La nonviolenza e' in cammino. 281



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 281 del 7 novembre 2001

Sommario di questo numero:
1. Impedire la fine del mondo
2. Donne in nero: no alla guerra, da Roma
3. Peppe Sini: no alla guerra, da Orte
4. Giobbe Santabarbara: no alla guerra, da Viterbo
5. Forum permanente per la pace: no alla guerra, da Ferrara
6. I consiglieri provinciali DS: no alla guerra, da Verbania
7. Alvise Alba: no alla guerra, da Alba
8. Da tutta Italia: no alla guerra
9. Giovanni Scotto, alla guerra diciamo no
10. Amelia Alberti, quando le guerre si scatenano
11. Raniero La Valle, americani
12. Toni Maraini intervista Assia Djebar
13. Come e perche' prepariamo un volantino e un volantinaggio
14. Johan Galtung, quindici forme della lotta nonviolenta in Gandhi
15. Per studiare la globalizzazione: da Vito Volterra a Colin Ward
16. La "Carta" del Movimento Nonviolento
17. Per saperne di piu'

1. IL PUNTO. IMPEDIRE LA FINE DEL MONDO
Impedire la fine del mondo: e' tutto qui.
La pace, il diritto, la vita degli esseri umani, la vita dell'umanita':
tutto cio' che ci sta a cuore.
Occorre fermare la guerra illegale e criminale, ooccorre contrastare e
sconfiggere il terrorismo con la forza del diritto internazionale, occorre
difendere la vita e la dignita' umana. Occorre impedire la fine del mondo.
E' tutto qui.
Occorre la scelta della nonviolenza.
Chiamiamo tutti ad opporsi alla guerra e al terrorismo, in difesa della
legalita' costituzionale, in difesa del diritto alla vita, in difesa della
civilta' umana.
Chiamiamo tutti ad opporsi alla guerra e al terrorismo: con l'azione diretta
nonviolenta, con la disobbedienza civile, con lo sciopero generale.

2. OGGI. DONNE IN NERO: NO ALLA GUERRA, DA ROMA
[Da Nadia Cervoni (giraffan at tiscalinet.it) riceviamo e diffondiamo]
Mercoledi 7 novembre, dalle 13 alle 15,30 sit-in di protesta in piazza
Montecitorio, davanti al parlamento, a Roma; mentre sara' in corso il
dibattito e il voto parlamentare sulla partecipazione dell'Italia all'azione
di guerra contro l'Afghanistan.
La bandiera italiana non sara' il nostro chador.
Siamo in guerra? No, facciamo la guerra.
Il governo italiano ha formalmente chiesto agli Stati Uniti d'America, il
permesso di partecipare alle operazioni militari contro l'Afghanistan.
- Contro Osama bin Laden, che non e' afghano;
- contro i Talebani, al potere con un regime imposto con le armi e subito
dalla popolazione tutta;
- contro la popolazione civile afghana, donne, uomini, bambine e bambini,
vittime di quelle stesse armi la cui produzione costituisce un'importante
voce di bilancio per molti paesi occidentali e orientali, di religioni e
culture diverse, accomunati dalla ricerca di un profitto alimentato
dall'ingiustizia.
Il permesso e' stato accordato e su questa base il Parlamento italiano e'
chiamato a votare.
Perche' non ci sia un ulteriore grave strappo alla Costituzione italiana,
perche' l'art.11 "l'Italia ripudia la guerra" non venga ancora una volta
violato, perche' la costruzione di una cultura di pace attraverso una
politica di giustizia, di dialogo e di confronto non subisca l'ennesimo
attentato, e' necessario senza se e senza ma dire no alla guerra.
La politica che non combatte la fame dando cibo, che non combatte la sete
dando acqua, che non combatte le violazioni riconoscendo diritti, e' una
politica che persegue lo sterminio della dignita' sociale e individuale di
ciascuna e ciascuno di noi.
Per mantenere la nostra striscia di futuro fatta di pace, di liberta' e di
nonviolenza e' necessario continuare a manifestare il nostro antimilitarismo
e impedire che l'esercito che va alla guerra si appropri delle nostre vite.

3. OGGI. PEPPE SINI: NO ALLA GUERRA, DA ORTE
Oggi a Orte presso il liceo scientifico si svolge il quinto incontro del
corso di educazione alla pace. Sara' il nostro modo di dire no alla guerra,
no al terrorismo, no alla barbarie, no a tutte le uccisioni. Sara' il nostro
modo per chiedere pace e giustizia, dignita' e diritti per tutti gli esseri
umani.

4. OGGI. GIOBBE SANTABARBARA: NO ALLA GUERRA, DA VITERBO
Oggi pomeriggio saremo in piazza a Viterbo, donne e uomini di pace di
diverse provenienze e culture, per dire no alla guerra, no al terrorismo, no
al razzismo; per chiedere tutti i diritti umani per tutti; per affermare che
il popolo italiano e' contro la guerra, la legge fondamentale del nostro
paese e' contro la guerra, il cuore e la ragione di ogni essere umano di
volonta' buona e' contro la guerra.
Con la guerra tutto e' perduto. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

5. OGGI. FORUM PERMANENTE PER LA PACE: NO ALLA GUERRA, DA FERRARA
[Da Elena Buccoliero (e.buccoliero at comune.fe.it) riceviamo e diffondiamo]
Il Forum permanente per la Pace di Ferrara si appella ai parlamentari
ferraresi, ai consiglieri provinciali, comunali, circoscrizionali
dell'intero territorio provinciale affinche' nei loro diversi ruoli si
adoperino per far prevalere nella lotta al terrorismo la logica del diritto
sulla guerra, della giustizia sulla vendetta.
Chiediamo loro di portare dentro le istituzioni il rifiuto della guerra e
della partecipazione diretta del nostro paese alla guerra in corso in
Afghanistan; una guerra che sta producendo vittime civili, milioni di
profughi, miseria, distruzione, odio religioso ed etnico. Una guerra che non
colpisce le radici del terrorismo. Una guerra dai tempi e dagli esiti
estremamente incerti che sta rendendo impossibile portare aiuti umanitari
alle popolazioni civili e sulla quale non vi e' una informazione chiara e
sufficiente, nemmeno rispetto la sua presunta efficacia militare.
Mentre il terribile inverno afghano e' alle porte e l'Onu denuncia il
rischio di milioni di morti per fame, freddo e malattie; mentre sarebbe
necessario lavorare per il "cessate il fuoco", ecco che, invece, la guerra
si intensifica ulteriormente e l'Italia ottiene, dopo ostinata e miope
insistenza, la possibilita' di parteciparvi direttamente con armi e soldati.
Chiediamo a tutti voi che siete nelle istituzioni di non piegarvi alla
logica della propaganda di guerra, di non eliminare il pensiero critico, di
lavorare per la pace.
Vi chiediamo di scegliere la politica, non la guerra.

