri piu' potenti, debitori. Per i tecnocrati piu'
efficienti, fastidi. E per i politici di maggior successo, voti.
Il popolo che fece cadere il presidente De la Rua diede prova di energia
democratica. La democrazia siamo noi, disse la gente, e noi siamo stufi. O
forse la democrazia consiste solo nel diritto di votare ogni quattro anni? D
iritto di scelta o diritto di tradimento? In Argentina, come in tanti altri
paesi, la gente vota, ma non sceglie. Vota per uno, governa un altro:
governa il clone.
Il clone fa, dal governo, tutto il contrario di quello che il candidato
aveva promesso durante la campagna elettorale.
Secondo la celebre definizione di Oscar Wilde, cinico e' colui che conosce
il prezzo di tutto e il valore di niente. Il cinismo si traveste da
realismo; e cosi' la democrazia perde prestigio.
I sondaggi indicano che l'America Latina e', oggigiorno, la regione del
mondo che meno crede nel sistema democratico di governo. Uno di questi
sondaggi, pubblicato dalla rivista The Economist, ha rivelato la caduta
verticale della fede dell'opinione pubblica nella democrazia, in quasi tutti
i paesi latinoamericani: secondo i dati raccolti sei mesi fa, ci credevano
solo sei argentini, boliviani, venezuelani, peruviani e onduregni su dieci,
meno della meta' dei messicani, dei nicaraguensi e dei cileni, non piu' di
un terzo dei colombiani, dei guatemaltechi, dei panamensi e dei paraguaiani,
meno di un terzo dei brasiliani e appena un salvadoregno su quattro.
Triste panorama, brodo di coltura per i demagoghi e i messia in uniforme:
molta gente, e soprattutto molta gente giovane, percepisce che il vero
domicilio dei politici e' nella grotta di Ali' Baba' e i quaranta ladroni.
*
Un ricordo d'infanzia dello scrittore argentino Hector Tizon: nella Avenida
de Mayo, a Buenos Aires, il suo papa' gli indico' un signore che sul
marciapiede, di fronte a un tavolino, vendeva pomate e spazzole per lustrare
le scarpe: "Quel signore si chiama Elpidio Gonzalez. Guardalo bene. Lui e'
stato presidente della repubblica".
Erano altri tempi. Sessant'anni dopo, nelle elezioni legislative del 2001,
ci fu un'alluvione di schede bianche o nulle, una cosa mai vista, un record
mondiale. Fra le schede nulle, il candidato trionfante era il papero
Clemente, un famoso personaggio di un fumetto: siccome non aveva mani, non
poteva rubare.
Forse mai l'America Latina aveva subito un saccheggio politico comparabile a
quello dell'ultimo decennio. Con la complicita' e la protezione del Fondo
Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, sempre esigenti austerita'
e trasparenza, vari governanti rubarono anche i ferri dei cavalli al
galoppo.
Negli anni delle privatizzazioni, arraffarono tutto, anche le mattonelle dei
marciapiedi e i leoni degli zoo, fecero sparire tutto. I paesi furono
consegnati per pagare il debito estero, secondo quanto ordinavano coloro che
comandano davvero, ma il debito, misteriosamente, si moltiplico', nelle
abili mani di Carlos Menem e di molti dei suoi colleghi. E i cittadini, gli
invisibili, sono rimasti senza paesi, con un immenso debito da pagare, i
piatti rotti di quella festa altrui, e con dei governi che non governano,
perche' sono governati dall'esterno.
I governi chiedono permesso, fanno il loro dovere e ne rendono conto: non ai
cittadini che danno loro il voto, bensi' ai banchieri che danno loro il
veto.
Adesso che siamo tutti in piena guerra contro il terrorismo internazionale,
questo debito non e' di troppo, che cosa ne facciamo del terrorismo del
mercato, che sta castigando l'immensa maggioranza dell'umanita'? O non sono
forse terroristici i metodi degli alti organismi internazionali, che su
scala planetaria dirigono le finanze, il commercio e tutto il resto? Non
praticano forse l'estorsione e il crimine, sebbene uccidano per asfissia e
per fame e non con le bombe? Non stanno forse facendo saltare per aria i
diritti dei lavoratori? Non stanno forse assassinando la sovranita'
nazionale, l'industria nazionale, la cultura nazionale?
L'Argentina era l'allieva piu' diligente del Fondo Monetario, della Banca
Mondiale e dell'Organizzazione Mondiale del Commercio. E le e' andata cosi'.
*
Signore e signori: prima i banchieri. E dove comanda il capitano, non
comanda il marinaio. Parola piu', parola meno, questo e' stato il primo
messaggio che il presidente George W. Bush ha inviato all'Argentina. Dalla
citta' di Washington, capitale degli Stati Uniti e del mondo, Bush ha
dichiarato che il nuovo governo argentino deve "proteggere" i suoi creditori
e il Fondo Monetario Internazionale e portare avanti una politica di
"maggiore austerita'".
