La nonviolenza e' in cammino. 267



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 267 del 24 ottobre 2001

Sommario di questo numero:
1. Fermare le stragi
2. Umberto Santino: la fabbrica dei diavoli (a lezione dalla Cia:
fondamentalismo e droga in Afghanistan)
3. Appello di "Micromega", "Il ponte" e "Critica liberale": un referendum
per la legalita'
4. Amelia Alberti: le stragi e gli affari
5. Il 24 ottobre Mathilde Muhindo a Scandiano
6. Letture: Giovanna Campani, Francesco Carchedi, Giovanni Mottura (a cura
di), Spazi migratori e luoghi dello sviluppo
7. Letture: Dario Corno, Scrivere e comunicare
8. Letture: I quaderni di Micromega, No alle leggi "Forza Ladri"
9. Riletture: Alberto L'Abate (a cura di), Addestramento alla nonviolenza
10. Per studiare la globalizzazione: da Sebastiano Timpanaro a Wanda Tommasi
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. FERMARE LE STRAGI
Occorre far cessare la guerra, far cessare le stragi, contrastare ogni
terrorismo. Occorre la scelta del diritto, della pace, della difesa
intransigente della dignita' e della vita di ogni essere umano. Occorre la
scelta della nonviolenza.

2. MATERIALI. UMBERTO SANTINO: LA FABBRICA DEI DIAVOLI (A LEZIONE DALLA CIA:
FONDAMENTALISMO E DROGA IN AFGHANISTAN)
[Siamo assai grati ad Umberto Santino per averci messo a disposizione questo
suo saggio. Umberto Santino ha fondato e dirige il Centro siciliano di
documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo. Da decenni uno dei militanti
democratici piu' impegnati contro la mafia ed i suoi complici, e' uno dei
massimi studiosi di questioni concernenti i poteri criminali, i mercati
illegali, i rapporti tra economia, politica e criminalità. Opere principali
di Umberto Santino: La violenza programmata, L'impresa mafiosa, Gabbie
vuote, presso Angeli, Milano; Dietro la droga, Edizioni Gruppo Abele,
Torino; L'antimafia difficile, La borghesia mafiosa, Casa Europa, La mafia
come soggetto politico, Sicilia 102, Oltre la legalità, presso il Centro
siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo; La mafia
interpretata, La democrazia bloccata, L'alleanza e il compromesso, La cosa e
il nome, presso Rubbettino, Soveria Mannelli; Storia del movimento
antimafia, Editori Riuniti, Roma. Per contatti: Centro siciliano di
documentazione "Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo,
tel. 091/6259789, e-mail: csdgi at tin.it]
Dopo gli attentati di Washington e di New York il presidente degli Stati
Uniti George W. Bush ha dichiarato che gli americani risponderanno con la
massima decisione agli attacchi dei terroristi e libereranno il mondo dal
"diavolo".
Il diavolo ha il volto, ormai notissimo, di Osama Bin Laden e quello, in
gran parte da scoprire, di tutti coloro che sostengono o favoriscono
l'azione dei gruppi terroristici. E si e' subito parlato del ruolo dei
taleban afghani.
Sara' bene risalire un po' indietro nel tempo per ricostruire le vicende che
hanno portato alla nascita del diavolo o dei diavoli. Com'e' noto
l'Afghanistan e' il primo produttore mondiale di oppio, un primato che e'
stato detenuto in passato dalla Birmania-Myanmar (che nei primi anni '90 ne
produceva da 2.600 a 2.800 tonnellate) ma che in seguito e' passato nelle
mani degli afghani, che gia' nel 1994 producevano 3.200 tonnellate e negli
ultimi anni hanno fatto registrare produzioni record come quella del 1999:
4.600 tonnellate su una superficie di 91.000 ettari (Ogd 2000, p. 44).
Secondo i dati dell'Undcp (United Nations Drug Control Programme) nel 2000
la siccita' avrebbe comportato una flessione: si sarebbero prodotte
"soltanto" 3.300 tonnellate, ancora la quantita' piu' alta del mondo. Nel
1999 l'oppio afghano era il 79% della produzione illecita mondiale, nel 2000
il 70% (Odccp 2001, pp. 30, 35).
L'accrescimento delle coltivazioni e' avvenuto soprattutto nell'est del
paese, la provincia di Nangahar, e ci sono zone (Sokrud, Khoughianil,
Shinwar, Chinwa) in cui il papavero e' coltivato nel 60% della superficie.
Coltivazioni ci sono pure in terre di proprieta' statale, assegnate a
taleban-agricoltori. Al momento delle semine i contadini seminano insieme
grano e papavero e successivamente distruggono il grano in erba e lasciano
crescere il papavero (Ogd 2000, pp. 44 sg.).
Nel novembre del 1997 l'Undcp ha lanciato un progetto-pilota che stanzia
16,4 milioni di dollari in dieci anni per le campagne di eradicazione e
sostituzione con coltivazioni alternative. I taleban allora dichiararono che
non occorreva attendere tanto tempo, ma se alcuni contadini hanno seguito le
indicazioni, la maggioranza ha continuato a coltivare il papavero.
I taleban hanno scelto per le campagne di eradicazione la provincia di
Kandahar, di cui sono originari il leader mullah Omar e altri capi, dove
pensavano di incontrare minori resistenze, mentre in quella di Nangahar la
coltivazione di oppio e' la principale fonte di reddito per i contadini
della tribu' Pashtun, la stessa etnia dei taleban che pero' hanno problemi
con il loro gruppo etnico: nel 1999 ci sono stati scontri per il tentativo
di impedire i pellegrinaggi legati al culto dei santi che gli "studenti di
teologia" disapprovano ma che viene diffusamente praticato.
I taleban si dichiarano impegnati nella "guerra alla droga" e hanno anche
condotto e pubblicizzato operazioni di eradicazione e contro i laboratori di
eroina, ma in realta' ricavano dall'oppio grossi proventi. Essi applicano
alla produzione agricola il cosiddetto ochor: un sistema di tassazione in
natura che prevede la redistribuzione della terza parte del ricavato ai piu'
poveri, mentre le altre due parti rimangono nelle casse dello Stato. Per
l'oppio la tassa in natura e' del 12,5% e in questo caso l'oppio confiscato
non viene redistribuito ma venduto interamente ai laboratori di eroina.
Abbiamo i dati relativi al 1997: nella provincia di Nangahar sono state
prodotte 634 tonnellate di oppio, di cui 79 tonnellate, per un valore di
circa 5 milioni di dollari, sarebbero state rivendute dai taleban. C'e'
anche un'imposta sui laboratori, di 70 dollari per chilo d'eroina, con un
profitto di 5,53 milioni di dollari. I taleban autorizzano il trasporto
dell'eroina con un balzello di 250 dollari per chilo, rilasciando un
lasciapassare e intascando qualcosa come 15,8 milioni di dollari solo per la
provincia di Nangahar. Il totale dei prelievi effettuati dai taleban
ammonterebbe quindi a piu' di 25 milioni di dollari. Secondo l'Ogd
(Observatoire geopolitique des drogues) se si vuole tentare di valutare i
proventi dell'oppio afghano bisogna moltiplicare questa cifra per tre (Ogd
2000, p. 45). E siamo a 75 milioni di dollari. Pe il 1999, anno della
produzione record, si calcola che si sia toccata la cifra di 251 milioni di
dollari (Migliavacca 2001). Sono da ritenere esagerate le stime secondo cui
il fatturato complessivo dell'eroina proveniente dal Golden Crescent
(Mezzaluna d'oro), comprendente Afghanistan, Iran e Pakistan, sarebbe tra
100 e 200 miliardi di dollari su un totale mondiale dei proventi del mercato
delle droghe di 500 miliardi; gli osservatori piu' attenti riducono
drasticamente queste cifre: il totale annuale sarebbe tra 100 e 200 miliardi
e per la Mezzaluna d'oro non si andrebbe oltre i 50 miliardi. In ogni caso
si tratta di somme favolose per un bilancio come quello dell'Afghanistan che
e' uno dei paesi piu' poveri del mondo: secondo le classifiche dell'Undp
(United Nations Development Programme) e' al 169esimo posto su 174 paesi,
con una speranza di vita di meno di 44 anni e un reddito pro capite di 800
dollari (Undp 1996, p. 153).
* La Jihad e l'eroina
Gli impegni antidroga assunti dai taleban con l'Undcp e di fronte
all'opinione pubblica internazionale vanno valutati alla luce di questi
dati. Nel febbraio del 1999 e' stato annunciato che erano stati bruciali 34
piccoli laboratori (l'Ogd parla di "cucine mobili") in zone di frontiera con
il Pakistan. Per pubblicizzare questi risultati della "campagna antidroga"
furono inviati in Afghanistan giornalisti e rappresentanti dell'Undcp che
visitarono alcuni dei laboratori distrutti e a cui furono mostrati qualche
sacco d'oppio e delle bottiglie d'anidride acetica, proveniente da Germania,
Russia, India, Pakistan e Iran. Tutto qui. Non era stato confiscato neppure
un grammo d'eroina e non era stato arrestato neppure un trafficante.
Il capo supremo dei taleban, il mullah Omar, aveva dichiarato che l'eroina
era "antislamica" e costituiva un "crimine contro l'umanita'" e nel dicembre
del '98 aveva dato il via alle operazioni. In realta' furono distrutti
soltanto dal 10 al 20% dei laboratori operanti nel Nangahar e i trafficanti
erano stati avvertiti e avevano smantellato le installazioni. I taleban
negano di praticare una tassa sui laboratori ma informatori affidabili
riferiscono che essa c'e' stata e continua ad esserci, anzi e' aumentata (da
2.500 rupie, equivalenti a 50 dollari, a 3.700 rupie, 70 dollari), in
previsione della flessione dei guadagni conseguente all'avvio delle
operazioni. I trafficanti si sono rifatti sugli acquisti di oppio, facendone
ribassare il prezzo, da 120 a 80 dollari per chilo, ma gia' avevano comprato
gran parte della produzione record del '99, pagando ai contadini in media 50
dollari al chilo. Anche l'anidride acetica, un precursore necessario per la
produzione di eroina, e' ribassata: da 64 a 48 dollari il bidone (Ogd 2000,
p. 46).
Nel luglio del 2000 un decreto del leader dei taleban ha messo al bando le
coltivazioni di oppio e, stando alle informazioni piu' recenti, negli ultimi
mesi le coltivazioni si sarebbero drasticamente ridotte: nelle provincie di
Helmand e di Nangahar e nelle altre regioni controllate dai taleban si
sarebbe passati da 71.000 ettari a soli 27 ettari (Undcp 2001), ma i
depositi di oppio non sarebbero stati distrutti.
Ci si puo' chiedere come mai i taleban, custodi dell'interpretazione piu'
rigida del testo coranico e altrettanto rigidi osservanti della legge
tribale dei Pashtun, possano tollerare la produzione di eroina e intascarne
gli utili. Studiosi della questione afghana hanno scritto o dichiarato che i
fondamentalisti islamici sono dei pragmatici che usano tutti i mezzi per
condurre la loro guerra santa per la liberazione dei territori dagli
"infedeli" (la Jihad) e la droga e' un mezzo come un altro, anzi piu'
conveniente di tutti gli altri, per il finanziamento della loro attivita'
(Labrousse 1991, pp. 110 sg.).
Negli anni '80 il comandante del Fronte nazionale islamico, Amad Akbar, che
controllava la regione dell'Helmand, dove i campi di papavero erano ben
visibili e occupavano piu' della meta' della superficie, assicurava che
quando si sarebbe costituito lo Stato islamico sarebbe stato vietato
coltivare oppio e cannabis, ma come abbiamo visto la produzione non solo e'
continuata ma e' cresciuta. I taleban sono scrupolosissimi nell'applicazione
della "legge islamica", hanno proibito l'ascolto della musica, vietato alle
donne la frequentazione delle scuole e l'esercizio delle professioni, hanno
distrutto a cannonate le statue rupestri di Buddha, condannano a morte chi
ha libri proibiti o si converte ad altra religione, ma si sono dimostrati