6. OGGI. I CONSIGLIERI PROVINCIALI DS: NO ALLA GUERRA, DA VERBANIA
[Da Gianni Desanti (desanti.omegna at tin.it) riceviamo e diffondiamo]
I sottoscritti consiglieri provinciali dei Democratici di Sinistra, appreso
della scelta di inviare una task force italiana a sostegno delle forze
armate americane e inglesi impegnate nella guerra in Afghanistan, esprimono
il loro dissenso e invitano le forze dell'Ulivo a dissociarsi da questo
intendimento fin dal prossimo dibattito parlamentare.
Le forme di un intervento umanitario non possono concretizzarsi nell'invio
di una portaerei, di unita' navali e attrezzature predisposte a compiere
atti di guerra piuttosto che iniziative di pace.
Questa posizione tiene conto anche dell'ordine del giorno approvato a
maggioranza assoluta dei votanti dal Congresso Provinciale dei Democratici
di Sinistra e del documento approvato dal Consiglio provinciale del Verbano,
Cusio, Ossola subito dopo l'attentato terroristico dell'11 settembre 2001.
Sottoscrivono il presente documento tutti i componenti del Gruppo Consiliare
Provinciale dei Democratici di Sinistra: Gianni Desanti, Nadia Gallarotti,
Tiziano Pera, Paolo Ravaioli e  Claudio Sonzogni.

7. OGGI. ALVISE ALBA: NO ALLA GUERRA, DA ALBA
[Da Maria Chiara Tropea e da Alvise Alba (a.alba at areacom.it) riceviamo e
diffondiamo]
Mercoledi 7 ottobre, ad Alba in via Maestra (davanti a S. Damiano), dalle 10
alle 19 si potra' firmare una dichiarazione di opposizione alla guerra in
corso e alla partecipazione dell'Italia, il cui testo e' riportato in fondo
a questo messaggio.
Le firme raccolte saranno inviate a Ciampi, Berlusconi e Rutelli e
consegnate al Sindaco.
Altre iniziative sono in cantiere. Al tavolo si trovera' un documento di
riflessione e una lettera (da un testo di Enrico Peyretti) da inviare
personalmente al Presidente Ciampi (allegati dopo il testo per la raccolta
firme).
Venerdi 9 manifestazione degli studenti, aperta a tutti; segue, il
pomeriggio presso la scuola elementare di via fratelli Ambrogio,
un'assemblea con Beppe Marasso.
*
Testo per la raccolta delle firme
Al presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi
Al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi
Al Capo dell'opposizione, Francesco Rutelli
Non potete fare la guerra a nome dell'Italia.
L'Italia ripudia la guerra: e' scritto nella Costituzione alla quale avete
giurato fedelta'.
Proprio per il rispetto che portiamo alla Patria (e a tutte le Patrie)
diciamo no alla guerra con la stessa convinzione con cui diciamo no al
terrorismo.
Se farete la guerra non avrete da noi ne' consenso ne' collaborazione.
- non accetteremo restrizioni dei diritti civili;
- vi riterremo responsabili dei lutti e delle distruzioni che dovremo subire
e di quelli che infliggerete allo sventurato popolo afghano.
Se farete la guerra, non sara' a nostro nome.
*
Documento di riflessione: Contro il terrorismo senza guerra
Ci sono molti buoni motivi per dire no alla guerra:
1. Non e' una guerra di legittima difesa; le vittime di questa guerra sono -
come sempre ormai - quasi tutti civili innocenti (come quelli morti l'11
settembre): e' una vendetta?
2. Stiamo assistendo all'accanimento dell'esercito piu' forte del mondo
contro uno dei paesi piu' poveri, mentre gli straricchi mandanti della
strage di New York, che hanno mandato dei disperati a morire uccidendo,
restano indenni: e' un conflitto fra ricchi e forti che si combattono
uccidendo e mandando a morire i poveri e i disperati.
3. Violenza chiama violenza: la guerra contro l'Afghanistan sta scatenando
violente reazioni contro l'"occidente" in molti altri paesi: se si continua
a rispondere nello stesso modo c'e' il rischio di avviarsi ad un conflitto
generalizzato, dagli sviluppi inimmaginabili.
4. La difficolta' oggettiva di vincere questa guerra richiede l'aumento di
intensita' degli attacchi; c'e' il rischio reale di passare all'uso di armi
nucleari, che e' gia' stato ipotizzato anche ad alti livelli: un conflitto
nucleare generalizzato sembra un prezzo ragionevole da pagare per fermare i
terroristi?
5. Il fondamentalismo islamico, sentendosi attaccato, si sta compattando e
quindi si rafforza e diventa piu' minaccioso; per reazione si fortificano
spinte integraliste anche nell'occidente. C'e' il rischio di una pericolosa
contrapposizione fra religioni.
6. Sembra che i terroristi siano presenti e ben protetti in molti paesi del
mondo (compreso il nostro, e gli USA): una guerra non puo' sconfiggere un
fenomeno cosi' diffuso e nascosto.
7. Fin dall'inizio dei bombardamenti e' stato detto che molti fatti
sarebbero rimasti segreti o comunicati in modo distorto. Tuttora non sono
state rese note le "prove" della colpevolezza dell'Afghanistan che viene
bombardato. Un'opinione pubblica democratica e laica non puo' sostenere una
guerra semplicemente "per fede".
8. Per fare la guerra occorre demonizzare l'avversario: ci stiamo
condannando a non conoscere, a non capire, a odiare una gran parte
dell'umanita' (e in essa noi stessi e l'umanita' intera).
Ma di fronte ad un attacco brutale come quello dell'11 settembre bisogna
reagire subito. E' vero: ma la guerra e' l'unico strumento che abbiamo?
No, per fortuna ci sono molti modi per lottare contro il terrorismo
impegnando in modo alternativo le enormi risorse umane ed economiche oggi
assorbite dalla guerra:
1. Ratificare tutti immediatamente la convenzione per un tribunale
internazionale che persegua e giudichi i responsabili di crimini
terroristici e contro l'umanita'. E renderlo operativo con la collaborazione
delle forze di polizia di tutti i paesi.
2. Applicare con coraggio e rigore le leggi esistenti, per combattere in
modo democratico le varie mafie, che sono i principali fiancheggiatori del
terrorismo.
3. Limitare drasticamente la vendita di armi (pesanti e leggere) sia agli
stati che ai privati, applicando la legge 185 e impedendo traffici illeciti;
e riconvertire l'industria bellica ad usi civili.
4. Abolire subito il segreto bancario e i "paradisi fiscali" per individuare
e "congelare" tutte le risorse economiche delle mafie e dei terroristi.
5. Impegnarsi per l'abolizione dei servizi segreti, per i legami storici con
varie forme di terrorismo e totalitarismo: una vera democrazia e' del tutto
trasparente.
6. Ricordiamo che ogni giorno 35.000 bambini muoiono di fame: dall'11
settembre sono piu' di due milioni. Occorre togliere al terrorismo il
pretesto di lottare per la giustizia e il consenso di popolazioni disperate.
Per far questo si puo' agire, nei paesi che "favoriscono il terrorismo", in
vari modi:
- smettere di sostenere e riverire le classi dirigenti corrotte ed
ultraricche, legate agli interessi della grande economia mondiale;
- favorire l'alfabetizzazione e la coscientizzazione dei poveri;
- sostenere le organizzazioni umanitarie locali, le lotte di liberazione
delle donne, i partiti democratici sovente perseguitati (anche dando rifugio
politico ai loro leader);
- finanziare progetti di sviluppo locali, decentrati, con forti ricadute
sociali, creando a questo scopo un fondo costituito attraverso la tassazione
di tutte le transazioni e speculazioni finanziarie;
- smettere le politiche di embargo che si ritorcono drammaticamente sulle
popolazioni.
7. Impegnarsi per la soluzione del conflitto arabo-israeliano, fonte di
profonde umiliazioni e disperazione, terreno di coltura  di fanatismo e
terrorismo.
8. Far funzionare l'Onu, riformandola in modo da sottrarla al ricatto delle
nazioni piu' forti e dotandola di effettive forze di polizia internazionale.
9. Promuovere scambi culturali, dialogo, conoscenza, nel rispetto delle
differenze.
Alba, 5 novembre 2001
Documento in fase di discussione nel "Coordinamento Gruppi per una Giustizia