Nel frattempo, il nuovo presidente argentino ad interim, che sostituisce De
la Rua fino alle prossime elezioni, nella sua prima risposta alla stampa ha
fatto una gaffe. Un giornalista gli ha domandato a che cosa avrebbe dato la
priorita', il debito o la gente, e lui ha risposto: "Il debito". Il signor
Sigmund Freud ha sorriso dalla sua tomba, ma Adolfo Rodriguez Saa' ha subito
corretto la sua risposta. E poco dopo, ha annunciato che sospendera' il
pagamento del debito e che destinera' quel denaro alla creazione di posti di
lavoro per le legioni di disoccupati.
Il debito o la gente, questo e' il dilemma. E adesso la gente, quella
invisibile, pretende e vigila.
*
Un secolo fa circa, don Jose' Batlle y Ordonez, presidente dell'Uruguay,
stava assistendo a una partita di calcio e commento': "Come sarebbe bello se
ci fossero 22 spettatori e diecimila giocatori!" Forse si riferiva
all'educazione fisica, da lui promossa. O stava parlando, piuttosto, della
democrazia che voleva.
Un secolo dopo, in Argentina, il paese vicino, molti dei manifestanti
portavano la maglietta della loro nazionale di calcio, il loro profondo
segno d'identita', la loro allegra certezza patriotica: con la maglietta
addosso, hanno invaso le strade. La gente, stufa di essere spettatrice della
propria umiliazione, ha invaso il campo. Non sara' facile farla sloggiare.

4. TESTIMONIANZE. SILVIA MACCHI: UN DIARIO DI "ACTION FOR PEACE" (PARTE
SECONDA)
[Silvia Macchi ha preso parte all'iniziativa nonviolenta internazionale
"Action for peace" in Palestina. Per contatti: s.macchi at libero.it]
Gerusalemme 30 dicembre
E' durata due ore, dalle 9 alle 11, la trattativa tra il movimento
internazionale Action for Peace e l'esercito israeliano, che aveva bloccato
i pullman dei pacifisti al check-point tra Betlemme e Hebron, impedendo loro
di raggiungere la citta' dover li aspettava il sindaco.
Due ore durante le quali i coloni israeliani di Hebron (notoriamente i piu'
fanatici e intolleranti) si sono fatti vedere e sentire, non solo insultando
i pacifisti, ma soprattutto intimando ai soldati di "non trattare con i
terroristi".
Gli stessi soldati hanno fatto capire ai pacifisti italiani che il problema
era proprio l'aggressivita' dei coloni. "E' la prima volta che vediamo i
coloni dare ordine all'esercito, e' impressionante quanto sia aumentato il
loro peso politico" ha dichiarato il senatore Giovanni Russo Spena, che ha
condotto la trattativa insieme agli altri parlamentari presenti.
I soldati hanno mostrato un ordine di polizia, in base al quale Hebron e
tutta la sua regione sono "chiuse" (nessuno puo' cioe' entrare e uscire)
dalle 12 del 29 dicembre al 9 gennaio compreso. Una misura che inasprisce
ulteriormente le gia' disumane condizioni di vita della popolazione civile,
cui la missione Action for Peace e' venuta a testimoniare la solidarieta'
della societa' civile europea.
In assenza del console d'Italia Ghisi, il viceconsole Petruzzella ha tentato
una trattativa telefonica con le autorita' militari israeliane, ricevendone
in cambio l'offerta o di consentire al sindaco di Hebron di incontrare i
pacifisti a Gerusalemme o di lasciar passare i soli parlamentari - oltre al
senatore Russo Spena, l'eurodeputata Luisa Morgantini e i deputati Silvana
Pisa e Luigi Marino - trasportati su una camionetta dell'esercito
israeliano.
Entrambe le proposte sono state giudicate inaccettabili e rifiutate.
I pacifisti europei sono giunti nei giorni scorsi in Palestina in segno di
solidarieta' con la societa' civile palestinese e con le forze di pace
israeliane e per richiamare l'attenzione della comunita' internazionale
sulla necessita' di una forza di interposizione per la tutela della
popolazione civile.
Dall'Italia sono giunte oltre 200 persone: rappresentanti di associazioni,
sindacati, associazioni delle donne, organizzazioni non governative, ecc.
L'iniziativa, denominata "Action for Peace" e' promossa dalla Piattaforma
italiana per la pace in Medio Oriente, che raccoglie questo vasto arco di
forze, e si inserisce nell'iniziativa europea coordinata dallo ECCP
(European Coordinating Committee for the question of Palestine).
*
Gerusalemme, 31 dicembre 2001
* Manifestazione a Betlemme
Per la fine dell'anno i patriarchi di Betlemme hanno promosso una
manifestazione con l'obiettivo di superare il check-point di Betlemme e
recarsi a Gerusalemme, insieme ai loro fedeli palestinesi, per pregare nei
rispettivi luoghi sacri. La manifestazione e' sostenuta dalle delegazioni
internazionali presenti in Palestina, con il coordinamento del
Rapproachement between people, e dai pacifisti israeliani.
