La nonviolenza e' in cammino. 254



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 254 del 10 ottobre 2001

Sommario di questo numero:
1. Tavola della Pace: no alla guerra
2. Ilvano Rasimelli, le vie della nonviolenza attiva
3. Peppe Sini, un ringraziamento e un chiarimento al dottor Mario Pirani
4. Enrico Euli, le retoriche dell'unita'
5. Giulio Vittorangeli, i rambo non ci salveranno
6. Yukari Saito, al Presidente della Repubblica Italiana
7. Diana Dimonte, col dolore nel cuore
8. Bruno Giaccone, guerra e nonviolenza
9. Lea Melandri, non siamo disposte
10. Ferruccio Brugnaro, non pugnalate la pace
11. Letture: Gregory Bateson, Una sacra unita'
12. Letture: Alessandro Dal Lago, Non-persone
13. Letture: David Maria Turoldo, Il mio amico don Milani
14. Il 29 ottobre a Roma ricordando Franco Basaglia
15. Per studiare la globalizzazione: da Gene Sharp a Renate Siebert
16. La "Carta" del Movimento Nonviolento
17. Per saperne di piu'

1. DOCUMENTI. TAVOLA DELLA PACE: NO ALLA GUERRA
[Questo e' il comunicato diffuso dalla Tavola della Pace l'8 ottobre]
Gli attentati contro gli Stati Uniti sono un crimine contro l'umanita' e i
responsabili devono essere fermati e assicurati alla giustizia.
La decisione americana di effettuare un attacco armato contro lo Stato
dell'Afghanistan, a seguito degli attentati subiti lo scorso 11 settembre,
e' sbagliata, illegale e pericolosa.
Sbagliata perche' provochera' nuove vittime innocenti, nuove distruzioni,
nuove violenze e anziche' sradicare il terrorismo lo alimentera' insieme
all'odio e al fanatismo contro gli americani e l'Occidente.
Illegale perche' e' espressamente vietata dal diritto internazionale e dalla
Carta delle Nazioni Unite.
Pericolosa perche' espone i cittadini americani e tutti i loro alleati ad
una catena di attentati terroristici. Anziche' fermare la spirale del
terrore questa guerra finira' per alimentarla.
Questa guerra non era inevitabile.
Fin dal giorno degli attentati la Tavola della Pace ha indicato un'altra
strada piu' decisa, precisa ed efficace: la strada della legalita' e della
giustizia penale internazionale.
Rinunciare a farsi giustizia da soli.
Affidare all'Onu la responsabilita' di agire a nome dell'intera umanita' per
sradicare i terrorismi con misure politiche, diplomatiche, finanziarie e di
polizia internazionale.
Ratificare e insediare subito la Corte Penale Internazionale.
Intervenire alle radici dei problemi.
Mettere fine alla politica dei "due pesi e due misure".
Mettere fine al conflitto israelo-palestinese e togliere l'embargo all'Iraq.
Promuovere il disarmo e ridurre l'ingiustizia economica che alimenta la
disperazione e il disordine internazionale.
Fin dal 12 settembre l'Onu ha intrapreso la strada giusta approvando, con
uno straordinario consenso, misure nuove e concrete. Perche' non si e'
voluto continuare a percorrere la strada tracciata dall'Onu?
Chiediamo agli Stati Uniti di fermare le operazioni militari.
Chiediamo all'Italia e all'Europa di non lasciarsi risucchiare nel vortice
dell'odio e della vendetta. L'Europa non deve fare la guerra ma costruire la
pace.
Facciamo appello ai Parlamenti e ai Governi dell'Europa perche' in questi
giorni difficili raccolgano, insieme alla societa' civile, la bandiera della
legalita', della giustizia e della pace.
La societa' civile e' in prima fila nella lotta ai terrorismi e nel rifiuto
della guerra. Invitiamo tutte le donne e gli uomini amanti della pace e
della giustizia a partecipare domenica prossima, 14 ottobre 2001, alla
grande Marcia per la pace Perugia-Assisi per chiedere cibo, acqua e lavoro
per tutti, per sradicare i terrorismi, fermare le guerre e costruire la
pace.
Flavio Lotti e padre Nicola Giandomenico
coordinatori della Tavola della Pace