Solidale", c/o Cooperativa Quetzal, Corso Langhe 17.
*
Lettera a Ciampi
Al Presidente della Repubblica on. Carlo Azeglio Ciampi, Palazzo del
Quirinale, 00186 Roma
Signor Presidente della Repubblica,
se l'Italia si dichiara in guerra, io non sono con questa Italia.
Non e' lecito a me cittadino obbedire a questa decisione che non produce
giustizia e sicurezza, ma vendetta indiscriminata e maggiore pericolo.
La guerra non realizza la giusta solidarieta' alle vittime dell'11
settembre, ma causa tante nuove vittime innocenti, nuovi immensi dolori e
prolunga la dannata catena di odio e vendetta.
Il governo non sa vedere le alternative giuste e sagge alla guerra, e cade
nella trappola della violenza.
La guerra, lungi dallo stroncarlo, imita e favorisce il terrorismo.
E' mio primario dovere umano e civile dissociarmi ed oppormi, in tutti i
modi nonviolenti possibili, a questa decisione immorale, illegittima e
folle.
Questa protesta e' un nuovo appello fiducioso a Lei in quanto primo garante
della nostra Costituzione giusta e pacifica che obbliga l'Italia, cioe' noi
tutti, a "ripudiare la guerra (...) come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali".
Firma e indirizzo postale completo.

8. OGGI. DA TUTTA ITALIA: NO ALLA GUERRA
Oggi si svolgeranno anche  numerosissime altre iniziative contro la guerra
in molte citta' e paesi d'Italia: e' impossibile per noi dar conto delle
tante, tantissime inizative di cui in queste ore si sta diffondendo notizia.
Ed e' un buon segno: i parlamentari, i governanti, il capo dello Stato si
fermino a considerare.
Meditino sul fatto che tanti cittadini italiani scendono nelle piazze per
difendere la Costituzione che chi governa ha tradito; meditino sul fatto che
tanti cittadini italiani si stanno esprimendo per la pace e il diritto, per
la legalita' e l'umanita', per salvare le vite umane e salvare la civilta'
umana.
Meditino i complici e gli esecutori della guerra illegale e stragista, e
recedano dal loro crimine.

