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La nonviolenza e' in cammino. 316
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 316
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 17 Dec 2001 22:14:31 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 316 del 17 dicembre 2001 Sommario di questo numero: 1. Giobbe Santabarbara, il genocidio in corso 2. Umberto Santino, modello mafioso e globalizzazione (parte terza e conclusiva) 3. Convenzione permanente di donne contro la guerra, campagna per un'Europa di pace 4. Severino Vardacampi, alcune note per un incontro sull'immigrazione e il razzismo in Italia 5. Laura Boella, l'amicizia 6. Agnes Heller, perche' non dobbiamo tentare? 7. Dorothee Soelle, nessuno 8. Domenico Manaresi, nell'anniversario della scomparsa di Giuseppe Dossetti 9. Luigi Bettazzi, ricordo di Giuseppe Dossetti 10. La Fondazione internazionale Lelio Basso per il diritto e la liberazione dei popoli 11. Peppe Sini, piccoli sillogismi senza importanza 12. Salvare la vita di Safya 13. Liberta' per Leyla Zana 14. Riletture: Enza Biagini, Introduzione a Beccaria 15. Riletture: Juliet Mitchell, Psicoanalisi e femminismo 16. Riletture: Giovanna Pezzuoli, Prigioniera in Utopia 17. La "Carta" del Movimento Nonviolento 18. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. GIOBBE SANTABARBARA: IL GENOCIDIO IN CORSO Provo a dire, semplificando all'estremo, cosa penso dei piani del governo presieduto da Ariel Sharon e dell'organizzazione terrorista di Hamas. E cosa penso che occorra fare. Mi pare che entrambi, il governo attuale di Israele e l'organizzazione terroristica islamista palestinese, perseguano un medesimo disegno: il genocidio. Sharon la distruzione del popolo palestinese dei territori e delle sue rappresentanze istituzionali, e l'annessione definitiva allo Stato di Israele dei territori occupati nel '67. Hamas la distruzione della popolazione israeliana di origine ebraica, e la cancellazione dello Stato di Israele. Due progetti genocidi, anzi lo stesso progetto genocida semplicemente speculare. E mi sembra che l'umanita' intera debba opporsi a tutto cio', ed impegnarsi affinche' sia riconosciuto il diritto all'esistenza e alla convivenza di due popoli; il diritto all'esistenza di due stati che siano entrambi democratici e non razzisti; il diritto di tutti gli esseri umani a vivere e ad essere riconosciuti nella propria dignita'. * Se la cosiddetta comunita' internazionale, e per essere chiari e precisi: se l'Onu non e' capace di intervenire ed impedire il doppio tentativo di genocidio in corso, a cosa serve l'Onu, cosa resta degli impegni solennemente giurati alla fine della seconda guerra mondiale? E se il governo degli Stati Uniti d'America pone il veto all'invio da parte dell'Onu di forze internazionali di osservazione e di garanzia per salvare la vita di tutte le vittime, non e' questa una effettuale complicita' con il doppio tentativo di genocidio in corso? * Ma prima delle responsabilita' degli altri vengono le nostre: se la cosiddetta societa' civile mondiale, il popolo della pace e della solidarieta', della nonviolenza e dei diritti umani per tutti gli esseri umani, non e' capace, non siamo capaci, di mandare subito, adesso, in Israele e in Palestina centinaia di migliaia, anzi milioni di persone pacifiche, disarmate, amiche della nonviolenza, per opporsi a tutti gli assassini, per difendere tutte le vite, per interporre la propria concreta presenza di donne e uomini di pace e impedire materialmente le uccisioni, per strappare le armi di mano a tutti gli armati e tutte distruggerle, come si puo' pretendere di continuare a levare la voce, a puntare l'indice? Se non siamo capaci di intervenire praticamente, operativamente, sul terreno, con la forza e la limpidezza della nonviolenza (che o e' in cammino, o non e'; o irrompe nel conflitto, o e' favola e nulla; o contrasta la violenza laddove essa si dispiega piu' deflagrante e divorante, o semplicemente non esiste; e allora meglio sarebbe smetterla di riempircene la bocca), ebbene, non si puo' pretendere di continuare a lanciar proclami ed appelli senza sembrare ad un tempo ridicoli e offensivi, senza che la nostra sedicente ed altisonante solidarieta' appaia, giusta quell'amarissima parola del dottor Ernesto Guevara de La Serna, analoga all'applauso che dalle gradinate del colosseo veniva - ignobile e crudele e beffardo - rivolto a quanti nel centro dell'arena erano mandati a uccidere e morire. 2. MATERIALI DI STUDIO. UMBERTO SANTINO: MODELLO MAFIOSO E GLOBALIZZAZIONE (PARTE TERZA E CONCLUSIVA) [Umberto Santino, fondatore e presidente del "Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato" di Palermo e' il piu' grande studioso del fenomeno mafioso e fondamentale figura di riferimento del movimento antimafia. Il testo seguente (di cui oggi proponiamo la terza ed ultima parte, le precedenti abbiamo pubblicato nei giorni scorsi) e' basato sulla sua relazione al seminario internazionale "I crimini della globalizzazione" svoltosi a Palermo dal 13 al 15 dicembre 2000, in parallelo con la Conferenza delle Nazioni Unite sul crimine transnazionale; lo ringraziamo per avercelo messo a disposizione; puo' essere letto altresi', insieme a molti altri materiali, nell'eccellente sito del Centro Impastato, che invitiamo caldamente a visitare. Per contatti: Centro Siciliano di Documentazione "Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it] * Risposte alternative: dall'happening al progetto Contrariamente a quel che si leggeva sulla pagina dedicata a Palermo nel sito internet dell'Onu durante la conferenza sul crimine transnazionale del dicembre scorso (www.odccp.org./palermo), la lotta alla mafia in Sicilia non e' nata negli ultimi anni. La lettura del testo e' davvero illuminante (tra l'altro si riporta in esergo una frase di Giovanni Falcone con la data 2 dicembre 1992: anche i piu' disinformati sanno che Falcone e' stato ucciso il 23 maggio dello stesso