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La nonviolenza e' in cammino. 281
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 281
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 7 Nov 2001 05:52:19 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 281 del 7 novembre 2001 Sommario di questo numero: 1. Impedire la fine del mondo 2. Donne in nero: no alla guerra, da Roma 3. Peppe Sini: no alla guerra, da Orte 4. Giobbe Santabarbara: no alla guerra, da Viterbo 5. Forum permanente per la pace: no alla guerra, da Ferrara 6. I consiglieri provinciali DS: no alla guerra, da Verbania 7. Alvise Alba: no alla guerra, da Alba 8. Da tutta Italia: no alla guerra 9. Giovanni Scotto, alla guerra diciamo no 10. Amelia Alberti, quando le guerre si scatenano 11. Raniero La Valle, americani 12. Toni Maraini intervista Assia Djebar 13. Come e perche' prepariamo un volantino e un volantinaggio 14. Johan Galtung, quindici forme della lotta nonviolenta in Gandhi 15. Per studiare la globalizzazione: da Vito Volterra a Colin Ward 16. La "Carta" del Movimento Nonviolento 17. Per saperne di piu' 1. IL PUNTO. IMPEDIRE LA FINE DEL MONDO Impedire la fine del mondo: e' tutto qui. La pace, il diritto, la vita degli esseri umani, la vita dell'umanita': tutto cio' che ci sta a cuore. Occorre fermare la guerra illegale e criminale, ooccorre contrastare e sconfiggere il terrorismo con la forza del diritto internazionale, occorre difendere la vita e la dignita' umana. Occorre impedire la fine del mondo. E' tutto qui. Occorre la scelta della nonviolenza. Chiamiamo tutti ad opporsi alla guerra e al terrorismo, in difesa della legalita' costituzionale, in difesa del diritto alla vita, in difesa della civilta' umana. Chiamiamo tutti ad opporsi alla guerra e al terrorismo: con l'azione diretta nonviolenta, con la disobbedienza civile, con lo sciopero generale. 2. OGGI. DONNE IN NERO: NO ALLA GUERRA, DA ROMA [Da Nadia Cervoni (giraffan at tiscalinet.it) riceviamo e diffondiamo] Mercoledi 7 novembre, dalle 13 alle 15,30 sit-in di protesta in piazza Montecitorio, davanti al parlamento, a Roma; mentre sara' in corso il dibattito e il voto parlamentare sulla partecipazione dell'Italia all'azione di guerra contro l'Afghanistan. La bandiera italiana non sara' il nostro chador. Siamo in guerra? No, facciamo la guerra. Il governo italiano ha formalmente chiesto agli Stati Uniti d'America, il permesso di partecipare alle operazioni militari contro l'Afghanistan. - Contro Osama bin Laden, che non e' afghano; - contro i Talebani, al potere con un regime imposto con le armi e subito dalla popolazione tutta; - contro la popolazione civile afghana, donne, uomini, bambine e bambini, vittime di quelle stesse armi la cui produzione costituisce un'importante voce di bilancio per molti paesi occidentali e orientali, di religioni e culture diverse, accomunati dalla ricerca di un profitto alimentato dall'ingiustizia. Il permesso e' stato accordato e su questa base il Parlamento italiano e' chiamato a votare. Perche' non ci sia un ulteriore grave strappo alla Costituzione italiana, perche' l'art.11 "l'Italia ripudia la guerra" non venga ancora una volta violato, perche' la costruzione di una cultura di pace attraverso una politica di giustizia, di dialogo e di confronto non subisca l'ennesimo attentato, e' necessario senza se e senza ma dire no alla guerra. La politica che non combatte la fame dando cibo, che non combatte la sete dando acqua, che non combatte le violazioni riconoscendo diritti, e' una politica che persegue lo sterminio della dignita' sociale e individuale di ciascuna e ciascuno di noi. Per mantenere la nostra striscia di futuro fatta di pace, di liberta' e di nonviolenza e' necessario continuare a manifestare il nostro antimilitarismo e impedire che l'esercito che va alla guerra si appropri delle nostre vite. 3. OGGI. PEPPE SINI: NO ALLA GUERRA, DA ORTE Oggi a Orte presso il liceo scientifico si svolge il quinto incontro del corso di educazione alla pace. Sara' il nostro modo di dire no alla guerra, no al terrorismo, no alla barbarie, no a tutte le uccisioni. Sara' il nostro modo per chiedere pace e giustizia, dignita' e diritti per tutti gli esseri umani. 4. OGGI. GIOBBE SANTABARBARA: NO ALLA GUERRA, DA VITERBO Oggi pomeriggio saremo in piazza a Viterbo, donne e uomini di pace di diverse provenienze e culture, per dire no alla guerra, no al terrorismo, no al razzismo; per chiedere tutti i diritti umani per tutti; per affermare che il popolo italiano e' contro la guerra, la legge fondamentale del nostro paese e' contro la guerra, il cuore e la ragione di ogni essere umano di volonta' buona e' contro la guerra. Con la guerra tutto e' perduto. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'. 5. OGGI. FORUM PERMANENTE PER LA PACE: NO ALLA GUERRA, DA FERRARA [Da Elena Buccoliero (e.buccoliero at comune.fe.it) riceviamo e diffondiamo] Il Forum permanente per la Pace di Ferrara si appella ai parlamentari ferraresi, ai consiglieri provinciali, comunali, circoscrizionali dell'intero territorio provinciale affinche' nei loro diversi ruoli si adoperino per far prevalere nella lotta al terrorismo la logica del diritto sulla guerra, della giustizia sulla vendetta. Chiediamo loro di portare dentro le istituzioni il rifiuto della guerra e della partecipazione diretta del nostro paese alla guerra in corso in Afghanistan; una guerra che sta producendo vittime civili, milioni di profughi, miseria, distruzione, odio religioso ed etnico. Una guerra che non colpisce le radici del terrorismo. Una guerra dai tempi e dagli esiti estremamente incerti che sta rendendo impossibile portare aiuti umanitari alle popolazioni civili e sulla quale non vi e' una informazione chiara e sufficiente, nemmeno rispetto la sua presunta efficacia militare. Mentre il terribile inverno afghano e' alle porte e l'Onu denuncia il rischio di milioni di morti per fame, freddo e malattie; mentre sarebbe necessario lavorare per il "cessate il fuoco", ecco che, invece, la guerra si intensifica ulteriormente e l'Italia ottiene, dopo ostinata e miope insistenza, la possibilita' di parteciparvi direttamente con armi e soldati. Chiediamo a tutti voi che siete nelle istituzioni di non piegarvi alla logica della propaganda di guerra, di non eliminare il pensiero critico, di lavorare per la pace. Vi chiediamo di scegliere la politica, non la guerra. 