2. TESTIMONIANZE. ILVANO RASIMELLI: LE VIE DELLA NONVIOLENZA ATTIVA
[Ilvano Rasimelli, perugino, combattente antifascista fin dal 1940, e' stato
in prigione insieme ad Aldo Capitini, partigiano, esponente del PCI nel
dopoguerra, presidente della Provincia di Perugia, Senatore della
Repubblica, oggi ingegnere pensionato. Questa sua testimonianza ci e' stata
trasmessa da Lanfranco Mencaroni (per contatti: l.mencaroni at libero.it)]
In un pomeriggio del gennaio 1944, a Sorgnano [provincia di Perugia -ndr-]
nevicava quando lasciammo la montagna, Primo Ciabatti [partigiano, di li' a
un mese catturato e fucilato dai nazisti -ndr-] ed io, per scendere a valle
per incontrare Aldo Capitini il quale, tra Miralduolo e Torgiano, era
rifugiato ospite in una casa del giudice Severini.
Noi eravamo armati.
Dopo i calorosi saluti e abbracci cominciammo a discutere delle cose del
mondo.
Primo, ad un certo punto, chiese ad Aldo cosa pensasse di noi partigiani.
Egli rispose: non vi condanno, ma io non faccio come voi.
Eravamo allora, fatta salva la grande stima e ed amicizia che ci legava, in
disaccordo con le posizioni nonviolente di Aldo.
Nel pieno di un conflitto mondiale di estensione, violenza e capacita'
distruttiva senza precedenti che aveva coinvolto direttamente o
indirettamente tutto il pianeta, di fronte alla brutalita' del nazismo, al
genocidio, alle stragi dei bombardamenti, non ci sentivamo allora di
scegliere i metodi di lotta nonviolenta.
Poi, alla fine del conflitto, esplosero le bombe atomiche a Hiroshima e
Nagasaki e li' si prese coscienza che il potere distruttivo che l'uomo aveva
conquistato poteva mettere in discussione l'intera vita sulla terra.
Nei cinquanta anni successivi al conflitto mondiale esplosero, senza
precedenti, i grandi sviluppi della scienza e della tecnologia e si
rifletterero nella produzione, nella vita sociale, nelle relazioni umane.
Il mondo dell'ultimo conflitto mondiale rispetto al mondo di oggi sembra
preistoria.
Le conquiste scientifiche e tecnologiche possono oggi aprire all'umanita'
prospettive di vita migliore o possono distruggerla.
Basti pensare alle biotecnologie ed al loro impiego, al servizio del
profitto privato oppure dell'umanita'.
Ma insieme allo sviluppo scientifico e tecnologico che a prima vista
dovrebbe produrre una crescita generalizzata dell'uso della ragione, del
buon senso e della tolleranza, si assiste a livelli di massa al trionfo
dell'irrazionale.
Astrologi e cartomanti trionfano nei quotidiani e nei mass-media in
generale.
I conflitti etnici e religiosi danno origini a conflitti di inaudita
ferocia.
Mentre gli Usa pensavano a investire miliardi di dollari nella difesa
spaziale, si sono trovati improvvisamente smarriti di fronte alla nuova
realta' del terrorismo il quale, incentivato dal fanatismo religioso, si e'
dimostrato in grado di colpire contemporaneamente i centri del potere
economico e militare degli Usa, provocando migliaia di morti innocenti.
E' proprio di fronte a questo nuovo quadro del mondo che il messaggio di
Aldo Capitini diventa attuale.
Vale la pena pero' di riflettere come la scelta nonviolenta sia valida
soltanto se non ristretta a minoranze, ma conquista cosciente della
maggioranza della societa'.
La scelta nonviolenta, infatti, comporta adesioni di massa.
Questo aveva capito Aldo Capitini quando ideo' i Centri di orientamento
sociale.
Senza consensi e adesioni di massa, la scelta nonviolenta puo' soltanto
assumere valore di testimonianza.
Ma con l'adesione di massa la potenza della lotta nonviolenta e'
inarrestabile.
E' cosi' che il messaggio di Aldo Capitini rappresenta oggi la strada piu'
augurabile da percorrere nell'interesse dell'umanita'.

3. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: UN RINGRAZIAMENTO E UN CHIARIMENTO AL DOTTOR
MARIO PIRANI
[Un ringraziamento ed un chiarimento al dottor Mario Pirani che ha avuto la
gentilezza di chiamarci in causa nel suo commento dal titolo "Le idee dei
pacifisti sono ferme al Vietnam" su "La Repubblica" dell'8 ottobre]
Il dottor Mario Pirani, giornalista di grande intelligenza e di eccellente
garbo (il che non guasta mai), ci fa l'onore, nel suo commento su "La
Repubblica" dell'8 ottobre (a p. 22), di prenderci come esempio di un
pacifismo "le cui idee sono ferme al Vietnam". E sia pure.
Ma il dottor Pirani, dopo aver citato testualmente con compiuta correttezza
una nostra opinione (ovvero che questa guerra "non ha fondamento nel diritto
internazionale, aggiungerebbe crimine a crimine e violerebbe la
Costituzione"), commette un non lieve errore di metodo e di fatto quando,
dopo averci designato come posizione idealtipica del movimento per la pace,
nel suo controdedurre nel prosieguo dell'articolo ci attribuisce, per cosi'
dire transitivamente o per contagio, un guazzabuglio di opinioni e
atteggiamenti che proprio non sono i nostri.
E vorremmo dire brevemente perche'.
a) Il nostro impegno contro il terrorismo data dagli anni '70 (dalla
fondazione del nostro centro), senza mai alcuna ambiguita'.
b) Il nostro dolore per le vittime di New York e di Washington e' stato ed
e' sincero ed intenso, e personalmente ha determinato chi scrive queste
righe ad esprimerlo con un digiuno di condivisione e raccoglimento, che
forse ad alcuni potra' sembrare cosa ridicola e incomprensibile, ma per chi
lo fa (come me, da laico e non credente) non e' uno scherzo.
c) Noi non abbiamo aderito al GSF ne' partecipato alle manifestazioni da
esso promosse a Genova, proprio perche' abbiamo ritenuto del tutto
incondivisibili decisioni ed atteggiamenti che ci sono parsi irresponsabili
ed ambigui; ed in questo la nostra posizione e' netta e documentata fin
dalla nostra condanna degli errori e degli orrori di Praga (e quante lettere
di insulti da ragazzini esaltati un vecchierello con la barba imbiancata
come me ha dovuto ricevere per aver condannato, oltre alle violenze
poliziesche, anche la violenza e l'ambiguita' sulla violenza da parte del
cosiddetto "movimento di movimenti").
d) Non solo: dopo i fatti di Genova, condannando intransigentemente tutte le
violenze e chiedendo verita' e giustizia senza alcuna zona d'ombra, abbiamo
contrastato l'insensata campagna di demonizzazione indiscriminata delle
forze dell'ordine; ed abbiamo avanzato l'unica proposta positiva che ci
risulti sia stata fatta fin qui: quella della proposta di legge per la
formazione delle forze dell'ordine alla nonviolenza, che vari parlamentari
dovrebbero finalmente presentare nei prossimi giorni.
e) In questo periodo stiamo facendo ogni sforzo per persuadere il movimento
per la pace a separarsi dagli ambigui e dai violenti.
f) Noi siamo per la nonviolenza: senza "se" e senza "ma". La nonviolenza o
la si accoglie senza sotterfugi e riserve, o non si ha diritto di
proclamarsene amici. Pubblichiamo ogni giorno un notiziario telematico dal
titolo "La nonviolenza e' in cammino", ci sta a cuore essere chiari e netti.
Detto questo confermiamo il nostro impegno: contro il terrorismo, contro la
guerra che lo prosegue ed amplifica, contro la violenza, contro le
violazioni del diritto internazionale e della Costituzione della Repubblica
Italiana.
E confermiamo anche il nostro impegno nonviolento per contrastare il
terrorismo e la guerra: promuovendo l'azione diretta nonviolenta, la
disobbedienza civile, lo sciopero generale in difesa della legalita', della
pace, delle concrete vite degli esseri umani esposti all'aggressione
terroristica e bellica.
Saremo attardati, saremo perfino decrepiti, ma questo e' il nostro modesto
punto di vista, e vorremmo che chi lo volesse discutere lo discutesse per
quello che e', senza travisamenti che non ci rendono giustizia (per essere
espliciti: non siamo ne' "biascicatori di deprecazioni", ne'
"antiamerikani", e tralasciamo altri insulti che nell'articolo a noi
pacifisti vengono rivolti in forme non propriamente eleganti).
Al dottor Pirani rivolgiamo un ringraziamento sincero, per il suo lavoro e
per averci dedicato la sua attenzione. Il fatto che abbiamo opinioni diverse
e fin opposte su un tema tanto grave non implica uno scemare dell'attenzione
per quanto scrive, e men che meno del rispetto dovuto ad ogni essere umano.
Gli porgiamo quindi i sensi della nostra stima, e gli saremo grati se vorra'
continuare a riflettere e scrivere su quanto sta accadendo, continuando
altresi' a dedicare un'attenzione critica, e possibilmente equanime, alla
riflessione e alle esperienze del movimento pacifista (che di voci critiche
e chiarificatrici ha un estremo bisogno).

