Missione Oggi 12/01: sommario, editoriale, articolo Raniero La Valle



SOMMARIO MISSIONE OGGI DICEMBRE 2001

LETTERE
Quando finirà il massacro? Le orecchie chiuse di Sharon

EDITORIALE
La risposta dell'Occidente fa il gioco dei terroristi

AD OCCHI APERTI
Donne: fra violenze subite e voglia di liberazione (E. Loi)
IL FATTO E IL COMMENTO
Timor Est: a passi spediti verso l'indipendenza (M. Castagnaro)

SCELTE DI RESISTENZA
Oltre il buio: cooperative di ciechi in Africa (A. Garusi e G. Turine)


DOSSIER
CRISTIANI E MUSULMANI: PROSPETTIVE PER UN INCONTRO (a cura di M. Elia)


COSTRUIRE LA PACE
L'11 settembre ha mostrato la crisi del sistema (R. La Valle)

PROTESTA E SPERANZA
Una chiesa chiamata a una nuova profezia. Intervista a mons. José Maria Pires (a cura di M. Castagnaro)

HO UDITO IL GRIDO
L'Italia aiuti il Tibet a non morire. Intervista a Tenzin Bhagdro (a cura di A. Garusi)

GLI ULTIMI
La terra non è per il guadagno di pochi, ma per la vita di tutti (a cura degli indigeni dell'Ecuador)

CAMPAGNE IN MOVIMENTO
Banche armate: la campagna continua (G. Beretta)

Foto di copertina: Giakarta (Indonesia), 27 settembre 2001. Protesta davanti all'ambasciata americana. Foto Ap/D. Alangkara. Foto di apertura dossier: Islamabad (Pakistan), 6 ottobre 2001. Centinaia di donne del partito religioso e politico sunnita, Jamat-e-Islami, durante una marcia. Foto Ap/O. Nikishin.

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EDITORIALE

La risposta dell'Occidente
fa il gioco dei terroristi



L'Occidente, reagendo con gli schemi consueti e riproponendosi come "gendarme del mondo", non fa che aggravare la situazione.

Non pare esservi altra via d'uscita che il rilancio di un'autorità universale: efficace, autonoma, autorevole e realmente rappresentativa di tutti i popoli. Da molti è stato detto: dopo l'11 settembre il mondo non è più come prima. Eppure sembra di assistere ad un film già visto: la guerra come unica risposta all'attacco, stavolta di un nemico feroce ed invisibile, capace di colpire al cuore la maggiore, forse unica, superpotenza mondiale. Una guerra che, giorno per giorno, si dipana in sequenze del tutto simili alle altre di quest'ultimo decennio (il Golfo, il Kosovo...); attorno ad essa, anche questa volta, il sistema dei mass media costruisce un'infinita quantità di "informazioni" virtuali, di metafore suggestive (bombe intelligenti, operazioni chirurgiche, effetti collaterali...), di scenari geopolitici, che occultano quasi del tutto la tragica realtà della guerra. Potremmo chiederci, allora: ma se dopo l'11 settembre tutto era cambiato, perché la risposta invece è la stessa? È evidente il bisogno dell'amministrazione Bush di soddisfare la richiesta di buona parte dell'opinione pubblica americana perché gli Usa dimostrino di reagire con prontezza ed efficacia, perché si colpisca con determinazione chi ha prodotto la devastazione delle Torri gemelle, perché comunque si metta in campo contro il nemico tutta la propria potenza di fuoco. Tuttavia, fra gli osservatori più riflessivi, probabilmente anche all'interno del gruppo dirigente nordamericano, non può non affacciarsi il dubbio che la strada imboccata sia improduttiva, anzi alla lunga forse controproducente e che vi sia il rischio di ritrovarsi in un vicolo cieco. Un dato nuovo e imprevisto complica la gestione della guerra: la perdita del monopolio dell'informazione e la presenza di una Cnn araba che "manipola" anch'essa, come i mass media occidentali, la propria opinione pubblica, ma in un senso esattamente opposto. E così, come i morti innocenti delle Torri annichiliscono gli animi angosciati degli occidentali, i caduti incolpevoli della guerra diventano per gli arabi e gli islamici uno stillicidio quotidiano di insopportabile orrore. E le sofferenze, la rabbia, i rancori, il bisogno di vendetta si incrociano nell'etere e nei sentimenti dei popoli e alimentano una spirale pericolosissima che prefigura, ancorché si voglia scongiurarlo ad ogni piè sospinto, lo "scontro di civiltà", esito sciagurato e colmo di sofferenze per l'umanità futura. Sta qui, al di là della propaganda, il grande tema su cui occorre riflettere con senso di responsabilità e con ponderatezza. Come sia possibile colpire e neutralizzare il terrorismo senza approfondire il fossato che divide una parte del mondo, l'Occidente, da quell'altra parte che da questo si sente oppressa, in certi casi umiliata, e che oggi si aggrappa all'islam come speranza di riscatto? E come evitare che in questo contesto la reazione sconsiderata dell'Occidente arruoli masse sempre più numerose fra i simpatizzanti degli estremisti islamici? Come togliere consenso agli agitatori della "guerra santa" come arma legittima dei popoli islamici per punire coloro che, gli Usa innanzitutto, si sono arbitrariamente assunti il ruolo di "gendarmi del mondo"?

