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La nonviolenza e' in cammino. 319
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 319
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 22 Dec 2001 05:31:03 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 319 del 21 dicembre 2001 Sommario di questo numero: 1. La morte di un poeta 2. Enrique Dussel: modernita', globalizzazione ed esclusione (parte seconda) 3. Aldo Capitini, la porta da aprire 4. MIR di Padova: un piano d'azione per il decennio della nonviolenza e un modello di delibera da proporre ai consigli comunali 5. John Pilger, prede di guerra 6. Anna Achmatova, anche questo diverra' per la gente 7. Peppe Sini, alla fermata dell'autobus 8. Siti: "Femmis" 9. Letture: Stefano Allievi, La tentazione della guerra 10. Letture: Michele Gambino, Massimo Loche, Ali Rashid, Alberto Ventura, Orgogli e pregiudizi 11. Letture: Gore Vidal, La fine della liberta' 12. Riletture: Theodor Ebert, La difesa popolare nonviolenta 13. Riletture: Neera Fallaci, Vita del prete Lorenzo Milani 14. Riletture: Primo Mazzolari, Tu non uccidere 15. La "Carta" del Movimento Nonviolento 16. Per saperne di piu' 1. LUTTI. LA MORTE DI UN POETA Tante cose e' stato Leopold Sedar Senghor, ma innanzitutto un poeta. Un poeta che con la sua poesia ha recato doni grandi di liberta', d'amore, di dignita', all'umanita' intera. 2. RIFLESSIONE. ENRIQUE DUSSEL: MODERNITA', GLOBALIZZAZIONE ED ESCLUSIONE (PARTE SECONDA) [Enrique Dussel e' uno dei più importanti e lucidi pensatori contemporanei: un pensatore del sud del mondo, dove si pensano concretamente cose decisive per tutti; un pensatore del sud del mondo, quindi un militante antifascista in senso forte - globale, verrebbe da dire; un pensatore del sud del mondo, ed in particolare il pensatore che ha elaborato con maggior profondita' ed impegno la "filosofia della liberazione". Il testo seguente, che nuovamente proponiamo, e' quello della relazione tenuta a un convegno svoltosi a Citta' del Messico nel novembre 1995, ed e' apparso nel volume di autori vari, curato da Heinz Dieterich, su Globalización, exclusión y democracia en América Latina, Editorial Joaquín Mortiz, México 1997; la traduzione italiana e' apparsa presso La PiccolaEditrice di Celleno (VT) nel 1999 col titolo Globalizzazione, esclusione e democrazia in America Latina (e ci permettiamo di raccomandarne la lettura anche per altri saggi ed interventi che il volume contiene). Per contattare la Piccola Editrice: via Roma 5, 01022 Celleno (VT), tel. e fax 0761/912591. Enrique Dussel e' nato in Argentina nel 1934, ha studiato a Madrid, Parigi, Friburgo, Magonza. Dottore in filosofia e teologia, e' docente all'Universita' Nazionale Autonoma del Messico. Impegnato per i diritti umani e dei popoli, nel 1975 in Argentina e' sfuggito miracolosamente ad un attentato. Tra le opere di Enrique Dussel segnaliamo particolarmente Etica comunitaria, Cittadella, Assisi 1988; (a cura di), La Chiesa in America Latina, Cittadella, Assisi 1992; Storia della Chiesa in America Latina (1492-1992), Queriniana, Brescia 1992; Filosofia della liberazione, Queriniana, Brescia 1992; L'occultamento dell'«altro», La Piccola, Celleno 1993; Un Marx sconosciuto, Manifestolibri, Roma 1999] 2. La Modernità come gestione (management) della "centralità" mondiale e la sua crisi attuale Giungiamo così alla tesi centrale di questi due primi capitoli. Se la Modernità fosse, ed è questa la nostra ipotesi, il frutto della gestione (management) della "centralità" del primo sistema-mondo, dobbiamo allora riflettere su cosa questo significhi. Si deve prender coscienza che vi sono, all'origine, almeno due Modernità: a) in primo luogo la Modernità spagnola, umanista, rinascimentale, legata ancora all'antico sistema interregionale della cristianità mediterranea e musulmana (58). In essa verrà concepita la gestione (management) del nuovo sistema-mondo sulla base del paradigma dell'antico sistema interregionale. Vale a dire che la Spagna amministra (manage) la centralità come dominio attraverso l'egemonia di una cultura integrale, una lingua, una religione (di qui il processo di evangelizzazione che subirà l'Amerindia); come occupazione militare, organizzazione burocratico-politica, espropriazione economica, presenza demografica (con centinaia di migliaia di spagnoli o portoghesi che abiteranno per sempre l'America Latina), trasformazione ecologica (attraverso la modifica della fauna e della flora), etc. Si tratta del progetto dell'"Impero-mondo", di cui Wallerstein segnala che fallisce con Carlo V (59). b) In secondo luogo, la Modernità dell'Europa anglo-germanica, che inizia con l'Amsterdam delle Fiandre, e che è considerata frequentemente come l' unica Modernità (questa è l'interpretazione di Sombart, Weber, Habermas, o degli stessi postmoderni, il che produrrà un "errore riduzionista" che occulta il senso della Modernità, e perciò il significato della sua attuale crisi). Questa seconda Modernità, per poter gestire (to manage) l'enorme sistema-mondo che di colpo si apre alla piccola Olanda (60), che da colonia spagnola si trova adesso al centro del sistema-mondo, deve creare o incrementare la sua efficienza per semplificazione. E' necessario realizzare un'astrazione (favorendo il quantum a svantaggio della qualitas), che lasci fuori molte variabili valide (variabili culturali, antropologiche, etiche, politiche, religiose; aspetti che sono validi anche per l'europeo del XVI secolo), che non permetterebbero una adeguata, "fattibile" (61) o tecnicamente possibile gestione (management) del sistema-mondo (62). Questa semplificazione della complessità (63) comprende la totalità del "mondo della vita" (Lebenswelt), del rapporto con la natura (nuova posizione ecologica o tecnologica, non teleologica), dinanzi la propria soggettività (nuova autocomprensione della soggettività), dinanzi alla comunità (nuova relazione intersoggettiva e politica), e, in sintesi, un nuovo atteggiamento economico (pratico-produttivo). La prima Modernità spagnola, rinascimentale ed umanista, ha prodotto una riflessione teorica o filosofica della più grande importanza, che non è stata neppure percepita dalla "filosofia moderna" (che è la filosofia della sola "Seconda Modernità"). Il pensiero teorico filosofico del XVI secolo ha rilevanza attuale perché è il primo, e l'unico, che visse ed espresse l' esperienza originaria nel tempo della costituzione del primo sistema-mondo. Pertanto, sulla base delle "risorse" teoriche di cui si disponeva (la filosofia scolastica musulmano-cristiana e quella rinascimentale-umanistica) la questione etico-filosofica centrale