6. OGGI. I CONSIGLIERI PROVINCIALI DS: NO ALLA GUERRA, DA VERBANIA [Da Gianni Desanti (desanti.omegna at tin.it) riceviamo e diffondiamo] I sottoscritti consiglieri provinciali dei Democratici di Sinistra, appreso della scelta di inviare una task force italiana a sostegno delle forze armate americane e inglesi impegnate nella guerra in Afghanistan, esprimono il loro dissenso e invitano le forze dell'Ulivo a dissociarsi da questo intendimento fin dal prossimo dibattito parlamentare. Le forme di un intervento umanitario non possono concretizzarsi nell'invio di una portaerei, di unita' navali e attrezzature predisposte a compiere atti di guerra piuttosto che iniziative di pace. Questa posizione tiene conto anche dell'ordine del giorno approvato a maggioranza assoluta dei votanti dal Congresso Provinciale dei Democratici di Sinistra e del documento approvato dal Consiglio provinciale del Verbano, Cusio, Ossola subito dopo l'attentato terroristico dell'11 settembre 2001. Sottoscrivono il presente documento tutti i componenti del Gruppo Consiliare Provinciale dei Democratici di Sinistra: Gianni Desanti, Nadia Gallarotti, Tiziano Pera, Paolo Ravaioli e Claudio Sonzogni. 7. OGGI. ALVISE ALBA: NO ALLA GUERRA, DA ALBA [Da Maria Chiara Tropea e da Alvise Alba (a.alba at areacom.it) riceviamo e diffondiamo] Mercoledi 7 ottobre, ad Alba in via Maestra (davanti a S. Damiano), dalle 10 alle 19 si potra' firmare una dichiarazione di opposizione alla guerra in corso e alla partecipazione dell'Italia, il cui testo e' riportato in fondo a questo messaggio. Le firme raccolte saranno inviate a Ciampi, Berlusconi e Rutelli e consegnate al Sindaco. Altre iniziative sono in cantiere. Al tavolo si trovera' un documento di riflessione e una lettera (da un testo di Enrico Peyretti) da inviare personalmente al Presidente Ciampi (allegati dopo il testo per la raccolta firme). Venerdi 9 manifestazione degli studenti, aperta a tutti; segue, il pomeriggio presso la scuola elementare di via fratelli Ambrogio, un'assemblea con Beppe Marasso. * Testo per la raccolta delle firme Al presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi Al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi Al Capo dell'opposizione, Francesco Rutelli Non potete fare la guerra a nome dell'Italia. L'Italia ripudia la guerra: e' scritto nella Costituzione alla quale avete giurato fedelta'. Proprio per il rispetto che portiamo alla Patria (e a tutte le Patrie) diciamo no alla guerra con la stessa convinzione con cui diciamo no al terrorismo. Se farete la guerra non avrete da noi ne' consenso ne' collaborazione. - non accetteremo restrizioni dei diritti civili; - vi riterremo responsabili dei lutti e delle distruzioni che dovremo subire e di quelli che infliggerete allo sventurato popolo afghano. Se farete la guerra, non sara' a nostro nome. * Documento di riflessione: Contro il terrorismo senza guerra Ci sono molti buoni motivi per dire no alla guerra: 1. Non e' una guerra di legittima difesa; le vittime di questa guerra sono - come sempre ormai - quasi tutti civili innocenti (come quelli morti l'11 settembre): e' una vendetta? 2. Stiamo assistendo all'accanimento dell'esercito piu' forte del mondo contro uno dei paesi piu' poveri, mentre gli straricchi mandanti della strage di New York, che hanno mandato dei disperati a morire uccidendo, restano indenni: e' un conflitto fra ricchi e forti che si combattono uccidendo e mandando a morire i poveri e i disperati. 3. Violenza chiama violenza: la guerra contro l'Afghanistan sta scatenando violente reazioni contro l'"occidente" in molti altri paesi: se si continua a rispondere nello stesso modo c'e' il rischio di avviarsi ad un conflitto generalizzato, dagli sviluppi inimmaginabili. 4. La difficolta' oggettiva di vincere questa guerra richiede l'aumento di intensita' degli attacchi; c'e' il rischio reale di passare all'uso di armi nucleari, che e' gia' stato ipotizzato anche ad alti livelli: un conflitto nucleare generalizzato sembra un prezzo ragionevole da pagare per fermare i terroristi? 5. Il fondamentalismo islamico, sentendosi attaccato, si sta compattando e quindi si rafforza e diventa piu' minaccioso; per reazione si fortificano spinte integraliste anche nell'occidente. C'e' il rischio di una pericolosa contrapposizione fra religioni. 6. Sembra che i terroristi siano presenti e ben protetti in molti paesi del mondo (compreso il nostro, e gli USA): una guerra non puo' sconfiggere un fenomeno cosi' diffuso e nascosto. 7. Fin dall'inizio dei bombardamenti e' stato detto che molti fatti sarebbero rimasti segreti o comunicati in modo distorto. Tuttora non sono state rese note le "prove" della colpevolezza dell'Afghanistan che viene bombardato. Un'opinione pubblica democratica e laica non puo' sostenere una guerra semplicemente "per fede". 8. Per fare la guerra occorre demonizzare l'avversario: ci stiamo condannando a non conoscere, a non capire, a odiare una gran parte dell'umanita' (e in essa noi stessi e l'umanita' intera). Ma di fronte ad un attacco brutale come quello dell'11 settembre bisogna reagire subito. E' vero: ma la guerra e' l'unico strumento che abbiamo? No, per fortuna ci sono molti modi per lottare contro il terrorismo impegnando in modo alternativo le enormi risorse umane ed economiche oggi assorbite dalla guerra: 1. Ratificare tutti immediatamente la convenzione per un tribunale internazionale che persegua e giudichi i responsabili di crimini terroristici e contro l'umanita'. E renderlo operativo con la collaborazione delle forze di polizia di tutti i paesi. 