anno) e, assieme alle affermazioni che ci e' toccato di ascoltare durante la conferenza, secondo cui la mafia ormai e' alle corde e la Convenzione sarebbe il cappio al collo di un morente, ci da' un'idea del clima culturale in cui si sono svolti i lavori. Non ci vuol molto a capire che la mafia siciliana, pur avendo ricevuto dei colpi, in reazione alla escalation di violenza degli anni '80 e '90, non e' a pezzi, ma bisogna operare uno sforzo di memoria decisamente controcorrente per recuperare una storia che si e' fatto di tutto per dimenticare, seppellendola sotto palate di ignoranza e di stereotipi. La lotta contro la mafia in Sicilia ha avuto le caratteristiche di un grande movimento di massa finche' e' stata l'aspetto specifico della lotta di classe e del conflitto sociale: centinaia di migliaia di contadini hanno dato vita a una lotta lunga e durissima per il miglioramento delle condizioni di vita e per il diritto di cittadinanza democratica che per la reazione violenta della mafia e delle classi conservatrici, con la copertura delle istituzioni, ha assunto i caratteri di una vera e propria guerra di liberazione (Santino 2000c). Alla sconfitta di queste lotte ha fatto seguito un imponente flusso migratorio che ha dissanguato la Sicilia inchiodandola alla sudditanza verso classi dominanti che hanno gestito il potere secondo un modello mafioso-clientelare. Negli ultimi decenni, in risposta all'esplosione della violenza mafiosa, settori delle istituzioni e della societa' civile si sono attivati ma tanto la reazione istituzionale che la mobilitazione della societa' civile hanno avuto il limite dell'emergenzialismo e quando sono finiti i grandi delitti e le stragi c'e' stato un ritorno indietro. Negli ultimi anni si e' registrata l'attenuazione della legislazione d'emergenza e l'affermazione di forze politiche che hanno tra le loro fila personaggi inquisiti o sotto processo, candidati alle elezioni ed eletti con gran numero di voti, ha tutto il sapore di una rivincita. Attualmente siamo nel pieno di una stagione in cui la mafia viene data per vinta, i nemici sembrano essere i magistrati che hanno cercato di portare nelle aule giudiziarie i politici incriminati per i loro rapporti con i mafiosi, e l'illegalita' e l'impunita' vengono sventolate come bandiere di trionfo. Se vogliamo invertire la tendenza abbiamo bisogno di un quadro d'analisi adeguato e soprattutto di superare i limiti del'antimafia cosi' come si e' sviluppata negli ultimi anni. Piu' volte abbiamo detto che bisogna passare dall'emozione al progetto, dalla testimonianza al coinvolgimento di ampi strati della popolazione, coniugare valori e interessi ecc. ecc. Ma tradurre tutto questo in programma concreto e credibile non e' facile, soprattutto ora che le emozioni sono sfiorite e la memoria di fatti tragici si allontana. Spesso si dice che bisogna imparare a pensare globalmente e ad agire localmente, ma forse sarebbe piu' corretto dire che globale e locale debbono andare di pari passo, sul piano dell'analisi e su quello dell'operativita'. E questa e' l'indicazione piu' significativa del movimento che e' comparso sulla scena a Seattle e si e' dato un progetto di sviluppo autonomo a Porto Alegre. Un movimento antimafia oggi deve porsi dentro una prospettiva transnazionale e fare parte organicamente di un progetto di alternativa globale. I crimini della globalizzazione, nel senso che abbiamo cercato di delineare, debbono figurare a pieno titolo nell'agenda del movimento contro la globalizzazione capitalistica. Riprendendo i punti essenziali del paradigma della complessita', possiamo indicare, a grandi linee, i terreni su cui si dovrebbe sviluppare il nostro lavoro. Mafie e crimine transnazionale sono figli legittimi del contesto mondiale ma questo non significa che dobbiamo attendere la palingenesi universale. La dimensione penalistica e' ineliminabile e bisognera' attrezzare convenientemente la legislazione e gli apparati repressivi, ma bisogna sapere che questo non basta se non si affrontano i problemi di fondo che stanno alla base della riproduzione del crimine e della sua simbiosi con il quadro sociale. Per quanto riguarda l'accumulazione, non si puo' agire solo sui patrimoni gia' formati, con la confisca dei beni, e sul riciclaggio, con l'abolizione del segreto bancario e dei paradisi fiscali e con il controllo sui processi di finanziarizzazione, ma pure sulle fonti, dal proibizionismo delle droghe all'immigrazione, dal lavoro nero alla prostituzione, dallo smaltimento dei rifiuti alle opere pubbliche. I rapporti tra mafie e politica sono stati e rimangono la chiave di volta della legittimazione dei gruppi criminali e si pone il problema di andare in controtendenza rispetto ai processi in atto di concentrazione dei poteri: occorre piu' democrazia non meno democrazia, e la partecipazione democratica deve svilupparsi attraverso forme diffuse di protagonismo e di controllo. Sul piano culturale, l'etica della globalizzazione (la competitivita', il successo ad ogni costo) e' quanto di piu' ospitale ci possa essere per la cultura mafiosa, e le attivita' di "educazione alla legalita'" troppo spesso somigliano a un appello al rispetto di regole quotidianamente calpestate e a un impegno unanimistico che pialla le responsabilita' e cade nel vuoto. Ci occorre invece un'etica della radicalita' e del conflitto, della coerenza tra dichiarazioni e comportamenti. Il consenso ha una consistente base materiale e se vogliamo suscitare movimenti di massa, riprendendo una linea che fu del movimento contadino, bisognera' operare su questa base, sviluppando l'economia legale e la partecipazione dal basso. Solo cosi' si potranno strappare gli strati popolari all'egemonia mafiosa. Bisognera' insomma agire su tutti quei terreni che rendono una societa' mafiogena, sviluppando un'azione integrata che miri soprattutto alla prevenzione. Come si vede si tratta di problemi di fondo ma non partiamo da zero: negli ultimi