alquanto "permissivi"  nei confronti del business della droga.
Non e' da escludere che oltre al fattore economico giochino altri fattori,
come per esempio il desiderio di intossicare l'Occidente, verso cui fluisce
gran parte dell'eroina, ma il consumo di eroina si e' espanso anche nel
mondo islamico, in particolare nel Pakistan, che conta attualmente piu' di
un milione e mezzo di tossicodipendenti, piu' dell'intero mercato europeo e
statunitense.
* Da angeli a diavoli
Se Satana e gli altri demoni nella teologia ebraico-cristiana sono degli
angeli caduti, altrettanto si potrebbe dire dei taleban e di tutti gli altri
che oggi vengono indicati come terroristi o loro complici. Prima di
diventare agli occhi dell'Occidente i diavoli del terrorismo internazionale
sono stati gli angeli della guerra santa contro il comunismo.
I taleban sono andati al potere nel settembre del 1996, quando hanno
conquistato la capitale Kabul e hanno instaurato l'Emirato islamico
dell'Afghanistan, e il loro governo e' stato riconosciuto solo da tre Stati:
il Pakistan, l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi, mentre l'Onu riconosce
l'Alleanza del Nord, che controlla solo una piccola parte del paese, al
confine con il Tagikistan, il cui leader Amad Shah Massud e' stato ucciso
con un attentato avvenuto due giorni prima degli attentati negli Stati
Uniti.
La conquista del potere da parte dei taleban viene dopo una lunga vicenda di
tentativi di modernizzazione, resistenze di forze tradizionaliste,
assassinii, colpi di stato, guerre civili, invasioni, che potrebbe avere
come data d'inizio il 1919, quando il paese si libero' dal protettorato
inglese. Il leader del movimento per l'indipendenza Amanullah Khan, nel suo
proposito di modernizzazione si scontro' con la reazione tradizionalista
tribale che nel 1929 riusci' a detronizzarlo, ponendo sul trono Mohamed
Nadir Shah che adotto' una nuova costituzione che riconosceva l'autonomia
dei vari capi locali. Il tentativo di modernizzazione doveva riprendere nel
1953 con il primo ministro Mohamed Daoud Khan, veniva interrotto nel 1963,
con il predominio delle forze tradizionaliste, ma nel 1973 la monarchia
veniva rovesciata, Daoud, cognato del re, diventava presidente della nuova
repubblica, mentre il re Zahir Shah andava in esilio in Italia. Nell'aprile
del 1977, in seguito all'assassinio del leader del Partito popolare
democratico, che aveva avuto un ruolo decisivo nel crollo del regime
monarchico, Daoud fu deposto dai militari che lo sostituirono con Nur
Mohamed Tarachi. Furono nominati vice primi ministri Hafizullah Amin e
Babrak Karmal. Nell'aprile del 1979 la lotta tra i due si risolse in favore
del primo, che depose e assassino' Tarachi, che pure era stato suo alleato.
Amin comincio' a introdurre cambiamenti radicali (obbligo di
alfabetizzazione, abolizione della dote matrimoniale, riforma agraria),
suscitando l'opposizione dei signori tribali, dei capi religiosi e di vasti
settori del mondo contadino, a cui Amin rispose intensificando la
repressione. Nella sollevazione dei militari del 25 dicembre 1979 Amin fu
ucciso e ando' al potere Kabral, sotto il cui governo i sovietici invasero
in pochi giorni il paese.
Contro i sovietici e il governo Kabral entrarono in azione i mujaheddin
(letteralmente: quelli della Jihad) che fecero ricorso anche ad attentati
nelle principali citta'. Nel 1986 Kabral fu sostituito da Najibullah e tre
anni dopo le truppe sovietiche si ritiravano. Nell'aprile del 1992 crollava
il regime comunista e Kabul veniva conquistata dai gruppi guerriglieri, tra
cui i piu' importanti erano l'Jamat-i-Islami, diretto dal tagiko Massud, e
l'Hezb-i-Islami, di pashtun fondamentalisti, diretto da Gulbuddin Hekmatyar.
Il nuovo regime, che vedeva alla presidenza Burhanuddin Rabbani, considerato
l'attuale legittimo presidente dell'Afghanistan, Hekmatyar a capo del
governo, Massud al ministero della difesa, introdusse la Sharia, la legge
islamica, impose alle donne il velo integrale con la grata per gli occhi
(burqa) e vieto' cinema e televisione. Ma i vari gruppi si scontrarono
violentemente e in questo scontro si inserirono i taleban, addestrati nei
campi profughi gestiti dall'Isi (Inter Services Intelligence), il servizio
segreto pakistano, che nel settembre del 1996 conquistarono Kabul. Da allora
Massud, con l'esercito del Nord formato da tagiki, uzbeki e sciiti iranici,
ha capeggiato la resistenza ai taleban, da lui definiti "fanatici
bestemmiatori di Allah, calpestatori dei modi di vita tolleranti e
misericordiosi indicati dal profeta Maometto", ha invano chiesto aiuti
(l'anno scorso era venuto a Strasburgo per chiedere l'appoggio degli europei
e aveva dichiarato: "Come fare a non capire che se io lotto per fermare
l'integralismo dei taleban, lotto anche per voi? E per l'avvenire di
tutti?": Mo 2001) ed e' stato assassinato da falsi giornalisti algerini con
una finta cinepresa. Anche nelle zone controllate dall'Alleanza del Nord si
coltiva l'oppio (si parla di 3000 ettari) e, come sottolineano le donne
aderenti a Rawa, l'organizzazione femminista afghana, anche i Jehadi di
Massud si sono macchiati di crimini e hanno calpestato i diritti umani e
delle donne (Rawa 2001).
L'ascesa al potere dei taleban si spiega con l'appoggio del Pakistan e il
sostegno della Cia e il traffico di droga ha avuto un peso rilevante nella
lotta contro il regime comunista e nello scontro tra i vari gruppi
guerriglieri (McCoy 1991, pp. 445-460). In particolare il gruppo
fondamentalista diretto da Hekmatyar ha assunto un ruolo di primo piano nel
controllo del traffico di droga. La Cia, interessata a favorire la
guerriglia contro i sovietici, ha intrecciato rapporti con l'Isi, che ha
fatto da tramite con il gruppo di Hekmatyar, che grazie a questi rapporti
divenne il capo del gruppo piu' potente della guerriglia afghana,
utilizzando il narcotraffico come fonte di finanziamento, riunendo la
duplice funzione di signore della guerra e signore della droga. Hekmatyar
controllava i laboratori di eroina lungo il confine con il Pakistan (nella
provincia di Khyber alla fine degli anni '80 ce n'erano da 100 a 200) ma i
campi di papavero erano sotto l'egida del mullah Nazim Akhunzada che ordino'
ai contadini di coltivare il papavero in meta' delle loro terre. Chi
disobbediva veniva ucciso o castrato. I camion dell'esercito pakistano
andavano in Afghanistan portando armi e tornavano carichi di eroina.
Interessante notare che mentre la Cia favoriva questi traffici, la Dea
(l'agenzia antidroga degli Stati Uniti), presente in Pakistan con 17 agenti,
avrebbe dovuto contrastarli ma lasciava correre. Ed erano gli anni in cui
gli Stati Uniti avevano lanciato la crociata mondiale contro la droga,
"flagello del nostro tempo".
Non era la prima volta che la Cia si serviva del narcotraffico per le sue
operazioni anticomuniste. Lo aveva fatto nel Sud-Est asiatico, negli anni
'50, dopo la vittoria della rivoluzione cinese, appoggiando il Kmt
(l'esercito nazionalista cinese) che praticava su larga scala il
narcotraffico per finanziarsi; lo aveva rifatto in Laos, dal 1961 al 1974,
appoggiando le tribu' meo in una guerra segreta contro i guerriglieri del
Pathet-Lao, e la guerra era finanziata dall'oppio; lo rifara' appoggiando
prima gli anticastristi e poi i contras antisandinisti, legati ai
trafficanti di cocaina (Santino -La Fiura 1993, pp. 235-239).
Per portare a buon fine la guerra contro l'Unione Sovietica, la Cia e l'Isi
hanno chiamato a raccolta non solo gli afghani ma i musulmani integralisti
di 40 paesi (si parla di 35.000 persone impegnate accanto agli afghani in
azioni di guerra) e altre decine di migliaia sono andate a studiare nelle
scuole coraniche del Pakistan, dove si sono formate le leve
dell'integralismo islamico. L'intermediazione dell'Isi serviva da copertura:
molti guerrieri islamici non si rendevano conto di stare combattendo per
conto dello Zio Sam (Chossudovsky 2001).
Si puo' dire che la Cia in questi intrecci con altri servizi segreti, con
guerriglieri, narcotrafficanti, abbia dato il meglio di se', mentre non pare
che abbia dimostrato grandi capacita' nell'ostacolare l'attivita' degli
stessi gruppi quando, dopo l'implosione del "socialismo reale", hanno
rivolto la loro mira nei confronti degli Stati Uniti, trasformandosi da
benemeriti angeli dell'anticomunismo in feroci diavoli del terrorismo
transnazionale.
La Cia non si e' limitata a ordire complotti, promuovere colpi di stato e
condurre guerre piu' o meno segrete, ha fatto da maestra prodigando consigli
e ammaestramenti ad alunni vogliosi di apprendere. Nei manuali che il
servizio segreto americano distribuiva ai guerriglieri antisovietici afghani
si insegnava come usare i missili terra-aria Stinger, come preparare lettere
esplosive, come adoperare un temperino in un involucro di porcellana come
arma mortale, come utilizzare un taglierino per recidere i contatti su un
aereo passeggeri per farlo scomparire dai radar (Man 2001); quei manuali
erano un vademecum del perfetto terrorista che gli esecutori degli attentati
dell'11 settembre hanno seguito per filo e per segno, dimostrando di essere
ottimi allievi di ottimi maestri.
* Il "capo dei capi": Osama Bin Laden
Il capo di questo esercito internazionale di demoni islamici, una sorta di
capo dei capi del terrorismo mondiale, sarebbe Osama Bin Laden. Nato in
Arabia Saudita, forse a Gedda, nel 1957, settimo figlio del miliardario di
origine yemenita Mohammad Bin Laden, con 11 mogli e 54 figli, prima operaio
edile, poi costruttore e fondatore del gruppo Bin Laden Construction che ha
condotto una notevole attivita' e a cui il governo saudita ha affidato i
lavori di ampliamento alla Mecca e a Medina. Ha costruito anche la base
americana "Prince Sultan US Air Force" in Arabia Saudita.
Il giovane Osama studia architettura e anche lui fa il costruttore e,
contrariamente ai dettami coranici, non disdegna la vita mondana. La sua
"conversione" avviene con l'invasione sovietica dell'Afghanistan. Raccoglie
fondi, arruola mujaheddin, combatte in prima persona. Viene contattato dalla
Cia che gli offre assistenza tecnica e fondi. Ma ben presto Osama diventa
antiamericano. In Afghanistan fonda il movimento Al-Qaeda, la Base, e in
seguito dara' vita alla Shabka, la Rete, una struttura di collegamento dei
movimenti di liberazione in lotta contro gli Stati Uniti e i loro "lacche'
sionisti", colpevoli di occupare i luoghi sacri dell'Islam. Fanno parte
della Rete gli afghani addestrati dalla Cia alle tecniche di guerriglia e
molti di essi dopo il ritiro dell'Urss dall'Afghanistan andranno in Algeria
a compiere le stragi volute dalla Gia, e tanti altri reclutati un po'
dovunque: dai disoccupati ai piloti, ai tecnici di informatica, ai
traduttori, tutti accomunati dallo spirito della Jihad.
Nel 1988 Bin Laden ritorna in Arabia Saudita: le sue attivita' sono note e i
servizi segreti lo tengono d'occhio. Con la guerra del Golfo l'attivita' di
Bin Laden si intensifica. Si oppone alla decisione di far entrare truppe
americane nel paese, che vi si stanzieranno nel 1990, e l'anno successivo
viene arrestato ed espulso. Va in Sudan, retto da un regime islamico. Nel