9. RIFLESSIONE. GIOVANNI SCOTTO: ALLA GUERRA DICIAMO NO
[Giovanni Scotto e' uno dei piu' prestigiosi peace-researcher italiani. Per
contatti: gscotto at zedat.fu-berlin.de]
Dopo quattro settimane, la guerra di USA e Gran Bretagna in Afghanistan si
sta rivelando senza esito. La macchina militare statunitense, come sappiamo
gia' dalla guerra del Golfo e dall'intervento Nato in Kosovo, conosce
soltanto una strada: aumentare la pressione - ovvero la quantita' di morte e
distruzione prodotta nel paese che si colpisce - finche' l'avversario non
cedera'.
Ma questa guerra e' diversa. Viene detto che e' iniziata l'11 settembre con
l'attacco spietato contro migliaia di cittadini statunitensi inermi. In
realta', e' fuorviante chiamare guerra gli atti dell'11 settembre: si tratta
della prima comparsa di un terrorismo globale - barbaro e violento come ogni
altro terrorismo - ma compiuto da individui, e che andrebbe combattuto con
gli strumenti della giustizia e del diritto.
Al terrorismo globale la superpotenza USA ha deciso di rispondere con la
guerra. Da quattro settimane gli aerei e le navi del piu' ricco e potente
paese del mondo bombardano le milizie fondamentaliste che qualche anno fa -
con il sostegno degli stessi USA e dei loro alleati nella regione - hanno
conquistato il potere nel paese forse piu' povero e devastato del mondo.
Nessuno pero' ha spiegato in maniera convincente qual e' il nesso tra la
guerra in Afghanistan e le azioni terroristiche dell'11 settembre,
perpetrate da cittadini sauditi, addestratisi negli USA e finanziati con
tutta probabilita' da gruppi sauditi. Il signor Bin Laden si trova in
territorio afghano, ma questo non basta per giustificare distruzioni,
vittime civili e soprattutto il rischio concreto di una "catastrofe
umanitaria" e la morte per fame di milioni di persone questo inverno.
Questa guerra ha poco a che fare con l'autodifesa, perche' al massimo in
Afghanistan esistevano alcuni centri della rete di Al Qaeda. Ne' giustifica
gli attacchi la necessita' di prevenire nuovi reati: i terroristi sono
organizzati in una rete di dimensioni globali, che certo non potra' essere
debellata con i bombardamenti. E la preparazione dell'11 settembre, come
sembra ormai chiaro, non e' certo stata effettuata nel deserto afghano -
semmai nelle scuole di volo della Florida.
In questi giorni anche le istituzioni italiane hanno deciso di intervenire
militarmente a fianco dell'alleato piu' potente. In parlamento una larga
maggioranza ha appoggiato l'invio di truppe, navi ed aerei per sostenere "la
lotta contro il terrorismo". Nessuno sa cosa questo vuol dire. Ne' e' molto
chiaro quale utilita' possano avere i militari italiani a sostegno della
superpotenza globale statunitense.
Questa guerra e' un'avventura; e' illegale per la nostra Costituzione e per
la Carta dell'Onu; gli strateghi che l'hanno decisa non hanno nessuna idea
di come terminarla; l'attacco militare non servira' a fare giustizia; la
guerra, tra l'altro, e' esattamente cio' che il signor Bin Laden e i suoi
complici volevano. In conlusione: questa guerra non si giustifica secondo il
diritto internazionale, ne' secondo principi etici, ne' tantomeno dal punto
di vista del realismo politico e dell'interesse nazionale.
Alla guerra diciamo no, e invitiamo tutti i cittadini e le cittadine a dire
un no chiaro e forte, a organizzarsi per far sentire la propria voce, fare
pressione sui detentori del potere e preparare le necessarie alternative
nonviolente per opporsi al terrorismo. Alle persone che lavorano nelle forze
armate chiediamo di verificare seriamente se questa guerra e' in armonia con
i principi morali e con l'amore di patria che essi possiedono. In caso
contrario, non manchera' certo agli obiettori di coscienza contro la guerra
il sostegno morale e materiale di tanti amici e amiche della pace.

10. RIFLESSIONE. AMELIA ALBERTI: QUANDO LE GUERRE SI SCATENANO
[Amelia Alberti e' presidente del circolo verbano di Legambiente, per
contatti: lambient at tiscalinet.it]
Se, in tanta angoscia, esiste un conforto per me, e' quello di essere donna:
essere donna, quando le guerre si scatenano e il testosterone (quello stesso
testosterone che spinge un uomo ad avvicinare una donna e ad amarla) affiora
a deformare e indurire e rendere irriconoscibili i lineamenti maschili di
chi afferma essere lecito e doveroso e giusto uccidere, ferire, affamare
altri esseri (i nemici), del tutto simili a lui, che soffrono quando hanno
fame, freddo, paura, e gli si spacca il cuore, se non hanno cibo per i loro
figli, per i genitori, oppure se una scheggia tronca loro un braccio, una
gamba, la vita. A causa di motivi genetici per gli uomini e' piu' difficile
che per le donne dichiararsi ed essere nonviolenti (la loro ragione deve
prendere in mano l'istinto e piegarlo al suo volere). Sia onore agli uomini
che non si lasciano travolgere dai venti guerreschi, perche' hanno scelto di
esaltare la loro virilita' in opere dell'ingegno, in atti d'amore e di
solidarieta'.

11. RIFLESSIONE. RANIERO LA VALLE: AMERICANI
[Ringraziamo Raniero La Valle per averci messo a disposizione come
anticipazione il suo articolo che comparira' sul prossimo numero del
quindicinale "Rocca" (una delle migliori riviste italiane). Raniero La Valle
e' una delle figure piu' luminose della cultura della pace. Per contatti:
raniero.lavalle at tiscalinet.it]
Era dal 10 giugno 1940 che un governo non convocava una grande
manifestazione di piazza, nella quale poter dire con orgoglio: "L'Italia e'
in guerra". Infatti l'Alleato, esaminata la pratica, ci ha concesso di
schierare anche le nostre navi e i nostri aerei. Tuttavia, questa volta, la
piazza e' cambiata.
Lo slogan sul quale e' stata indetta  la manifestazione del 10 novembre e':
"siamo tutti americani". Il concetto, come molti hanno visto, e' stato
istericamente riproposto nelle trasmissioni di precetto di Bruno Vespa.
Ma che cosa vuol dire: "siamo tutti americani"? Anzitutto bisogna scoprire
l'origine di tale nuovo concetto politico. Anche qui (come per quasi tutti i
concetti politici del pur laico e non fondamentalista Occidente) si tratta
di un concetto teologico secolarizzato, ed anzi si tratta della
secolarizzazione e neutralizzazione di un tema messianico (Schmitt,
Agamben). E' il tema della scomparsa di tutte le distinzioni nella grande
assemblea dei popoli nel tempo messianico (Isaia), quando i popoli, pur
camminando ciascuno col suo dio, non alzeranno piu' la spada l'uno contro
l'altro e non impareranno piu' l'arte della guerra (Michea). E' il tema
paolino per cui non c'e' piu' Greco o Giudeo, Barbaro o Scita, poiche'
chiunque invochera' il nome del Signore sara' salvato; ed e' la scelta
paolina di farsi "giudeo con i giudei, debole coi deboli", per "guadagnare"
i giudei e guadagnare i deboli.
Naturalmente nella trasposizione dal contesto religioso originario al
contesto politico e profano di oggi, si perdono tutti i significati di
novita', gli dei combattono di nuovo l'uno contro l'altro e la bella notizia
messianica e' rovesciata nel nostro arruolamento e identificazione con una
parte che alza la spada contro l'altra.
Tuttavia, anche cosi' secolarizzato e ridotto, il concetto non e' svuotato
di ogni significato reale. "Siamo tutti americani" significa che anche noi
ci sentiamo colpiti dall'attacco al Pentagono e alle due Torri, e che anche
noi siamo responsabili della risposta che gli si da'; e infatti entriamo
nella stessa guerra. Cio' pero' ci legittima a parlare come se fossimo
americani.
La prima cosa che pertanto possiamo dire e' che siamo pessimamente
governati. Perche' se prima il terrore ci era minacciato da un nemico
esterno che tuttavia ci poteva colpire ogni tanto e con estrema difficolta',
ora il terrore ci viene quotidianamente e con estrema facilita'
somministrato dalla Casa Bianca e dai suoi ministri; ora e' l'antrace, ora
sono i ponti, ora sono i tunnel, ora e' la maratona, domani saranno gli
stadi, i teatri, le scuole, gli asili, i treni; gli allarmi suoneranno
dappertutto e non avremo piu' pace. Certo, se non si facesse cosi', quando
poi un attentato ci fosse davvero l'"intelligence" ci farebbe una brutta
figura. Ma intanto ci terrorizza.
Poi c'e' da dire che come americani abbiamo sbagliato nemico. Almeno
l'Afghanistan e' un nemico esterno, adesso si sa anche dov'e', si puo'
bombardare ben bene e alla fine perfino vincerlo. Ma elevare al rango di
nemico il terrorismo, significa creare un nemico universale, onnipresente,
esterno ed interno, palese e nascosto, latente e sempre pronto
all'esercizio, unico dall'Irlanda alla Cecenia, dall'Iraq alla Palestina,
dal Kashmir alle Filippine, cancellando le differenze tra le singole lotte e
le diverse ferite che sanguinano; e in tal  modo lo si mette in casa, lo si
interiorizza, lo si sospetta in ogni volto straniero o anche semplicemente
sconosciuto. Universale il nemico, universale la guerra, universale la
militarizzazione, universale il passaggio dai codici di pace ai codici di
guerra. E cosi', col terrore, in nome del terrore e contro il terrore si
governa, e si trasforma la vita quotidiana, la societa' dove bene o male ce
la cavavamo, in un inferno, che e' il solo luogo dove il male non ha bisogno
di altre spiegazioni.
Di questo ci potremmo lamentare, come americani. E anche di aver esibito
questa immagine di un'America puritana, farisea, che si ritiene la migliore
e piu' giusta, benefica per l'intera umanita', stupita di non essere amata.
Forse, come americani d'oltremare, che il mondo lo conosciamo un po' di piu'
(almeno se ne parla sui nostri giornali) potremmo dire ai nostri
concittadini della Madre Patria che c'e' poco da stupirsi, perche' cio' che
a questo mondo non abbiamo dato, insieme ai soldi delle nostre eventuali
elemosine, e' la giustizia, e cosi' come lo abbiamo ridotto, e vorremmo che
non si  muovesse, e' un orrore.