anni abbiamo accumulato un patrimonio di analisi e di esperienze che ci consente di muovere passi significativi su questo cammino. La "globalizzazione dal basso" ha cominciato a prendere corpo non solo nelle manifestazioni di protesta ma soprattutto attraverso un faticoso lavoro quotidiano a cui ciascuno di noi e' chiamato a dare il suo contributo. E il contributo dalla Sicilia rechera' il segno di un impegno che si e' sviluppato nel tempo, con un alto costo di sangue. Memoria e progetto sono le gambe su cui cammina un movimento che non si limiti a inseguire le scadenze degli altri e voglia andare oltre i riti e gli stereotipi. * Note 1. Qualcuno ha proposto l'uso di termini diversi per distinguere i processi in corso e le rappresentazioni che di essi si danno. Per esempio, il sociologo tedesco Ulrich Beck distingue globalizzazione da globalita e da globalismo, intendendo per globalizzazione un processo in seguito al quale gli Stati nazionali e la loro sovranita' vengono condizionati e connessi trasversalmente da attori transnazionali, dalle loro chance di potere, dai loro orientamenti, identita', reti; globalita' invece significa: che viviamo da tempo in una societa' mondiale; nessun paese, nessun gruppo si puo' isolare dall'altro; mentre il termine globalismo indica il punto di vista secondo cui il mercato mondiale rimuove o sostituisce l'azione politica, vale a dire l'ideologia del mercato mondiale, l'ideologia del neoliberismo (Beck 1999, pp. 22 sgg.). 2. Esemplare la vicenda dei farmaci per l'Aids in Sudafrica: solo la mobilitazione delle autorita' e della popolazione di quel paese e' riuscita a piegare la volonta' delle case produttrici che mantenevano alti i prezzi, infischiandosene delle condizioni di poverta' degli ammalati. Non meno significative le valutazioni delle multinazionali del tabacco sui morti per tabagismo: la mortalita' comporta un risparmio notevole delle spese sanitarie e sociali, quindi bisogna lasciare alle case produttrici la liberta' di intossicare e di uccidere. Ragionamento che da un punto di vista meramente economico non fa una grinza. 3. Agli strumenti utilizzati in passato (fondi comuni d'investimento, titoli atipici, societa' fiduciarie ecc.) si sono aggiunti nuovi strumenti: swaps (accordi con cui le parti si impegnano a scambiarsi flussi di pagamento in un determinato periodo di tempo), futures (contratti a termine con cui le parti si impegnano a vendere o ad acquistare beni, titoli o valute a una data prefissata), derivati (contratto o titoli il cui valore e' legato al valore di altri titoli o merci), opzioni (diritti di comprare o vendere qualcosa a un prezzo determinato, o di dare inizio o porre fine ad un accordo finanziario a data determinata), hedge funds (un tipo di fondo comune d'investimento che opera in maniera spregiudicata con capitali di investitori privati). * Riferimenti bibliografici - Altvater Elmar, L'Europa nella bolla, in "la rivista del manifesto", n. 9, settembre 2000, pp. 23-28. - Amin Samir, L'Empire du chaos. La nouvelle mondialisation capitaliste, Editions l'Harmattan, Paris 1991; Il capitalismo nell'era della globalizzazione. La gestione della societa' contemporanea, Asterios Editore, Trieste 1997; Mondializzazione, crisi e transizione, in AA.VV., Globalizzazione e transizione, Edizioni Punto rosso, Milano 1998, pp. 7-16. - Amoroso Bruno, Della globalizzazione, in Vaccaro Salvo (a cura di), Il pianeta unico. Processi di globalizzazione, Eleuthera, Milano 1999, pp. 37-57. - Arrighi Giovanni, Il lungo XX secolo. Denaro, potere e le origini del nostro tempo, il Saggiatore, Milano 1996. - Bauman Zygmunt, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2000. - Beck Ulrich, Che cos'e' la globalizzazione, Rischi e prospettive della societa' planetaria, Carocci, Roma 1999. - Bourdieu Pierre, Contro la politica dell'antipolitica, in "la rivista del manifesto", n. 16, aprile 2001, pp. 45-49. - Brecher Jeremy - Costello Tim, Contro il capitale globale. Strategie di resistenza, Feltrinelli, Milano 1996. - Chossudovsky Michel, La globalizzazione della poverta'. L'impatto delle riforme del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1998. - Gallino Luciano, Globalizzazione e disuguaglianze, Laterza, Roma-Bari 2000. - Isenburg Teresa, Legale/illegale. Una geografia, Edizioni Punto rosso, Milano 2000. - Marx Karl, Il Capitale, Libro I, Editori Riuniti, Roma 1964. - Masciandaro Donato - Pansa Alessandro, La farina del diavolo. Criminalita', imprese e banche in Italia, Baldini & Castoldi, Milano 2000. - Melossi Dario, Immigrazione, pluralismo culturale e sicurezza; una ricerca in Emilia-Romagna, in "Dei delitti e delle pene", n. 3, 1999, pp. 37-75. - Merton Robert K., Teoria e struttura sociale, il Mulino, Bologna 1974. - Millman Gregory J., Finanza barbara. Il nuovo mercato mondiale dei capitali, Garzanti, Milano 1996. - Pianta Mario, Globalizzazione dal basso. Economia mondiale e movimenti sociali, il manifestolibri, Roma 2001. - "Quaderni speciali di Limes", Gli Stati mafia, maggio 2000. - Ruggiero Vincenzo, Crimine organizzato: una proposta di aggiornamento delle definizioni, in "Dei delitti e delle pene", n. 3, 1992, pp. 7-30. - Santino Umberto, La mafia come soggetto politico, Centro Impastato, Palermo 1994; La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995; Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in terra di mafie, Centro Impastato, Palermo 1998; Crimine transnazionale e capitalismo globale, in Vaccaro Salvo (a cura di), Il pianeta unico, cit., 1999, pp.163-183; La cosa e il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000a; Dalla mafia al crimine transnazionale, in "Nuove Effemeridi", anno XIII, n. 50, 2000b, pp. 92-101; Storia del movimento antimafia. Dalla lotta di classe all'impegno civile, Editori Riuniti, Roma 2000c. - Santino Umberto - La Fiura Giovanni, L'impresa mafiosa. Dall'Italia agli Stati Uniti, F. Angeli, Milano 1990; Dietro la droga, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993. - Strange Susan, Denaro impazzito. I mercati finanziari: presente e futuro, Edizioni di Comunita', Torino 1999. - Undp (United Nations Development Programme), Rapporto 1999 su lo sviluppo umano. La globalizzazione, Rosemberg & Sellier, Torino 1999. - Wallerstein Immanuel, 1978, Il sistema mondiale dell'economia moderna, il Mulino, Bologna 1978. - Weber Max, Economia e societa', vol. II, Edizioni di Comunita', Milano 1980. 