[AI] Intervista a Monsignor Daniel Adwok,vescovo ausiliare di Khartoum (Sudan) e amministratore apostolico di Kosti.



Perugia, 12 ottobre.

Perché è venuto all’Assemblea dell’Onu dei Popoli?

Qui ci sono organizzazioni e associazioni con le quali vorrei 
comunicare il pensiero delle Conferenza episcopale sudanese, che chiede 
aiuto per far smettere la guerra in Sudan. Chiediamo alla società 
civile e ai governi di prendere in considerazione il conflitto che ci 
affligge da decenni.
Qui ho conosciuto molte altre situazioni difficili e ho potuto 
esprimere la nostra solidarietà a delegati e associazioni. Parlando 
delle sofferenze della nostra gente ci accorgiamo che siamo tutti alla 
determinata ricerca di un cambiamento. Soprattutto adesso, dopo i fatti 
terroristici avvenuti negli Usa, sono necessari cambiamenti politici, 
dobbiamo avere visioni economiche e politiche nuove: l’Onu deve 
diventare una organizzazione di popoli, e non di soli governi. L’Onu 
deve diventare l’organizzazione leader del dialogo, creare una 
piattaforma di continua consultazione e dibattito per rispondere alle 
domande di giustizia dei popoli, per riconoscere e trovare soluzioni ai 
loro problemi.
Nella Marcia per la Pace esprimeremo la nostra solidarietà con i popoli 
che hanno bisogno della pace, come quello sudanese. La pace è 
fondamentale, soprattutto in questo momento critico: intendiamo perciò 
esprimere tuta la nostra preoccupazione ai governi e a tutte le 
istituzioni responsabili.

Il terrorismo può essere sconfitto con la nonviolenza?

La metodologia nonviolenta non è facile, specialmente in contesti 
violenti, come quello del terrorismo. Ma la violenza disumanizza ed è 
comunque un pericolo: finisce col disumanizzare le persone non 
rispettando i loro valori e la loro dignità. Quindi l’uso di mezzi 
nonviolenti e pacifici è l’unica alternativa possibile di soluzione dei 
conflitti che garantisca il valore del volto umano sulla terra.
Certo è difficile dire queste cose, soprattutto in momenti come questo. 
Per esempio, in Afghanistan quando finirà? Quando andrà tutto bene e 
non ci sarà più paura? Ma è ancora più difficile quando lo stato 
diventa uno stato-polizia, o uno stato-prigione. L’unica via al cuore 
dell’umanità è la nonviolenza.

Qual è la situazione del Sudan oggi?

La guerra che vede un governo arabo-islamico imporre cultura e 
religione per il controllo delle risorse (petrolio e acqua), e una metà 
del paese reagire per mantenere la propria identità culturale e 
religiosa, non accenna a finire. Anzi, la recente scoperta del petrolio 
ha portato nuove armi, la recrudescenza della guerra a scapito dei 
negoziati di pace, e l’aumento di interessi anche dei paesi occidentali 
in Sudan. Così il governo ha pulito la sua faccia dall’accusa di 
connessione col terrorismo islamico internazionale guadagnando la 
cancellazione delle sanzioni e nuovi investimenti occidentali, ed 
evitando il pericolo di essere bombardato dagli Usa. Ma il governo 
rimane integralista e la sua agenda di “terrorismo” interno non cambia.
C’è odio nel paese, perché diritti umani fondamentali sono calpestati e 
manca la giustizia. E, purtroppo, l’incapacità di vivere una vita 
dignitosa e veder rispettati i propri diritti, porta al conflitto.
I vescovi sudanesi chiedono incessantemente uno stop allo sfruttamento 
petrolifero finché non ci sia pace, il cessate il fuoco e un accordo 
politico che rispetti il pluralismo nel paese: il conflitto va risolto 
in maniera politica. Ma anche i politici italiani, che potrebbero dare 
un contributo importante al negoziato, pensano solo ai propri interessi 
troppo vicini a quelli del mondo arabo e, quindi, a quelli del governo 
sudanese. (G.B.)