fu la seguente: Che diritto ha l' europeo di occupare, dominare e amministrare (to manage) le culture recentemente scoperte, militarmente conquistate, e che stanno venendo colonizzate? Dal XVII secolo, la "Seconda Modernità" non mise mai in discussione la sua coscienza (Gewissen) con queste domande (cui peraltro si era già risposto de facto): da Amsterdam, Londra o Parigi (nei secoli XVII, XVIII ed in seguito) l'eurocentrismo (superideologia che fonderà la legittimità, valida senza "falsificazioni" possibili, della dominazione del sistema-mondo) non sarà ormai posto in questione mai più, fino alla fine del XX secolo -quando sarà messa in discussione, tra gli altri movimenti, anche da parte della Filosofia della Liberazione-. Abbiamo toccato la questione in un'altra opera (64). Qui ricorderemo solo l' assunto generale. Bartolomé de Las Casas mostra nelle sue numerose opere, usando una straordinaria strumentazione teorica e documentaria, fondando razionalmente ed accuratamente i suoi argomenti, che la costituzione del sistema-mondo come espansione europea in Amerindia (annuncio dell'espansione in Africa e in Asia) non ha alcun diritto; è una violenza ingiusta, e non può avere validità etica alcuna. "Due sistemi generali e principali hanno usato quelli che là sono passati, che si chiamano cristiani, per estirpare e far sparire dalla faccia della tera quelle miserande nazioni. Un sistema: attraverso ingiuste, crudeli, sanguinarie e tiranniche guerre. L'altro: dopo aver ucciso tutti quelli che avrebbero potuto anelare o sospirare o pensare alla libertà, o di uscire dai tormenti che pativano, come i signori del luogo e gli uomini valorosi (perché comunemente non lasciano in guerra che restino in vita se non le donne e i bambini), oprimendo i superstiti con la più dura ed aspra servitù in cui giammai né uomini né bestie poterono esser posti. La causa per cui i cristiani hanno ucciso e distrutto tante e tali e tanto infinito numero di anime, è consistita solamente nell'avere per fine ultimo l'oro, ed il riempirsi di ricchezza in pochi giorni, per l'insaziabile cupidigia e ambizione che hanno avuto" (65). Successivamente la filosofia non porrà più questa problematica, che si mostrò ineludibile solo all'origine dell'imposizione del sistema-mondo. Invece per l'Etica della Liberazione questa questione è oggi -e sempre- fondamentale. Nel XVI secolo, quindi, si stabilisce il sistema-mondo intorno a Siviglia, e la filosofia pone in questione, a partire dal precedente paradigma filosofico, la prassi della dominazione, ma non arriva a formulare un nuovo paradigma. Tuttavia, non si deve confondere l'origine del nuovo paradigma con l'origine della Modernità. La Modernità comincia più di un secolo prima (1492) del momento in cui si formula il paradigma -per esprimerci come Thomas Kuhn- adeguato alla sua propria nuova esperienza. Se osserviamo le date della formulazione del nuovo paradigma moderno, potremmo concludere che essa avviene nella prima metà del XVII secolo (66). Ebbene, questo nuovo paradigma si accorda alle esigenze di efficienza, "fattibilità" tecnologica o governativa della gestione (management) di un sistema-mondo enorme e in espansione, è l'espressione di un necessario processo di semplificazione, attraverso la "razionalizzazione", del mondo della vita, dei suoi sottosistemi (economico, politico, culturale, religioso, etc.). La "razionalizzazione" indicata da Werner Sombart (67),Ernst Troeltsch (68) o Max Weber (69) è effetto e non causa. D'altra parte gli effetti di questa razionalizzazione semplificatrice per rendere gestibile (manageable) il sistema-mondo, sono forse più profondi e negativi di quanto Habermas o i pstmoderni (70) immaginino. La soggettività corporea musulmano-medioevale è semplificata: la soggettività è postulata come un ego, un io, di cui Descartes scrive: "Cosicché questo io, cioè la mia anima, per cui sono quel che sono, è interamente distinta dal corpo ed è ancor più facile da conoscere che il corpo, dacché se non ci fosse corpo non cesserebbe di essere l'anima che è" (71). Il corpo è una mera macchina, res extensa del tutto estranea all'anima (72). Lo stesso Kant scrive: "L'anima umana dovrebbe essere considerata come legata nella vita presente a due mondi (zweien Welten) insieme: di questi mondi, finché forma con il corpo un'unità personale, non sente se non il mondo materiale (materielle); al contrario, come membro del mondo degli spiriti (als ein Glied der Geisterwelt) [senza corpo] riceve e propaga le pure influenze delle nature immateriali" (73). Questo dualismo -che Kant applicherà all'etica, in quanto le "massime" non devono avere motivi empirici o "patologici"-, si collega successivamente alla negazione dell'intelligenza pratica, rimpiazzata da una ragione strumentale che si occuperà della gestione (management) tecnica, tecnologica (l'etica scomparirà dinanzi ad una intelligenza more geometrico) della Critica del Giudizio. E' qui che la tradizione conservatrice (come quella di Heidegger) non ha tralasciato di percepire la soppressione semplificatrice della complessità organica della vita, rimpiazzata da una tecnica della " volontà di potenza" (critica sviluppata da Nietzsche e Foucault). Galileo, con tutto l'ingenuo entusiasmo di una grande scoperta, scrive: "La filosofia è scritta in questo grandissimo libro, che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l'Universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri ne' quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangolo, c erchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto" (74). Già Heidegger ha detto che la "posizione mathematica" (75) dinanzi agli enti è un tenerli per conosciuti già da prima (negli assiomi della scienza, per esempio) e mettersi solo ad usarli. Non si "apprende" un'arma, per esempio, bensì si apprende a far "uso" di essa, perché già si sa cosa sia: "Le mathemata sono le cose, in quanto le introduciamo nella conoscenza, introducendole nella conoscenza attraverso ciò che di esse è già noto precedentemente, il corpo in quanto materialità, la pianta in quanto vegetalità, l'animale nella sua animalità" (76). La "razionalizzazione" della vita politica (burocratizzazione), dell'impresa capitalistica (amministrazione), della vita quotidiana (ascetismo calvinista o puritano), la decorporalizzazione della soggetività (con i suoi effetti alienanti tanto del lavoro vivo -esaminati nella critica di Marx-, quanto nelle sue pulsioni -analizzati da Freud-), la non-eticità di ogni gestione economica e politica (intesa solo come ingegneria tecnica), la soppressione della ragione pratico-comunicativa