3. DOCUMENTI. CONVENZIONE PERMANENTE DI DONNE CONTRO LA GUERRA: CAMPAGNA PER UN'EUROPA DI PACE [Dall'utilissimo sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riportiamo questo documento approvato dalla terza assemblea nazionale della Convenzione permanente di donne contro le guerre, tenutasi a Lodi il 18 novembre] La Convenzione permanente di donne contro le guerre, nel corso della sua terza assemblea nazionale, ha deliberato il lancio di questa campagna politica per la pace. La meta che si vuole raggiungere con molte differenziate iniziative e con motivazioni molteplici e' la seguente: che l'Europa si costituisca come continente neutrale o non allineato e collocato fuori da qualsiasi alleanza militare; che questo, il rispetto dei diritti umani sociali e politici, la parita' di diritti tra uomini e donne, tra nativi/e e immigrati/e, siano le condizioni per entrare in Europa allargandone i confini politici alla sua piena espressione geografica, e non i parametri di Maastricht. Le argomentazioni che vengono avanzate a sostegno della proposta sopra citata sono: una storica, una politica, una di attualita'. Quella storica parte dalla considerazione che lo spazio geopolitico chiamato Europa e' stato nel corso dei secoli di gran lunga il piu' aggressivo espansivo e militarista dell'intero pianeta e che non si puo' iniziare una storia dell'Europa politica oggi senza fare i conti con quel passato per giudicarlo criticamente e prendere le distanze. Non si tratta cioe' soltanto di rendere tecnicamente impossibile la guerra tra gli ex stati nazionali che via via entrano nelle istituzioni europee, ma anche di far agire internazionalmente tale vincolo. Percio' l'Europa deve costituirsi come continente neutrale e dare il via a una nuova storia, nel corso della quale potra' fare da riferimento e giocare il suo ricco patrimonio di istituzioni politiche culturali giuridiche a vantaggio proprio e di altri popoli. Quella politica parte dalla considerazione che la questione militare per l'enormita' delle risorse che brucia si presenta oggi in Europa come pericolosa per la sopravvivenza e ristabilimento delle forme di stato sociale che furono una delle caratteristiche migliori della storia del continente, oggi di fatto distrutte a vantaggio di forme di sicurezza sociale o di stato assistenziale tipiche delle tradizioni statunitensi che si dimostrano incapaci di vincere la poverta' e l'emarginazione e intervengono solo sintomaticamente sulle ingiustizie sociali in quanto pericolose per la sicurezza. In piu' le donne hanno un vantaggio diretto dalla ricostituzione dello stato sociale, che offre loro occupazione prediletta e servizi che ne accompagnano la liberta' dall'obbligo di erogarli gratuitamente e senza adeguata preparazione professionale a domicilio, con grande fatica, esclusione di fatto dalla partecipazione sociale politica ed economica e sfruttamento di donne migrate da altri paesi. Quella attuale parte dalla considerazione che la guerra in Afghanistan ha messo a nudo le contraddizioni che si aprono sulla politica militare in Europa oggi: il primo tentativo fu quello di rilanciare la Nato e invocare l'art. 5 del trattato per coinvolgere tutti gli stati firmatari e avere percio' una qualche parte nella direzione della guerra: tale tentativo fu ben presto surclassato dalla soverchiante potenza Usa che si e' posta come diretta gestrice della guerra, chiedendo a tutti gli altri stati di costituirsi in alleanza al suo fianco, per prima la Gran Bretagna, poi Francia e Germania, da ultima l'Italia, ma soprattutto Pakistan, stati arabi o islamici, Cina, Russia con uno stravolgimento di fatto delle relazioni internazionali fondate ormai sulla reciproca "tolleranza" della violazione dei diritti (liberta' di violarli alla Cina e apertura del suo immenso mercato al Wto, liberta' alla Russia di fare quel che vuole della Cecenia e quasi permesso a Bush di preparare lo scudo spaziale; la Turchia puo' massacrare a volonta'); di fronte a questi fatti, tutti in violazione - sara' sempre bene ripeterlo - della Costituzione italiana che rifiuta la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali e della Carta delle Nazioni Unite che definisce la guerra, dopo l'atomica, sempre "un crimine", alcuni in Europa cercano di rilanciare la Nato, altri si collocano come stati nazionali direttamente in contatto con gli Usa, e di fatto distruggono quel poco di Europa che e' stato costituito, altri (Solana) lanciano l'Armata europea, cioe' un esercito proprio. La Convenzione rifiuta la guerra e intende allontanarla dalla storia futura e dispiegare invece - in funzione preventiva - politiche di pace e di azione nonviolenta, di diplomazia popolare e di riforma delle Nazioni Unite. Propone dunque di mettere a contrasto con i citati contraddittori orientamenti - tutti comunque tendenti a considerare l'uso della guerra pienamente legittimo, anzi permanente, anzi unico o principale sostegno dell'economia drogata del modello di sviluppo neocapitalistico, senza alcuna considerazione dei processi di impoverimento vertiginoso che con cio' fanno ricadere sulle popolazioni e su interi paesi del sud del mondo - una campagna per la costruzione di un'Europa neutrale o non allineata. Tale campagna si rivolge alla popolazione, alle associazioni di donne, alle varie forme del pacifismo politico organizzato, a comuni denuclearizzati o pacifisti, a strutture religiose e laiche di difesa della democrazia e dei diritti umani, insomma a un vasto popolo della pace deciso a non subire passivamente i disagi che continuano a conseguire dalla rilegittimazione della guerra dal 1991 (guerra del Golfo) in qua; particolare attenzione informativa e' rivolta alle scuole cui la Convenzione puo' far giungere a richiesta documentazione o indirizzi o bibliografie adeguate. La Convenzione chiede un accordo, da trattare per comuni azioni, con i e le parlamentari che in varia forma hanno espresso il loro dissenso verso la gue rra e la partecipazione del nostro paese ad essa; cosi' pure con le cattedre o i dipartimenti universitari che hanno come ambito la politica dalla pace o la formazione di una cultura dell'azione nonviolenta o la preparazione di una difesa popolare nonviolenta. La fase iniziale sara' di conoscenza diffusa, raccolta di adesioni o aggiunte o critiche o rifiuti. Seguiranno altri appuntamenti e decisioni. 4. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI. ALCUNE NOTE PER UN INCONTRO SULL'IMMIGRAZIONE E IL RAZZISMO IN ITALIA [Quelle che seguono sono le note scritte come "scaletta" per un intervento a un incontro pubblico dello scorso novembre sull'immigrazione e contro il razzismo. Severino Vardacampi e' un collaboratore del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo] * un momento tragico e disvelatore (apocalissi e kairos): - il terrorismo e la guerra; - l'eversione dall'alto; - le implicazioni razzistiche e le razzistiche scaturigini di tutto cio'; - i diritti umani calpestati nel mondo, dai poteri oppressivi, dalle violenze dispiegate e dalla violenza strutturale. * Un diritto fondamentale e la sua protezione giuridica: - il diritto di tutti gli esseri umani a spostarsi sul pianeta, massime per salvare la propria vita; - l'art. 10 della Costituzione della Repubblica Italiana. * Quando la legislazione e' iniqua e disumana: - un esempio nel disegno di legge governativo del 12 ottobre: gli uomini considerati come animali domestici, la logica schiavista degli attuali legislatori razzisti; - gia' la legge 40/98 aveva profonde iniquita'; - i campi di concentramento come rigurgito nazista incistatosi nell'ordinamento italiano attuale; - il respingimento come pratica potenzialmente omicida; - il carattere fondamentalmente criminogeno del provvedimento amministrativo di espulsione, effettuale sostegno ai poteri criminali. * Alcune cose necessarie: - riconoscimento ed inveramento del diritto di asilo; - riconoscimento ed inveramento del diritto degli esseri umani di spostarsi sul pianeta (oggi gli uomini sono considerati al di sotto delle merci); - respingere intransigentemente la logica del ddl governativo del 12 ottobre; - modificare la legge 40/98 nei suoi lati ripugnanti alla coscienza civile, ed invece valorizzarne ed inverarne le parti positive che pure vi sono; - realizzare una cooperazione internazionale ispirata a criteri di solidarieta' e giustizia. * Alcuni problemi ineludibili: - la "capacita' di carico" del nostro paese ed una politica della comunita' internazionale; - cancellare il debito dei paesi rapinati e impoveriti, ed intervenire in solidarieta' con i popoli e non con i regmi corrotti. * Alcune cose pratiche e urgenti da fare sul piano normativo ed amministrativo, politico e sociale: - lotta contro la schiavitu' in Italia (cfr. la campagna promossa alcuni anni fa del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo); - un diverso rapporto nord/sud (sono varie le iniziative in corso, ma non basta l'azione dei movimenti, occorrono impegni istituzionali, atti politici, codificati legislativamente); - assistenza alle vittime e lotta contro i poteri criminali (e abolizione delle norme vigenti dimostratamente criminogene); - trasferimento delle competenze in materia di immigrazione dalle Questure ai Comuni; - diritto di voto amministrativo per tutti gli stranieri residenti. * Tre cose ulteriori sul piano legislativo, politico e amministrativo: - un provvedimento di amnistia per tutti i detenuti stranieri che non abbiano commesso reati di violenza su persone; - riprendere la riflessione sulla proposta di contrastare la clandestinizzazione coatta (e il conseguente enorme arricchimento e rafrorzamento dei poteri criminali e dell'economia illegale) attraverso un piano nazionale garantito e gestito dai pubblici poteri che permetta a tutti i richiedenti un ingresso nel nostro paese legale, gratuito e assistito; - denuncia e rinegoziazione degli accordi di Schengen. * Sul piano culturale: - contrastare il razzismo con la conoscenza e l'incontro; - partire dalla base dell'affermazione dei diritti umani per tutti gli esseri umani; - far cessare la rapina neocoloniale e la devastazione della biosfera; - una cultura che promuova legalita' e socialita'; - garanzia di servizi pubblici, finanziati attraverso la fiscalita' generale, per soddisfare i bisogni vitali di ogni persona che si trovi nel territorio italiano; - affrontare i conflitti con la nonviolenza. 5. MAESTRE. LAURA BOELLA: L'AMICIZIA [Da Laura Boella, Le imperdonabili, Tre Lune, Mantova 2000, p. 18] L'amicizia e' il ponte che non diventa casa. 6. MAESTRE. AGNES HELLER: PERCHE' NON DOBBIAMO TENTARE? [Da Agnes Heller, Teoria della storia, Editori Riuniti, Roma 1982, p. 339] Possiamo vivere una vita onesta, perche' non dobbiamo tentare? 7. MAESTRE. DOROTHEE SOELLE: NESSUNO [Da Ernesto Cardenal, Dorothee Soelle, Oracion por Marilyn Monroe, Editorial Nueva Nicaragua - Ediciones Monimbo', Managua 1985, p. 64. Dorothee Soelle e' un'illustre teologa] Nessuno ha il diritto di manipolare il nostro amore per Dio e il nostro amore per il prossimo. 