Il concentramento avviene intorno alle 10, davanti al Bethlehm Hotel. Sono
presenti un migliaio di palestinesi e tra loro molti religiosi delle piu'
disparate confessioni (cattolici, ortodossi, maroniti, musulmani e anche un
monaco buddista). Il corteo si forma: in testa le delegazioni nordamericane
e francesi con una rappresentanza italiana, seguono i patriarchi, quindi
gruppi di fedeli (molte le donne e i bambini), chiudono gruppi di giovani
palestinesi mescolati con gli italiani del campo anti-imperialista. I 200
italiani di Action for Peace formano i cordoni laterali.
Passiamo davanti al Paradise Hotel, che nel passato ha ospitato altre
delegazioni italiane, reso inagibile dai recenti bombardamenti. Quindi
deviamo per Caritas street, poiche' il tratto di strada davanti alla Tomba
di Rachele e' sbarrato da blocchi di cemento e presidiato dai soldati
israeliani. In Caritas street, proprio di fronte alle sede dell'Applied
Research Institute - Jerusalem (ARIJ) dove abbiamo molti amici, l'esercito
israeliano ha piazzato alcune camionette. Il corteo e' costretto a fermarsi.
Iniziano i soliti negoziati. Tutti colgono l'occasione per scambiare due
chiacchiere con i loro "vicini di manifestazione" e i moltissimi giornalisti
approfittano della sosta per intervistare i patriarchi. Dopo una mezz'ora le
camionette vengono spostate e si allontanano. Possiamo procedere e arrivare
in prossimita' del check-point, dove ci attende un altro sbarramento di
camionette.
Qui ci fermiamo di nuovo e iniziano i negoziati piu' difficili. Il tentativo
e' quello di passare tutti insieme e imbarcarci sui pullman che ci aspettano
dall'altra parte. Ma i negoziatori riescono ad ottenere l'ingresso a
Gerusalemme solo per i patriarchi. Nessun altro palestinese potra'
accompagnarli. I fedeli palestinesi potranno recitare le loro preghiere
davanti al check-point, prima che i patriarchi lascino Betlemme.
Obbedendo alle richieste dei promotori, nessuno tenta di forzare il
check-point. Iniziano le preghiere, una per ogni confessione. Quindi il
corteo si scioglie mentre una voce al microfono dice che, nonostante lo
scarso risultato dei negoziati, l'iniziativa puo' essere considerata
riuscita. La manifestazione ha avuto luogo, la partecipazione e' stata
ampia, non ci sono stati incidenti e, soprattutto, si e' dimostrato davanti
ad un gran numero di testimoni internazionali che le vessazioni degli
israeliani non riguardano solo i musulmani e che qualsiasi palestinese,
quale che sia la sua confessione, subisce le stesse assurde limitazioni alla
sua liberta' di movimento e si vede precluso di fatto l'accesso ai luoghi
sacri della citta' di Gerusalemme.
* Mezzanotte nella piazza di Ramallah
Alle 20 del 31 gennaio iniziano i festeggiamenti organizzati dal Pngo
(coordinamento delle ong palestinesi) per le delegazioni internazionali.
Veniamo accolti nel teatro della Friends Boy School di Ramallah. Sul palco
un cantante e gli allievi della locale scuola di danza, una decina di
ragazzine tra gli 8 e i 14 anni e quattro ragazzini. I costumi sono
tradizionali, a colori vivaci. Dal copricapo delle ragazzine spuntano
bellissimi capelli, leggermente arricciati, neri, castani, biondi. La musica
e le leggerezza delle danze commuovono tutti. Uno spettacolo veramente
straordinario.
Finiti gli applausi, arriva Mustafa Barghouti, presidente del Pngo nonche'
direttore dell'Hdip (Istituto per lo sviluppo, l'informazione e le politiche
della salute). Mustafa e' un medico e viene da una delle piu' importati
famiglie palestinesi, la stessa del leader politico Marwan Barghouti. Parla
un buon inglese e veste in modo sportivo. Con il suo aspetto e i suoi modi
informali, incarna la figura di certi nuovi dirigenti della societa' civile
palestinese, capace di mantenere un rapporto dialettico con le istituzioni e
i partiti, sempre preoccupato di tenere insieme istanze nazionaliste e
diritti umani.
Il suo discorso e' breve ed efficace. Ringrazia una ad una le delegazioni
straniere (statunitense, canadese, francese, svizzera, belga, spagnola e
italiana). Ci dice che abbiamo contribuito a sollevare il morale della
popolazione palestinese, terribilmente basso dopo l'11 settembre. Ora sanno
di non essere soli. Ci prega di portare nei nostri paesi la testimonianza di
quanto abbiamo vissuto in Palestina e di intervenire con tutti i mezzi
presso i nostri governi e l'Unione Europea. Quindi ringrazia i tantissimi
volontari palestinesi che hanno lavorato nell'organizzazione delle missioni
e ci hanno costantemente accompagnato da una citta' all'altra. Infine lancia
l'augurio che il 2002 sia l'anno della liberazione della Palestina.
Alle 21 siamo fuori dal teatro, pronti per l'incontro con Yasser Arafat.