febbraio del 1993 c'e' l'attentato al World Trade Center di New York con 6
morti e piu' di 1000 feriti e gli americani dicono che c'e' un collegamento
tra gli esecutori dell'attentato e Bin Laden. La serie di attentati e'
destinata a continuare. Nel 1994 viene attaccato un aereo di linea delle
Filippine, con un morto e 10 feriti. L'anno successivo fallisce un attentato
contro il presidente egiziano Mubarak in visita in Etiopia. Nel giugno del
1996 e' la volta della caserma militare di Dhaharan, in Arabia Saudita, con
19 soldati americani morti. Su pressione degli americani Bin Laden viene
espulso dal Sudan e si rifugia in Afghanistan dove installa campi di
addestramento e dove e' rimasto fino ad oggi.
Nell'agosto del 1998 ci sono gli attentati alle ambasciate americane di
Nairobi e Dar es Salam, con 224 morti. Gli Stati Uniti con raid aerei
distruggono una fabbrica di medicinali in Sudan sostenendo che produceva
armi chimiche (un morto e 9 feriti) e attaccano sei installazioni sul
territorio afghano, causando 26 morti e 53 feriti, ma non riescono a colpire
Bin Laden. In un attentato in risposta al raid americano viene ferito
l'ufficiale italiano Carmine Calo', morto successivamente. Il giornale
"Boston Globe" del 17 settembre scorso ha rivelato che il presidente Clinton
allora diede un ordine segreto alla Cia perche' alcuni agenti a contratto
del servizio segreto statunitense, ma non di nazionalita' americana,
uccidessero Bin Laden, ma l'attentato falli'. Clinton, per aggirare la legge
introdotta da Ford che vietava agli agenti segreti americani di compiere
omicidi, invoco' "l'eccezione di autodifesa". Dopo gli attentati di
Washington e New York e' stata ripristinata la "licenza d'uccidere" per gli
agenti della Cia. Per gli attentati alle ambasciate sono stati processati
quattro arabi, ma vi erano coinvolti altri 9 arabi arrestati negli Stati
Uniti e 13 latitanti, tra cui lo stesso Bin Laden (Dalla Zonca 2001).
Per completare il quadro degli attentati va ricordato l'attacco al
cacciatorpediniere americano "Cole" ormeggiato ad Aden, nello Yemen,
avvenuto nell'ottobre del 2000, con 39 morti (Allam 2001). Quindici giorni
prima degli attentati dell'11 settembre Bin Laden aveva annunciato, in una
videocassetta, una "sorpresa" per gli Stati Uniti ma dopo ha negato ogni
responsabilita', sostenendo che il mullah Omar, il capo dei taleban
autoproclamatosi "comandante dei credenti", che lo ospita "non permette di
partecipare a simili attivita'".
Se nei campi di addestramento afghani accorrono guerriglieri provenienti da
vari paesi, dalla Cina alla Cecenia, dal Sudan al Kashmir, dal Daghestan
all'Algeria, la rete che fa capo a Bin Laden si estenderebbe in piu' di 50
paesi per quanto riguarda la struttura finanziaria-industriale ma
arriverebbe a 90 paesi per la raccolta di fondi e per le possibilita' di
collaborazione.
* L'impero finanziario-industriale di Osama e dei suoi fratelli
Bin Laden non deciderebbe tutto lui. Agirebbe come un "venture capitalist"
che riceve proposte e progetti di azione, li esamina e se gli vanno a genio
provvede al loro finanziamento e contribuisce alla messa in opera
(Zecchinelli 2001). Avrebbe a sua disposizione un capitale stimato sui
250-300 milioni di dollari investito in varie parti del mondo.
Un rapporto dei servizi segreti americani, europei e sauditi ha ricostruito
la struttura dell'impero economico che farebbe capo direttamente a Osama Bin
Laden. Il network di imprese industriali e societa' finanziarie che
costituiscono i pilastri di Al-Qaeda ha come centro il Sudan: qui hanno sede
la holding Wadi Al Aquiq, con filiali in Kenya e Yemen, che ha il controllo
di aziende elettriche, agroalimentari ed editoriali; le banche Al Shamal
Islamic e Tadamon Islamic  Bank, la Taba Investment Company per investimenti
agricoli, la Ladin International, societa' di investimenti,  le societa' Al
Hijrah for Construction and Development, la Gum Arabic Company, la societa'
agricola Al Themar Al Mubaraka, la societa' di trasporti Al Quqdarat.
A Gedda, in Arabia Saudita, ha sede la National Commercial Bank, in cui ha
consistenti partecipazioni Khaled Bin Mahfuz, a cui si attribuisce un ruolo
di primissimo piano negli affari di Bin Laden. Noto per la vicenda dello
scandalo della Bcci (Bank of Credit and Commerce International), la banca di
origine pakistana con sede a Londra che copriva le operazioni in Iran e
Iraq, in Nicaragua e in Afghanistan, accusata di riciclaggio del denaro
sporco e sciolta nel 1991 (Santino - La Fiura 1993, pp. 223-229), Mahfuz e'
a capo di una famiglia saudita che avrebbe un patrimonio valutato in 2,4
miliardi di dollari. Osama ha sposato una figlia di Mahfuz e assieme
gestiscono, oltre alla banca di Gedda, la Saudi Sudanese Bank, e gestivano
l'Al Shifa, la fabbrica bombardata nel 1998 perche' sospettata di produrre
armi chimiche. Fanno parte del network imprese sparse in altre parti del
mondo: l'Al Haq Trading Company in Oman, la People Bank in Tanzania, la Nada
Management (ex Al Taqwa) in Svizzera e alle Bahamas, l'Azzam Publication a
Oxford (Radice 2001a).
Parte dei capitali di Bin Laden e' investita nei paradisi fiscali: si parla
in particolare di Cipro, di Panama, delle isole Cayman, della Malesia, delle
Filippine, della Svizzera, del Liechtenstein e del Lussemburgo. Sospettata
di aver gestito i fondi di Bin Laden e' la societa' finanziaria di Lugano Al
Taqwa, ma la societa' ha respinto ogni accusa e ha querelato il "Corriere
della sera" che nell'ottobre del '97 scriveva che essa era in realta' un
collettore di fondi destinati ai movimenti estremisti che si muovono in Nord
Africa e in Medio Oriente" (Olimpio 2001). Mentre il capo dei servizi
segreti svizzeri ha dichiarato che la polizia si interessa da tempo alla
societa' ma non e' riuscita a stabilire un legame con le centrali del
terrorismo, i servizi di sicurezza italiani e americani ritengono che la
societa' abbia finanziato vari gruppi come la Jamaa egiziana e la "nebulosa"
che si riconoscerebbe nell'attivita' di Bin Laden. I vertici della societa'
conterebbero amicizie "altolocate", come un ex segretario delle Nazioni
Unite e uomini d'affari molto noti. I rapporti con la Jamaa egiziana
risulterebbero dalle frequenti visite a Lugano di Anwaar Shabaan, guida
spirituale della comunita' egiziana di Milano, durante la guerra in Bosnia
leader del Battaglione Mujaheddin, assassinato a un posto di blocco. Avrebbe
avuto collegamenti con un nucleo di egiziani residenti nel New Jersey, una
base per la pianificazione dell'attentato al World Trade Center del febbraio
1993. Quanto ai rapporti con Bin Laden, secondo la "France Presse" un membro
del consiglio di amministrazione della Al Taqwa ha ammesso di aver
incontrato alcuni membri della sua organizzazione, durante un conferenza di
gruppi islamici svoltasi a Beirut. Ha dichiarato: "Sono persone intelligenti
e a modo" (ivi).
Ultimamente il Ministero del Tesoro degli Stati Uniti ha reso noti i nomi di
27 persone e organizzazioni i cui beni sono stati bloccati perche'
sospettate di avere rapporti con Bin Laden. Sono sotto osservazione alcune
banche che hanno avuto rapporti con l'Afghan National Credit and Finance.
Sono: la National Westminster Bank e l'Hsbc di Londra, l'American Express
Bank, la Bank of New York, la Chase Manatthan Bank e la Citybank di New
York, la Dresdner, la Kleinworth, la Benson, la Bnp, la Paribas, la Societe'
generale, la Sico (Saudi Investment Company, con sede a Ginevra e filiali in
Europa, Usa, Bahamas, Emirati Arabi, Curaçao, gestita dal fratello di Osama,
Yeslam), la Al-Shamal et Tadamon con sede a Khartoum ("la Repubblica", 25
settembre 2001, p. 7). Come si vede, ci sono i nomi del Gotha della finanza
internazionale e l'elenco, se si comincia a scavare, e' destinato ad
allungarsi. Gia' si e' fatto il nome della Deutsche Bank, che avrebbe
prestato i suoi buoni uffici per un investimento di 314 milioni di dollari
(Coen 2001), effettuato dalla famiglia Bin Laden, ma siamo solo all'inizio
di una storia infinita.
Ufficialmente i familiari di Osama Bin Laden hanno rotto con lui quando gli
venne tolta la cittadinanza saudita durante la guerra del Golfo e un
fratello, un banchiere che lavora in Svizzera, ha condannato gli attentati
in America. Gli interessi economici della famiglia sono concentrati in
Arabia Saudita e in Gran Bretagna. I fratelli di Osama gestiscono il
Binladin Group International, una grande societa' di costruzioni, con
quartier generale europeo a Londra e uffici in tutto il mondo. Al gruppo
fanno capo anche imprese operanti in Gran Bretagna che si occupano di
abbigliamento, libri per bambini e navigazione. Qualche anno fa le cose sono
andate male per il gruppo Binladin: nello scandalo della Bcci avrebbe perso
cifre considerevoli (Zecchinelli 2001).
I familiari di Osama hanno messo piede anche negli Stati Uniti. Gia' negli
anni '60 il patriarca, lo sceicco Muhammad Bin Laden, aveva interessi nel
Texas; nel 1968 muore in un misterioso incidente aereo e il suo posto viene
preso dal figlio Salem che costituira' nel 1973 la compagnia aerea Bin Laden
Aviation e avviera' un ottimo rapporto con George Bush, che sara' capo della
Cia nel 1976, poi vice di Reagan nell'81 e infine presidente degli Stati
Uniti dall'88 al '92. Le due famiglie hanno affari in comune in campo
petrolifero e finanziario. In questo rapporto ha avuto un ruolo
significativo James Bath, informatore della Cia, intermediario nella Bcci,
uomo di fiducia dei Bin Laden e dell'Arabia Saudita, finanziatore di un
societa' Arbusto Energy, fondata nel 1978 dal giovane George W. Bush, che si
trasformera' in Bush Exploration Oil e poi in Harken Energy, con
finanziamenti provenienti da paesi arabi e da personaggi del giro Bcci.
Salem Bin Laden muore nel 1988, anche lui in Texas, anche lui precipitando
con un aereo. I rapporti tra i Bush e le famiglie saudite proseguono nei
primi anni '90, poi non se ne sa piu' niente (Radice 2001b) e oggi i
rampolli delle famiglie Bush e Bin Laden sono i protagonisti della "guerra
santa" del 2000.
* Affari in Borsa
Dopo gli attentati dell'11 settembre James Woolsey, direttore della Cia dal
1993 al 1995, ha dichiarato: "Bin Laden uccide con la mano destra e con la
sinistra specula a breve termine" ("la Repubblica", 18 settembre 2001, pp.
14 sg.). Il riferimento e' alle operazioni sospette che sono avvenute in
Borsa prima delle stragi. La Sec (Securities Exchange Commission), l'organo
di vigilanza di Wall Street, ha chiesto alla Consob e alle autorita'
nazionali collegate di indagare sulle operazioni effettuate nei mercati
azionari a cavallo degli attentati. Le azioni di tre societa' assicurative,
la francese Axa, la tedesca Munich Re e la svizzera Swiss Re, hanno avuto un
calo dal 13 al 15% nella settimana prima degli attentati, inspiegabile data
l'ottima salute delle compagnie. Le autorita' di Borsa della Gran Bretagna,
della Germania e del Giappone hanno comunicato di aver avviato i controlli
per sapere se ci sono state vendite allo scoperto. In particolare le
autorita' tedesche hanno chiesto alla Fbi e alla Sec di indagare sulla
compravendita di futures collegati alla compagnia di assicurazioni di Monaco