4. RIFLESSIONE. ENRICO EULI: LE  RETORICHE  DELL'UNITA'
[Enrico Euli e' uno dei piu' noti formatori alla nonviolenza. Per contatti:
casadialex at tiscalinet.it. Il Mario cui si accenna affettuosamente con un
gioco di parole nella chiusa di questo intervento e' Mario Pianta, uno dei
piu' noti e apprezzati studiosi impegnati nel movimento per la pace]
"L'unita' tra i dissimili chiama amore, odio quella tra i somiglianti"
(Empedocle).
* Genova, 22 luglio.
Si sono fatti molti errori, e' evidente.
La gestione delle azioni in piazza il venerdi, la scelta di fare comunque il
corteo il giorno dopo, l'abbandono in cui versava la Scuola Diaz prima
dell'attacco poliziesco.
Il GSF e' allo sbando, i portavoce hanno fatto scelte criticabili, si
attende un'autocritica puntuale e trasparente. Niente di tutto questo
avviene (o quasi). Ci viene chiesto di fare esattamente il contrario.
Le parole d'ordine: "il movimento ha vinto (trecentomila in piazza!), la
polizia e' criminale e sta cercando di criminalizzarci, quindi... nessun
conflitto aperto, nessuna parola negativa, soprattutto in pubblico. Stiamo
uniti, chiaro ?"
* Washington, 12 settembre.
"United we stand", declama George Bush jr.
"USA, USA, USA" rispondono i suoi patrioti, rimirando il cielo e agitando le
bandierine.
"Siamo tutti americani" si affrettano i replicanti Rutelli e Fassino,
dall'altra sponda.
"Tutti i musulmani uniti contro gli infedeli" gli rimanda il placido Osama,
dall'alto dei cieli.
* Cagliari, 23 settembre.
Festa di "Liberazione". Maurizio Zipponi, noto sindacalista FIOM, interviene
contro la guerra.
Un bell'intervento, deciso e persuasivo, almeno per chi e' la'.
Mi alzo e gli chiedo cosa puo' dirmi sul problema della produzione bellica.
Confessa al pubblico di lavorare in una fabbrica d'armi (anche se al momento
e' in aspettativa).
Nessun commento ulteriore da parte mia.
Alla fine, qualcuno si avvicina e mi critica perche' "l'hai sputtanato e hai
rotto l'unita' del movimento".
* Perugia, primo ottobre.
Appare un fantasmatico Flavio Lotti alla tv.
Si aggrappa sugli specchi del pacifismo di professione: la Tavola (Favola?)
della Pace ci chiama a manifestare, tutti insieme appassionatamente, su una
piattaforma che sembra quella da cui gia' partono i jet della Santa
Alleanza.
Bolini e Benettollo intonano il mantra di copertura: nonviolenza,
nonviolenza!
Intanto provano a tenere insieme Bobba, Casarini, D'Alema, Agnoletto e
Gesualdi.
Ci vuole veramente una fede nell'unita' che sposta le montagne! Grazie,
grazie davvero...
* Roma, 8 ottobre.
"Liberta' duratura" ha avuto inizio e durera'. A lungo, dicono.
I poliziotti alla metro si guardano intorno guardinghi: fanno tenerezza, con
il loro fare romanesco, da coattelli mal cresciuti, e le pistolone che
sporgono sull'inguine.
Un'anziana signora, sembra tranquilla, legge al mio fianco un librone con la
faccia di Gesu', "Appello Divino"; uno di questi mi raggela: "vi sembrera'
che tutto stia per finire, i vescovi contro i vescovi, i cardinali contro i
cardinali; il diavolo apparira' piu' volte a distruggere quel che resta del
mondo; ma voi non temete, restate uniti, e credete in me!".
Apro l'edizione speciale del "Manifesto", tanto per compensare
ideologicamente i sedili: "Perche' dividersi sulla Perugia-Assisi? Che senso
avrebbe litigare in nome della pace mentre le bombe gia' piovono su Kabul?".
Sta sull'ultima pagina. Spero sia davvero l'ultima. Mario, Piantala!

5. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: I RAMBO NON CI SALVERANNO
[Giulio Vittorangeli e' impegnato nella solidarieta' internazionale ed e'
tra i principali collaboratori di questo foglio. Per contatti:
giulio.vittorangeli at tin.it]
Sono momenti difficili, anche dal punto di vista emotivo, perche' la guerra
non solo toglie la voce a chi si vuole opporre, ma devasta coscienze ed
impoverisce vite anche intorno a noi. Bisognerebbe avere il coraggio di
lasciare tutto quello che si sta facendo, abbandonare posti di lavoro,
abitazioni, e scendere in strada, occupare piazze, e bisognerebbe essere in
tanti. Uno sciopero contro la guerra che blocchi tutto, che paralizzi un
Paese intero.
"Voglio uno sciopero dove incontrarci tutti.
Uno sciopero di braccia, di gambe, di capelli,
uno sciopero che nasca in ogni corpo.
Voglio uno sciopero
di operai, di colombe
di autisti, di fiori
di tecnici, di bambini
di medici, di donne.
Voglio un grande sciopero,
che arrivi sino all'amore.
Uno sciopero dove si fermi tutto,
l'orologio, le fabbriche
lo stabilimento, le scuole
l'autobus, gli ospedali
la strada, i porti.
Uno sciopero di occhi, di mani, di baci.
Un grande sciopero dove non sia permesso respirare,
uno sciopero dove nasca il silenzio
per ascoltare i passi
del tiranno che si allontana".
E' una poesia del 1976, della scrittrice e poetessa nicaraguense Gioconda
Belli, che conserva tutta la sua attualita', se alla parola "tiranno"
sostituiamo quella di "guerra".
Ma la guerra non si "allontana", anzi sembra conquistare sempre maggiori
consensi. Era stata bandita dal consorzio umano, le Nazioni Unite erano
sorte per salvare "le future generazioni dal flagello della guerra"; le
Costituzioni di molte nazioni esecravano la guerra come strumento di
risoluzione dei conflitti.
Poi con la guerra del Golfo del 1991, tutto e' stato possibile. Oggi
"viaggiamo" alla media di una guerra ogni due anni: dal Kossovo del 1999
all'Afghanistan. Tanto il "pazzo, mostro, dittatore... il nuovo Hitler", lo
troviamo sempre; che sia Osama bin Laden, Saddam Hussein, Milosevic, o
qualcun altro, poco importa. L'immaginario della gente ha scarsa memoria e
"mostro scaccia mostro"; quelli di ieri sono rapidamente dimenticati e
sostituiti da quelli odierni. Solo la guerra resta immutabile, e necessaria
sempre "per fare giustizia". Poi i morti non sono piu' morti, sono "danni
collaterali" (vale anche per i quattro funzionari delle Nazioni Unite uccisi
nei raid del secondo giorno di bombardamenti statunitensi a Kabul?); e chi
sopravvive, dall'alto della nostra umanita' lo "bombardiamo" con viveri ed
aiuti. Il Pentagono ha confermato che nove ore dopo il primo attacco sono
stati paracadutati sull'Afghanistan 37.500 pacchi contenenti cibo e
medicine. Stiamo raggiungendo vette di ipocrisia raramente viste nella
storia umana. Plaudiamo ad Arafat perche' finalmente reprime il suo popolo:
a Gaza i palestinesi si sono scontrati con la polizia dell'Autorita'
Nazionale Palestinese che tentava di impedire una manifestazione a favore di
Osama bin Laden. Bilancio: almeno due morti.
Cosi' come del popolo afghano non interessa niente a nessuno. Buono ieri,
con i mujaheddin, quando serviva come carne da cannone da impiegare contro
l'invasione dell'Unione Sovietica (per cui tornava utile anche il
fondamentalismo islamico), poi immediatamente abbandonato a se stesso nel
dopoguerra; salvo un breve sussulto internazionale (tanto per salvare le
apparenze) al momento della comparsa dei talebani; erano il 1996. Sono
passati cinque anni in cui bellamente di quanto accadeva all'interno di
questo Paese, all'Occidente non poteva importare di meno. Non erano forse
soprattutto afghani gli oltre 430 profughi soccorsi questa estate, il 26
agosto, al largo dell'Indonesia dal cargo norvegese Tampa e respinti dalle
autorita' australiane? Cosi' (ricorderete) il primo ministro conservatore
John Howard ha inviato a bordo del Tampa, dove le condizioni igieniche erano
precarie, truppe scelte per impedire lo sbarco sulla vicina isola di
Christmas, territorio australiano ma a 1.500 chilometri dall'Australia
(potenza regionale delegata al mantenimento dell'ordine in quella parte del
mondo). Le operazioni della Marina australiana sono costate allo Stato circa
tre milioni di dollari australiani: con questa somma il governo avrebbe
potuto garantire accoglienza ai 430 profughi per piu' di 400 giorni.
La realta' drammatica e' che qualsiasi altro Stato dell'Occidente avrebbe
fatto lo stesso; perche' non c'e' piu' una questione Nord-Sud del mondo,
c'e' solo l'esigenza di rispondere ad una opinione pubblica (la parte ricca
economicamente) prigioniera delle proprie peggiori pulsioni xenofobe, quelle
(per essere chiari) che in Italia hanno portato prima alla creazione dei
famigerati campi di detenzione per migranti, poi al nuovo disegno di legge
sull'immigrazione dove "l'altro" non ha neppure la dignita' umana. "Ancora
molti sono convinti che la fame nel mondo non sia colpa delle furbizie
commerciali globalizzate che strangolano le economie locali. Molti credono
veramente che quei popoli soffrano dell'indigenza e della miseria per
ragioni che niente hanno a che vedere con il colonialismo, lo sfruttamento
delle loro ingenti ricchezze minerarie e lo strozzinamento bancario che si
pratica sui prestiti bancari. Essi, da sempre, fin dalle origini, sono
miserabili. Miserabili la loro cultura, la loro conoscenza, la loro
civilta'" (Dario Fo e Franca Rame, "Cacao News" del 7 ottobre).
Abbiamo creato un inferno per l'80% dell'umanita', ed oggi per controllarlo
ricorriamo ai "Rambo". Ha scritto Luigi Pintor ("il manifesto" dell'8
ottobre): "Quaranta paesi non si mobilitano per catturare un bandito o mille
banditi per quanto micidiali e sanguinari siano. Non danno fuoco alle
polveri rischiando di saltare in aria anche loro soltanto per saldare un
conto ma perche' si propongono di cambiare la storia e la geografia".