Ci accompagnano in un enorme sala (siamo almeno 500). Dopo pochissimi minuti
arriva Arafat, accompagnato da Mustafa Barghouti e da alcuni leaders
politici, tra cui Marwan Barghouti. Interviene per primo Mustafa Barghouti,
decisamente soddisfatto nel mostrare al Presidente i risultati del suo
lavoro. Mustafa chiede al Presidente di far intervenire tre rappresentanti
delle delegazioni presenti e Arafat risponde: "puoi far intervenire tutti
quelli che vuoi: 3, 10, 20...". La parola passa ai tre promotori della
campagna a livello europeo: Luisa Morgantini, il belga Pierre Galland e la
francese Claude Leostic. Infine prende il microfono Yasser Arafat.
Moltissimi gli applausi, in clima generale di festa che nessuno ha voglia di
turbare con note polemiche o altre espressioni di dissenso.
Dopo un'ora la "cerimonia" e' finita e ci trasferiamo nella piazza
principale di Ramallah. Sono le 23 ed e' gia' abbastanza piena. Un palco
attende gli ospiti d'onore (tra cui Marwan Barghouti e Luisa Morgantini) e
sui tetti vicini sono pronti i fuochi d'artificio. Vengono distribuite delle
candele bianche da accendere alla mezzanotte. Continua ad arrivare gente,
molti ragazzi ma anche intere famiglie, genitori giovani con quattro o
cinque bambini, coppie piu' anziane a braccetto. Ci dicono che questa festa
in piazza e' una vera e propria novita' per Ramallah e che da mesi non si
vedevano tante persone per strada di notte. A mezzanotte partono i fuochi
d'artificio e molti di noi tirano un sospiro di sollievo: non ci sono armi
in giro e gli unici "botti" sono quelli di Capodanno.
*
Gerusalemme, primo gennaio 2002
* Incontro con Zaira Kamal e Reema Hammami
Finalmente riusciamo a trovare un po' di tempo per incontrare le nostre
amiche palestinesi. Alle 18 del primo gennaio, Zaira Kamal e Reema Hammami
ci raggiungono al nostro albergo. Non c'e' che dire: un ottimo inizio
d'anno.
Zaira Kamal ha superato i cinquanta ed ha vissuto in prima persona la prima
intifada, subendo sia il carcere che interminabili mesi di arresti
domiciliari. Oggi e' delegata alle questioni di genere presso il Ministero
della Pianificazione e della Cooperazione Internazionale dell'Anp.
Reema Hammami e' invece una quarantenne nata e cresciuta negli Usa che ha
partecipato attivamente al dopo-Oslo. Insegna Antropologia all'Universita'
di Birzeit e fa parte del Programma di Women Studies della stessa
universita'.
L'incontro e' presieduto da Raffaella Lamberti, che invita le due ospiti ad
esporre la loro analisi della situazione attuale, mettendo in evidenza le
differenze rispetto alla prima intifada, e a passare quindi alla
formulazione di possibili linee di azione.
Entrambe esordiscono con parole di ringraziamento nei nostri confronti.
Zaira ritiene che le iniziative "people to people", quale la nostra, possono
servire a fare arrivare la sua voce in Europa,  superando la censura  dei
media. Reema sottolinea il valore della nostra missione in termini di
rottura dell'isolamento e della solitudine del popolo palestinese.
Passando all'analisi, Zaira  parte dicendo che la causa prima delle
differenze tra prima e seconda intifada va ricercata nel processo di Oslo e
nella conseguente costituzione dell'Anp (Autorita' Nazionale Palestinese).
Durante la prima intifada non c'erano dubbi: la Palestina era un paese sotto
occupazione e l'intifada era una lotta di liberazione. Nella seconda
intifada, invece, l'esistenza dell'Anp confonde le idee soprattutto a chi
guarda dall'esterno. I cittadini europei non sanno che  l'Anp governa solo
la zona A (18% della Cisgiordania e 70% della striscia di Gaza) per cui non
capiscono perche' si parla di occupazione e non percepiscono l'intifada come
lotta di liberazione. La maggioranza pensa che si tratti di una guerra tra
due paesi, mentre di fatto c'e' un popolo occupato e un esercito occupante.
Proprio per l'esistenza dell'Anp, la reazione di Israele e' oggi molto piu'
violenta che in passato. Dopo 15 mesi di intifada il bilancio e' di 700
morti, 2000 feriti, centinaia di case distrutte, centinaia di migliaia di
alberi sradicati, pesanti limitazioni alla liberta' di movimento, 300.000
persone che hanno perso il lavoro e un tasso di disoccupazione altissimo. Il
70% della popolazione vive sotto la soglia di poverta' e per moltissimi il
pasto principale e' costituito da the e pane. I Palestinesi hanno perso
qualsiasi speranza per il futuro e cio' ha indotto comportamenti molto
violenti nei confronti degli Israeliani.