12. MAESTRE. TONI MARAINI INTERVISTA ASSIA DJEBAR
[Questa intervista ad Assia Djebar e' apparsa sul quotidiano "Il manifesto"
del 6 novembre. Assia Djebar e' una delle piu' grandi intellettuali viventi]
Assia Djebar vive attualmente a New York dove da quest'anno insegna
letteratura francese e franco-maghrebina alla New York University. Di
passaggio a Bologna - dove ha partecipato alla serata conclusiva del
progetto "La Parola Immaginata" curato da Stefano Tassinari e allestito al
Teatro Itc di San Lazzaro - Assia Djebar parla con quel coinvolgimento
intenso nel contempo stranamente frammentato e silente che l'accompagno'
negli anni piu' oscuri della crisi algerina. La sua reticenza a parlare a
caldo dell'attualita' algerina suscito' allora molte perplessita'. Oggi, non
ama parlare della guerra in corso. Ma chi la conosce sa che la parola ha per
lei un tempo interiore di gestazione, di rimuginazione, di decantazione
degli eventi, e che emerge poi nei suoi scritti seguendo la parabola di un
percorso dove tutto si sedimenta e niente si perde. Incontro Assia Djebar in
una trattoria alla periferia di Bologna. Non ci vedevamo da quando era stato
allestito l'anno scorso a Roma, al Teatro India allora diretto da Mario
Martone, lo spettacolo tratto dal suo testo Figlie di Ismaele nel vento e
nella tempesta. "Quel testo e' oggi piu' che mai attuale", commenta Assia
Djebar. In verita', delle figlie di Ismaele vagano oggi erranti nel vento e
nella tempesta. Poi, bevendo un caffe', vince stanchezza e reticenze, e la
nostra intervista prende forma partendo da New York, una strana New
York/Algeria, ennesimo luogo d'esilio per Assia Djebar eppure scenario di un
suo inatteso confronto con un tragico conflitto che le e' familiare.
Toni Maraini: Ancora una volta, mi parli d'esilio, ma di un esilio che ti
riporta nel cuore di un conflitto che credevi lasciarti alle spalle.
Assia Djebar: Il mese scorso a New York, in occasione della presentazione
dell'edizione americana del mio libro Le Blanc de l'Algerie (1995; in
italiano, Bianco d'Algeria, Il Saggiatore, Milano 1998), l'editore mi ha
accolta, su un tono semiserio, con un "Benvenuta in Algeria...". Proprio
cosi'; la storia mi perseguita, anche a New York, con le sue tragedie e con
l'integralismo. Mi porta ancora una volta ad essere testimone, come se la
distanza di New York con l'Algeria fosse stata cancellata. Ho ritrovato la
condizione della tragedia e del dolore, di un dolore che ho cercato di
condividere al quotidiano con i newyorchesi. Eppure, quando gli algerini
chiedevano sostegno e aiuto all'Europa, fummo abbandonati alla nostra sorte,
perfino la sinistra francese sostenne che avremmo dovuto lasciarci governare
dai partiti fondamentalisti. Il timore, dopo il cataclisma dell'11 settembre
scorso, e' quello di una violenza che si contrappone alla violenza...; penso
che il modo in cui sara' gestita questa crisi determinera' il corso del
dopo-cataclisma. Io vorrei tanto fare astrazione da tutto e immergermi nella
New York che mi riconforta, quella degli studenti, della riflessione, delle
discussioni e dei confronti, quella delle mie ore dedicate a scrivere.
Seppure in esilio, rimango ancorata al mio lavoro sulla memoria algerina;
avevo bisogno di uscire dal contesto franco-algerino ed ero felice di andare
a vivere in una citta' multiconfessionale, una di quelle citta', come e'
Sarajevo in dimensioni piu' piccole, veramente pluriculturale. Poi c'e'
stato l'11 settembre...
T. M.: Eri a New York?
A. D.: Si'. Mi ero alzata presto per lavorare ai miei appunti prima di
andare al mio corso all'Universita'. All'arrivo a New York mi era stato dato
un appartamento proprio la', vicino a Washington Square. Un privilegio
essere in quel quartiere dove aleggia uno spirito particolare, dove ho
passato ore a scrivere seduta al caffe' "Dante"... Senza dimenticare la mia
ricerca per il libro su Sant'Agostino, avevo ripreso questa estate a
lavorare a un libro su una combattente algerina della guerra di liberazione
originaria della citta' di Cherchell, che nel romanzo evoco col nome antico
di Caesarea. Cosi', stavo scrivendo... Non ho televisione e non ascoltavo la
radio. Mentre scrivevo sentivo un crescendo di fragore e d'ambulanze. Non
capivo cosa stesse succedendo; la mia finestra non da' verso le Torri. E'
stato soltanto quando dei colleghi mi hanno telefonato per avvisarmi e dirmi
che tutte le lezioni erano sospese che ho saputo cos'era accaduto. Allora
sono uscita e ho camminato per ore nel quartiere, mi sono avvicinata al
luogo del disastro; ho cercato di capire, essere presente, partecipare
umanamente. Per tutta la settimana ho camminato lunghe ore, non riuscivo
piu' a scrivere, sono rimasta tra la gente; volevo condividere dolore e
sgomento. Ancora una volta, mi sono trovata ad essere una testimone contro
l'integralismo, sono ripiombata nel cuore di accesi dibattiti, di una
situazione conflittuale.
T. M.: Hai avuto problemi in quanto algerina?
A. D.: No, mai, in quella parte della citta', mai. Ma ho ricevuto telefonate
inquiete di colleghi e studenti preoccupati per me. Fuori New York,
soprattutto negli stati del Sud, vi erano stati episodi razzisti e
aggressioni - non soltanto verbali - a luoghi di culto e a persone
musulmane; dei Sikh erano stati attaccati forse soltanto per il loro aspetto
"orientale". Ma New York e' un luogo speciale e mi sono sempre sentita
sicura. Ho partecipato a discussioni e dibattiti, a un sincero bisogno di
capire gli eventi in corso.
T. M.: Sei riuscita a fare capire come stanno le cose a riguardo
dell'integralismo?
A. D.: Al di fuori della dimensione universitaria non e' semplice. Sono
stata sommersa da e-mails che chiedevano mie interventi sulle donne afghane
o sull'islam... Ma e' desolante, non si puo' passare la vita a dare sempre
le stesse risposte ovvie e basilari, non possiamo noi scrittori e
intellettuali musulmani eternamente ricominciare a spiegare, per tappare i
buchi della disinformazione (io per esempio non credo alla pista "islamica"
dell'antrace), di media non preparati e talvolta tendenziosi. Lo ripeto, non
possiamo fare da istitutori ribadendo sempre cose basilari. Ho visto l'altro
giorno sul "New York Times" un lungo testo, che - lo confesso - non sono
riuscita a leggere per intero, di una giornalista italiana, non ricordo il
nome...
T. M.: Oriana Fallaci...
A. D.: Si'. Ma chi e'? ho pensato si trattasse di una collaboratrice dei
rotocalchi scandalistici, della stampa a sensazione, ma mi e' stato risposto
che si tratta di una giornalista famosa. Come ha potuto scrivere un testo
cosi' infarcito di disinformazione e denigrazione, di disprezzo, di
ignoranza sulla storia della civilta' musulmana, omologando il
fondamentalismo - fenomeno che si manifesta all'interno di tutte le
religioni - alle diverse realta' dell'islam e del mondo musulmano? E cosa mi
dici mai? non posso credere che alcuni hanno proposto in Italia che questo
testo sia diffuso nelle scuole. Com'e' possibile?
T. M.: Si allinea con la funesta teoria di Samuel Huntington sul preteso
"scontro tra civilta'".
A. D.: Io parlerei piuttosto, come scrive Edward Said, di uno "scontro tra
ignoranze", tra mondi che si misconoscono e comunicano male. Cosa vuol dire
"scontro" o shock tra civilta'? Chi e' amico o in conflitto con chi? Come
mai uno dei piu' grandi amici dell'Occidente e' l'Arabia Saudita che noi,
musulmani, sappiamo essere una teocrazia per nulla illuminata? E come mai i
suoi piu' severi critici siamo proprio noi e non l'Occidente... Mi ricordo
che a Berlino nel 1989 davanti una platea affermai che cosi' come si era
messo al bando il Sudafrica per l'apartheid razziale bisognava mettere al
bando l'Arabia Saudita per l'apartheid alle donne... Mi ascoltarono come se
stessi vaneggiando. Allora ammettiamolo, il problema e' innanzitutto
economico; se i paesi musulmani d'Africa, Medio Oriente e Asia non avessero
il petrolio, l'Occidente li ignorerebbe. Ci lascerebbe ai nostri problemi
che sono problemi interni e molto diversi tra di loro. L'islam non connota
un blocco unitario, i paesi musulmani sono molto diversi tra di loro,
esistono diverse classi, correnti politiche e realta', esistono le
borghesie, la laicita'... Dopo il periodo glorioso e emancipatore - anche
per le donne - della Nahdha (o del Risveglio del mondo arabo), l'economia
del petrolio, l'oppressione coloniale, il dirigismo autoritario di stampo
socialsovietico, il risveglio del fondamentalismo hanno ritardato il
processo di modernizzazione. Il problema e' li'. Il conflitto per noi e'
interno, non contro un'altra civilta'.
T. M.: Allora, come vedi la guerra in corso?
A. D.: Nei dibattiti, le opinioni sono diverse, come all'epoca della guerra
nel Kosovo o della ex-Jugoslavia. Intervenire, non intervenire, e come?
Questa guerra non riesco a pensarla, non riesco a vederla. A me viene in
mente soprattutto il raduno dei giovani americani iniziato l'11 sera stesso
a Washington Square; un raduno con slogans religiosi, certo, e patriottici,
ma soprattutto di grande dignita' pacifista in cui si ricordava che non
serve rispondere alla violenza terroristica con una guerra. Poi, all'inizio
dei bombardamenti, mi sono detta, ecco, dopo dieci anni dalla guerra del
Golfo, rieccoci, tutto ricomincia da capo... Ma le incognite, oggi, sono
maggiori. In quanto intellettuale algerina penso che il mio dovere e'
soprattutto quello di riflettere, congiuntamente ad altri intellettuali del
mondo musulmano, sui problemi interni ai nostri propri paesi e sulla
gravita' della situazione. Riflettere congiuntamente tutti insieme,
stabilendo una priorita' delle urgenze. La guerra dipende oggi da un
rapporto di forze tra governi e poteri del mondo che nulla ha a che vedere
con la necessita' e il ruolo della nostra riflessione. Eppure questo e' il
nostro dovere. E non e' nostro soltanto. Viviamo, per esempio, un momento di
crisi dell'accoglienza fatta all'immigrazione all'interno della stessa
Europa. Di questo problema, aggravatosi in seguito al conflitto odierno, e
dei pericoli di una politica discriminatoria, non si puo' non discutere. Nei
prossimi dieci anni l'Italia dovra' svolgere un ruolo mediatore tra il Nord
e i paesi Mediterranei, da dove origina anche, ricordiamolo, il gasdotto.
D'altra parte, l'Europa sta vivendo un progressivo processo di limitazione
delle liberta'; questo e' vero in Francia, per esempio, dove nuove leggi e
procedure sono state varate; in qualsiasi momento, anche a casa propria, si
puo' essere perquisiti. Sta alle correnti democratiche europee mantenere
vigilanza e critica. E' un lavoro di riflessione e confronto di noi tutti
che deve essere portato avanti in questo momento storico, che e' grave e
pieno di incognite.