8. MEMORIA. DOMENICO MANARESI: NELL'ANNIVERSARIO DELLA SCOMPARSA DI GIUSEPPE DOSSETTI [Da Domenico Manaresi, amico della nonviolenza, riceviamo e diffondiamo questo suo testo e quello seguente di monsignor Bettazzi. Per contatti: bon4084 at iperbole.bologna.it] Oggi, 15 dicembre, ricorre il quinto anniversario della morte di don Giuseppe Dossetti. Ebbi il privilegio di conoscerlo di persona, di averne avuto spesso consigli paterni e affettuosi. Lo ricordo oggi con grande simpatia come "maestro" sia in campo politico che ecclesiale. Da "il risveglio popolare" (settimanale della diocesi di Ivrea) in data 19 dicembre 1996 (di cui ho conservato la pagina) trascrivo le parole di mons. Luigi Bettazzi, allora vescovo di Ivrea. Mi sembrano parole molto belle e vere: le condivido e penso sia cosa buona e non inutile farne partecipi i tanti amici. 9. MAESTRI. LUIGI BETTAZZI: RICORDO DI GIUSEPPE DOSSETTI [Luigi Bettazzi e' una delle figure piu' luminose della cultura della pace. Questo suo ricordo di Giuseppe Dossetti scritto nel 1996 all'indomani della sua scomparsa ci e' stato trasmesso da Domenico Manaresi, che ringraziamo di cuore] E' morto don Giuseppe Dossetti. Era ammalato da tempo, ma sempre lucido. Ed ora era piu' difficile incontrarlo per la precarieta' della sua salute. Ero riuscito a salutarlo per pochi minuti dopo Pasqua, non ci ero riuscito quand'ero salito a Monte Sole con i nostri chierici. Si era tornato a parlare di lui in questi ultimi anni perche' s'era trovato promotore di Comitati in difesa della Costituzione, nei tempi in cui c'era chi sembrava volerla cambiare a tutti i costi. E faceva tanto piu' meraviglia perche' Dossetti, che aveva lasciato una brillante carriera politica (era stato membro della Costituente e vicesegretario nazionale della Dc di De Gasperi) per fondare un Istituito monastico e farsi sacerdote, ora usciva improvvisamente dal chiostro per un impegno cosi' specificatamente "terreno". Ma era stato protagonista dell'incontro e della collaborazione delle tre culture (cattolica, liberale, socialcomunista) per una Costituzione cosi' equilibrata (e percio' cosi invidiata nel mondo), e temeva che essa potesse venire rimaneggiata con intenti meno solidali, favorevoli ai settori gia' piu' affermati o privilegiati. Un altro impegno forte era stato quello di appoggiare il papa nell'appello alla pace della vigilia della guerra del Golfo; e l'avevo incontrato allora nella residenza dei suoi monaci in Giordania, alle falde del Monte Nebo. Quando aveva lasciato la politica - per divergenze con De Gasperi, ritenuto forse troppo moderato o troppo dipendente dall'America - era venuto a Bologna (lui proveniva da Reggio Emilia e insegnava diritto ecclesiastico all'Universita' Cattolica di Milano) dove aveva fondato un Centro di documentazione religiosa ed un Istituto per preparare culturalmente i cristiani che volessero dedicarsi alla politica. Il cardinal Lercaro l'aveva poi obbligato a presentarsi come candidato a sindaco di Bologna: non aveva vinto, ma le giunte socialcomuniste per molti anni avevano applicato le intuizioni del "Libro bianco" preparato da lui e dai suoi collaboratori (tra cui il prof. Ardigo'), a cominciare dalla divisione della citta' in quartieri. Poi si era ritirato con la Piccola Famiglia dell'Annunziata da lui fondata (alcune religiose e due o tre religiosi), prima presso il santuario di S. Luca, in seguito nell'Abbazia di Monteveglio, a una ventina di chilometri dalla citta'. Era stato ordinato sacerdote dal cardinal Lercaro che lo volle suo "esperto" al Concilio Vaticano II, e fu di aiuto determinante non solo nella preparazione dei discorsi, ma anche nell'arte di muoversi tra le schermaglie dei regolamenti conciliari, spesso utilizzati per soffocare sul nascere le aperture piu' nuove prospettate da alcuni episcopati o da singoli vescovi. Nel pomeriggio, insieme a Raniero La Valle, riassumevano l'andamento della mattinata, pubblicando poi su "L'Avvenire d'Italia", stampato allora a Bologna e diretto da La Valle, relazioni documentate e stimolanti che facevano conoscere al mondo esterno (ma spesso... anche a noi vescovi) quanto era avvenuto nell'Aula Conciliare. Erano significativi i Santi protettori dell'Istituto: accanto all'Annunziata, la Madonna del "si'" e dell'Incarnazione, S. Ignazio di Antiochia pioniere delle Chiese particolari, S. Benedetto fondatore della vita monastica, S. Francesco d'Assisi maestro di poverta' e di lettura della Bibbia "sine glossa" (cioe' senza commenti giuridici), S. Teresa del Bambin Gesu' maestra di "infanzia spirituale". Col cardinal Lercaro s'era dedicato soprattutto allo sviluppo della Chiesa particolare bolognese; e il cardinale lo apprezzava e lo amava per i suggerimenti preziosi e nello stesso tempo per un'obbedienza pronta e sincera. L'aveva fatto vicario generale dopo la mia partenza: pare anzi che avesse insistito con Paolo VI per averlo come successore sulla Cattedra di S. Petronio. Con il cardinal Poma aveva invece accentuato l'attenzione all'incontro tra le grandi religioni, con insediamenti e lunghe permanenze in Israele e in Giordania. Piu' di una volta aveva accettato di parlare ai nostri preti o ad un nostro pellegrinaggio. Quando la diocesi di Bologna aveva fatto memoria dei sacerdoti e della gente (bambini, donne, anziani) assassinati dai tedeschi nelle chiese e nei cimiteri di Monte Sole, la montagna sopra Marzabotto, don Dossetti aveva accettato di insediarsi con una comunita' maschile in una cascina ristrutturata e di prepararne una non lontana per una comunita' femminile, perche' vi fossero testimoni di fede e di preghiera dove s'era sparso tanto sangue innocente. Ed in quel cimitero dove erano state uccise e sepolte tante vittime della barbarie ha chiesto di riposare per sempre. La sua famiglia religiosa (una ventina di monaci, una sessantina di monache) si nutre di Parola di Dio (due ore di meditazione al giorno) e di preghiera, e vive nella poverta' e nella semplicita' mentre colloquia e studia nelle principali lingue antiche e moderne gli approfondimenti ed i commenti della Sacra Scrittura. Ne abbiamo avuto testimonianza, nella preparazione al nostro recente Sinodo, attraverso la parola del monaco don Umberto Neri. Quello che ho sempre ammirato in don Dossetti e' stata la sua dirittura di coscienza, la sua coerenza, mai piegata a smussature, quindi pronta sempre a sentirsi contestata o in minoranza, ma sempre fiduciosa nella forza della verita'. In minoranza nel partito, spesso anche nella Chiesa, la sua voce era pero' particolarmente autorevole, ed imponeva quanto meno riflessione e valutazioni serie. Il suo ricordo, il suo esempio, la sua amicizia ci aiutino. 