RILANCIARE L'ONU
È del tutto evidente che l'Occidente, con la risposta secondo gli schemi consueti, sperimentati dalla fine del bipolarismo in poi, riproponendosi come gendarme del mondo, non fa che aggravare la situazione e annullare gli eventuali successi tattici, peraltro incerti (cattura di Bin Laden, sconfitta dei talibani), in una prospettiva futura di un mondo sempre più devastato dal rancore, dall'odio, dal desiderio di rivalsa e di vendetta. Nell'incertezza del primo mese dopo l'11 settembre si poteva pensare che questa consapevolezza albergasse anche nel gruppo dirigente nordamericano. I meccanismi infernali della guerra, il prevalere necessario della propaganda, sembrano invece aver oggi offuscato la complessità e pericolosità della situazione (ultimo arrivato il nostro paese, impaziente di mostrare comunque i muscoli, con un'irresponsabilità e una leggerezza sconcertanti). Eppure non pare esservi una via di uscita stabile dal drammatico impasse in cui si trova il mondo, se non rilanciando l'idea e la pratica conseguente di un'autorità universale, davvero al di sopra dei particolarismi e rappresentativa non solo delle singole nazioni e popoli, ma anche delle diverse culture, religioni, civiltà, e quindi da tutti riconosciuta. Un'autorità emancipata dai veti delle grandi potenze e dall'ingombrante predominio degli Usa, a cui viene affidato da tutti il compito di regolare i conflitti, di dettare le norme della convivenza, di giudicare con imparzialità chi trasgredisce e di neutralizzare con strumenti efficaci chi è riconosciuto colpevole. Rilanciare l'Onu, quindi. "Utopia pacifista, aria fritta o, peggio, alibi offerto ai terroristi", come dicono in molti? Sappiamo che questa ipotesi, di un sistema di regolazione internazionale dei conflitti, è una vecchia idea circolata inutilmente nel corso del Novecento dopo la prima guerra mondiale, consumata dal prevalere dei nazionalismi e dei fascismi, prima, e dal bipolarismo paralizzante dei due blocchi ideologici, poi. E tuttavia oggi il problema è di straordinaria attualità. L'alternativa è quella dell'unum imperium unus rex, dell'unico gendarme del mondo, gli Usa, con il suo corollario di alleati, che continua ad imporsi con la ragione della forza: ma con quali costi e con quali tragedie per l'umanità, con quali incertezze per un futuro di convivenza pacifica fra i popoli? Oggi per la prima volta potrebbe apparire a tutti più ragionevole e più conveniente, perfino agli Usa, praticare quell'utopia, di un Onu efficace, autonomo, autorevole e realmente rappresentativo del mosaico di popoli e culture presente sul Pianeta.