Per quanto riguarda la sofferenza delle donne palestinesi, molte sono le
vedove giovani e giovanissime o le donne con il marito disoccupato che si
ritrovano senza reddito, senza formazione al lavoro e con i bambini piccoli
da accudire. Alla loro sofferenza si aggiunge inevitabilmente quella dei
figli: molti sono i casi di perdita della parola, di difficolta' scolastica,
di perdita della capacita' di concentrazione. C'e' una grande necessita' di
trattamento psicologico per i bambini e di formazione al lavoro per le
donne.
Anche per quanto riguarda il rapporto tra donne e intifada molto e' cambiato
tra prima e seconda intifada. Sono mutati i luoghi dello scontro: i soldati
israeliani non sono piu' nelle strade, davanti alle case, non fanno piu'
parte degli incontri quotidiani per chi si muove solo all'interno del
proprio villaggio; le manifestazioni si sono spostate ai check point e
spesso prevedono l'uso delle armi per cui le donne non partecipano.
Inoltre, con l'avvento dell'Anp, la questione "nazionale" e' uscita dagli
interessi delle organizzazioni di donne che si sono maggiormente dedicate
alla questioni sociali e alla difesa dei loro diritti nell'ambito della
societa' palestinese.  Lo stesso vale per i giovani e per i lavoratori. Oggi
c'e' una ripresa di interesse per la questione nazionale e la volonta' della
donne di tenere insieme questione nazionale e questione sociale. Ma non e'
facile ed e' proprio su questo punto che Zaira chiede la nostra
collaborazione.
L'analisi di Reema parte dalla affermazione che la situazione attuale e'
estremamente pericolosa e che tale pericolosita' e' andata crescendo con
l'elezione di Sharon, poi con l'11 settembre e ancora nelle ultime due
settimane prima di Natale.
La politica di Sharon, che raccoglie il 55% del consenso israeliano, mira
alla eliminazione dell'Anp e alla distruzione di qualsiasi identita'
nazionale palestinese. Non potendo pero' agire direttamente in questo senso,
usa tutti gli strumenti possibili per ottenere lo stesso risultato
indirettamente, tendendo un serie di trappole politiche all'Anp e minando
l'economia dei territori. Una volta eliminata l'Anp, i palestinesi
resterebbero intrappolati in una serie di bantustan, governati da leader
locali controllati da Israele e circondati dagli insediamenti dei coloni.
Per quanto riguarda le differenze tra prima e seconda intifada, Reema
descrive la prima come un largo movimento di massa, con la partecipazione
delle organizzazioni dei lavoratori e di altre organizzazioni di base, che
ha come obbiettivo la pace e che predilige la disobbedienza civile alla
violenza armata. Per queste sue caratteristiche, la prima intifada riusci' a
raccogliere il consenso di parte dell'opinione pubblica israeliana aprendo
cosi' la strada al processo di pace. La seconda intifada, invece, avviene in
un momento in cui la societa' politica palestinese vive una crisi di
democrazia interna, in cui non esiste una struttura capace di mobilitare la
popolazione ne' di elaborare una strategia politica. Il background di questa
intifada e' il processo di pace e il governo israeliano sfrutta questo
elemento per dire che i palestinesi non vogliono la pace, ottenendo cosi' di
ricompattare l'opinione pubblica israeliana a destra e contro i palestinesi.
Reema concorda con Zaira nel definire "militarizzata" la seconda intifada.
Questa militarizzazione, ovvero il ricorso alle armi da entrambi le parti,
e' stata strategicamente voluta dal governo israeliano proprio per
compattare la sua opinione pubblica. Sharon ha infatti imparato dalla prima
intifada che una rivolta nonviolenta dei palestinesi puo' raccogliere un
buon numero di consensi tra i cittadini israeliani. Fin dai primi mesi
l'esercito israeliano ha risposto con le armi al lancio delle pietre da
parte dei ragazzi palestinesi. Ed infatti nei primi due mesi il numero di
vittime palestinesi sotto i 18 anni e' altissimo. D'altra parte, in questa
seconda intifada, la societa' palestinese non sembra avere la struttura
necessaria per organizzare una rivolta civile  che vada oltre il lancio
delle pietre. Il processo di pace e la successiva formazione dell'Anp hanno
portato ad una sostanziale smobilitazione della popolazione palestinese. E
la sistematica militarizzazione dell'intifada ha reso ancora piu' difficile
l'organizzazione di una resistenza su larga base popolare.
Reema affronta quindi la relazione tra donne e intifada, riprendendo quanto
gia' detto da Zaira. Il problema principale e' rappresentato dalla scissione
tra questioni nazionali e questioni sociali in seno alle organizzazioni
delle donne. Tale problema era gia' evidente prima dell'intifada, tanto e'
vero che cinque anni fa l'Universita' di Birzeit aveva organizzato una
conferenza su questo tema. L'intifada ha reso palesi le conseguenze di
questa scissione, in termini di non partecipazione delle donne. Tuttavia
Reema sottolinea che, a suo avviso, le donne non possono affrontare le
questioni nazionali da sole e che l'elaborazione politica deve avvenire in
un contesto piu' ampio che includa tutte le componenti della societa'.