2. Applicare con coraggio e rigore le leggi esistenti, per combattere in modo democratico le varie mafie, che sono i principali fiancheggiatori del terrorismo. 3. Limitare drasticamente la vendita di armi (pesanti e leggere) sia agli stati che ai privati, applicando la legge 185 e impedendo traffici illeciti; e riconvertire l'industria bellica ad usi civili. 4. Abolire subito il segreto bancario e i "paradisi fiscali" per individuare e "congelare" tutte le risorse economiche delle mafie e dei terroristi. 5. Impegnarsi per l'abolizione dei servizi segreti, per i legami storici con varie forme di terrorismo e totalitarismo: una vera democrazia e' del tutto trasparente. 6. Ricordiamo che ogni giorno 35.000 bambini muoiono di fame: dall'11 settembre sono piu' di due milioni. Occorre togliere al terrorismo il pretesto di lottare per la giustizia e il consenso di popolazioni disperate. Per far questo si puo' agire, nei paesi che "favoriscono il terrorismo", in vari modi: - smettere di sostenere e riverire le classi dirigenti corrotte ed ultraricche, legate agli interessi della grande economia mondiale; - favorire l'alfabetizzazione e la coscientizzazione dei poveri; - sostenere le organizzazioni umanitarie locali, le lotte di liberazione delle donne, i partiti democratici sovente perseguitati (anche dando rifugio politico ai loro leader); - finanziare progetti di sviluppo locali, decentrati, con forti ricadute sociali, creando a questo scopo un fondo costituito attraverso la tassazione di tutte le transazioni e speculazioni finanziarie; - smettere le politiche di embargo che si ritorcono drammaticamente sulle popolazioni. 7. Impegnarsi per la soluzione del conflitto arabo-israeliano, fonte di profonde umiliazioni e disperazione, terreno di coltura di fanatismo e terrorismo. 8. Far funzionare l'Onu, riformandola in modo da sottrarla al ricatto delle nazioni piu' forti e dotandola di effettive forze di polizia internazionale. 9. Promuovere scambi culturali, dialogo, conoscenza, nel rispetto delle differenze. Alba, 5 novembre 2001 Documento in fase di discussione nel "Coordinamento Gruppi per una Giustizia Solidale", c/o Cooperativa Quetzal, Corso Langhe 17. * Lettera a Ciampi Al Presidente della Repubblica on. Carlo Azeglio Ciampi, Palazzo del Quirinale, 00186 Roma Signor Presidente della Repubblica, se l'Italia si dichiara in guerra, io non sono con questa Italia. Non e' lecito a me cittadino obbedire a questa decisione che non produce giustizia e sicurezza, ma vendetta indiscriminata e maggiore pericolo. La guerra non realizza la giusta solidarieta' alle vittime dell'11 settembre, ma causa tante nuove vittime innocenti, nuovi immensi dolori e prolunga la dannata catena di odio e vendetta. Il governo non sa vedere le alternative giuste e sagge alla guerra, e cade nella trappola della violenza. La guerra, lungi dallo stroncarlo, imita e favorisce il terrorismo. E' mio primario dovere umano e civile dissociarmi ed oppormi, in tutti i modi nonviolenti possibili, a questa decisione immorale, illegittima e folle. Questa protesta e' un nuovo appello fiducioso a Lei in quanto primo garante della nostra Costituzione giusta e pacifica che obbliga l'Italia, cioe' noi tutti, a "ripudiare la guerra (...) come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali". Firma e indirizzo postale completo. 8. OGGI. DA TUTTA ITALIA: NO ALLA GUERRA Oggi si svolgeranno anche numerosissime altre iniziative contro la guerra in molte citta' e paesi d'Italia: e' impossibile per noi dar conto delle tante, tantissime inizative di cui in queste ore si sta diffondendo notizia. Ed e' un buon segno: i parlamentari, i governanti, il capo dello Stato si fermino a considerare. Meditino sul fatto che tanti cittadini italiani scendono nelle piazze per difendere la Costituzione che chi governa ha tradito; meditino sul fatto che tanti cittadini italiani si stanno esprimendo per la pace e il diritto, per la legalita' e l'umanita', per salvare le vite umane e salvare la civilta' umana. Meditino i complici e gli esecutori della guerra illegale e stragista, e recedano dal loro crimine. 9. RIFLESSIONE. GIOVANNI SCOTTO: ALLA GUERRA DICIAMO NO [Giovanni Scotto e' uno dei piu' prestigiosi peace-researcher italiani. Per contatti: gscotto at zedat.fu-berlin.de] Dopo quattro settimane, la guerra di USA e Gran Bretagna in Afghanistan si sta rivelando senza esito. La macchina militare statunitense, come sappiamo gia' dalla guerra del Golfo e dall'intervento Nato in Kosovo, conosce soltanto una strada: aumentare la pressione - ovvero la quantita' di morte e distruzione prodotta nel paese che si colpisce - finche' l'avversario non cedera'. Ma questa guerra e' diversa. Viene detto che e' iniziata l'11 settembre con l'attacco spietato contro migliaia di cittadini statunitensi inermi. In realta', e' fuorviante chiamare guerra gli atti dell'11 settembre: si tratta della prima comparsa di un terrorismo globale - barbaro e violento come ogni altro terrorismo - ma compiuto da individui, e che andrebbe combattuto con gli strumenti della giustizia e del diritto. Al terrorismo globale la superpotenza USA ha deciso di rispondere con la guerra. Da quattro settimane gli aerei e le navi del piu' ricco e potente paese del mondo bombardano le milizie fondamentaliste che qualche anno fa - con il sostegno degli stessi USA e dei loro alleati nella regione - hanno conquistato il potere nel paese forse piu' povero e devastato del mondo. Nessuno pero' ha spiegato in maniera convincente qual e' il nesso tra la guerra in Afghanistan e le azioni terroristiche dell'11 settembre, perpetrate da cittadini sauditi, addestratisi negli USA e finanziati con tutta probabilita' da gruppi sauditi. Il signor Bin Laden si trova in territorio afghano, ma questo non