sostituita dalla ragione strumentale, l' individualità solipsista che nega la comunità, etc., sono esempi di diversi momenti negati dall'indicata semplificazione apparentemente necessaria per una gestione (management) della centralità del sistema-mondo che l'Europa si trovò perentoriamente a realizzare. Capitalismo, liberalismo, dualismo (svalutando la corporeità), strumentalismo (il tecnologismo della ragione strumentale), etc., sono effetti della manipolazione (management) di quella funzione che rese l'Europa il centro del sistema-mondo. Effetti che si costituiscono in mediazioni, in sistemi che finiscono per totalizzarsi. Il capitalismo, mediazione di sfruttamento ed accumulazione (effetto del sistema-mondo), si trasforma poi in un sistema indipendente che, a partire dalla sua stessa logica autoreferenziale ed autopoietica, può distruggere l' Europa, la sua periferia, e tuto il pianeta. E questo è ciò che Weber osserva, ma in modo riduttivo. Ovvero, comprende parte del fenomeno, ma non tutto l'orizzonte del sistema-mondo. In effetti, il procedimento formale di semplificazione per rendere gestibile (manageable) il sistema-mondo produce sottosistemi formali razionalizzati che successivamente non hanno regole interne di autoregolazione dei propri limiti nella stessa Modernità, che potrebbero ricondurli al servizio dell'umanità. E' in questo momento che sorgono le critiche da dentro il centro (e dalla periferia, come la nostra) contro la Modernità stessa. Adesso si attribuisce alla ratio tutta la causalità colpevole (in quanto "ragione" [Verstand] oggettiva che fissando disintegra), da Nietzsche a Heidegger, o con i postmoderni -la colpevolezza si anticiperebbe fino a Socrate (Nietzsche) o a Parmenide (Heidegger). In effetti, le semplificazioni moderne, (il dualismo di un ego-anima senza corpo, la ragione strumentale teleologica, il razzismo della superiorità della propria cultura, etc.) hanno molte somiglianze con la semplificazione che lo schiavismo greco produsse nel sistema interregionale II. La Weltanschauung [visione del mondo] greca si addiceva all'uomo moderno -non fu senza complicità che i romantici tedeschi resuscitarono i greci (77). Il superamento-recupero (sussunzione) della Modernità significherà considerare criticamente tutte queste riduzioni semplificatrici prodotte fin dalle sue origini -e non solo alcune di esse, come immagina Habermas-. La più importante delle citate riduzioni, insieme a quella della sogettività solipsistica senza comunità, è la negazione della corporeità della suddetta soggettività -ciò a cui si legano le critiche alla Modernità sviluppate da Marx, Nietzsche, Freud, Foucault, Lévinas e dall'Etica della Liberazione, come vedremo nel corso di questa opera-. Per tutto ciò, il concetto che si ha della Modernità determina, come è evidente, la pretesa della sua realizzazione (come in Habermas), o il tipo di critiche (come quelle dei postmoderni). In generale, tutta la disputa tra razionalisti e postmoderni non supera l'orizzonte eurocentrico. La crisi della Modernità (avvertita già, come abbiamo segnalato frequentemente, da Nietzsche o Heidegger) si riferisce ad aspetti interni all'Europa. Il "mondo periferico" parrebbe essere un passivo spettatore di una tematica che non lo tocca perché è "barbaro", pre-moderno o semplicemente perché deve essere "modernizzato". Cioè, la visione eurocentrica riflette nel problema della crisi della Modernità soltanto i momenti europeo-nordamericani (o anche giapponesi, oggi), ma minimizza quelli della periferia. Rompere con questo "errore riduzionista" non è facile.Tenteremo qui di indicare il cammino di un tale superamento. Se la Modernità inizia sul finire del XV secolo, con un processo rinascimentale pre-moderno, e da lì si passa a quello propriamente moderno in Spagna, l'Amerindia forma parte della Modernità fin dal momento della conquista e della colonizzazione (il mondo meticcio in America Latina è l' unico che ha la stessa età della Modernità (78) ), poiché è stato il primo "barbaro" di cui la Modernità ha bisogno per sua definizione. Se la Modernità entra in crisi alla fine del XX secolo, dopo cinque secoli di svolgimento, non avviene solo a causa dei momenti studiati da Weber o Habermas, o da Lyotard o Welsch (79), occorrerà invece aggiungere quelli propri di una descrizione "mondiale" del fenomeno della Modernità. Per concludere: se ci situiamo, dunque, nell'orizzonte planetario, si possono distinguere le seguenti posizioni di fronte alla problematica posta: a) In primo luogo, la tesi "sostanzialista" desarrollista (80) (quasi metafisica) che concepisce la Modernità come un fenomeno esclusivamente europeo che si sarebbe espanso a partire dal XVII secolo verso tutte le altre culture "arretrate" (posizione eurocentrica nel centro o modernizzatrice nella periferia); la modernità è un fenomeno che deve ancora finire di realizzarsi. Alcuni di coloro che assumono questa prima posizione (per esempio un Habermas o un Apel), difensori della ragione, lo fanno criticamente, poiché pensano che la superiorità europea non è materiale, ma formale: grazie ad una struttura di domande critiche (81). D'altra parte, la tesi complementare di quella precedente è la tesi "nichilista", conservatrice, che nega alla Modernità qualità positive (tesi sostenuta da Nietzsche ad Heidegger, per esempio), e che propone praticamente il suo annientamento senza uscita. I postmoderni assumono questa posizione (nel loro attacco frontale alla "ragione" in quanto tale; con differenze nel caso di Lévinas (82) ), sebbene, paradossalmente, difendano anche parte della prima posizione, a partire da un eurocentrismo desarrollista ["sviluppista"]. I filosofi postmoderni sono ammiratori dell'arte postmoderna, dei media, e sebbene affermino teoricamente la differenza, non riflettono sulle origini di questi sistemi che sono frutto di una razionalizzazione propria della gestione della centralità europea del sistema-mondo, dinanzi alla quale sono profondamente acritici, e pertanto non hanno possibilità di cercar di apportare alcuna alternativa (culturale, economica, politica, etc.) valida per le nazioni periferiche, né per i popoli o le grandi maggioranze dominate del centro e/o della periferia. b) In secondo luogo, difendiamo un'altra posizione a partire dalla periferia, e considerando il processo della Modernità come la segnalata "gestione" razionale del sistema-mondo. Questa posizione cerca di recuperare il recuperabile della Modernità, e negare la dominazione e l'esclusione nel sistema-mondo. E' dunque un progetto di liberazione della periferia negata fin dall'origine della Modernità. Il problema