6. UNA LETTERA APERTA. YUKARI SAITO: AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
[Yukari Saito e' una prestigiosa giornalista giapponese residente in Italia,
amica della nonviolenza. Per contatti: yukaris at tiscalinet.it]
Caro Presidente,
visto che Lei dichiara di appoggiare le operazioni militari americani e
italiane, esigo una risposta alle seguenti domande:
- da quando alla parte lesa e' consentito di partire alla caccia di un
criminale senza l'intervento della polizia, o di investirsi del ruolo della
polizia?
- da quando la Giustizia si permette di non dimostrare le prove ne' al
sospettato ne' alle vittime ma soltanto farle circolare tra gli
autoproclamati poliziotti?
- da quando la Giustizia consente a chi si sente minacciato di uccidere ogni
potenziale criminale, sia persona che stato?
- da quando la Costituzione, a cui tutti i membri del Governo e il Capo
dello Stato hanno giurato fedelta', vale meno degli accordi militari
internazionali su cui il popolo italiano non e' stato consultato?
Siamo in lutto anche per le Nazioni Unite e per la Costituzione italiana,
nonche' per la benedetta civilta' che si fonda sul rispetto della legge, che
e' uguale per tutti, e sulla vita umana considerata come un valore
inviolabile e un diritto uguale per tutti.
E saremmo davvero in lutto per la saggezza secolare dell'umanita', se ci
lasciassimo convincere che non ci sia alcuna possibilita' di lottare contro
il terrorismo se non al fianco dei bombardieri americani.
Ora che siamo davanti ad un enorme rischio di far espandere la Palestina per
tutto il mondo, Lei e' davvero pronto per prendersi, nei confronti del
popolo italiano (e anche dei suoi figli e nipoti), tutta la responsabilita'
delle conseguenze del suo consenso all'intervento militare?

7. RIFLESSIONE. DIANA DIMONTE: COL DOLORE NEL CUORE
[Diana Dimonte e' impegnata nell'esperienza del commercio equo e solidale ed
e' tra le principali collaboratrici di questo notiziario. Per contatti:
diana.dimonte at tin.it]
In questi giorni in cui le bombe hanno preso il sopravvento, mi sono chiesta
se fosse giusto parlare di Commercio Equo e Solidale in questa sede, se
fosse giusto prendere spazio ai commenti, alle riflessioni che scaturiscono
da tutto cio'.
Mi ha anche assalito un senso profondo di dolore e di impotenza mentre
assistevo alla televisione agli annunci dei primi bombardamenti quasi in
diretta ed al succedersi delle notizie; sentivo che quelle bombe
distruggevano anche un po' me, i miei ideali, e non era per me un attacco ad
un paese lontano, perche' sono abituata a sentirmi cittadina del mondo e
quindi le bombe cadevano sul "mio territorio".
Ieri sera, a un dibattito televisivo, ci si chiedeva se ci potevano essere
altre strade da percorrere per sconfiggere il terrorismo e tante parole sono
state dette, ma non si puo' spingere la testa di una persona dentro l'acqua
di un lago e poi chiedersi come fare per non farla affogare.
Non si possono togliere gli occhi ad un uomo e poi chiedersi perche' non
vede.
Non si puo'.
E cosi' eccomi qui, sconvolta per gli eventi a cui assistiamo, ma
consapevole che per evitare "estremi rimedi" bisogna lavorare per
distruggere gli "estremi mali" e in questo nostro mondo ce ne sono proprio
tanti di mali estremi.
Bisogna prendere consapevolezza che questo e' il nostro mondo, e' la nostra
casa e non possiamo in nessun modo ignorare i guai che succedono in casa
nostra. Non possiamo vivere tranquillamente in salotto quando in cucina c'e'
un allagamento in corso o in camera da letto stanno crollando le pareti;
dobbiamo fare in modo che la nostra casa sia salda, accogliente, dignitosa
in tutte le sue parti, e solo allora potremmo dirci tranquilli.
Lavorare sodo quotidianamente per una globalizzazione della solidarieta' e
dell'equita', spalla a spalla Sud e Nord del mondo, chi produce e chi
consuma, per abbattere sfruttamenti, creare giustizia economica, promuovere
criteri collaborativi e fare giorno per giorno scelte personali che vanno
contro le dinamiche delle bombe, fare delle scelte per la vita, per creare
un diverso tessuto di base a livello mondiale.
E' per questo che col dolore nel cuore mi sono detta che ha senso, seppur in
situazioni cosi' gravi, raccogliersi e continuare a sudare per far vivere la
realta' del Commercio Equo e Solidale qui dove sono e soprattutto dentro di
me, per continuare a scegliere di spendersi per sanare la nostra casa.
Con tante speranze di pace.