basta per giustificare distruzioni, vittime civili e soprattutto il rischio concreto di una "catastrofe umanitaria" e la morte per fame di milioni di persone questo inverno. Questa guerra ha poco a che fare con l'autodifesa, perche' al massimo in Afghanistan esistevano alcuni centri della rete di Al Qaeda. Ne' giustifica gli attacchi la necessita' di prevenire nuovi reati: i terroristi sono organizzati in una rete di dimensioni globali, che certo non potra' essere debellata con i bombardamenti. E la preparazione dell'11 settembre, come sembra ormai chiaro, non e' certo stata effettuata nel deserto afghano - semmai nelle scuole di volo della Florida. In questi giorni anche le istituzioni italiane hanno deciso di intervenire militarmente a fianco dell'alleato piu' potente. In parlamento una larga maggioranza ha appoggiato l'invio di truppe, navi ed aerei per sostenere "la lotta contro il terrorismo". Nessuno sa cosa questo vuol dire. Ne' e' molto chiaro quale utilita' possano avere i militari italiani a sostegno della superpotenza globale statunitense. Questa guerra e' un'avventura; e' illegale per la nostra Costituzione e per la Carta dell'Onu; gli strateghi che l'hanno decisa non hanno nessuna idea di come terminarla; l'attacco militare non servira' a fare giustizia; la guerra, tra l'altro, e' esattamente cio' che il signor Bin Laden e i suoi complici volevano. In conlusione: questa guerra non si giustifica secondo il diritto internazionale, ne' secondo principi etici, ne' tantomeno dal punto di vista del realismo politico e dell'interesse nazionale. Alla guerra diciamo no, e invitiamo tutti i cittadini e le cittadine a dire un no chiaro e forte, a organizzarsi per far sentire la propria voce, fare pressione sui detentori del potere e preparare le necessarie alternative nonviolente per opporsi al terrorismo. Alle persone che lavorano nelle forze armate chiediamo di verificare seriamente se questa guerra e' in armonia con i principi morali e con l'amore di patria che essi possiedono. In caso contrario, non manchera' certo agli obiettori di coscienza contro la guerra il sostegno morale e materiale di tanti amici e amiche della pace. 10. RIFLESSIONE. AMELIA ALBERTI: QUANDO LE GUERRE SI SCATENANO [Amelia Alberti e' presidente del circolo verbano di Legambiente, per contatti: lambient at tiscalinet.it] Se, in tanta angoscia, esiste un conforto per me, e' quello di essere donna: essere donna, quando le guerre si scatenano e il testosterone (quello stesso testosterone che spinge un uomo ad avvicinare una donna e ad amarla) affiora a deformare e indurire e rendere irriconoscibili i lineamenti maschili di chi afferma essere lecito e doveroso e giusto uccidere, ferire, affamare altri esseri (i nemici), del tutto simili a lui, che soffrono quando hanno fame, freddo, paura, e gli si spacca il cuore, se non hanno cibo per i loro figli, per i genitori, oppure se una scheggia tronca loro un braccio, una gamba, la vita. A causa di motivi genetici per gli uomini e' piu' difficile che per le donne dichiararsi ed essere nonviolenti (la loro ragione deve prendere in mano l'istinto e piegarlo al suo volere). Sia onore agli uomini che non si lasciano travolgere dai venti guerreschi, perche' hanno scelto di esaltare la loro virilita' in opere dell'ingegno, in atti d'amore e di solidarieta'. 11. RIFLESSIONE. RANIERO LA VALLE: AMERICANI [Ringraziamo Raniero La Valle per averci messo a disposizione come anticipazione il suo articolo che comparira' sul prossimo numero del quindicinale "Rocca" (una delle migliori riviste italiane). Raniero La Valle e' una delle figure piu' luminose della cultura della pace. Per contatti: raniero.lavalle at tiscalinet.it] Era dal 10 giugno 1940 che un governo non convocava una grande manifestazione di piazza, nella quale poter dire con orgoglio: "L'Italia e' in guerra". Infatti l'Alleato, esaminata la pratica, ci ha concesso di schierare anche le nostre navi e i nostri aerei. Tuttavia, questa volta, la piazza e' cambiata. Lo slogan sul quale e' stata indetta la manifestazione del 10 novembre e': "siamo tutti americani". Il concetto, come molti hanno visto, e' stato istericamente riproposto nelle trasmissioni di precetto di Bruno Vespa. Ma che cosa vuol dire: "siamo tutti americani"? Anzitutto bisogna scoprire l'origine di tale nuovo concetto politico. Anche qui (come per quasi tutti i concetti politici del pur laico e non fondamentalista Occidente) si tratta di un concetto teologico secolarizzato, ed anzi si tratta della secolarizzazione e neutralizzazione di un tema messianico (Schmitt, Agamben). E' il tema della scomparsa di tutte le distinzioni nella grande assemblea dei popoli nel tempo messianico (Isaia), quando i popoli, pur camminando ciascuno col suo dio, non alzeranno piu' la spada l'uno contro l'altro e non impareranno piu' l'arte della guerra (Michea). E' il tema paolino per cui non c'e' piu' Greco o Giudeo, Barbaro o Scita, poiche' chiunque invochera' il nome del Signore sara' salvato; ed e' la scelta paolina di farsi "giudeo con i giudei, debole coi deboli", per "guadagnare" i giudei e guadagnare i deboli. Naturalmente nella trasposizione dal contesto religioso originario al contesto politico e profano di oggi, si perdono tutti i significati di novita', gli dei combattono di nuovo l'uno contro l'altro e la bella notizia messianica e' rovesciata nel nostro arruolamento e identificazione con una parte che alza la spada contro l'altra. Tuttavia, anche cosi' secolarizzato e ridotto, il concetto non e' svuotato di ogni significato reale. "Siamo tutti americani" significa che anche noi ci sentiamo colpiti dall'attacco al Pentagono e alle due Torri, e che anche noi siamo responsabili della risposta che gli si da'; e infatti entriamo nella stessa guerra. Cio' pero' ci legittima a parlare come se fossimo americani. La prima cosa che pertanto possiamo dire e' che siamo pessimamente governati. Perche' se