non consiste nel mero superamento della ragione strumentale (come per Habermas) o della ragione terror dei postmoderni, bensì nel superamento dello stesso sistema-mondo così come si è sviluppato fino ad oggi nel corso di 500 anni. Il problema è l'esaurimento di un sistema di civilizzazione che giunge alla sua fine ((84). Il superamento della ragione cinico-amministrativa (amministrativa mondiale) del capitalismo (come sistema economico), del liberalismo (come sistema politico), dell'eurocentrismo (come ideologia), del maschilismo (nel campo della vita sessuale e dei rapporti tra i generi), del predominio della razza bianca (razzismo), della distruzione della natura (nell'ecologia), etc., suppone la liberazione di diversi tipi di oppressi e/o esclusi. E' in questo senso che l'Etica della Liberazione si definisce come trans-moderna (poiché anche i postmoderni sono eurocentrici). La fine del presente sistema di civilizzazione si fa vedere attualmente nei seguenti limiti assoluti del "sistema dei 500 anni" -come lo chiama Noam Chomsky-. Questi limiti assoluti sono: a) In primo luogo, la distruzione ecologica del pianeta. Fin dalla sua origine la Modernità ha definito e reso la natura come un oggetto "sfruttabile", al fine di aumentare il tasso di profitto (85) del capitale: "Per la prima volta la natura si converte in un mero oggetto per l'uomo, in cosa meramente utile; cessa di essere riconosciuta come un potere per sé" (86). Una volta costituita la terra come un "oggetto sfruttabile" in favore del quantum, del capitale, che può vincere tutti i limiti, tutte le barriere, manifestando così "the great civilising influence of capital" [la grande influenza civilizzatrice del capitale], tocca alla fine il suo limite insuperabile, quando esso stesso, il capitale, si dimostra il suo proprio limite, la barriera insuperabile per il progresso etico-umano, e stiamo arrivando a quel momento: "L'universalità a cui il capitale tende incessantemente, incontra impedimenti nella sua stessa natura, i quali in una certa tappa dello sviluppo del capitale faranno sì che si riconosca proprio esso come la più grande barriera che si frappone a questa tendenza e, conseguentemente, porteranno alla abolizione del capitale per mezzo di se stesso" (87). Essendo la natura per la Modernità solo un mezzo di produzione, va incontro al destino di essere consumata, distrutta, e, inoltre, accumulando geometricamente sulla terra i suoi rifiuti si giunge a porre in pericolo la riproduzione o sopravvivenza della stessa vita. La vita è la condizione assoluta del capitale; la sua distruzione distrugge anche il capitale. A questo a situazione siamo arrivati. Il "sistema dei 500 anni" (la Modernità o il capitalismo) si trova di fronte al primo limite assoluto: la morte della vita nella sua totalità, a causa dell'uso indiscriminato di una tecnologia antiecologica costituita progressivamente a partire dal solo criterio della gestione quantitativa del sistema-mondo nella Modernità: l' aumento del tasso di profitto. Ma il capitale non può autolimitarsi. Diviene in quanto tale il pericolo supremo per l'umanità. b) Il secondo limite assoluto della Modernità è la distruzione della stessa umanità. Il "lavoro vivo" è l'altra mediazione essenziale del capitale in quanto tale; il soggetto umano è l'unico che può "creare" nuovo valore (plusvalore, profitto). Il capitale che vince tutte le barriere richiede ogni volta più tempo assoluto di lavoro; quando non può superare questo limite, allora aumenta la produttività attraverso la tecnologia; ma questo aumento diminuisce la necessità di lavoro umano; così c'è una umanità esuberante (disoccupata). Il disoccupato non guadagna salario, denaro; ma il denaro è l'unica mediazione nel mercato attraverso cui si possano acquistare merci per soddisfare i bisogni. In ogni modo il lavoro non impiegabile da parte del capitale aumenta (aumenta la disoccupazione).Aumenta così la proporzione dei soggetti costretti alla non solvibilità (88) -tanto nella periferia come nel centro-. E' la povertà, la povertà come limite assoluto del capitale. Si tratta della "legge della Modernità": "Questa legge produce un'accumulazione di miseria proporzionale all'accumulazione di capitale" (89). Il sistema-mondo moderno non può superare questa contraddizione essenziale. L'Etica della Liberazione riflette filosoficamente a partire da questo orizzonte planetario del sistema-mondo; da questo doppio limite che configura una crisi terminale di un processo di civilizzazione: la distruzione ecologica del pianeta e l'estinzione nella miseria e nella fame della maggioranza dell'umanità. Dinanzi a questi due fenomeni correlati di tali dimensioni planetarie, apparirebbe ingenuo e persino ridicolo, irresponsabile e complice, irrilevante e cinico, il progetto di tante scuole filosofiche (tanto nel centro, ma ancor peggio nella periferia, in America Latina, Africa e Asia) racchiuse nella "torre d'avorio" dello sterile accademismo eurocentrico. Già nel 1968 Marcuse aveva scritto, riferendosi ai paesi opulenti del tardo-capitalismo: "Quale è il prezzo che si deve pagare per tutti i beni ricevuti, il prezzo di questa comoda servitù, di tutti questi vantaggi, prezzi che si fanno pagare a gente che sta molto lontano dalla metropoli ed è lontanissima dalla sua opulenza. La società opulenta ha coscienza di ciò che sta facendo, di come sta propagando il terrore e la schiavitù, di come sta lottando contro la liberazione in tutte le aree del globo?" (90). c) Il terzo limite della Modernità è l'impossibilità di sussumere le popolazioni, le economie, le nazioni, le culture che attaccò aggressivamente fin dalla sua origine, che escluse dal suo orizzonte e che abbandona nella miseria. E' tutto il tema dell'esclusione dell'alterità dell'America Latina, dell'Africa e dell'Asia, e della loro indomabile volontà di sopravvivenza. Torneremo sul tema, ma non vogliamo qui tralasciare di indicare che il sistema-mondo globalizzatore giunge a un limite in cui comincia l' esteriorità dell'Alterità dell'Altro, luogo di "resistenza" e dalla cui affermazione come rimedio parte il processo di "negazione della negazione" della liberazione. (CONTINUA) 3. MAESTRI. ALDO CAPITINI: LA PORTA DA APRIRE [Da Aldo Capitini, Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, p. 453] La nonviolenza e' la porta da aprire per non sentirsi soli. La nonviolenza cerca sempre di essere con altri. 