13. MATERIALI. COME E PERCHE PREPARIAMO UN VOLANTINO E UN VOLANTINAGGIO
[Il testo seguente e' la traccia (diffusa a tutti i partecipanti) utilizzata
per la riunione del 6 novembre al centro socale occupato autogestito "Valle
Faul" di Viterbo in cui si e' preparato il volantino contro la guerra che
verra' diffuso oggi a Viterbo]
Primo incontro di formazione alla nonviolenza per persone impegnate contro
la guerra; e stesura, col metodo della scrittura collettiva, del volantino
da diffondere mercoledi.
Proposta di scansione dei lavori in 10 punti
1. Presentazione reciproca per costruire l'affinita':
- Giro di interventi (brevi) su: chi sono e perche' sono qui.
2. Gli obiettivi di questo lavoro di formazione alla nonviolenza:
- favorire la partecipazione di tutti nella lotta contro la guerra;
- mettere a disposizione strumenti di lavoro;
- riflettere su noi stessi;
- migliorare la capacita' di comunicazione.
3. Alcune conoscenze indispensabili sulla comunicazione:
a) alcuni elementi dell'interazione comunicativa: messaggio, emittente,
ricevente, veicolo, codice, feedback;
b) compresenza in ogni messaggio di due aspetti: il contenuto e la
relazione;
c) consapevolezza delle ambiguita' del linguaggio;
d) la necessita' di dire la verita';
e) porsi dal punto di vista dell'altro: comunicazione e' sempre anche
interpretazione e cooperazione.
4. Alcune conoscenze sulla comunicazione orale:
- la struttura dialogica;
- la prospettiva maieutica;
- come si compone un discorso (le procedure della retorica classica:
inventio, dispositio, elocutio, memoria, actio).
5. La comunicazione scritta:
a) maggiori difficolta' per l'assenza della persona e del dialogo;
b) perche' si scrive: per farsi capire, per dire qualcosa a qualcuno;
c) scrivere in modo comprensibile:
- usare parole che tutti i destinatari capiscano;
- usare frasi brevi e semplici;
- fornire informazioni precise;
- le "5 W" del giornalismo.
d) come si fa un comunicato stampa
- titolo, occhiello, testo, firma
6. Il volantino
a) a cosa serve:
- a stabilire un contatto con i destinatari (aprire una comunicazione);
- a trasmettere un messaggio che sia compiutamente comprensibile;
b)  obblighi di legge per tutti gli stampati:
- indicare con precisione il responsabile, il luogo e la data di
realizzazione;
- consegnare 6 copie in Prefettura prima di iniziare la diffusione;
c) alcuni doveri del diffusore di volantini:
- avere un documento d'identita' ed esibirlo su richiesta;
- consegnare 6 copie al personale delle forze dell'ordine che ne faccia
richiesta;
- avere un atteggiamento cortese con tutti i passanti;
- conoscere perfettamente il contenuto del volantino e saperlo spiegare;
d) i diritti del diffusore di volantini: se il volantino non ha finalita'
commerciali, e svolti gli adempimenti di legge sopra indicati, la diffusione
e' libera e un volantinaggio non puo' essere vietato a meno che non
iterferisca con altra iniziativa pubblica o arrechi illecito disturbo ad
altri o configuri dei reati (ad esempio se vi sono scritte delle idiozie che
costituiscano reato).
7. Come scriviamo un volantino:
- col metodo della scrittura collettiva (scuola di Barbiana): tutti
partecipano, ogni frase e' discussa da tutti;
- nel volantino non si scrive nulla su cui non sia stato raggiunto il
consenso unanime dei partecipanti (metodo decisionale nonviolento del
consenso).
8. Struttura del volantino
- un titolo breve ed efficace;
- un testo breve scritto per punti;
- una frase conclusiva;
- firma;
- modo di stampa (ad esempio: fotocopiato in proprio), luogo e data.
- Per semplificare il lavoro ci si limita qui alla discussione del solo
testo scritto, ovviamente anche per la grafica occorrerebbe un approfondito
lavoro di analisi.
9. Stesura del volantino (procedura di lavoro proposta):
a) giro di opinioni su: tre ragioni per opporsi alla guerra (ed ognuno si
annota le cose essenziali che sono state dette e che lo persuadono)
b) dopo questo giro si propone in quale ordine mettere i temi principali che
sono emersi;
c) scrittura individuale per punti;
d) lettura e discussione dei contributi individuali, per punti;
e) bozza risultante e discussione della bozza per gruppi;
f) ridiscussione della bozza apportando le correzioni su cui si raggiunge il
consenso;
g) approvazione col metodo del consenso del testo definitivo.
10. Giro di valutazione della riunione, definizione della data, del luogo e
dell'orario del prossimo incontro.