che ha interessi nel World Trade Center. Questo tipo di speculazioni produce
grossi guadagni se un titolo crolla in seguito a improvvise brutte notizie.
Gli speculatori vendono titoli che non possiedono a prezzi molto alti e li
ricomprano successivamente a prezzi stracciati. Qualche esempio: chi ha
venduto i futures sull'indice di Francoforte, ricomprandoli il giorno dopo,
ha guadagnato il 125%, a Wall  Street il guadagno e' stato del 60% e a
Milano del 105%. Potrebbero avere effettuato le speculazioni intermediari
legati ad Al-Qaeda, l'organizzazione di Bin Laden. Il comparto assicurativo
ha subito le perdite piu' rilevanti e il conto dei risarcimenti per il
crollo delle torri gemelle e' di 40 miliardi di dollari, 85.000 miliardi di
lire. Le indagini in corso riguardano anche i titoli di compagnie aeree
precipitati dopo gli attentati. Per esempio, l'olandese Klm ha comunicato
che grosse transazioni sui derivati dei suoi titoli hanno avuto luogo nei
giorni immediatamente precedenti gli attentati. Il volume delle opzioni ha
raggiunto livelli dieci volte superiori rispetto alla settimana precedente.
Le autorita' indagano soprattutto sugli hedge funds, che pero' vengono
trattati da vari brokers, per cui e' difficile individuare i "reprobi"
(Niada 2001).
La verita' e' che fino ad oggi non si e' fatto nulla di serio per
scoperchiare i santuari della finanza dove si nascondono e si riciclano i
capitali degli evasori fiscali, delle mafie, delle organizzazioni
terroristiche e di altri, abolendo i paradisi fiscali e il segreto bancario,
e si sono lasciate proliferare le cosiddette "innovazioni finanziarie",
riducendo il sistema finanziario mondiale a un vero e proprio casino'. La
selva delle Shell companies (gusci vuoti) si e' infittita, swaps, futures,
derivati, opzioni ecc. ecc. sono pane quotidiano per tantissimi gnomi della
speculazione e ogni giorno su un movimento di capitali di 2.000 miliardi di
dollari solo una frazione minima riguarda l'economia reale, produttrice di
beni e servizi. Tutto il resto e' un'immensa bolla speculativa.
Negli ultimi tempi si e' parlato di "Stati-canaglia", cioe' di Stati che
allevano, ospitano, favoriscono gruppi terroristici (Iran, Iraq, Libia,
Siria, Sudan, Corea del Nord, Cuba), ignorando che essi spesso hanno buoni
rapporti con i paesi occidentali. Per esempio, nonostante gli embarghi, il
contrabbando di petrolio e' prosperato e si stima che Saddam Hussein
intaschi annualmente due miliardi di dollari. Per non andare lontani,
l'Italia e' il piu' importante partner economico della Libia e uno dei
principali dell'Iran (Bonazzi 2001). Ma se gli "Stati-canaglia" sono un
numero limitato, le "canaglie" del mondo finanziario sono senza numero:
bisognerebbe dichiarare una guerra senza quartiere all'opacita' del sistema
finanziario, sorella gemella della globalizzazione neoliberista, e non pare
che sia in agenda una guerra del genere. Per intanto Bush ha chiesto al
Senato americano di ratificare la Convenzione dell'Onu contro i
finanziamenti al terrorismo, Prodi ha annunciato che l'Europa fara' la sua
parte, anche il ministro Tremonti ha dato qualche consiglio mentre il
governo Berlusconi abolisce il reato di falso in bilancio e fa approvare con
procedura d'urgenza la legge che rende inutilizzabili gran parte delle
rogatorie internazionali. Qualcuno dice che questo provvedimento e'
"nell'interesse pubblico", certamente e' nell'interesse del cavaliere e dei
suoi amici, impegnati nella loro guerra santa contro le "toghe rosse", dei
mafiosi ormai esperti nell'export di capitali, degli affaristi senza
scrupoli e dei terroristi in cerca di nuovi "paradisi" (Sylos Labini 2001).
* La new war, ovvero: il terrorismo di guerra
America's new war: questa era la didascalia dei servizi della Cnn qualche
giorno dopo gli attentati dell'11 settembre. Cosa sarebbe questa "nuova
guerra"?
Fino ad ora si era parlato di "nuova guerra" con riferimento a tre aspetti:
un nemico che si comporta in modo non convenzionale, ricorrendo anche ad
atti terroristici, l'impiego di armi particolarmente sofisticate, una forte
giustificazione morale che spinge all'azione (Rusconi 2001).
Dopo gli attentati di New York e di Washington si dice che viene esaltato il
terzo aspetto: gli americani piangono migliaia di vittime, vengono colpiti
per la prima volta nel loro territorio e nei loro simboli piu' prestigiosi e
sono pertanto prontissimi all'azione, anche se bisogna vedere a quale codice
morale appartiene una volonta' di reazione che nei limiti di una richiesta
di giustizia, con l'individuazione e la punizione dei responsabili di un
gravissimo atto criminale, e' pienamente condivisibile, mentre una risposta
bellica si inscrive in un codice di vendetta e di ritorsione incompatibile
con un'etica cristiana, e tanto gli americani che gli occidentali si
proclamano difensori della civilta' cristiana, e non condivisibile da
un'etica laica del nostro tempo.
Di sicuro vengono scrollati gli altri due aspetti: chi e' il nemico e quale
tecnologia militare dev'essere impiegata. Gia' con la caduta del "socialismo
reale" era venuto a mancare il Nemico a cui si riferivano le strategie
elaborate nei documenti redatti negli anni '80 (l'Air-Land Battle 2000,
comprensiva anche dell'uso di armi atomiche: Centro Impastato 1985); nelle
guerre e negli interventi militari degli anni '90, dalla guerra del Golfo
agli interventi in Somalia e in Bosnia, alla guerra aerea contro la Serbia,
il nemico era perfettamente individuato e cosi' pure il teatro d'azione.
Nelle azioni precedenti la schiacciante superiorita' tecnologica garantiva
il successo sul piano militare (ma Saddam e' rimasto al suo posto e la
questione kosovara non e' ancora risolta) e gli americani hanno avuto
pochissime perdite. In quei contesti di guerra le azioni terroristiche, le
pulizie etniche, avevano un orizzonte territoriale limitato, anche se non
sono mancate le minacce di esportarle altrove. Ora invece il nemico e' senza
volto, non ha una base territoriale delimitata, non si conoscono le sue
reali potenzialita', non sono prevedibili le sue reazioni, anche se il
campionario delle possibilita' e' quanto mai ampio e decisamente
preoccupante: usera' armi atomiche, ordigni chimici, inquinera' le acque,
avvelenera' i prodotti alimentari, impieghera' altri kamikaze in luoghi
pubblici, nei mercati, negli stadi, nelle chiese, sugli autobus? Ovviamente,
lo fara' senza preavviso.
Lo scenario prossimo venturo vede uno Stato, gli Stati Uniti, e una
coalizione militare, la Nato, con altri alleati, impegnati  con modalita'
atipiche contro il piu' atipico dei nemici. Avremo a che fare con due
fenomeni che tendono ad assimilarsi: un terrorismo che per complessita' e
spettacolarita' delle azioni e per il sacrificio di vite umane somiglia ad
atti di guerra e una guerra che per l'imprevedibilita' delle azioni e dei
luoghi in cui vengono inscenate somiglia al terrorismo. Si puo' parlare di
"terrorismo di guerra" nel senso che tendono a prevalere modalita' proprie
del terrorismo e inusuali per la guerra cosi' come si e' configurata fino ad
oggi.
Questo tipo di "nuova guerra"  puo' diventare endemico, cioe' non avere
fine, perche' una cosa e' certa: se non si affrontano e non si avviano a
soluzione i problemi che sono all'origine del terrorismo, a cominciare dalla
questione palestinese, quest'ultimo non potra' essere estirpato. Si potranno
eliminare i terroristi di oggi ma si puo' essere certi che saranno
rimpiazzati da nuove leve.
"Terrorismo di guerra" vuol dire anche che i soggetti che occupano la scena
hanno entrambi una cultura che si puo' definire fondamentalista per l'enfasi
posta su aspetti identitari, vuoi di tipo religioso o storico-culturale. I
fondamentalisti islamici parlano di Jihad, Bush e altri parlano di "guerra
del Bene contro il Male". Gli sproloqui di Berlusconi sulla "superiorita'"
dell'Occidente hanno causato un vespaio per la loro rozzezza, e piu' d'uno
ha avvertito che non bisogna andare a una guerra contro l'Islam, che il
"fronte antiterrorista" dev'essere il piu' largo possibile e comprendere i
paesi islamici "moderati", ma bisogna vedere se e fino a che punto stiano a
cuore valori come la democrazia, il pluralismo, i diritti umani, la dignita'
delle donne (che vengono indicati come prerogative dell'Occidente
civilizzato, ma a proposito di donne: la loro condizione nell'Afghanistan
dei taleban e' semplicemente intollerabile, quelle in eta' fertile sono
considerate un oggetto sessuale talmente "provocante" da doversi nascondere
da capo a piedi; nei paesi occidentali le donne hanno conquistato diritti
fondamentali e anche se la strada della parita' rimane in salita le due
realta' sono imparagonabili, ma la mercificazione della nudita', il business
della pornografia e della prostituzione sono un'altra versione
dell'oggettualita' del corpo femminile) o se la principale preoccupazione
sia cercare alleati, anche tra regimi tirannici e dittature militari, per
una guerra che viene definita nuova, atipica, asimmetrica, invisibile ecc.
ecc. ma che i meno fantasiosi si limitano a definire sporca, per gli effetti
che non potra' non avere sulle popolazioni civili.
Le esternazioni di Berlusconi intralciano la cucitura delle alleanze (e
l'autorevole "Washington Post" le ha giudicate "estremamente pericolose") ma
tutto sommato esprimono, certo in forma congeniale alla qualita' del
personaggio, quello che molti pensano: questa e' la guerra della civilta'
contro la barbarie. Le citazioni del libro di Huntington si sprecano e le
reazioni, in gran parte entusiastiche, all'inno di guerra intonato dalla
rediviva Oriana Fallaci, che si propone come attempata Giovanna d'Arco della
riscossa dell'Occidente contro gli "sporchi invasori", danno a vedere con
quanta facilita' si diffonde l'idea che l'Occidente per salvaguardare la sua
identita' e affermare il suo primato debba ricorrere al piu' convincente
degli argomenti: l'uso delle armi.
Non sono solo i fondamentalisti islamici a chiamare Dio dalla loro parte.
Alla ripresa di Wall Street una poliziotta in divisa ha intonato il God
bless America. Wall Street e' il santuario del capitalismo, anche Bin Laden
specula in borsa ma il Dio del Capitale, reincarnazione del "Dio degli
eserciti" biblico e del Gott mit uns di meno stagionata memoria, sta con
l'Occidente e sa che la "nuova guerra" puo' essere un'occasione per
risollevare le sue sorti, svincolarsi da una recessione gia' all'orizzonte,
aggravata dal contraccolpo degli attentati, tanto che l'ultraliberista Bush
ha dovuto ricorrere, violando i comandamenti del libero mercato, a massicce
iniezioni di intervento pubblico, resuscitando un certo Keynes che si dava
per morto e sepolto. L'inno piu' adatto a questo clima di guerra e' God
bless America o God bless Money? Quel che e' certo e' che se l'umanita' non
vuole avere un futuro da incubo, con gli orrori del passato ingigantiti
dalla modernizzazione tecnologica, deve detronizzare gli dei che tuonano:
"morte agli infedeli".
* Riferimenti bibliografici
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- Zecchinelli Cecilia, Bin Laden? E' un venture capitalist, in
"CorrierEconomia", 17 settembre 2001, p. 1.