MISSIONE OGGI

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COSTRUIRE LA PACE


L'11 SETTEMBRE HA MOSTRATO
LA CRISI DEL SISTEMA


RANIERO LA VALLE




Riportiamo ampi stralci di un discorso sulla crisi attuale, tenuto a Palermo nel quadro della "Settimana alfonsiana" dal titolo "Sulla inutilità del cristianesimo".

La vera lezione dell'11 settembre: non si può continuare a governare così il nostro mondo. O si governa con la ricerca del consenso, oppure è un mondo che si frantuma. L'attuale situazione è la crisi del sistema che la nostra civiltà ha prodotto: il sistema del mercato globale, del capitalismo realizzato, del gendarme universale, è esaurito. Si tratta di quell'ordinamento economico, sociale, politico, e dei poteri che lo governano, che a partire dal 1989 ha assunto un'unica dimensione mondiale, e che in realtà è la metastasi dell'Occidente. E al di là di questo, è il sistema della pura oggettivazione, il sistema di produzione-appropriazione-alienazione, il sistema del fare, dell'utile come unica misura dell'essere. La crisi non è cominciata allora. L'11 settembre l'ha rivelata; ma ancora di più ciò che ha fatto seguito a quella tragedia ha mostrato che il sistema non ha in sé le forze per rigenerarsi, non ha né una cultura né un'etica capaci di invertire il corso delle cose e di mettersi in una strada di conversione e di salvezza; e perciò, proprio in questa sua incapacità, il sistema e i suoi poteri mostrano di essere esauriti… Il fattore che ha fatto sì che gli atti di terrorismo dell'11 settembre avessero un risultato così distruttivo è stato l'estrema vulnerabilità e fragilità di sistemi tecnologici, economici e di organizzazione sociale, che pur sembrano corrispondere a una ineccepibile razionalità scientifica. I grattacieli di 110 piani in elevazione e sette sotterranei hanno una sola uscita, il pianterreno, e per di più raggiungibile solo per le scale, essendo gli ascensori i primi ad andare fuori uso. Si può fare a meno dei grattacieli, che sono belli, utili e consoni alla modernità? Il mito della modernità risponde di no. Benissimo, ma allora - questa dovrebbe essere la lezione dell'11 settembre - bisogna stare in pace con tutto il mondo. E se la pace non è possibile, allora il sistema va in crisi. Si può costruire un sistema di aviazione civile mondiale che trasporti milioni di persone, che sia garantito da ogni dirottamento? No, non si può, e allora se si vuole continuare a volare e a vivere così, occorre stare in pace con tutto il mondo. E se non si può stare in pace, allora il sistema è in crisi. È possibile che il denaro, le azioni e ogni altro prodotto finanziario che sono la rappresentazione simbolica di tutti i beni materiali della terra, del cibo, degli strumenti di produzione e di lavoro di tutti, possano essere manovrati, trasferiti da una parte all'altra del globo senza che speculazioni irresponsabili possano travolgere l'economia di interi stati? No, non si può, e allora bisogna fare patti di convivenza più forti degli interessi privati, occorre stabilire regole di coesistenza, cioè di rispetto e garanzia dell'esistenza in vita degli altri, regole che reggano all'urto delle transazioni, al dirottamento dei capitali. E se il sistema non lo consente, allora il sistema è in crisi. È possibile evitare che il mercato, affidato ormai a livello globale alla libera mano del profitto, riduca alla miseria i poveri di tutti i continenti? No, non è possibile, e allora se si vuole continuare col mercato bisogna mettersi d'accordo perché la vita, il nutrimento, il lavoro, la dignità siano accessibili, o almeno restino una speranza per tutti. E se il mercato non lo consente, allora il mercato è in crisi. È possibile condurre guerre decennali contro l'Iraq, contro la Palestina, umiliare e tenere in ostaggio le masse arabe, bandire, esecrare ed uccidere i loro capi, senza che la loro frustrazione, risentimento e rivolta diventino odio contro i poteri vicini e lontani che ne sono responsabili, e divengano terreno dell'estremismo religioso? No, non è possibile. E se non è possibile, allora il potere mondiale è in crisi.