4. MATERIALI. MIR DI PADOVA: UN PIANO D'AZIONE PER IL DECENNIO DELLA NONVIOLENZA E UN MODELLO DI DELIBERA DA PROPORRE AI CONSIGLI COMUNALI [Dalla circolare del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione) del 30 ottobre riportiamo il seguente documento del MIR di Padova. Per leggere l'intera circolare: www.peacelink.it/users/mir/] A. Piano d'azione per il decennio della nonviolenza. Il punto d'arrivo sarebbe una Convenzione internazionale per una cultura della nonviolenza e della pace per i bambini del mondo. Fase 1: anno 2000, lancio del Manifesto; Fase 2: 2001-2002, informazioni e consultazioni a livello locale. Lavorare per una "Dichiarazione per una cultura di pace e di nonviolenza" a tutti i livelli di ogni paese. Una commissione nazionale creata da ogni parlamento, sarebbe incaricata del coordinamento e della diffusione appoggiandosi sulle strutture amministrative: ministeri, comuni, scuole, ecc. Nello stesso tempo delle commissioni municipali potrebbero organizzare delle consultazioni per la redazione di delibere comunali; il tutto dovrebbe essere riunito dal livello nazionale entro il giugno del 2002. Contemporaneamente ogni parlamento potra' creare un Istituto nazionale di ricerca sulla prevenzione della violenza e la risoluzione nonviolenta dei conflitti. Fase 3: 2003-2004, sintesi dei contributi locali. Sperimentazione dell'insegnamento per la nonviolenza. Questa sintesi dovra' essere finalizzata prima della fine del 2003 a preparare una proposta di legge nazionale per la promozione di una cultura di pace e di nonviolenza per i bambini dello stato. Delle esperienze saranno nel frattempo iniziate nel settore dell'insegnamento della pratica della nonviolenza nelle diverse istituzioni. Fase 4: 2005, livello nazionale. Adozione della legge "Cultura di pace" che dovra' essere riesaminata ogni 5 anni. Generalizzazione dell'insegnamento della pratica della nonviolenza in tutte le istituzioni scolastiche dello stato. Fase 5: 2006-2007, livello regionale (continentale). Le commissioni nazionali rappresentative proseguono il lavoro a livello di macroregioni (America Latina, Asia, Unione Europea, ecc.) per redigere delle risoluzioni regionali aggiornate ogni 5 anni. Nello stesso 2007 i Comuni dovranno rivedere le loro delibere comunali alla luce delle loro esperienze retrospettive. Fase 6: 2008-2009, livello Internazionale. Inizio del 2008, l'Unesco dovra' effettuare una sintesi dei differenti testi prodotti a livello di macroregioni per preparare un progetto di "Convenzione Internazionale" che sara' sottoposta all'Assemblea dell'ONU nel 2010. Si tratta di avviare un processo simile a quello che ha portato alla convenzione sui diritti dell'infanzia. Una Convenzione con forza di legge una volta che sia stata approvata e ratificata da ogni paese firmatario. * B. esempio di delibera comunale sul decennio della nonviolenza. Il Consiglio Comunale di Padova Ricordando l'importante risoluzione n. 53/25 del 10 novembre 1998 della Assemblea Generale delle Nazioni Unite che ha proclamato il periodo 2001-2010 "Decennio internazionale della promozione di una cultura della nonviolenza e della pace a beneficio dei bambini del mondo", documento che ha trovato precise e puntuali indicazioni applicative nella successiva risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite n. 53/243 del 6 ottobre 1999 denominata "Dichiarazione e programma d'azione su una cultura di Pace"; Preso atto con preoccupazione della drammatica situazione internazionale di guerra in atto e che di fronte a questa gravissima crisi gli Enti Locali devono impegnarsi attivamente per favorire e rafforzare la creazione di una diversa cultura che valorizzi la condivisione invece dello scontro, la comprensione invece della paura, che favorisca l'incontro e il reciproco rispetto, strumenti fondamentali per sconfiggere il terrorismo e i fondamentalismi; Riconoscendo che la pace non z' solamente l'assenza di conflitti, ma un processo positivo, dinamico, partecipativo che favorisce il dialogo e la risoluzione dei conflitti in uno spirito di mutua comprensione e di cooperazione; Individuando nella nonviolenza attiva, come indicato dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, lo strumento privilegiato per la costruzione della pace; Ricordando che il Comune di Padova ha sviluppato un'importante tradizione di impegno a favore di una cultura di pace, espressa nella creazione di un apposito Ufficio Pace e nell'istituzione della Consulta per la pace e i diritti umani; Consapevole che nel territorio comunale agiscono da tempo importanti associazioni e istituzioni impegnate nella promozione della pace sia in ambito locale sia nazionale; Delibera di adottare, per quanto e' nelle sue competenze e possibilita', i principi e le indicazioni contenuti nella "Dichiarazione e programma d"azione per una cultura di pace" dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, riferendosi in particolare al punto 3 della parte A, dove si dice che: "La societa' civile deve partecipare a livello locale, regionale e nazionale per ampliare la portata delle attivita' al riguardo di una cultura di pace"; Delibera inoltre di dare sostegno ai programmi d'azione a favore di una cultura di pace e di risoluzione nonviolenta dei conflitti per "fare in modo che i bambini ricevano, fin dalla piu' tenera eta', una educazione al riguardo dei valori, delle attitudini, dei comportamenti e dei modi di vita che debbano loro permettere di risolvere le controversie in maniera pacifica e in uno spirito di rispetto della dignita' umana e di tolleranza e di non discriminazione; far partecipare i bambini ad attivita' che instilleranno loro i valori e gli scopi di una cultura di pace"; (punto 9 della parte B); Delibera quindi di stanziare - lire 20 milioni per il primo anno del decennio 2001-2010 per sostenere progetti rivolti agli studenti delle scuole di ogni ordine e grado presenti nel territorio del Comune di Padova, che, nello spirito della citata risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite n. 53/243, promuovano la diffusione di una cultura di pace; - lire 10 milioni per il primo anno del decennio 2001-2010 a sostegno di corsi ed altre iniziative di aggiornamento rivolti agli insegnanti e agli educatori in linea con la dichiarazione dell'ONU e del Piano d'azione applicativo; - lire 20 milioni per la concessione di due borse di studio per favorire la partecipazione degli studenti dell'Ateneo patavino ad altrettanti corsi di perfezionamento e specializzazione presso Istituti europei di ricerca per la pace; Delibera inoltre di riattivare l'Ufficio pace e la consulta per la pace e i diritti umani istituita con delibera ...; Il Consiglio Comunale invita infine l'Universita' degli Studi di Padova, ad attivare un master di specializzazione in materia di ricerca per la pace. 5. INFORMAZIONE. JOHN