8. RIFLESSIONE. BRUNO GIACCONE: GUERRA E NONVIOLENZA
[Bruno Giaccone e' pastore metodista; gli siamo assai grati per averci
inviato questi pensieri. Per contatti: e-mail: astimet at provincia.asti.it]
Non mi sento americano come ci propongono di sentirci in questi giorni, e
non mi piace neppure lo stile di vita degli statunitensi. Cosi' come non mi
sento talebano. Forse mi sento vicino a quella donna afghana che ho visto in
televisione, una donna vecchia, che si asciugava gli occhi con il grembiule,
stanca di guerra e stanca di piangere.
Bertolt Brecht ha scritto:
"La guerra che verra' non e' la prima. Prima
ci sono state altre guerre.
Alla fine dell'ultima
c'erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente
faceva la fame. Fra i vincitori
faceva la fame la povera gente ugualmente".
Non sto ne' con l'America ne' con Bin Laden, ma non per questo sono
neutrale.
Io sto con la povera gente.
Non sono neanche sicuro di poter aderire pienamente e radicalmente al
principio della nonviolenza. Io sto con la povera gente, anche quando,
esasperata, disperata, sempre ingannata, oppressa, sfruttata, tira le
pietre.
Non sono capace di usare violenza fisica, penso di non esserne capace anche
se mi trovassi in una situazione di legittima difesa. Ma non mi sono mai
trovato nei panni di genitori a cui vengono strappati i figli con la
violenza.
Poi c'e' la violenza psicologica. Tutti siamo a conoscenza di questo tipo di
violenza che viene praticata soprattutto nelle carceri di molti Paesi, ma
anche in altri luoghi, come ad esempio molti posti di lavoro dove non
vengono riconosciuti e rispettati i diritti sindacali.
Ma quando lavoravo in fabbrica, e c'era uno sciopero, e partecipavo ad un
picchetto assolutamente pacifico, mi e' stato rimproverato di attuare una
forma di violenza psicologica. Questo mi e' stato detto anche in altre
situazioni dove la mia presenza e quella di altri, silenziosa e pacifica,
poteva mettere semplicemente in imbarazzo il nostro interlocutore. A questo
tipo di violenza non penso di poter rinunciare.
Ne' mi sento di giudicare un mio maestro nella fede, il pastore luterano
Dietrich Bonhoeffer, assassinato in un campo di concentramento nazista, che,
consapevole di commettere un peccato, si assunse la personale
responsabilita', anche davanti a Dio, di partecipare al complotto contro
Hitler.
E, se non sbaglio, mi pare che lo stesso mahatma Gandhi sostenesse che il
metodo della nonviolenza certo non e' connivenza con l'oppressore; e che di
fronte all'ingiustizia la resistenza violenta e' comunque preferibile alla
vilta'.
Il problema, secondo me, e' che la nonviolenza non dovrebbe essere un
metodo, ma un modo di essere, un modo di vivere, un modo di sentire che
richiede una profonda conversione, una radicale inversione di direzione dei
nostri pensieri. E anche dei nostri portafogli.
Forse e' veramente giunto il momento di indirizzare i nostri pensieri, le
nostre economie, i nostri investimenti spirituali, ideali e materiali in ben
altre direzioni.
* La pace e' il frutto della giustizia
Senza giustizia non c'e' pace, dice il profeta Isaia. Ma la giustizia di cui
parla non e' quella dei tribunali, ma la giustizia sociale che difende il
diritto dell'orfano e della vedova, che rialza gli umili, e spezza le catene
dell'oppressione.
Fino a quando il 20% della popolazione mondiale continuera' a consumare
l'80% di cio' che Dio ha destinato a tutta l'umanita', non possiamo parlare
di giustizia. E neppure di pace.
Fino a quando l'80% dell'umanita' deve accontentarsi delle briciole che
cadono dalla tavola del ricco Epulone, o cercare la sopravvivenza nella sua
spazzatura, non puo' esserci pace, e la stessa proposta della nonviolenza -
se non fosse lotta contro le ingiustizie - potrebbe essere irricevibile da
orecchie ormai sature di inganni.
E' in queste situazioni di disperazione, pero', che trova terreno fertile
l'inganno del terrorismo e dell'integralismo religioso. Non dobbiamo
dimenticare che i fascismi e i totalitarismi sono nati sempre da situazioni
di grande disagio economico e da situazioni di ingiustizia.
Ho sentito dai telegiornali che i missili che in questi giorni cadono
sull'Afghanistan, gli stessi che furono lanciati sull'Iraq e in Kossovo,
costano due miliardi ognuno, che gli aerei impiegati in questi giorni in
Afghanistan,  gli stessi usati nei cieli dell'Iraq e in Kossovo, costano
quattro mila miliardi ognuno; mi chiedo: quanti pozzi d'acqua potevano esser
scavati con quei soldi? Quante farmacie di villaggio potevano essere
istituite? Quanti vaccini? quanta prevenzione?
La piccola comunita' evangelica metodista di cui sono pastore sta per
prendere contatto con una ong del Madagascar per lo scavo di un pozzo e
l'istituzione di una farmacia di villaggio, e ci hanno detto che tutta
l'operazione non costera' piu' di cinque milioni di lire. Se ci danno un
solo missile risolviamo il problema dell'acqua e della farmacia di duemila
villaggi.
E stai a vedere che, con un altro missile, e con il sistema del microcredito
non speculativo, risolviamo anche i loro problemi economici. Allora, forse,
duemila villaggi avranno pace.
* La guerra e' gia' persa perche' rivela il nostro fallimento
La risposta delle armi al terrorismo, cosi' come tutte le guerre che ci
vedono coinvolti come cristiani, non rappresentano che la presa d'atto del
fallimento di duemila anni di predicazione dell'evangelo.
Quando Gesu' ci invita a porgere l'altra guancia quando siamo colpiti, non
ci propone un atteggiamento masochista, e non si tratta, secondo me, neppure
di un atteggiamento di nonviolenza radicale, ma piuttosto di usare tutta la
forza della nostra intelligenza, anch'essa dono di Dio, per proporre una
soluzione diversa e alternativa all'uso della violenza fisica.
In duemila anni le chiese cristiane non sono riuscite a discernere e a
proporre questa alternativa e si sono conformate sempre alla mentalita'
corrente, ignorando anche l'appello dell'apostolo Paolo al non conformismo.
Spesso, fatte alcune rare eccezioni, sono state le stesse chiese cristiane a
proporre le soluzioni piu' violente e aberranti.
Forse le stesse istituzioni ecclesiastiche sono il segno di questo
fallimento. Gesu' ci aveva indicato il Regno di Dio, un regno di giustizia,
di pace e di amore. I cristiani hanno fatto le chiese, e le hanno difese con
le armi.
Dio, che si chiama anche God, che si chiama anche Allah, che si chiama anche
Grande Spirito, ha chiesto ai suoi figli e alle sue figlie la fede. Ho
l'impressione che le religioni spengano la fede degli uomini e delle donne.
Dio si e' fatto piccolo in Cristo perche' l'umanita' potesse conoscere la
salvezza, e Cristo ha dato la sua vita perche' noi potessimo avere vita in
abbondanza. Io sono convinto che la fede degli uomini e delle donne potrebbe
crescere e rafforzarsi se le chiese, nella loro veste istituzionale,
osassero ridimensionarsi, qualche volta tacere, riflettere piu' spesso, per
lasciare piu' spazio allo Spirito Santo, quello che vola dove vuole.
Con questi pensieri, non intendo far la parte del "grillo parlante", ma
semplicemente far partecipi altri dei miei interrogativi, delle mie
preoccupazioni e anche delle contraddizioni che vivo ogni giorno. Se poi
saro' stato di stimolo per altri, sarei contento di ascoltare, di
confrontarmi con argomentazioni diverse o nuove.
Fraternamente.

9. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: NON SIAMO DISPOSTE
[Ringraziamo Cristina Papa (per contatti: cristina at isinet.it ed anche
pdd at isinet.it) per averci trasmesso questo appello. Lea Melandri e' una
delle piu' prestiigose intellettuali italiane. Per contatti:
lea.melandri at tiscalinet.it]
Non siamo americane, ne' abitanti di New York, e non conosciamo le vittime
degli attentati compiuti negli Stati Uniti l'11 settembre 2001. E non ci e'
mai capitato - e tantomeno siamo disposte a lasciarlo capitare oggi - di
pensarci o dirci "americane".
Per due buone ragioni.
Non accettiamo alcuna forma di identificazione nazionalistica.
E, anche se il discorso che domina in questi giorni - il discorso della
politica, amplificato da media sempre piu' smarriti, servili e parassitari -
spinge a pensare l'America (insieme alle sue periferie occidentali e
orientali e all'Europa) come un corpo unico, compatto e sgombro da
contraddizioni e conflitti interni, non siamo disposte a dimenticare che la
caratteristica principale dell'America a stelle e strisce e' di essere
innanzitutto un luogo di "difficili" convivenze: nera, bianca, europea,
araba, cinese, latina, russa, povera, ricca, cristiana, musulmana, ebrea,
new age, democratica, repubblicana, laica, fondamentalista, capace - dentro
e fuori casa - di grandi atti di democrazia, ma anche delle piu' feroci
politiche di rapina, sfruttamento e sterminio.
Al piu', dell'America, ciascuna di noi ha amato o respinto uno o piu'
aspetti particolari.
Ecco perche', rispetto agli Stati Uniti, soffriamo tutte di quel mal
d'America che comprende sia l'amore e il desiderio sia la condanna e il
rifiuto. Ed ecco perche' non siamo disposte a fare nostro il copione di chi
approfitta dello sgomento prodotto dai fatti dell'11 settembre per
costringerci a dichiarare e addirittura a "sentire" un'appartenenza a un
immaginario e monolitico mondo occidentale - leggasi Stati Uniti - che ha
scatenato una guerra "duratura" (e per sua stessa ammissione "sporca" e,
aggiungiamo noi, totalmente opaca) in nome della " liberta'" e della
"sicurezza".
Cio' che sappiamo e' che oggi, nel mondo che tutti insieme - occidentali,
orientali, settentrionali, meridionali - abitiamo, questo tipo di guerra non
puo' che peggiorare la vita di miliardi di persone, tanto nei paesi piu'
ricchi quanto nei paesi piu' poveri del mondo, e consentire ai pochi padroni
della terra di ridistribuirsi aree geografiche, risorse e poteri.
Essa, che la si definisca guerra di civilta' o guerra al terrorismo, si
risolvera' semplicemente in un ennesimo brutale assestamento ai vertici, in
cui nessuno puo' ragionevolmente credere che i poveri e i diseredati della
terra, inclusi i tanti statunitensi sotto la soglia della poverta', riescano
a riconoscersi o da cui possano trarre qualche vantaggio.
Denunciamo dunque questa operazione violenta che si sta tessendo a livello
mondiale e la spericolata macchina del consenso che la sostiene.
Siamo infatti consapevoli non solo che l'irripetibile identita' e
singolarita' di ciascuna di noi e' frutto dell'intrecciarsi di molteplici
esperienze e appartenenze cui non intendiamo rinunciare e che dettano il
nostro sentire anche di fronte ad avvenimenti come l'attacco terroristico
negli Stati Uniti, ma anche che l'esaltazione e il richiamo a un'unica
appartenenza si fondano, riproponendolo a livelli diversi (economico,
culturale, sociale, politico), sullo stesso meccanismo che ha reso possibile
la costruzione di un mondo in cui l'unico soggetto riconosciuto e che si
pone come universale - attraverso l'esclusione delle donne in quanto "altre"
o la loro cancellazione e inglobamento - e' quello maschile.
Mentre gli speaker delle reti televisive di tutti i paesi occidentali
commentavano eccitati, sproloquiando di scontro tra civilta', la scena
riproposta centinaia di volte dei due aerei che cozzavano contro le torri
gemelle di New York, non potevamo fare a meno di pensare che quella era una
scena virile, lo scontro di due simboli aggressivi e perfettamente
speculari - la grandiosita' dei due grattacieli e la potenza di due TIR
dell'aria gonfi di carburante -,  non gia' lo scontro tra due universi
simbolici diversi, due culture, due mondi antitetici.
Ogni politica di terrore armato, come quella che ha reso possibile quella
scena, non solo fa strage di esseri umani inermi, ma distrugge coi loro
"corpi" anche le diversita' di cui essi sono portatori. Le due torri, gli
aerei, il Pentagono contenevano donne e uomini in carne ed ossa provenienti
da diverse parti del mondo, professanti religioni diverse, cittadini
americani e clandestini senza diritto di cittadinanza. Troviamo rivoltante
che quel campione della diversita' del mondo rappresentato dalle vittime sia
stato, nel discorso e nelle immagini, simbolicamente distrutto una seconda
volta per dare forma a un'unica identita' collettiva che sotto le bandiere
degli Stati Uniti, della Nato e persino dell'Onu difenda con la guerra
l'ordine e le gerarchie del mondo ingiusto in cui viviamo.
Questa rimozione ci porta inevitabilmente a pensare a un'altra e grave
cancellazione, avvenuta da anni sul corpo delle donne afgane, rese due volte
invisibili - letteralmente estromesse dalla societa' - dal fondamentalismo
dei loro uomini e dall'interessato disinteresse dei governi occidentali.
Ovviamente non verra' mai ricostruita con esattezza la catena di lunghe
collusioni, di antiche e impensabili cooperazioni dettate dall'interesse
economico e politico, di minute complicita' che hanno reso possibili gli
attentati negli Stati Uniti.
Sappiamo tuttavia con certezza che, se gia' nell'ultimo anno il governo
israeliano di Sharon e i suoi sostenitori ci avevano familiarizzato
all'impiego disinibito di termini come vendetta, ritorsione, rappresaglia
contro popolazioni inermi (e alle azioni conseguenti), ora anche l'odio,
anzi lo "schifo" per l'altro, a giustificare il quale si e' spesa la
giornalista Oriana Fallaci con una prosa che ricorda lugubremente quella
della rivista fascista "La difesa della razza" o certe cronache marinettiane
della guerra di Libia, avra' nel nostro paese libero corso. Sono queste le
parole che ricorrono oggi nei discorsi dei "difensori" dell'Occidente, come
dei "guerrieri" del terrorismo.
Non ci siamo dimenticate del brivido che ci percorreva quando ne sentivamo
l'eco proveniente dai combattimenti nella ex Jugoslavia, mirati a separare
con la forza, in nome di mitologiche purezze e genealogie, popolazioni
diverse che fino ad allora erano in qualche modo riuscite a convivere.
Prime firmatarie:
Lea Melandri, Paola Melchiori, Maria Nadotti, Paola Redaelli, Anita Sonego
(Associazione per una Libera Universita' delle Donne, Milano), Maria Grazia
Campari (Osservatorio sul lavoro delle donne, Milano), Cristina Papa ("Il
Paese delle donne")