3. INIZIATIVE. APPELLO DI "MICROMEGA", "IL PONTE" E "CRITICA LIBERALE": UN
REFERENDUM PER LA LEGALITA'
[Riceviamo e diffondiamo questo appello al quale aggiungiamo la nostra
adesione]
La legge sulle rogatorie, anziche' ratificare un trattato con la
Confederazione Elvetica, teso a rendere piu' rapida, efficace, semplice, la
collaborazione giudiziaria tra i due Stati nella lotta contro il crimine,
soprattutto dei "colletti bianchi", vanifica di fatto l'acquisizione di
prove che riguardano migliaia di processi (per corruzione, riciclaggio,
traffico d'armi, mafia, pedofilia, terrorismo...) e per il futuro rende al
limite dell'impraticabile le indagini per rogatoria. Un regalo alla
delinquenza, un rifiuto a globalizzare la lotta contro il crimine, che
spinge l'Italia ai margini del mondo occidentale. Questa legge indegna, e
oltretutto "pasticciata", ha l'unico effetto di garantire nuove
prescrizioni, e dunque ulteriori impunita', agli amici di Berlusconi e a
Berlusconi medesimo.
Un referendum e' dunque necessario per abrogare tanta incivilta' giuridica.
Un referendum che veda protagonista la societa' civile e non si riduca
percio' a un mero scontro fra schieramenti di partito. Come cittadini,
questo e' il minimo che dobbiamo fare.
Roberto Benigni, Andrea Camilleri, Paolo Flores d'Arcais, Dario Fo,
Alessandro Galante Garrone, Rita Levi Montalcini, Dacia Maraini, Federico
Orlando, Alessandro Pizzorusso, Franca Rame, Pietro Scoppola, Paolo Sylos
Labini, Antonio Tabucchi.
Gia' nel paio di giorni in cui questo testo ha circolato ufficiosamente, a
Paolo Sylos Labini - insostituibile anima dell'iniziativa - sono giunte
numerosissime adesioni. Ne daremo notizia al piu' presto. Chi intende
aderire puo' farlo tramite l'e-mail di "MicroMega"
(micromegaforum at katamail.com) o delle riviste "Il Ponte", diretta da
Marcello Rossi (ilponteed at iol.it), e "Critica liberale", diretta da Enzo
Marzo (md1736 at mclink.it).