PILGER: PREDE DI GUERRA [John Pilger e' uno dei piu' noti giornalisti britannici. Nato a Sydney, corrispondente e commentatore di guerra quasi leggendario, ha seguito conflitti in tutto il mondo, dal Vietnam alla Birmania, alla Cambogia, al Medio Oriente. Ha ricevuto due volte il principale premio giornalistico britannico (il "Journalist of the Year") e i suoi documentari si sono aggiudicati un'infinita' di altri riconoscimenti, incluso un Emmy e un Reporters sans frontieres Award. Ha scritto sei libri, tra i quali "Heroes" e "Hidden Agendas", rivelando i retroscena di molti conflitti sanguinosi. I suoi articoli appaiono su Guardian, Independent e New Statesman in Gran Bretagna, New York Times, Los Angeles Times e The Nation negli Stati Uniti. Questo articolo e' apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 15 dicembre (insieme alla breve nota biografica che abbiamo qui riportato)] Dall'11 settembre, la "guerra al terrorismo" sta fornendo un pretesto ai paesi ricchi, sotto la guida degli Stati Uniti, per estendere il loro dominio sugli affari mondiali. Diffondendo "paura e profondo rispetto", cosi' si e' espresso un commentatore del Washington Post, l'America intende respingere qualunque minaccia alla sua capacita' di controllare e gestire l'"economia globale", eufemismo che indica l'appropriazione progressiva delle risorse e dei mercati da parte dei paesi ricchi del G8. Questo, e non la caccia all'uomo in una caverna dell'Afghanistan, e' l'obiettivo che sta dietro ai bombardamenti e alle minacce a un numero di paesi compreso "tra 40 e 50". Esso ha poco a che fare con il terrorismo e molto invece con il mantenimento delle divisioni prodotte dalla "globalizzazione". Oggi il commercio internazionale vale piu' di 11,5 miliardi di sterline al giorno. Solo una piccola frazione di questo, lo 0,4%, viene condiviso con i paesi piu' poveri. Il capitale americano e dei paesi del G8 controlla il 70% dei mercati mondiali; e a causa di regole che impongono la fine di barriere tariffarie e sovvenzioni nei paesi poveri ignorando - allo stesso tempo - il protezionismo in occidente, i paesi poveri perdono nel commercio ogni giorno 1,3 miliardi di sterline. A questo va aggiunto il fatto che essi ogni giorno pagano 37 milioni di sterline di debito. Comunque la si voglia considerare, questa e' una guerra dei ricchi contro i poveri. Si vedano le cifre sulle morti. Il tributo di vite umane, dice il World Resources Institute, e' di piu' di 13 milioni di bambini ogni anno; o 12 milioni sotto i cinque anni di eta', secondo stime dell'Onu. "Se 100 milioni di persone sono state uccise nelle guerre dichiarate del XX secolo" ha scritto Michael McKinley, "perche' questa cifra deve essere privilegiata rispetto al tasso di mortalita' infantile per i programmi di aggiustamento strutturale a partire dal 1982?". Il saggio di McKinley, Triage: A Survey of the New Inequality as Combat Zone e' stato presentato in una confererenza a Chicago l'anno scorso, e merita una lettura approfondita (McKinley insegna alla Australian National University). Esso descrive vividamente l'accelerazione del potere economico occidentale nell'era Clinton che, dopo l'11 settembre, ha superato una soglia di pericolo per milioni di persone. Il vertice del Wto a Doha nel Qatar e' stato disastroso per la maggioranza dell'umanita'. I paesi ricchi hanno preteso e ottenuto un nuovo "round" di "liberalizzazione del commercio", cioe' in altre parole il loro diritto a intervenire nelle economie dei paesi poveri e di pretendere la privatizzazione e la distruzione dei servizi pubblici. Solo a loro e' permesso tutelare la propria industria e la propria agricoltura; solo loro hanno il diritto di sovvenzionare le esportazioni di carne, grano e zucchero, per poi svenderli nei paesi poveri a prezzi artificialmente bassi, distruggendo cosi' i mezzi di sostentamento di milioni di persone. In India, spiega l'ambientalista Vandana Shiva, i suicidi tra i contadini poveri sono "una furiosa epidemia". Anche prima del meeting del Wto Robert Zoellick, trade representative americano, ha invocato la "guerra al terrorismo" avvertendo il mondo in via di sviluppo che nessuna seria opposizione all'agenda commerciale americana sarebbe stata tollerata. "Gli Stati Uniti - ha detto Zoellick - sono impegnati in una leadership globale di apertura e capiscono che la tenuta della nostra nuova coalizione [contro il terrorismo] dipende dalla crescita economica...". Cioe' la "crescita economica" (elite ricca, maggioranza povera) equivarrebbe all'anti-terrorismo. Mark Curtis, lo storico britannico e head of policy di Christian Aid, che ha partecipato al vertice di Doha, descrive "un modello emergente di minacce e intimidazioni nei confronti dei paesi poveri" equivalente a una "diplomazia del pugno di ferro economico". "E' stato assolutamente oltraggioso - ha detto Curtis -. I paesi ricchi hanno sfruttato il loro potere per imporre l'agenda del grande business. La questione delle corporations multinazionali come causa di poverta' non era nemmeno in agenda; era come una conferenza sulla malaria dove non si discuta nemmeno della zanzara". I delegati dei paesi poveri hanno protestato perche' minacciati della rimozione delle loro poche, preziose facilitazioni commerciali e dei programmi di sostegno. "Se intervenissi con troppa forza per i diritti del mio popolo" ha detto un delegato africano, "gli Usa telefonerebbero al mio ministero. Direbbero che sto mettendo in imbarazzo gli Stati Uniti. Il mio governo non chiederebbe nemmeno che cosa ho detto. Si limiterebbe a spedirmi un biglietto domani stesso... percio' non parlo, per paura di turbare il padrone". Un funzionario Usa di alto livello ha telefonato ai ministri del governo ugandese per chiedere che il suo ambasciatore al Wto, Nathan Iramba, fosse rimosso. Iramba dirige il Comitato sul commercio e lo sviluppo (Committee on Trade and Development) del Wto, e ha criticato l'agenda delle organizzazioni sulla "liberalizzazione". Il dottor Richard Bernal, delegato giamaicano a Doha, ha detto che il suo governo aveva subito pressioni analoghe. "Noi sentiamo che questo meeting [del Wto] non ha relazione con la guerra al terrorismo - ha detto -, tuttavia siamo costretti a sentire che noi stiamo ostacolando il salvataggio dell'economia globale se non accettiamo un nuovo round [di misure di liberalizzazione]". Il ministro indiano per il commercio e l'industria, Musaroli Maran, ha detto arrabbiato: "L'intero meccanismo e' una mera formalita' e stiamo subendo una coercizione contro la nostra volonta'... il Wto non e' un governo del mondo e non deve tentare di appropriarsi