prima il terrore ci era minacciato da un nemico esterno che tuttavia ci poteva colpire ogni tanto e con estrema difficolta', ora il terrore ci viene quotidianamente e con estrema facilita' somministrato dalla Casa Bianca e dai suoi ministri; ora e' l'antrace, ora sono i ponti, ora sono i tunnel, ora e' la maratona, domani saranno gli stadi, i teatri, le scuole, gli asili, i treni; gli allarmi suoneranno dappertutto e non avremo piu' pace. Certo, se non si facesse cosi', quando poi un attentato ci fosse davvero l'"intelligence" ci farebbe una brutta figura. Ma intanto ci terrorizza. Poi c'e' da dire che come americani abbiamo sbagliato nemico. Almeno l'Afghanistan e' un nemico esterno, adesso si sa anche dov'e', si puo' bombardare ben bene e alla fine perfino vincerlo. Ma elevare al rango di nemico il terrorismo, significa creare un nemico universale, onnipresente, esterno ed interno, palese e nascosto, latente e sempre pronto all'esercizio, unico dall'Irlanda alla Cecenia, dall'Iraq alla Palestina, dal Kashmir alle Filippine, cancellando le differenze tra le singole lotte e le diverse ferite che sanguinano; e in tal modo lo si mette in casa, lo si interiorizza, lo si sospetta in ogni volto straniero o anche semplicemente sconosciuto. Universale il nemico, universale la guerra, universale la militarizzazione, universale il passaggio dai codici di pace ai codici di guerra. E cosi', col terrore, in nome del terrore e contro il terrore si governa, e si trasforma la vita quotidiana, la societa' dove bene o male ce la cavavamo, in un inferno, che e' il solo luogo dove il male non ha bisogno di altre spiegazioni. Di questo ci potremmo lamentare, come americani. E anche di aver esibito questa immagine di un'America puritana, farisea, che si ritiene la migliore e piu' giusta, benefica per l'intera umanita', stupita di non essere amata. Forse, come americani d'oltremare, che il mondo lo conosciamo un po' di piu' (almeno se ne parla sui nostri giornali) potremmo dire ai nostri concittadini della Madre Patria che c'e' poco da stupirsi, perche' cio' che a questo mondo non abbiamo dato, insieme ai soldi delle nostre eventuali elemosine, e' la giustizia, e cosi' come lo abbiamo ridotto, e vorremmo che non si muovesse, e' un orrore. 12. MAESTRE. TONI MARAINI INTERVISTA ASSIA DJEBAR [Questa intervista ad Assia Djebar e' apparsa sul quotidiano "Il manifesto" del 6 novembre. Assia Djebar e' una delle piu' grandi intellettuali viventi] Assia Djebar vive attualmente a New York dove da quest'anno insegna letteratura francese e franco-maghrebina alla New York University. Di passaggio a Bologna - dove ha partecipato alla serata conclusiva del progetto "La Parola Immaginata" curato da Stefano Tassinari e allestito al Teatro Itc di San Lazzaro - Assia Djebar parla con quel coinvolgimento intenso nel contempo stranamente frammentato e silente che l'accompagno' negli anni piu' oscuri della crisi algerina. La sua reticenza a parlare a caldo dell'attualita' algerina suscito' allora molte perplessita'. Oggi, non ama parlare della guerra in corso. Ma chi la conosce sa che la parola ha per lei un tempo interiore di gestazione, di rimuginazione, di decantazione degli eventi, e che emerge poi nei suoi scritti seguendo la parabola di un percorso dove tutto si sedimenta e niente si perde. Incontro Assia Djebar in una trattoria alla periferia di Bologna. Non ci vedevamo da quando era stato allestito l'anno scorso a Roma, al Teatro India allora diretto da Mario Martone, lo spettacolo tratto dal suo testo Figlie di Ismaele nel vento e nella tempesta. "Quel testo e' oggi piu' che mai attuale", commenta Assia Djebar. In verita', delle figlie di Ismaele vagano oggi erranti nel vento e nella tempesta. Poi, bevendo un caffe', vince stanchezza e reticenze, e la nostra intervista prende forma partendo da New York, una strana New York/Algeria, ennesimo luogo d'esilio per Assia Djebar eppure scenario di un suo inatteso confronto con un tragico conflitto che le e' familiare. Toni Maraini: Ancora una volta, mi parli d'esilio, ma di un esilio che ti riporta nel cuore di un conflitto che credevi lasciarti alle spalle. Assia Djebar: Il mese scorso a New York, in occasione della presentazione dell'edizione americana del mio libro Le Blanc de l'Algerie (1995; in italiano, Bianco d'Algeria, Il Saggiatore, Milano 1998), l'editore mi ha accolta, su un tono semiserio, con un "Benvenuta in Algeria...". Proprio cosi'; la storia mi perseguita, anche a New York, con le sue tragedie e con l'integralismo. Mi porta ancora una volta ad essere testimone, come se la distanza di New York con l'Algeria fosse stata cancellata. Ho ritrovato la condizione della tragedia e del dolore, di un dolore che ho cercato di condividere al quotidiano con i newyorchesi. Eppure, quando gli algerini chiedevano sostegno e aiuto all'Europa, fummo abbandonati alla nostra sorte, perfino la sinistra francese sostenne che avremmo dovuto lasciarci governare dai partiti fondamentalisti. Il timore, dopo il cataclisma dell'11 settembre scorso, e' quello di una violenza che si contrappone alla violenza...; penso che il modo in cui sara' gestita questa crisi determinera' il corso del dopo-cataclisma. Io vorrei tanto fare astrazione da tutto e immergermi nella New York che mi riconforta, quella degli studenti, della riflessione, delle discussioni e dei confronti, quella delle mie ore dedicate a scrivere. Seppure in esilio, rimango ancorata al mio lavoro sulla memoria algerina; avevo bisogno di uscire dal contesto franco-algerino ed ero felice di andare a vivere in una citta' multiconfessionale, una di quelle citta', come e' Sarajevo in dimensioni piu' piccole, veramente pluriculturale. Poi c'e' stato l'11 settembre... T. M.: Eri a New York? A. D.: Si'. Mi ero alzata presto per lavorare ai miei appunti prima di andare al mio corso all'Universita'. All'arrivo a New York mi era stato dato un appartamento