NO GLOBAL: Agnoletto, siamo il doppio del previsto



da www.ansa.it
ROMA - ''Siamo il doppio di quanto ci aspettavamo, siamo centomila
persone''. Lo ha detto il leader del movimento No Global, Vittorio
Agnoletto, nel momento in cui la testa del corteo arrivava davanti al palco
montato nei pressi della Bocca della verita'.  Agnoletto ha criticato il
servizio pubblico radiotelevisivo, in particolare Raiuno, sostenendo che
''Raiuno continua a dire che siamo in settemila, allora o sono ciechi o sono
in malafede. Chiunque, puo' vedere quanti siamo. E' la terza volta che si
superano le previsioni''.
(ANSA).  10/11/2001 17:34

ROMA - I militari italiani che saranno impegnati nella guerra in Afghanistan
sono stati invitati a disertare o a obiettare. L'appello e' stato  lanciato
loro, nel corso della manifestazione a Roma, dal leader delle 'tute bianche'
Luca Casarini e dal portavoce dei No Global, Vittorio Agnoletto. Gli
italiani, dovrebbero fare 'obiezione fiscale contro le spese militari',
secondo quanto ha aggiunto Agnoletto. 'No alla guerra ilitare economica
sociale', recitava lo striscione di testa del lungo corteo nel centro di
Roma. La manifestazione si e' conclusa a piazza della Bocca della Verita'.
(ANSA).  10/11/2001 19:49


da www.repubblica.it
Un corteo festoso e senza incidenti per il "popolo di Genova"
che rivendica la vittoria. Non ci hanno cancellato", dice Casarini
Centomila contro la guerra
"E adesso sciopero generale"
di ANDREA DI NICOLA
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ROMA - Scelgono la lingua del "nemico" per lanciare lo slogan che li
raccoglie tutti: "Not in my name", mai la guerra in nome mio. Scritto sulla
stoffa, sugli adesivi cantato a ripetizione come un mantra. "Not in my name"
cantano i centomila che hanno sfilato sotto le mille bandiere del popolo di
Genova per dire no alla guerra. C'erano tutti quelli che c'erano nei tragici
giorni di Genova: i centri sociali, gli emigranti, i curdi, l'Arci,
Legambiente, Rifondazione e i Verdi, i giovani dei Ds in polemica con il
loro partito. E il ricordo di quelle giornate girava nel corteo, la prima
volta dopo luglio era un appuntamento delicato ma non è successo nulla.
Qualche grido di "assassini" contro i carabinieri e la sensazione della
vittoria, questa vera, non come quella rivendicata a Genova con i morti ed i
feriti. Una sensazione che pervade la marea e che si materializza intorno
alle 18 sotto al Colosseo quando si fa il raffronto con Piazza del Popolo e
Casarini, che nel cordone dei Disobbedienti, tira un sospiro di sollievo:
"Non ci hanno cancellato. E adesso dobbiamo lavorare con la Fiom per un
obbiettivo ambizioso ma possibile: se continuano con le bombe blocchiamo il
paese con uno sciopero generale".
Vittoria dunque, nei numeri ma anche nel modo in cui si è svolto il corteo.
La lezione dei giorni di luglio è chiara a tutti, a Casarini e ai
disobbedienti ma anche alle forze dell'ordine, defilate, lontane, nascoste
discrete, per non fornire alibi ai pochi incappucciati che comunque giravano
nel corteo come anime perse (sei anarchici erano stati fermati dalla polizia
nel pomeriggio) sconfitti dalla marea di manifestanti che inneggiavano
contro la guerra e che nell'unico momento di confronto con i carabinieri si
sono limitati a lanciare quattro fumogeni e aeroplanini di carta, subito
richiamati indietro dal resto dei manifestanti. Unica "azione" una bandiera
americana bruciata nell'indifferenza generale. E se per quanto riguarda la
tranquillità l'avevano garantita sondando e convincendo anche le parti più
dure del movimento, una riuscita tale della manifestazione non se
l'aspettavano nemmeno loro. "Veramente abbiamo vinto, non ci credevo", dice
il napoletano Francesco Caruso che finalmente dopo un corteo può gioire e
non raccogliere cocci.
Ma prima della sensazione della vittoria ci sono i mille striscioni, quello
di apertura: "No alla guerra, economica, sociale e militare" tenuto dalle
donne in nero, poi i contadini, gli emigrati, i curdi e il loro incitamento
ad Ocalan e dietro, a seguire, i disobbedienti, i centri sociali, i Social
forum di mezza Italia, i giovani dei Ds, dei grandi c'era Cesare Salvi, i
rifondatori con il gruppo dirigente al gran completo. Pochi gli slogan molte
le musiche, quelle del movimento, i rap con il motivo "not in my name", ma
anche "uno di noi" in ricordo di Carlo Giuliani, del "fratello" Carlo
Giuliani, e lo ska di Donatella Rettore.
Il Wto è diventato il "War trade organization" un altro striscione assicura:
"Il cavaliere porta male" con tanto di corno rosso gigante attaccato sopra.
Ma in molti portavano al braccio una fascetta bianca, il simbolo di
Emergency, lo "straccio per la pace". Mentre tutti, da Casarini ai Verdi
chiedevano ai soldati di disertare.
Si arriva al circo Massimo e nella notte si staglia la scritta "No War"
formata con le fiaccole. Il corteo cerca di entrare nella piccola piazza
della bocca della verità ("Glielo avevo detto io ai romani che ci serviva il
circo Massimo, non si sono fidati", borbotta Caruso), e i disobbedienti
cantano parodiando lo sglogan dei tifosi romanisti: "Che ce frega di Rutelli
noi c'avemo Casarin, Casarin...". Mentre gli altri cantano: "Andiamo al
Parlamento". Momenti di panico, vuoi vedere che vogliono sfondare? Poi si
capisce: "Nel senso che noi rappresentiamo il Paese reale". E mentre un
partigiano porta il suo saluto ai giovani del movimento Caruso chiede: "Si
mettano una mano sulla coscienza e i deputati della sinistra che hanno
votato per la guerra, si dimettano". Adesso Genova è davvero passata.
(10 novembre 2001)