della legittimita' di cui godono i parlamenti e i governi nazionali". Cio' che la conferenza ha dimostrato e' che il Wto e' diventato un governo mondiale, gestito dai ricchi e principalmente da Washington. Sebbene conti 142 membri, solo a 21 governi e' consentito tracciare la sua politica, di cui la gran parte e' scritta dal "quadrilatero": Stati Uniti, Europa, Canada e Giappone. A Doha, gli inglesi hanno giocato un ruolo simile alla promozione di Tony Blair della "guerra al terrorismo". La ministra per il commercio e l'industria, Patricia Hewitt, aveva gia' detto alle organizzazioni del volontariato che "dall'11 settembre, una ulteriore liberalizzazione del commercio si impone". A Doha, funzionari inglesi e di altri paesi europei hanno spinto per la "liberalizzazione" in modo aggressivo dimostrando, secondo Christian Aid, "l'abisso tra la loro retorica su come il commercio dovrebbe lavorare per i poveri" e le loro vere intenzioni. Questa "retorica" e' la specialita' del governo Blair e della sua responsabile per lo sviluppo internazionale, Clare Short, che ha superato se stessa annunciando 20 milioni di sterline come "pacchetto di nuove misure" per aiutare i paesi poveri. In effetti, quella era la terza volta che gli stessi soldi venivano annunciati nel giro di un anno. Nel dicembre 2000, Short aveva detto che il governo avrebbe "raddoppiato il suo sostegno per le iniziative di rafforzamento del commercio nei paesi in via di sviluppo da 15 milioni di sterline negli ultimi tre anni, a 30 milioni di sterline per i tre anni successivi". Lo scorso marzo, gli stessi soldi sono stati annunciati di nuovo. Short, ha detto il suo ufficio stampa, "annuncera' che il Regno Unito raddoppiera' il suo sostegno per... la performance commerciale dei paesi in via di sviluppo". Il 7 novembre, il pacchetto da 20 milioni di sterline e' stato annunciato di nuovo. Inoltre, un terzo di esso e' legato a tutti gli effetti al lancio di un nuovo "round" del Wto, il che significa un'agenda per il "libero" mercato. L'inganno illustra la globalizzazione della poverta', vero nome della "liberalizzazione". Il collegamento con i bombardamenti e' stato fatto da Clare Short, che si e' spinta fino a paragonare le persone contrarie ai bombardamenti illegali (in Jugoslavia) come pacificatori nazisti. Short ha insultato gli operatori delle agenzie umanitarie in Pakistan, che chiedevano una sospensione dei bombardamenti sull'Afghanistan, definendoli "emotivi" e ha messo in dubbio la loro integrita'. Ha sostenuto che gli aiuti "stanno arrivando" - quando, in realta', ben pochi di essi vengono distribuiti dove piu' serve, a causa dei bombardamenti. Oggi vengono trasportate ogni giorno in Afghanistan soltanto 750 tonnellate di aiuti, meno della meta' di quelle che l'Onu considera necessarie. Sei milioni di persone continuano a rischiare di morire di fame. Non arriva niente nelle zone vicino a Jalalabad, dove gli americani stanno bombardando i villaggi uccidendo centinaia i civili, "tra 60 e 300" in una notte, secondo i comandanti anti-taleban che stanno cominciando a chiedere a Washington di smettere. Il silenzio dei governi europei e il loro appoggio alla omicida "guerra al terrorismo" dell'America da 21 miliardi e alla loro campagna per soggiogare i paesi poveri, smaschera la mistificazione dell'"economia globale come unico modo di aiutare i poveri", come i ministri per lo sviluppo continuano a ripetere. Il militarismo americano, che e' visibile a tutti tranne che agli intellettualmente e moralmente incapaci, e' la naturale estensione delle rapaci politiche economiche che hanno diviso l'umanita' come mai era accaduto prima. Come ha scritto Thomas Friedman sul New York Times, "la mano invisibile del mercato" e' l'esercito americano. Questo era prima dell'11 settembre. Ora non e' piu' invisibile. Ormai in pochi dicono ancora che l'economia delle grandi imprese creerebbe benessere "a cascata" anche per i poveri, perche' e' chiaramente falso. Persino la Banca mondiale ha ammesso che i paesi piu' poveri sono quelli che versano in maggiori difficolta', sotto la sua tutela, rispetto a dieci anni fa: che il numero dei poveri e' cresciuto, che piu' gente muore giovane. E questi sono paesi con "programmi di aggiustamento strutturale" che dovrebbero "creare ricchezza" per la maggioranza. Era tutta una bugia. La verita' sta nelle cifre degli "aiuti" effettivi. L'America da' solo lo 0,1% del suo prodotto nazionale lordo; l'Italia da' solo una muniscola quota in piu'. Lo scorso anno, il Foreign Aid bill del Senato statunitense comprendeva una minima quantita' dei 75 milioni di dollari per i piu' poveri - un decimo del costo di un B52 - mentre 1,3 miliardi di dollari andavano all'esercito colombiano, uno dei peggiori per le violazioni dei diritti umani. E' tempo che ci rendiamo conto che il vero terrorismo e' la poverta', che uccide migliaia di persone ogni giorno, e che la loro morte, e quella di persone innocenti bombardate nei villaggi polverosi, sono direttamente correlate. 6. MAESTRE. ANNA ACHMATOVA: ANCHE QUESTO DIVERRA' PER LA GENTE [Da Anna Achmatova, Poema senza eroe e altre poesie, Einaudi, Torino 1966, 1993, p. 169] Anche questo diverra' per la gente Come l'eta' di Vespasiano, Eppure non fu che una ferita E una nube, sopra, di tormento. 7. STRANEZZE. PEPPE SINI: ALLA FERMATA DELL'AUTOBUS Quesa mattina alla fermata dell'autobus: un individuo vestito di nero, cappello nero calcato, bavero alzato, eleganza ricercata e antiquata, con una voce in falsetto ed un gesticolare e saltellare quasi di danza, ma di una danza meccanica, mi si avvicina e mi chiede se sono Sini, quel Sini, di quella famiglia Sini, eccetera. Dico di si', e questa persona dapprima imprende un discorso sconnesso. Ascolto per cortesia, mi capita spesso di ascoltare persone in crisi (un mio giovane amico psicotico qualche settimana fa cerco' per una buona mezz'ora di convincermi che lui era Dio). Ma nel progredire del suo monologo lo sconosciuto si agita sempre di piu', fa allusione al mio telefono (ma e' un numero che conosce un sacco di gente), poi evoca il triste ricordo di un mio parente assassinato qualche anno fa (ma e' una vicenda di cui hanno parlato televisioni e giornali poiche' apparteneva all'aristocrazia vaticana), poi sempre piu' incontenibile inizia e interrompe e riprende piu' volte tra stridule risa un discorso confuso di farneticazioni biologiche e razziste; e perso ormai il controllo mi grida "ebreo" (col tono di proferire un insulto, il poverino), farfuglia di un mio distorto uso dell'intelligenza, e profetizza che il buon domineddio regolera' presto i conti con me. Mi