4. RIFLESSIONE. AMELIA ALBERTI: LE STRAGI E GLI AFFARI
[Amelia Alberti e' presidente del circolo di Verbania di Legambiente; per
contatti: lambient at tiscalinet.it]
La guerra ha molti fronti, tutti dolorosi per chi resta sotto le macerie, o
viene trafitto da proiettili, o finisce soffocato dall'antrace. Sostenitori
e oppositori della "guerra come strumento per risolvere i problemi"
espongono i loro motivi con argomentazioni politiche ed etiche, alcune delle
quali importanti, da non dimenticare. Meno pubblicizzate, ma non meno
determinanti, sono le argomentazioni delle lobby economiche, criminali o
istituzionali. Penso, per gli avvenimenti di queste settimane, alle
organizzazioni della droga, ai grandi petrolieri. Offro qui di seguito una
riflessione sulla questione antrace, tratta da Gianni Riotta, inviato de "La
Stampa" a Washington, ("L'offensiva dei batteri: una Caporetto della Sanita'
americana").
"... Ma c'e' anche chi pensa male. Common Cause, una lobby democratica di
Washington, nota che la Bayer (produttrice dell'antibiotico Cipro, ndr) ha
contribuito alla campagna elettorale di Bush e del partito repubblicano...
In tutto l'industria farmaceutica ha versato 10 milioni e trecentomila
dollari nelle casse repubblicane, contro 5 milioni e seicentomila dollari
donati ai democratici".
Questa commistione tra poteri economici immensi e poteri politici
altrettanto immensi induce a credere che i valori di chi sbandiera le
ragioni della guerra siano cosa insignificante, di fronte ai guadagni
incommensurabili di chi, attraverso loro, specula.