proprio la', vicino a Washington Square. Un privilegio essere in quel quartiere dove aleggia uno spirito particolare, dove ho passato ore a scrivere seduta al caffe' "Dante"... Senza dimenticare la mia ricerca per il libro su Sant'Agostino, avevo ripreso questa estate a lavorare a un libro su una combattente algerina della guerra di liberazione originaria della citta' di Cherchell, che nel romanzo evoco col nome antico di Caesarea. Cosi', stavo scrivendo... Non ho televisione e non ascoltavo la radio. Mentre scrivevo sentivo un crescendo di fragore e d'ambulanze. Non capivo cosa stesse succedendo; la mia finestra non da' verso le Torri. E' stato soltanto quando dei colleghi mi hanno telefonato per avvisarmi e dirmi che tutte le lezioni erano sospese che ho saputo cos'era accaduto. Allora sono uscita e ho camminato per ore nel quartiere, mi sono avvicinata al luogo del disastro; ho cercato di capire, essere presente, partecipare umanamente. Per tutta la settimana ho camminato lunghe ore, non riuscivo piu' a scrivere, sono rimasta tra la gente; volevo condividere dolore e sgomento. Ancora una volta, mi sono trovata ad essere una testimone contro l'integralismo, sono ripiombata nel cuore di accesi dibattiti, di una situazione conflittuale. T. M.: Hai avuto problemi in quanto algerina? A. D.: No, mai, in quella parte della citta', mai. Ma ho ricevuto telefonate inquiete di colleghi e studenti preoccupati per me. Fuori New York, soprattutto negli stati del Sud, vi erano stati episodi razzisti e aggressioni - non soltanto verbali - a luoghi di culto e a persone musulmane; dei Sikh erano stati attaccati forse soltanto per il loro aspetto "orientale". Ma New York e' un luogo speciale e mi sono sempre sentita sicura. Ho partecipato a discussioni e dibattiti, a un sincero bisogno di capire gli eventi in corso. T. M.: Sei riuscita a fare capire come stanno le cose a riguardo dell'integralismo? A. D.: Al di fuori della dimensione universitaria non e' semplice. Sono stata sommersa da e-mails che chiedevano mie interventi sulle donne afghane o sull'islam... Ma e' desolante, non si puo' passare la vita a dare sempre le stesse risposte ovvie e basilari, non possiamo noi scrittori e intellettuali musulmani eternamente ricominciare a spiegare, per tappare i buchi della disinformazione (io per esempio non credo alla pista "islamica" dell'antrace), di media non preparati e talvolta tendenziosi. Lo ripeto, non possiamo fare da istitutori ribadendo sempre cose basilari. Ho visto l'altro giorno sul "New York Times" un lungo testo, che - lo confesso - non sono riuscita a leggere per intero, di una giornalista italiana, non ricordo il nome... T. M.: Oriana Fallaci... A. D.: Si'. Ma chi e'? ho pensato si trattasse di una collaboratrice dei rotocalchi scandalistici, della stampa a sensazione, ma mi e' stato risposto che si tratta di una giornalista famosa. Come ha potuto scrivere un testo cosi' infarcito di disinformazione e denigrazione, di disprezzo, di ignoranza sulla storia della civilta' musulmana, omologando il fondamentalismo - fenomeno che si manifesta all'interno di tutte le religioni - alle diverse realta' dell'islam e del mondo musulmano? E cosa mi dici mai? non posso credere che alcuni hanno proposto in Italia che questo testo sia diffuso nelle scuole. Com'e' possibile? T. M.: Si allinea con la funesta teoria di Samuel Huntington sul preteso "scontro tra civilta'". A. D.: Io parlerei piuttosto, come scrive Edward Said, di uno "scontro tra ignoranze", tra mondi che si misconoscono e comunicano male. Cosa vuol dire "scontro" o shock tra civilta'? Chi e' amico o in conflitto con chi? Come mai uno dei piu' grandi amici dell'Occidente e' l'Arabia Saudita che noi, musulmani, sappiamo essere una teocrazia per nulla illuminata? E come mai i suoi piu' severi critici siamo proprio noi e non l'Occidente... Mi ricordo che a Berlino nel 1989 davanti una platea affermai che cosi' come si era messo al bando il Sudafrica per l'apartheid razziale bisognava mettere al bando l'Arabia Saudita per l'apartheid alle donne... Mi ascoltarono come se stessi vaneggiando. Allora ammettiamolo, il problema e' innanzitutto economico; se i paesi musulmani d'Africa, Medio Oriente e Asia non avessero il petrolio, l'Occidente li ignorerebbe. Ci lascerebbe ai nostri problemi che sono problemi interni e molto diversi tra di loro. L'islam non connota un blocco unitario, i paesi musulmani sono molto diversi tra di loro, esistono diverse classi, correnti politiche e realta', esistono le borghesie, la laicita'... Dopo il periodo glorioso e emancipatore - anche per le donne - della Nahdha (o del Risveglio del mondo arabo), l'economia del petrolio, l'oppressione coloniale, il dirigismo autoritario di stampo socialsovietico, il risveglio del fondamentalismo hanno ritardato il processo di modernizzazione. Il problema e' li'. Il conflitto per noi e' interno, non contro un'altra civilta'. T. M.: Allora, come vedi la guerra in corso? A. D.: Nei dibattiti, le opinioni sono diverse, come all'epoca della guerra nel Kosovo o della ex-Jugoslavia. Intervenire, non intervenire, e come? Questa guerra non riesco a pensarla, non riesco a vederla. A me viene in mente soprattutto il raduno dei giovani americani iniziato l'11 sera stesso a Washington Square; un raduno con slogans religiosi, certo, e patriottici, ma soprattutto di grande dignita' pacifista in cui si ricordava che non serve rispondere alla violenza terroristica con una guerra. Poi, all'inizio dei bombardamenti, mi sono detta, ecco, dopo dieci anni dalla guerra del Golfo, rieccoci, tutto ricomincia da capo... Ma le incognite, oggi, sono maggiori. In quanto intellettuale algerina penso che il mio dovere e' soprattutto quello di riflettere, congiuntamente ad altri intellettuali del mondo musulmano, sui problemi interni ai nostri propri paesi e sulla gravita' della situazione. Riflettere congiuntamente tutti insieme, stabilendo