convinco che sia un folle. Ma quello continua: nomina un dirigente delle forze dell'ordine mio amico, parla di voluminosi dossier al Viminale che concernerebbero la mia persona fin dai tempi in cui ero segretario provinciale di un partito della nuova sinistra negli anni settanta, me ne descrive a gesti le dimensioni. Mi chiedo se sia un mitomane o un provocatore. Poi con voce sempre piu' stridula mi dice che devo farla finita, che per troppo tempo eccetera. E nuovamente nomina quel mio parente citando il suo tragico decesso come esempio per avvisarmi che quando poi intervengono "i servizi" si fa una brutta fine, alludendo direi fin troppo esplicitamente al fatto che "i servizi" potrebbero intervenire nei miei confronti. Poi si allontana con un passo che mi pare saltellante; superato lo stupore, lo cerco con lo sguardo ma e' sparito. Strana gente davvero alle fermate degli autobus. Ho voluto parlarne oggi pomeriggio agli amici che partecipano al corso di educazione alla pace che coordino presso il liceo di Orte, e adesso scriverne qui. Mi dovesse capitare qualche incidente non posso dire di non essere stato avvisato. Era smilzo, il volto scuro stretto tra il bavero e le falde del cappello, i denti ingialliti, lo sguardo da furetto, la motricita' incontrollata, le frasi smozzicate, l'eta' indefinibile, direi tra i trenta e i cinquanta (ahime', non sono un buon fisionomista). Mi ha fatto una gran pena: se non e' gia' un funzionario dello stato, lo propongo per una pensione. 8. SITI: "FEMMIS" [Dal sito di "Femmis", www.femmis.org, riportiamo questa scheda di presentazione] "Femmis", Feminine missionary information service, e' il notiziario telematico femminile promosso dalle Missionarie Comboniane (Pie Madri della Nigrizia). Femmis e' un servizio informativo in sinergia con tutti e tutte coloro che, come noi, sono sensibili alla situazione femminile nel mondo. La notizia vista e scritta da donne che fanno dell'informazione senza esclusioni, la loro missione. La formazione di donne, protagoniste della loro informazione. Femmis offre ogni giorno: Una frase, un proverbio, una ricetta, un detto sulla donna e altro. Ogni settimana: Una foto, un profilo di donna e un articolo d'attualita'. Ogni mese: Una rassegna stampa, notizie sul mondo femminile e un dossier della rivista "Raggio". Links a siti e bibliografia femminile. Femmis e' membro dell'associazione WIN (Women's International Network). * Redazione Femmis: femmis at pcn.net Corrispondenti di Femmis: Dal Sudan: cmssudsud at wananchi.com Dal Mozambico: pauldan at teledata.mz Dal Kenia: cmslangata at wananchi.com Dall'Etiopia: graca_almeida at yahoo.com Dall'Egitto: giusepe at zeus.starnet.com.eg Dall'Ecuador: mariadocarmo at excite.com Dal Brasile: combonianassp at ig.com.br Dal Messico: cmsecvi at sedet.com.mx Dagli USA: combonisrs at igc.apc.org Dall'Italia: femmis at pcn.net Dalla Gran Bretagna: cmsjplondon at aol.com Dalla Spagna: mcomboni at teleline.es Dal Medio Oriente: libanos_ayele at hotmail.com * Nell'ultimo aggiornamento: Nigeria: Caso Safiya, per lo Nscia "non esistono alternative alla sentenza"; Argentina: Madri di Plaza de Mayo in prima fila; Algeria: Fidh denuncia sistematica violazione diritti umani; Mondo: Un milione, la maggior parte ragazzine, vittime di sfruttamento sessuale; Burkina Faso: Cultura maschilista mette a rischio donne; America Centrale: "Casa Alianza" denuncia sfruttamento sessuale bambini di strada; Afghanistan: Deputy Prime Minister of Afghanistan Urges More Aid, Women's Rights; Bangladesh: Plans for Asian women's college underway. 9. LETTURE. STEFANO ALLIEVI: LA TENTAZIONE DELLA GUERRA Stefano Allievi, La tentazione della guerra, Zelig, Milano 2001, pp. 192, lire 22.000. Un sociologo tra i piu' attenti ai temi dell'incontro e dei conflitti tra le culture, autore di libri fondamentali sull'immigrazione, il confronto e dialogo tra religioni, e l'islam in Europa, raccoglie in questo volume alcuni suoi scritti "dopo l'attacco al World Trade Center, a proposito di Occidente, islam e altri frammenti di conflitto tra culture". Analisi accurate, una informazione rigorosa, uno stile vivace (con qualche eccesso nei punti in cui sulla pacatezza dello studioso prevale l'indignazione della persona civilmente impegnata contro il razzismo e la violenza). 10. LETTURE. MICHELE GAMBINO, MASSIMO LOCHE, ALI RASHID, ALBERTO VENTURA: ORGOGLI E PREGIUDIZI Michele Gambino, Massimo Loche, Ali Rashid, Alberto Ventura, Orgogli e pregiudizi, Manni, Lecce 2001, pp. 144, lire 20.000. Michele Gambino (prestigioso giornalista democratico protagonista dell'esperienza de "I Siciliani" e di quella di "Avvenimenti") intervista un gornalista conoscitore degli Stati Uniti, un illustre studioso della cultura islamica, ed una persona di grande valore valore intellettuale e morale come Ali Rashid su "Islam e Occidente dopo le Twin Towers". Come e' proprio di questo genere di libri, alcune parti sono di grande interesse, altre piu' sbrigative e meno persuasive. 11. LETTURE. GORE VIDAL: LA FINE DELLA LIBERTA' Gore Vidal, la fine della liberta', Fazi, Roma 2001, pp. 128, lire 25.000. Una incisiva raccolta di interventi giornalistici di Gore Vidal, assai energici nei contenuti e non meno vivaci nella forma (con le semplificazioni e le forzature tipiche del genere libellistico). Edito in esclusiva mondiale dall'editore italiano, raccoglie un saggio inedito su "L'undici settembre e dopo" di forte ed efficace critica alla politica statunitense e alla sua deriva totalitaria, e tre articoli degli ultimi anni di non minor interesse. 12. RILETTURE. THEODOR EBERT: LA DIFESA POPOLARE NONVIOLENTA Theodor Ebert, La difesa popolare nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984, pp. 264. Una raccolta di saggi del noto peace researcher tedesco su un tema decisivo per costruire un'alternativa alla guerra. 13. RILETTURE. NEERA FALLACI: VITA DEL PRETE LORENZO MILANI Neera Fallaci, Vita del prete Lorenzo Milani, Milano Libri, Milano 1974 (col titolo Dalla parte dell'ultimo), Rizzoli, Milano 1993, pp. 628, lire 12.000. La fondamentale biografia di don Milani. 14. RILETTURE. PRIMO MAZZOLARI: TU NON UCCIDERE Primo Mazzolari, Tu non uccidere, La Locusta, Vicenza 1955, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1991, pp. 108. Una lettura sempre commovente, un appello ineludibile. 15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 16. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ; per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ; angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 319 del 21 dicembre 2001
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