10. ESPERIENZE: LA FONDAZIONE INTERNAZIONALE LELIO BASSO PER IL DIRITTO E LA LIBERAZIONE DEI POPOLI [Questa scheda di presentazione abbiamo estratto dal sito della Fondazione Basso, www.grisnet.it/filb] La Fondazione internazionale Lelio Basso per il diritto e la liberazione dei popoli nacque negli anni '70 a seguito dell'esperienza delle sessioni dei Tribunali Russell I e II, quando fu chiaro a Lelio Basso, relatore e membro della giuria, e ad altri studiosi di diverse nazionalita', che non bisognava limitarsi a verificare i fatti e il rigore delle testimonianze addotte, ma che era necessario un lavoro continuativo di natura storico-giuridica per risalire alle cause che producono i casi di violazione dei diritti umani, e per leggere in una nuova chiave i tentativi di liberazione dei popoli. La Fondazione, che si costitui' formalmente con la Dichiarazione universale dei diritti dei popoli ad Algeri il 4 luglio 1976, opera da allora sulla base di programmi di natura politico-culturale (ricerche, seminari, convegni, pubblicazioni...) studiando su un piano giuridico e storico, ma anche economico, sociale ed antropologico, le formulazioni giuridico-politiche che sostanziano il Diritto dei popoli: lo scopo e' quello di contribuire all'elaborazione dei principi che devono regolare un nuovo ordine di rapporti volti a favorire la pace, in quanto basati non piu' sull'egemonia, ma sull'interdipendenza. I temi che la Fondazione ha affrontato in questi ultimi anni sono connessi tra loro, e percorrono trasversalmente la crisi del mondo: democrazia e mercato, ambiente e modello di sviluppo, rapporto tra modelli di sviluppo e cultura dei popoli, minoranze e stato nazione; mentre il Sud del mondo resta il luogo privilegiato di ricerca, in quanto privo piu' di ogni altro di quei diritti fondamentali che ad ogni essere umano competono. Al fine di non limitare al solo studio teorico l'attivita' politica e di solidarieta', Lelio Basso nel 1976 istitui', insieme alla Fondazione, anche la Lega Internazionale per il diritto e la liberazione dei popoli (e-mail: lidlip at mclink.it), che avrebbe avuto il compito di sviluppare iniziative concrete a sostegno dei popoli in lotta per la loro emancipazione, organizzando la solidarieta' e sensibilizzando l'opinione pubblica. Oggi la Lega Internazionale e' un'Organizzazione Non Governativa accreditata presso il Consiglio Economico e Sociale dell'ONU e svolge un'intensa attivita' presso la Commissione dei Diritti Umani di Ginevra, attivita' di cui si avvalgono anche la Fondazione Internazionale Lelio Basso e il Tribunale Permanente dei Popoli. La sede e' in via della Dogana Vecchia 5, 00186 Roma; tel. 0668801468, 066833389, fax 066877774; e-mail: filb at iol.it, sito: www.grisnet.it/filb 11. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: PICCOLI SILLOGISMI SENZA IMPORTANZA Questo sa la nonviolenza: che anche il piu' immane oppressivo e totalitario dei regimi iniqui e dei poteri malvagi sempre si regge su due pilastri: sulla forza e sul consenso. E quindi dinanzi all'ingiustizia, alla violenza, al male, il nostro primo compito e' di negare il nostro consenso. Questo sa la nonviolenza: che la guerra e' sempre omicidio di massa; e che una scelta e' fondamentale per saldamente affermare il proprio diritto ad esistere e la civile convivenza: il ripudio dell'uccidere. E quindi se non ti impegni contro la guerra, di cosa mai stiamo parlando? Questo sa la nonviolenza: che occorre pensare profondamente i propri pensieri, poiche' il sonno della ragione, si sa, genera mostri; che occorre considerare attentamente le proprie parole, che possono essere lampade o aratri o spade o unguenti, e dipende da te; che occorre compiere solo quelle azioni che riducono la sofferenza, che contrastano la violenza, sia la violenza dispiegata in furia palese che quella cristallizzata in ingiustizia strutturale (che e' furia anch'essa, quantunque occultata). Questo sa la nonviolenza: che le armi servono per uccidere, che gli eserciti servono per uccidere; e che dunque occorre dir chiaro che e' necessario cessare di produrre ed usare le armi, che e' necessario abolire gli eserciti. La sa lunga, la signora nonviolenza; e proprio al tuo orecchio sussurra questa verita' piccina, e di gridarla poi dai tetti ti chiede: che ognuno e' responsabile di tutto. 12. APPELLI. SALVARE LA VITA DI SAFYA [Il seguente appello per salvare la vita di Safya e' stato diffuso dalla rete telematica pacifista Peacelink. Molti sono i soggetti sia istituzionali che della societa' civile inpegnati per salvare la vita della giovane donna. Che ognuno si impegni. Per informazioni e contatti segnaliamo il sito di Peacelink: www.peacelink.it; e due giornalisti (prestigiosi intellettuali e costruttori di pace) che molto si sono adoperati e si stanno adoperando: Farid Adly, e-mail: anbamed at katamail.com; ed Ettore Masina, e-mail: ettore.mas at libero.it] All'Ambasciata di Nigeria, via Orazio 18, 00193 Roma Safya Husseini Tungar-Tudu e' una ragazza nigeriana di trent'anni, senza marito. Ha avuto un bambino e dunque, per la legge fondamentalista islamica, fra meno di un mese sara' posta in una buca, seppellita sino al seno e poi lapidata a morte dalla gente del suo villaggio. Chiusa nella sua capanna, in questi giorni allatta il suo bambino. Lo potra' tenere al seno per qualche settimana, poi la trascineranno nella fossa e la massacreranno. Vogliamo che Safya viva e chiediamo che l'ambasciata di Nigeria in Italia interceda presso il presidente della repubblica nigeriana affinche' le conceda la grazia. 