5. INCONTRI. IL 24 OTTOBRE MATHILDE MUHINDO A SCANDIANO
[Da Fulvio Bucci (fulviorossoblu at libero.it) riceviamo e volentieri
diffondiamo]
Nell'ambito delle iniziative realizzate in occasione della mostra "Dalla
guerra alla pace" i Comuni del distretto di Scandiano, Balso, Casalgrande,
Castellarano, Rubiera, Scandiano, Viano e la piccola scuola di pace di
Scandiano organizzano mercoledi 24 ottobre alle ore 21 presso la Rocca dei
Boiardo a Scandiano (entrata dalla parte opposta al ponte levatoio) un
incontro con Mathilde Muhindo, rappresentante della "Societe' Civile" di
Bukavu (Sud Kivu, Congo) di ritorno dalla partecipazione all'Assemblea
dell'Onu dei Popoli e alla Marcia "Perugia - Assisi".
Si parlera' della situazione dei popoli nella zona dei Grandi Laghi, in
Africa centrale, dove imperversa ormai da piu' di due anni una guerra
sanguinosa. Mathilde raccontera' la situazione attuale nella regione e la
resistenza nonviolenta dei popoli.
Aderiscono all'incontro vari movimenti apcifisti, nonviolenti e di
solidarieta'.