una priorita' delle urgenze. La guerra dipende oggi da un rapporto di forze tra governi e poteri del mondo che nulla ha a che vedere con la necessita' e il ruolo della nostra riflessione. Eppure questo e' il nostro dovere. E non e' nostro soltanto. Viviamo, per esempio, un momento di crisi dell'accoglienza fatta all'immigrazione all'interno della stessa Europa. Di questo problema, aggravatosi in seguito al conflitto odierno, e dei pericoli di una politica discriminatoria, non si puo' non discutere. Nei prossimi dieci anni l'Italia dovra' svolgere un ruolo mediatore tra il Nord e i paesi Mediterranei, da dove origina anche, ricordiamolo, il gasdotto. D'altra parte, l'Europa sta vivendo un progressivo processo di limitazione delle liberta'; questo e' vero in Francia, per esempio, dove nuove leggi e procedure sono state varate; in qualsiasi momento, anche a casa propria, si puo' essere perquisiti. Sta alle correnti democratiche europee mantenere vigilanza e critica. E' un lavoro di riflessione e confronto di noi tutti che deve essere portato avanti in questo momento storico, che e' grave e pieno di incognite. 13. MATERIALI. COME E PERCHE PREPARIAMO UN VOLANTINO E UN VOLANTINAGGIO [Il testo seguente e' la traccia (diffusa a tutti i partecipanti) utilizzata per la riunione del 6 novembre al centro socale occupato autogestito "Valle Faul" di Viterbo in cui si e' preparato il volantino contro la guerra che verra' diffuso oggi a Viterbo] Primo incontro di formazione alla nonviolenza per persone impegnate contro la guerra; e stesura, col metodo della scrittura collettiva, del volantino da diffondere mercoledi. Proposta di scansione dei lavori in 10 punti 1. Presentazione reciproca per costruire l'affinita': - Giro di interventi (brevi) su: chi sono e perche' sono qui. 2. Gli obiettivi di questo lavoro di formazione alla nonviolenza: - favorire la partecipazione di tutti nella lotta contro la guerra; - mettere a disposizione strumenti di lavoro; - riflettere su noi stessi; - migliorare la capacita' di comunicazione. 3. Alcune conoscenze indispensabili sulla comunicazione: a) alcuni elementi dell'interazione comunicativa: messaggio, emittente, ricevente, veicolo, codice, feedback; b) compresenza in ogni messaggio di due aspetti: il contenuto e la relazione; c) consapevolezza delle ambiguita' del linguaggio; d) la necessita' di dire la verita'; e) porsi dal punto di vista dell'altro: comunicazione e' sempre anche interpretazione e cooperazione. 4. Alcune conoscenze sulla comunicazione orale: - la struttura dialogica; - la prospettiva maieutica; - come si compone un discorso (le procedure della retorica classica: inventio, dispositio, elocutio, memoria, actio). 5. La comunicazione scritta: a) maggiori difficolta' per l'assenza della persona e del dialogo; b) perche' si scrive: per farsi capire, per dire qualcosa a qualcuno; c) scrivere in modo comprensibile: - usare parole che tutti i destinatari capiscano; - usare frasi brevi e semplici; - fornire informazioni precise; - le "5 W" del giornalismo. d) come si fa un comunicato stampa - titolo, occhiello, testo, firma 6. Il volantino a) a cosa serve: - a stabilire un contatto con i destinatari (aprire una comunicazione); - a trasmettere un messaggio che sia compiutamente comprensibile; b) obblighi di legge per tutti gli stampati: - indicare con precisione il responsabile, il luogo e la data di realizzazione; - consegnare 6 copie in Prefettura prima di iniziare la diffusione; c) alcuni doveri del diffusore di volantini: - avere un documento d'identita' ed esibirlo su richiesta; - consegnare 6 copie al personale delle forze dell'ordine che ne faccia richiesta; - avere un atteggiamento cortese con tutti i passanti; - conoscere perfettamente il contenuto del volantino e saperlo spiegare; d) i diritti del diffusore di volantini: se il volantino non ha finalita' commerciali, e svolti gli adempimenti di legge sopra indicati, la diffusione e' libera e un volantinaggio non puo' essere vietato a meno che non iterferisca con altra iniziativa pubblica o arrechi illecito disturbo ad altri o configuri dei reati (ad esempio se vi sono scritte delle idiozie che costituiscano reato). 7. Come scriviamo un volantino: - col metodo della scrittura collettiva (scuola di Barbiana): tutti partecipano, ogni frase e' discussa da tutti; - nel volantino non si scrive nulla su cui non sia stato raggiunto il consenso unanime dei partecipanti (metodo decisionale nonviolento del consenso). 8. Struttura del volantino - un titolo breve ed efficace; - un testo breve scritto per punti; - una frase conclusiva; - firma; - modo di stampa (ad esempio: fotocopiato in proprio), luogo e data. - Per semplificare il lavoro ci si limita qui alla discussione del solo testo scritto, ovviamente anche per la grafica occorrerebbe un approfondito lavoro di analisi. 9. Stesura del volantino (procedura di lavoro proposta): a) giro di opinioni su: tre ragioni per opporsi alla guerra (ed ognuno si annota le cose essenziali che sono state dette e che lo persuadono) b) dopo questo giro si propone in quale ordine mettere i temi principali che sono emersi; c) scrittura individuale per punti; d) lettura e discussione dei contributi individuali, per punti; e) bozza risultante e discussione della bozza per gruppi; f) ridiscussione della bozza apportando le correzioni su cui si raggiunge il consenso; g) approvazione col metodo del consenso del testo definitivo. 10. Giro di valutazione della riunione, definizione della data, del luogo e dell'orario del prossimo incontro. 