Si passa quindi al secondo tema proposto da Raffaella Lamberti: i progetti
per il futuro. Su questo punto, Zaira e Reema sono concordi nel riconoscere
la situazione attuale come estremamente difficile. La societa' palestinese
e' stremata da 15 mesi di lotta quotidiana per la sopravvivenza. Zaira porta
il suo esempio personale: gran parte del suo tempo e delle sue energie sono
consumate negli spostamenti, dagli attraversamenti dei check point a piedi
in mezzo al fango e alla polvere, dal folle passare da un taxi all'altro
anche per brevissimi tragitti. Quando finalmente si trova seduta alla sua
scrivania non ha piu' le forze e il tempo necessario per elaborare una
strategia politica. Reema ci confessa di essere estremamente depressa, di
uscire poco di casa e di passare molto tempo a letto. Questo e' cio' che
voleva Sharon e ci e' riuscito; ma, al tempo stesso, questo sta rafforzando
la societa' palestinese che sta dimostrando una incredibile capacita' di
resistenza.
Per quanto riguarda la nostra comune azione per il futuro, Zaira individua
una serie di priorita':
1) fare pressione politica su tutti i governi per ottenere la protezione
internazionale;
2) sostenere le ong e le altre organizzazioni della societa' civile al fine
di creare nuove opportunita' di lavoro, specialmente per le donne. Non basta
piu' lavorare sulla formazione e sui diritti umani; servono urgentemente
interventi che diano alle donne la possibilita' di avere un reddito stabile
e duraturo;
3) fare pressione su Israele attraverso strumenti quali il boicottaggio dei
prodotti dei settlements o altri strumenti in grado di produrre una danno
economico;
4) sostenere i servizi sociali e psicologici, sviluppando un'offerta
differenziata. Zaira si sofferma sulle attivita' di drammatizzazione che
possono aiutare i bambini ad elaborare la sofferenza attuale. Finora questo
tipo di attivita' sono state trascurate e hanno ricevuto finanziamenti
irrisori;
5) sostenere i prodotti del lavoro delle donne per aumentare il loro
reddito.
Reema riprende le priorita' di Zaira, aggiungendo alcune sue considerazioni.
Per quanto riguarda il lavoro da fare all'estero, ritiene fondamentale il
lavoro che possiamo fare rispetto ai nostri governi e le attivita' di
boicottaggio nei confronti di Israele. Propone anzi di andare oltre il
boicottaggio economico e di lavorare per il boicottaggio culturale, come si
fece per il Sudafrica (escludere le squadre israeliane dalle competizioni
sportive; impedire le tournee degli artisti israeliani; ecc.).
Passando al lavoro da fare nei territori, Reema sottolinea l'importanza
delle missioni civili di protezione perche' ritiene molto difficile riuscire
a superare il veto degli Usa in seno alle Nazioni Unite. Quindi ci chiede di
farle sapere di che cosa abbiamo bisogno per operare nei territori nel senso
indicato da Zaira, mettendosi a nostra disposizione per creare le condizioni
necessarie al nostro lavoro futuro.
L'incontro termina sulla questione degli attentati suicidi. Reema riconosce
che si e' atteso fin troppo per aprire il dibattito su questa questione ma
che qualcosa si comincia a muovere. Del resto e' molto difficile esprimersi
negativamente rispetto a dei giovani che danno la loro vita per la patria.
In tutto il mondo questo tipo di comportamento e' considerato positivamente.
Comunque si tratta di un dibattito che deve coinvolgere tutta la societa' e
non solo le donne. Quindi fa riferimento ad alcune statistiche che mettono
in relazione la situazione politica generale con la percentuale di consensi
raccolti dagli attentati suicidi. Nel 1994, nel clima di ottimismo creato
dagli accordi di Oslo, solo il 20% dei palestinesi approvavano gli attacchi
suicidi. Tale percentuale saliva al 50% dopo tre mesi di intifada (dicembre
2000) e quindi al 75% dopo sei mesi di governo Sharon. Lo stesso andamento
si riscontra all'interno della societa' israeliana se si considera il
consenso degli israeliani all'assassinio dei leaders politici palestinesi.
Oggi il 70% dei cittadini israeliani approva tali assassinii, mentre 5 anni
fa la percentuale era molto piu' bassa. Reema conclude quindi che entrambi i
fenomeni dipendono da una serie di variabili esterne alla cultura dei due
popoli, ovvero variano con il variare della situazione politica generale.
Sono destinati a crescere se il conflitto si inasprisce ulteriormente ma
possono diminuire se ritorna  la speranza della pace.

5. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: LA GUERRA, NOTTE DELLA POLITICA E DELLA
DEMOCRAZIA
[Giulio Vittorangeli e' impegnato da sempre nella solidarieta'
internazionale. Per contatti: giulio.vittorangeli at tin.it]
Afghanistan, Algeria, Angola, Birmania, Burundi, Cecenia, Colombia,
Filippine, Indonesia, Israele, Nepal, Repubblica Centrafricana, Repubblica
Democratica del Congo, Sierra Leone, Somalia, Sri Lanka, Sudan, ecc. Cosa
hanno in comune questi paesi? La guerra.