6. LETTURE. GIOVANNA CAMPANI, FRANCESCO CARCHEDI, GIOVANNI MOTTURA (A CURA
DI): SPAZI MIGRATORI E LUOGHI DELLO SVILUPPO
Giovanna Campani, Francesco Carchedi, Giovanni Mottura (a cura di), Spazi
migratori e luoghi dello sviluppo, L'Harmattan Italia, Torino 1999, pp. 186,
lire 27.000. Una ricerca di grande interesse ed utilita'.

7. LETTURE. DARIO CORNO: SCRIVERE E COMUNICARE
Dario Corno, Scrivere e comunicare, Paravia, Torino 1999, pp. 186, lire
20.000. Un percorso teorico-pratico "per apprendere a scrivere e a
migliorare il proprio stile" proposto dal noto docente universitario autore
di vari manuali di educazione al linguaggio.

8. LETTURE. I QUADERNI DI MICROMEGA: NO ALLE LEGGI "FORZA LADRI"
I quaderni di Micromega, No alle leggi "Forza Ladri", suppl. al n. 4/2001 di
"Micromega", pp. 96, lire 10.000. Un volumetto da leggere tutto, e subito,
per conoscere e contrastare con gli strumenti della democrazia e del diritto
alcune recenti leggi (in particolare quella sulle rogatorie internazionali)
dagli effetti catastrofici: che colpiscono e danneggiano gravemente la lotta
contro la corruzione, il terrorismo, i poteri criminali. Con interventi di
Paolo Flores d'Arcais, Alessandro Pizzorusso, Bruno Tinti, Antonio Tabucchi,
Elle Kappa, Paolo Biondani, Marco Travaglio, Dacia Maraini, Peter Gomez,
Maurizio de Lucia e Roberto Scarpinato, Stefano Benni, Salvatore Bragantini,
Bernard Bertossa, Gian Carlo Caselli, Renaud Van Ruymbeke, Enzo Marzo,
Armando Spataro, Federico Orlando e Domenico Fisichella, Leo Sisti, Nando
dalla Chiesa, Elio Veltri.

9. RILETTURE. ALBERTO L'ABATE (A CURA DI): ADDESTRAMENTO ALLA NONVIOLENZA
Alberto L'Abate (a cura di), Addestramento alla nonviolenza, Satyagraha,
Torino 1985, pp. 160, lire 16.000. Una eccellente introduzione
teorico-pratica ai metodi addestrativi, deliberativi ed operativi della
nonviolenza, curata da una delle figure piu' limpide e luminose dell'impegno
nonviolento.

10. MATERIALI. PER STUDIARE LA GLOBALIZZAZIONE: DA SEBASTIANO TIMPANARO A
WANDA TOMMASI

* SEBASTIANO TIMPANARO
Profilo: nato a Parma nel 1923, studioso di filologia classica, della
cultura dell'Ottocento, di questioni inerenti al materialismo e il marxismo,
ma anche alla linguistica ed alla psicoanalisi. E' stato uno dei più acuti
interpreti di Leopardi, e uno dei più rigorosi intellettuali della sinistra
italiana. E' deceduto nel novembre 2000. Opere di Sebastiano Timpanaro:
segnaliamo almeno La filologia di Giacomo Leopardi, Laterza; La genesi del
metodo del Lachmann; Classicismo e illuminismo nell'Ottocento italiano,
Nistri-Lischi; Sul materialismo, Nistri-Lischi, ora Unicopli;
Antileopardiani e neomoderati nella sinistra italiana, Ets; Il lapsus
freudiano; Aspetti e figure della cultura ottocentesca, Nistri-Lischi; La
"fobia romana" e altri scritti su Freud e Meringer, Ets, Nuovi studi sul
nostro Ottocento, Nistri-Lischi; segnaliamo anche particolarmente la sua
traduzione di Cicerone, Della divinazione, e quella di Holbach, Il buon
senso, ambedue presso Garzanti, con eccellente apparato critico.

* TIZIANO TISSINO
Profilo : pacifista nonviolento, impegnato nel movimento ecclesiale per la
pace "Beati i costruttori di pace", promotore della tenda per la pace ad
Aviano, impegnato nella "Rete di Lilliput".

* JAMES TOBIN
Profilo: premio Nobel per l'economia nel 1981; nel 1972 aveva proposto di
"gettare un granello di sabbia negli ingranaggi della speculazione
finanziaria" imponendo una tassa sulle transazioni valutarie; a sostegno di
questa proposta, la "Tobin tax", è oggi in corso una campagna internazionale
in cui sono impegnate ong e movimenti di solidarietà. Indirizzi utili: sulla
proposta della "Tobin tax" contattare "Attac Italia" c/o Mani Tese, tel.
02/4075175; internet: www.attac.org; e-mail: manitese at planet.it

* TZVETAN TODOROV
Profilo: nato a Sofia nel 1939, a Parigi dal 1963. Muovendo da studi
linguistici e letterari è andato sempre più lavorando su temi antropologici
e di storia della cultura e su decisive questioni morali. Riportiamo anche
il seguente brano dalla scheda dedicata a Todorov nell'Enciclopedia
multimediale delle scienze filosofiche: "Dopo i primi lavori di critica
letteraria dedicati alla poetica dei formalisti russi, l'interesse di
Todorov si allarga alla filosofia del linguaggio, disciplina che egli
concepisce come parte della semiotica o scienza del segno in generale. In
questo contesto Todorov cerca di cogliere la peculiarita' del "simbolo" che
va interpretato facendo ricorso, accanto al senso materiale
dell'enunciazione, ad un secondo senso che si colloca nell'atto
interpretativo. Ne deriva l'inscindibile unita' di simbolismo ed
ermeneutica. Con La conquista dell'America, Todorov ha intrapreso una
ricerca sulla categoria dell'"alterita'" e sul rapporto tra individui
appartenenti a culture e gruppi sociali diversi. Questo tema, che ha la sua
lontana origine psicologica nella situazione di emigrato che Todorov si
trova a vivere in Francia, trova la sua compiuta espressione in un ideale
umanistico di razionalita', moderazione e tolleranza".

* GIACOMO TOLOT
Profilo: sacerdote cattolico, impegnato nel movimento ecclesiale per la pace
"Beati i costruttori di pace", promotore della tenda per la pace ad Aviano.

* LEV TOLSTOJ
Profilo: nato nel 1828 e scomparso nel 1910, non solo grandissimo scrittore,
ma anche educatore e riformatore religioso e sociale, propugnatore della
nonviolenza intesa come cristiana "non resistenza al male". Opere di Lev
Tolstoj: tralasciando qui le opere letterarie (ma cfr. almeno Tutti i
romanzi, Sansoni, Firenze; e alcuni dei più grandi racconti, come La morte
di Ivan Il'ic, e Padre Sergio), della gigantesca pubblicistica tolstojana
segnaliamo particolarmente almeno Quale scuola, Mondadori, Milano; Perché la
gente si droga? e altri saggio su società, politica, religione, Mondadori,
Milano; Il regno di Dio è in voi, Bocca, Roma, poi Publiprint-Manca,
Trento-Genova; La legge della violenza e la legge dell'amore, Edizioni del
Movimento Nonviolento, Verona. Opere su Lev Tolstoj: dal nostro punto di
vista segnaliamo particolarmente Pier Cesare Bori, Gianni Sofri, Gandhi e
Tolstoj, Il Mulino, Bologna; Pier Cesare Bori, Tolstoj, ECP, S. Domenico di
Fiesole; Pier Cesare Bori, L'altro Tolstoj, Il Mulino, Bologna. Indirizzi
utili: "Amici di Tolstoj", c/o Gloria Gazzeri, via Casole d'Elsa 13, 00139
Roma, tel. 06/8125697.

* WANDA TOMMASI
Profilo: docente di storia della filosofia contemporanea all'Università di
Verona, fa parte della comunità filosofica di "Diotima". Opere di Wanda
Tommasi: La natura e la macchina. Hegel sull'economia e le scienze, Liguori,
Napoli 1979; Maurice Blanchot: la parola errante, Bertani, Verona 1984;
Simone Weil: segni, idoli e simboli, Franco Angeli, Milano 1993; Simone
Weil. Esperienza religiosa, esperienza femminile, Liguori, Napoli 1997; I
filosofi e le donne, Tre Lune, Mantova 2001.

11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ;
angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 267 del 24 ottobre 2001