IL DISCERNIMENTO NECESSARIO
Ma allora qual è il discernimento che si dovrebbe fare dinanzi ai 6000 morti delle Twin Towers? È il discernimento di Gesù dinanzi ai 18 cittadini di Gerusalemme morti per il crollo della torre di Siloe, e dinanzi ai galilei caduti vittime del terrorismo di Pilato. Disse Gesù: "Credete che abbiano subito tale sorte perché erano più peccatori degli altri? No, non è così; ma se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo". Gesù non dice: se non vi vendicherete, se non farete giustizia. Dice: se non vi convertirete. Non c'è un rapporto diretto tra il male fatto e il male ricevuto, perciò non si può dire: se lo sono meritato, se la sono cercata. Ma c'è un continuum da male a male, e se non si spezza, se non ci si converte, non si potrà riservare il bene agli uni e il male agli altri, ma tutti periranno allo stesso modo. Ora è proprio nell'assenza di questo discernimento che sta la crisi del sistema. La crisi era già in atto prima che i fatti dell'11 settembre la svelassero. C'era una crisi di consenso manifestatasi nello stesso Occidente, a Seattle, a Genova. C'era una crisi economica. Ma c'erano altre crisi, preannunciate dagli scienziati, che il sistema non ha fatto nulla per fronteggiare: la crisi climatica, le deforestazioni, le desertificazioni, la perdita delle bio-diversità, la crisi dell'acqua… Come reagisce a tutto questo, il sistema? Bush straccia gli accordi di Kyoto; alla crisi dell'energia elettrica in California, risponde togliendo i vincoli ambientali, rilanciando il nucleare, e andando a perforare pozzi nel parco naturale in Alaska. E alla crisi di vulnerabilità rivelata dagli attentati terroristici, reagisce con "una guerra mai vista", una "guerra infinita". Questa reazione, che sembra così irrazionale, in realtà è un'azione di forza attraverso la quale gli Stati Uniti, e i loro più immediati alleati, tendono a prendere il diretto controllo militare e politico del mondo e delle sue risorse, nell'illusione di poter stornare la crisi da sé e addossarla agli altri. È un'ipotesi preconizzata nei piani strategici americani: nelle parole di Brzezinsky, ex consigliere di sicurezza della Casa Bianca, la potenza americana è "indispensabile", non c'è altra alternativa all'anarchia mondiale. In tal modo, il terrorismo solo incidentalmente è il nemico da combattere; in realtà esso diventa l'occasione da cogliere per giocare il tutto per tutto, per assoggettare i paesi ancora non dominati, a cominciare dal Pakistan e dalle repubbliche musulmane dell'ex Unione Sovietica, per stringere i freni all'Europa, per cooptare la Russia, tenere a bada la Cina, e magari chiudere i conti con l'Iraq, e concludere la partita cominciata da Bush padre con la guerra del Golfo per stabilire un nuovo ordine del mondo, una sovranità universale in forma di dominio. Solo che questo non riuscirà, perché gli Stati Uniti hanno abbastanza forza, ma non una cultura per riuscire a dominare il mondo, e il mondo ha ormai una cultura (forse anche per merito dell'Occidente) che non ne permette l'assoggettamento. Dunque su questa strada non c'è il rafforzamento del sistema, ma la sua rovina. La vera lezione dell'11 settembre è che il mondo, anche e proprio perché è un mondo progredito, tecnicizzato e fragilissimo, non si può continuare a governare così; o si governa con la ricerca del consenso, con tutte le mediazioni necessarie e la ricerca incessante delle possibili soluzioni dei problemi, oppure è un mondo che si frantuma, ben al di là dei muri e delle distanze di sicurezza, che si vorrebbero stabilire per salvaguardarne solo delle singole parti.

RANIERO LA VALLE