14. MATERIALI. JOHAN GALTUNG: QUINDICI FORME DELLA LOTTA NONVIOLENTA IN
GANDHI
[Il testo seguente è estratto da Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo
Abele, Torino 1987, e particolarmente dalla p. 135, nel capitolo Gandhi uomo
d'azione, che si apre con un paragrafo su Il satyagraha in pratica: le
forme, che elenca ed analizza "le forme (distinte dalle norme) del
satyagraha come venne intrapreso da Gandhi". Galtung analizza criticamente
ognuna di queste forme di lotta satyagraha, ed evidenzia anche come una
campagna di lotta nonviolenta può consistere di un insieme di esse, ma
solitamente essa le adotta progressivamente, passando dalle forme di lotta
più lievi a quelle più energiche. Laddove ci è parso necessario abbiamo
integrato la mera elencazione di p. 135 con alcune minime informazioni
ulteriori ricavate dalla descrizione che di ogni singola forma di lotta
nonviolenta Galtung svolge nelle pagine 135-148]
1. Negoziato;
2. Arbitrato;
3. Agitazione, dimostrazione, ultimatum;
4. Hartal (un'estesa dimostrazione, che confina con lo sciopero generale, in
un'area precisa -ad esempio una città- ma per un breve lasso di tempo);
[segnaliamo anche due altre definizioni di hartal: a) quella data da Aldo
Capitini, in Le tecniche della nonviolenza, Libreria Feltrinelli, Milano
1967, p. 109: "Lo sciopero diventa hartal (usato spesso da Gandhi, ma anche
a Budapest nel 1956), quando non soltanto viene abbandonata la fabbrica, ma
anche le strade, i luoghi di ritrovo, e gli scioperanti restano nelle
proprie case (importante per Gandhi anche perché così sono eliminati gli
incidenti e in casa avviene meditazione e purificazione)"; b) quella data da
Jean Marie Muller, in Strategia della nonviolenza, Marsilio, Padova 1975, p.
84: "Un hartal è un giorno di sciopero generale durante il quale viene
chiesto a tutta la popolazione di disertare i luoghi di lavoro, le strade e
i luoghi pubblici e di restare a casa (...)"].
5. Sciopero e sciopero generale;
6. Picchettaggio;
7. Boicottaggio economico;
8. Boicottaggio sociale;
9. Dharna (è un'antica forma indiana di dimostrazione e significa
semplicemente che una singola persona o un gruppo di persone si siedono da
qualche parte, annunciando che non si muoveranno finché le loro lamentele
non abbiano trovato risposta e le loro rivendicazioni non siano state
accolte);
10. Hizral (la parola è araba e significa emigrazione di massa dall'area
controllata dall'antagonista);
11. Digiuno;
12. Boicottaggio delle tasse;
13. Noncollaborazione;
14. Disobbedienza civile:
14.1. Disobbedienza civile difensiva;
14.2. Disobbedienza civile offensiva;
15. Governo parallelo.