13. APPELLI. LIBERTA' PER LEYLA ZANA [Riproduciamo ancora una volta il seguente appello. Per contatti: sito multilingue "Freedom for Leyla Zana", www.ranchdeiviandanti.it/LeylaZana/home.html] L'8 dicembre 2001 sono ormai passati otto anni dal giorno della condanna a 15 anni di carcere, dopo che le pressioni internazionali avevano fatto rientrare la richiesta di pena di morte, di Leyla Zana. Prima donna kurda ad essere stata eletta deputato nell'Assemblea nazionale turca, madre di due figli e convinta pacifista, Leyla Zana ha avuto l'unica colpa di rivendicare "la convivenza pacifica di turchi e kurdi in un contesto democratico". E di averlo dichiarato in Parlamento, nel giorno del suo giuramento, parlando nella propria lingua, la lingua di almeno 15 milioni di kurdi con passaporto turco. Leyla Zana non e' certo l'unica kurda detenuta nelle carceri turche: con lei sette anni fa furono arrestati altri quattro deputati kurdi. Prima di lei e dopo di lei migliaia di uomini e donne del suo popolo e di turchi che ne appoggiavano le rivendicazioni sono stati arrestati, spesso torturati e uccisi. Questo accade anche oggi, nonostante l'effettiva rinuncia alla lotta armata -gia' dal 1999 - da parte del Partito dei lavoratori del Kurdistan e nonostante i primi passi compiuti con successo dalla Turchia per aderire all'Unione Europea. Leyla Zana e' diventata in patria e in tutto il mondo un simbolo importante. Nel 1966 il Parlamento Europeo le ha assegnato il premio Sacharov per la liberta' di pensiero, un riconoscimento che Leyla non ha potuto ritirare di persona. Il suo nome e' stato proposto per il Nobel per la Pace. Leyla Zana, pero', resta in carcere: non ha voluto accettare la proposta di "appellarsi contro la sentenza, per motivi di salute", fattale recentemente dal primo ministro turco Bulent Ecevit. Una proposta che Leyla ha definito "individuale e momentanea" perche' riguardava lei sola, mentre i detenuti curdi sono migliaia, e lasciava totalmente irrisolta la questione di fondo. E a Ecevit, Leyla Zana ha invece chiesto di "allineare la Turchia ai valori democratici universali in politica, in diritto e in economia, evitando altre scelte che la porterebbero a un caos senza fine"; di risolvere la "tragedia pluridecennale" dei curdi; e di "varare un'amnistia generale, abolendo la pena di morte". Esprimiamo a Leyla Zana e ai curdi della Turchia tutta la nostra solidarieta'. Chiediamo al primo ministro turco Bulent Ecevit, al presidente della Repubblica turca Alimet Necdet Sezer, al governo e al parlamento turchi di arrivare finalmente a una soluzione pacifica della questione curda e all'effettivo rispetto dei diritti umani in tutto il paese. Chiediamo al governo italiano di farsi promotore a livello europeo e a livello dei rapporti bilaterali con il governo di Ankara di un'azione che sostenga gli sforzi verso una maggior democrazia da parte della Turchia, impegnata tra l'altro nel processo di adesione all'Unione Europea. Hanno firmato l'appello: Marisa Abbondanzieri, Susanna Agnelli, Diana Vincenzi Amato, Tina Anselmi, Rosellina Archinto, Natalia Aspesi, Gae Aulenti, Silvia Balestra, Claudia Balottari, Anna Bandettini, Fulvia Bandoli, Giuliana Barbieri Rodini, Adria Bartolich, Bianca Beccalli, Angela Bianchini, Laura Boella, Marida Bolognesi, Ginevra Bompiani, Daria Bonfietti, Isabella Bossi Fedrigotti, Antonella Bruno Garneri, Anna Maria Bucciarelli, Maria Burani Procaccini, Maura Camoirano, Rossana Campo, Eva Cantarella, Pat Carra, Anna Cascella, Luciana Castellina, Franca Chiaromonte, Elena Ciapusci, Elena Cordoni, Maura Cossutta, Lella Costa, Carla Costamagna Martino, Titti De Simone, Tana De Zulueta, Maria Falcone, Ida Fare', Inge Feltrinelli, Anna Finocchiaro, Biancamaria Frabotta, Valeria Gandus, Nicoletta Gandus, Barbara Garlaschelli, Iole Garuti, Maddalena Gasparini, Fiorella Ghilardotti, Elena Gianini Belotti, Letizia Gilardelli, Giovanna Grignaffini, Margherita Hack, Annette Hanneman, Laura Horsch, Teresa Isenburg, Maria Luisa Jager, Gina Lagorio, Maria Lenti, Rita Levi Montalcini, Lella Longoni, Rosetta Loy, Sarah Ludford, Mara Malavenda, Claudia Mancina, Dacia Maraini, Bianca Mazzotta, Carla Mazzuca Poggiolini, Luisa Mazzotta, Alessandra Mecozzi, Mariangela Melato, Bruna Miorelli, Roberta Mondadori, Milly Moratti, Luisa Morgantini, Rosanna Moroni, Pasqualina Napoletano, Maria Celeste Nardini, Silvana Ottieri, Elena Paciotti, Laura Pennacchi, Gabriella Pistone, Renata Pisu, Irene Pivetti, Stefania Prestigiacomo, Anna Procacci, Franca Rame, Renate Ramge Eco, Elisabetta Rasy, Lella Ravasi, Tiziana Ricci, Carla Rocchi, Lalla Romano, Marina Rossanda, Rosa Russo Jervolino, Ersilia Salvato, Luciana Sbarbati, Laura Schrader, Fulvia Serra, Elsa Signorino, Vera Squarcialupi, Teresa Strada, Caterina Sylos Labini, Chiara Tamburini, Annamaria Testa, Livia Turco, Tiziana Valpiana, Silvia Vegetti Finzi, Adriana Vigneri, Adriana Zarri, Silvia Ziche (seguono altre 256 firme). 14. RILETTURE. ENZA BIAGINI: INTRODUZIONE A BECCARIA Enza Biagini, Introduzione a Beccaria, Laterza, Roma-Bari 1992, pp. 192, lire 18.000. Una bella introduzione alla figura, alla riflessione e all'opera del grande illuminista. 15. RILETTURE. JULIET MITCHELL: PSICOANALISI E FEMMINISMO Juliet Mitchell, Psicoanalisi e femminismo, Einaudi, Torino 1976, pp. 540. Un libro che metterebbe conto rileggere dopo tanti anni, tanti fatti, tante cose: che reca ancora contributi illuminanti. 16. RILETTURE. GIOVANNA PEZZUOLI: PRIGIONIERA IN UTOPIA Giovanna Pezzuoli, Prigioniera in Utopia, Il Formichiere, Milano 1978, pp. 204. Un ampio saggio introduttivo ed un'impressionante antologia che documenta "la condizione della donna nel pensiero degli utopisti". 17. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 18. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ; per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ; angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 316 del 17 dicembre 2001
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