14. MATERIALI. JOHAN GALTUNG: QUINDICI FORME DELLA LOTTA NONVIOLENTA IN GANDHI [Il testo seguente è estratto da Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1987, e particolarmente dalla p. 135, nel capitolo Gandhi uomo d'azione, che si apre con un paragrafo su Il satyagraha in pratica: le forme, che elenca ed analizza "le forme (distinte dalle norme) del satyagraha come venne intrapreso da Gandhi". Galtung analizza criticamente ognuna di queste forme di lotta satyagraha, ed evidenzia anche come una campagna di lotta nonviolenta può consistere di un insieme di esse, ma solitamente essa le adotta progressivamente, passando dalle forme di lotta più lievi a quelle più energiche. Laddove ci è parso necessario abbiamo integrato la mera elencazione di p. 135 con alcune minime informazioni ulteriori ricavate dalla descrizione che di ogni singola forma di lotta nonviolenta Galtung svolge nelle pagine 135-148] 1. Negoziato; 2. Arbitrato; 3. Agitazione, dimostrazione, ultimatum; 4. Hartal (un'estesa dimostrazione, che confina con lo sciopero generale, in un'area precisa -ad esempio una città- ma per un breve lasso di tempo); [segnaliamo anche due altre definizioni di hartal: a) quella data da Aldo Capitini, in Le tecniche della nonviolenza, Libreria Feltrinelli, Milano 1967, p. 109: "Lo sciopero diventa hartal (usato spesso da Gandhi, ma anche a Budapest nel 1956), quando non soltanto viene abbandonata la fabbrica, ma anche le strade, i luoghi di ritrovo, e gli scioperanti restano nelle proprie case (importante per Gandhi anche perché così sono eliminati gli incidenti e in casa avviene meditazione e purificazione)"; b) quella data da Jean Marie Muller, in Strategia della nonviolenza, Marsilio, Padova 1975, p. 84: "Un hartal è un giorno di sciopero generale durante il quale viene chiesto a tutta la popolazione di disertare i luoghi di lavoro, le strade e i luoghi pubblici e di restare a casa (...)"]. 5. Sciopero e sciopero generale; 6. Picchettaggio; 7. Boicottaggio economico; 8. Boicottaggio sociale; 9. Dharna (è un'antica forma indiana di dimostrazione e significa semplicemente che una singola persona o un gruppo di persone si siedono da qualche parte, annunciando che non si muoveranno finché le loro lamentele non abbiano trovato risposta e le loro rivendicazioni non siano state accolte); 10. Hizral (la parola è araba e significa emigrazione di massa dall'area controllata dall'antagonista); 11. Digiuno; 12. Boicottaggio delle tasse; 13. Noncollaborazione; 14. Disobbedienza civile: 14.1. Disobbedienza civile difensiva; 14.2. Disobbedienza civile offensiva; 15. Governo parallelo. 15. MATERIALI. PER STUDIARE LA GLOBALIZZAZIONE: DA VITO VOLTERRA A COLIN WARD * VITO VOLTERRA Profilo: matematico insigne, fu uno dei dodici docenti universitari che rifiutarono il giuramento di fedeltà al fascismo. Opere su Vito Volterra: cfr. almeno Giorgio Boatti, Preferirei di no, Einaudi, Torino 2001. * KURT VONNEGUT Profilo: scrittore americano, nato a Indianapolis nel 1923. Opere di Kurt Vonnegut: segnaliamo particolarmente Mattatoio n. 5, Mondadori, Milano. * MARGARETHE VON TROTTA Profilo: regista cinematografica tedesca, di forte impegno civile. Opere di Margarethe von Trotta: Il caso Katharina Blum (1975); Sorelle, o l' equilibrio della felicità (1979); Anni di piombo (1980; Lucida follia (1983); Paura e amore (1988); Essere donne (1988); L'africana (1990); Il lungo silenzio (1993). * LEV S. VYGOTSKIJ Profilo: nato nel 1896 e deceduto nel 1934, è tra i maggiori psicologi contemporanei, fondatore della scuola storico-culturale (di cui sono prosecutori Leontjev e Lurija), autore di numerosi contributi sullo sviluppo psichico infantile. Sotto lo stalinismo la sua opera fu pressoché posta al bando in URSS, essa riemerse con rilievo a partire dagli anni '50. Opere di Lev S. Vygotskij: Pensiero e linguaggio, Giunti-Barbera, Firenze; Storia dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori, Giunti-Barbera, Firenze; Immaginazione e creatività nell'età infantile, Editori Riuniti, Roma; Lo sviluppo psichico del bambino, Editori Riuniti, Roma; Il processo cognitivo, Il Mulino, Bologna. * JEAN WAHL Profilo : nato a Marsiglia nel 1888 e scomparso a Parigi nel 1974, filosofo e docente, fondatore del Collège philosophique, direttore della "Revue de métaphysique et de morale". * CHARLES C. WALKER Profilo: pacifista nonviolento americano. Opere di Charles C. Walker: Manuale per l'azione diretta nonviolenta, Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia 1982. * LORI WALLACH Profilo: ricercatrice di "Public Citizen", una delle più importanti organizzazioni ambientaliste e di difesa dei consumatori americani (promotrice tra l'altro del controvertice di Seattle). Opere di Lori Wallach: con Michelle Sforza, WTO. Tutto quello che non vi hanno mai detto sul commercio globale, Feltrinelli, Milano 2000 (edizione economica: 2001). * IMMANUEL WALLERSTEIN Profilo: economista, docente alla State University di New York, dirige il Fernand Braudel Center; fondamentale il suo contributo nell'elaborazione dell'approccio analitico dell'economia-mondo. Opere di Immanuel Wallerstein: fondamentale è Il sistema mondiale dell'economia, Il Mulino, Bologna. * MICHAEL WALZER Profilo: filosofo americano, nato nel 1935, ha dedicato i suoi studi particolarmente ai temi filosofici della morale e della politica. * ABY WARBURG Profilo: illustre storico dell'arte e della cultura (1866-1929), fondatore a Londra del prestigioso Istituto di ricerca comparata per la storiografia e la metodologia dell'arte che da lui prende il nome con cui è universalmente noto. * COLIN WARD Profilo: intellettuale libertario inglese, nato nel 1924, giornalista con esperienze di lavoro nel campo dell'architettura e dell'insegnamento. Opere di Colin Ward: in italiano segnaliamo in volume Anarchia come organizzazione, Antistato; Dopo l'automobile, Eleuthera; e l'edizione da lui curata di Petr Kroportin, Campi, fabbriche, officine, Antistato. 16. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 17. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ; per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ; angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 281 del 7 novembre 2001
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