Ma solo quello che avviene in Afghanistan occupa i nostri telegiornali;
anche se non si dice che siamo davanti al ciclo odioso della guerra di
vendetta, come risposta alla violenza assassina; ne' viene mostrato il
dramma del popolo dei profughi che viaggia senza meta, tra campi pieni di
mine e bande di armati e di sciacalli. Ne' si da' voce alle organizzazioni
delle donne afgane che hanno resistito, resistono al burqa e
all'oscurantismo, si battono per la pace, i diritti, la democrazia.
Le rimanenti sono guerre dimenticate, forse perche' non c'e' nessuna
organizzazione terroristica da bombardare. Anche se "terrorismo" e' un
termine impreciso. Da almeno due secoli e' servito a designare
indistintamente chiunque, a torto o a ragione, abbia fatto ricorso alla
violenza per tentare di cambiare l'ordine politico. O forse perche'
avvengono in paesi geograficamente lontani dall'Occidente.
Comunque, a qualsiasi latitudine e longitudine, la guerra ormai ha come suo
obiettivo i civili. L'enorme potenziale tecnologico militare sviluppatosi
nel corso del '900 ha reso piu' problematica la distinzione tra belligeranti
e non belligeranti, a danno innanzitutto delle popolazioni civili.
Significativo questo valore assoluto: alla fine dell'800 il rapporto tra
caduti in guerra militari e civili era di 8 a 1; nelle guerre dell'ultimo
decennio questo dato va rovesciato da 1 a 8. Non solo, tra i civili i
bambini diventano obiettivi programmati di guerra: colpire loro significa
annullare il futuro. Cosi' si hanno bambini uccisi, mutilati, traumatizzati,
profughi, soldati, orfani. Tutti i rapporti annuali dell'Alto Commissariato
delle Nazioni Unite per i Rifugiati, sottolineano la grave condizione di
vulnerabilita' in cui si trovano i minori coinvolti nei conflitti di
quest'epoca.
Insieme a molte guerre, sono rimossi dai grandi mezzi d'informazione i
problemi vitali del pianeta: la poverta', la fame, le malattie, che stanno
martoriando oltre la meta' del genere umano; insieme ai problemi della
tutela dell'ambiente, della criminalita' internazionale, della produzione e
del commercio di armi.
"Con il 3% dei fondi destinati alla militarizzazione dei soli e delle
stelle, il cosiddetto scudo spaziale, potremmo dare acqua potabile a chi
oggi vede preclusa questa vitale possibilita'. La guerra non e' solo cio'
che distrugge od uccide con le armi: tanta intelligenza, tanta cultura
scientifica, tante risorse finanziarie bruciate per la morte anziche' per la
vita" (dall'appello "Ingiustizie di guerra" pubblicato da "il manifesto" del
7 dicembre 2001). Quello che si sta spendendo nell'attuale operazione
militare contro l'Afghanistan sarebbe sufficiente a eliminare in questa
nazione e in molte altre la fame, la miseria e la distruzione a cui sono
sottoposte, inaugurando relazioni di rispetto e di cooperazione, di aiuto e
solidarieta', non aggravando sofferenze e soprattutto non piantando nuovi
semi di odio e incomprensioni. Il punto grave e serio e' che questa volta il
sud del mondo tende a identificarsi in un'ideologia religiosa, non siamo
piu' ai belli, speranzosi e laici tempi dei non-allineati. La componente
musulmana pesa: si tratta di milioni di persone umiliate e oppresse, che
ritrovano la loro dignita' nella religione, e di li' al fondamentalismo il
passo talora e' breve. Non per niente negli ultimi vent'anni il
fondamentalismo si e' enormemente esteso.
Contemporaneamente abbiamo assistito alla rilegittimazione della guerra ed
al naufragio del diritto internazionale; gia' drammaticamente annunciato con
la guerra del Golfo del 1991. E' il ritorno alla logica primitiva della
guerra; la guerra infinita propria dello stato precivile e selvaggio, quando
non era ancora esistente il diritto/ordinamento internazionale quale
strumento di civilizzazione. Ha scritto, su "Adista" del 19 novembre 2001,
il magistrato Domenico Gallo: "Dopo oltre un decennio di insofferenza per le
regole ed i valori della Carta costituzionale nata dalla Resistenza, dopo
che sono stati saccheggiati a piene mani i beni pubblici che assicuravano la
partecipazione popolare e la rappresentativita' delle istituzioni elettive,
dopo che la Costituzione e' stata banalizzata e amputata del suo fondamento
di legittimita' rappresentato dall'antifascismo, alla fine e' stato compiuto
l'ultimo saccheggio. E' caduto (di fatto anche se non formalmente) il
baluardo del ripudio della guerra, bene indisponibile del popolo italiano,
che i costituenti avevano consegnato alle generazioni future come
salvacondotto per garantire ai figli un avvenire diverso da quello dei
padri". Oggi i nostri politici, corteggiano di nuovo la guerra senza pudore,
senza piu' inibizioni; inneggiano all'esercito professionale per "missioni
di pace", "guerre umanitarie" e simili. In realta', tutti i testi relativi
al "nuovo modello di difesa" parlano di "difesa degli interessi vitali della
nazione" ossia "delle materie prime presenti nel terzo mondo, necessarie
alle economie dei paesi industrializzati", di "difesa dei propri mercati"
con un intreccio perverso di industria e commerci bellici che hanno bisogno
di eserciti possenti e di guerre, con traffici che viaggiano spesso e
volentieri con quelli della droga. Sono i pochi ricchi (20% della
popolazione mondiale) che devono difendere il possesso dell'80% dei beni del
mondo contro la massa dei diseredati e facendo fare la guerra,
sostanzialmente, ai poveri.