15. MATERIALI. PER STUDIARE LA GLOBALIZZAZIONE: DA VITO VOLTERRA A COLIN
WARD

* VITO VOLTERRA
Profilo: matematico insigne, fu uno dei dodici docenti universitari che
rifiutarono il giuramento di fedeltà al fascismo. Opere su Vito Volterra:
cfr. almeno Giorgio Boatti, Preferirei di no, Einaudi, Torino 2001.

* KURT VONNEGUT
Profilo: scrittore americano, nato a Indianapolis nel 1923. Opere di Kurt
Vonnegut: segnaliamo particolarmente Mattatoio n. 5, Mondadori, Milano.

* MARGARETHE VON TROTTA
Profilo: regista cinematografica tedesca, di forte impegno civile. Opere di
Margarethe von Trotta: Il caso Katharina Blum (1975); Sorelle, o l'
equilibrio della felicità (1979); Anni di piombo (1980; Lucida follia
(1983); Paura e amore (1988); Essere donne (1988); L'africana (1990); Il
lungo silenzio (1993).

* LEV S. VYGOTSKIJ
Profilo: nato nel 1896 e deceduto nel 1934, è tra i maggiori psicologi
contemporanei, fondatore della scuola storico-culturale (di cui sono
prosecutori Leontjev e Lurija), autore di numerosi contributi sullo sviluppo
psichico infantile. Sotto lo stalinismo la sua opera fu pressoché posta al
bando in URSS, essa riemerse con rilievo a partire dagli anni '50. Opere di
Lev S. Vygotskij: Pensiero e linguaggio, Giunti-Barbera, Firenze; Storia
dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori, Giunti-Barbera, Firenze;
Immaginazione e creatività nell'età infantile, Editori Riuniti, Roma; Lo
sviluppo psichico del bambino, Editori Riuniti, Roma; Il processo cognitivo,
Il Mulino, Bologna.

* JEAN WAHL
Profilo : nato a Marsiglia nel 1888 e scomparso a Parigi nel 1974, filosofo
e docente, fondatore del Collège philosophique, direttore della "Revue de
métaphysique et de morale".

* CHARLES C. WALKER
Profilo: pacifista nonviolento americano. Opere di Charles C. Walker:
Manuale per l'azione diretta nonviolenta, Edizioni del Movimento
Nonviolento, Perugia 1982.

* LORI WALLACH
Profilo: ricercatrice di "Public Citizen", una delle più importanti
organizzazioni ambientaliste e di difesa dei consumatori americani
(promotrice tra l'altro del controvertice di Seattle). Opere di Lori
Wallach: con Michelle Sforza, WTO. Tutto quello che non vi hanno mai detto
sul commercio globale, Feltrinelli, Milano 2000 (edizione economica: 2001).

* IMMANUEL WALLERSTEIN
Profilo: economista, docente alla State University di New York, dirige il
Fernand Braudel Center; fondamentale il suo contributo nell'elaborazione
dell'approccio analitico dell'economia-mondo. Opere di Immanuel Wallerstein:
fondamentale è Il sistema mondiale dell'economia, Il Mulino, Bologna.

* MICHAEL WALZER
Profilo: filosofo americano, nato nel 1935, ha dedicato i suoi studi
particolarmente ai temi filosofici della morale e della politica.

* ABY WARBURG
Profilo: illustre storico dell'arte e della cultura (1866-1929), fondatore a
Londra del prestigioso Istituto di ricerca comparata per la storiografia e
la metodologia dell'arte che da lui prende il nome con cui è universalmente
noto.

* COLIN WARD
Profilo: intellettuale libertario inglese, nato nel 1924, giornalista con
esperienze di lavoro nel campo dell'architettura e dell'insegnamento. Opere
di Colin Ward: in italiano segnaliamo in volume Anarchia come
organizzazione, Antistato; Dopo l'automobile, Eleuthera; e l'edizione da lui
curata di Petr Kroportin, Campi, fabbriche, officine, Antistato.

16. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

17. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ;
angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 281 del 7 novembre 2001