Non solo, l'esercito professionale viene presentato (vedi servizio militare
femminile) come strumento di emancipazione per le donne. In realta', le
scelte politiche del ministero della difesa chiedono alle donne di essere
"androgine", competitive, aggressive, di ricalcare cioe' i peggiori modelli
maschili. Noi continuiamo a preferire una parita' al rovescio, cioe' che i
maschi smettano di preparare e fare la guerra, assimilandosi in questo alle
donne. Noi che, al contrario di quanto proclama una famosa e citata massima,
continuiamo ad essere convinti che la guerra e' il contrario della politica,
non la sua prosecuzione "con altri mezzi". Per questo, la guerra non e' solo
la notte della politica, e' anche la notte della democrazia. E non potremo
parlare di pace, ne' tantomeno di democrazia e diritti umani, se non saremo
capaci di rimuovere l'oppressione, la disuguaglianza, la fame e la poverta'
di miliardi di donne e di uomini.

6. MAESTRI. GUIDO CALOGERO: CAPIRE GLI ALTRI
[Da Guido Calogero, Filosofia del dialogo, Edizioni di Comunita', Milano
1962, 1977, pp. 357-358]
La volonta' di capire gli altri, e di tenere conto dei loro punti di vista,
non puo' mai limitarsi al solo aspetto intellettuale della loro
consapevolezza. Comprendere gli altri significa capire non solo le loro
idee, le loro religioni, le loro filosofie, ma anche le loro aspirazioni, i
loro desideri, i loro bisogni. Non esiste quindi alcuna giustificabile
differenza di fondo fra societa' intellettuale e societa' civile e politica.

7. RILETTURE. LISLI BASSO CARINI: COSE MAI DETTE
Lisli Basso Carini, Cose mai dette, Il Mulino, Bologna 1995, pp. 166, lire
18.000. Indimenticabile figura di antifascista, pacifista, ecologista,
impegnata per i diritti e la liberazione dei popoli, compagna di Lelio
Basso, in questo libro di "memorie di un'ottuagenaria" racconta squarci
della sua infanzia, gli anni della Resistenza, e poi vicende piccole e
grandi di una lunga ed intensa vita di impegno civile.

8. RILETTURE. ALFONSO LEONETTI: DA ANDRIA CONTADINA A TORINO OPERAIA
Alfonso Leonetti, Da Andria contadina a Torino operaia, Argalia, Urbino
1974, pp. 256. Uno dei piu' esemplari militanti del movimento operaio ha
raccolto in questo volume una parte delle sue memorie raccontandovi gli anni
della giovinezza, dall'infanzia e l'adolescenza ad Andria tra fine ottocento
e inizio del nuovo secolo, al suo arrivo a Torino, all'intensa
partecipazione alle vicende del movimento operaio e socialista tra guerra e
dopoguerra, nella collaborazione e amicizia con Gramsci ed altre grandi
figure, una straordinaria testimonianza di un indimenticabile maestro di
impegno civile.

9. RILETTURE. JOYCE LUSSU: FRONTI E FRONTIERE
Joyce Lussu, Fronti e frontiere, Laterza, Bari 1967, pp. 144.
Indimenticabile figura di intellettuale e militante che amava (e conosceva,
e ha tradotto) la poesia di tutti i popoli e tutte le lingue; di famiglia
antifascista esule dall'infanzia, compagna di Emilio Lussu, impegnata nella
Resistenza nelle formazioni di "Giustizia e liberta'" (fu capitano del CVL,
medaglia d'argento al valor militare), per tutta la vita impegnata nella
lotta per la democrazia, la pace, la liberazione dei popoli e la difesa
dell'ambiente; in questo libro racconta alcuni episodi della sua vita negli
anni della lotta antifascista.

10. RILETTURE. FRANCO BASAGLIA, PAOLO TRANCHINA (A CURA DI): AUTOBIOGRAFIA
DI UN MOVIMENTO
Franco Basaglia, Paolo Tranchina (a cura di), Autobiografia di un movimento,
coedizione UPI, Regione Toscana, Amministrazione Provinciale di Arezzo,
Fogli di informazione, Psichiatria democratica, Critica delle istituzioni,
Firenze 1979, pp. 448. Una raccolta di testi dal 1961 al 1979 che documenta
le esperienze e le riflessioni del movimento di psichiatria democratica.

11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ;
angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 335 del 7 gennaio 2002