10. POESIA. FERRUCCIO BRUGNARO: NON PUGNALATE LA PACE
[Ringraziamo Ferruccio Brugnaro, uno dei poeti italiani contemporanei piu'
impegnati nelle lotte per i diritti, per averci inviato questa sua poesia
scritta nel settembre scorso. Per contatti: via della Repubblica 49, 30038
Spinea (VE)]

Non divorate la pace.
Non rispondete alle montagne
di morti
con altre montagne
di morti.
Spegnete la fame nel mondo
di milioni
di bambini.
Accendete
il sorriso
sulla terra di Palestina
accendete il canto.
Non pugnalate
non pugnalate la pace
alle spalle.
Togliete il cappio di solitudine
al popolo irakeno
al popolo cubano.
Abbattete la notte agghiacciante
profonda
in cui vagano milioni di creature.
Non rispondete,
non rispondete ai morti
con infiniti roghi di altre vite.
Mordetevi el labbra forte
mordetevi forte il cuore.
Non inneggiate alla guerra.
Non inneggiate alla guerra.

11. LETTURE. GREGORY BATESON: UNA SACRA UNITA'
Gregory Bateson, Una sacra unita', Adelphi, Milano 1997, pp. 548, lire
60.000. Una raccolta di articoli del grande studioso che si aggiunge ai
volumi di Naven, Verso un'ecologia della mente, Mente e natura, Dove gli
angeli esitano.

12. LETTURE. ALESSANDRO DAL LAGO: NON PERSONE
Alessandro Dal Lago, Non-persone, Feltrinelli, Milano 1999, pp. 272, lire
38.000. Un libro utilissimo di un sociologo di grande impegno civile su
"l'esclusione dei migranti in una societa' globale".

13. LETTURE. DAVID MARIA TUROLDO: IL MIO AMICO DON MILANI
David Maria Turoldo, Il mio amico don Milani, Servitium, Sotto il Monte
1997, 1999, pp. 84, lire 12.000. Un grande testimone della nonviolenza ne
ricorda un altro: alcuni scritti di padre Turoldo dedicati a don Milani
editi e introdotti da Abramo Levi.

14. INCONTRI. IL 29 OTTOBRE A ROMA RICORDANDO FRANCO BASAGLIA
[Riceviamo e diffondiamo]
Il Centro Studi e Ricerche della ASL RM "E" e la Fondazione Franco Basaglia
promuovono a Roma, il 29 ottobre, alle ore 16, presso la Sala "Piccola
Protomoteca" del Campidoglio, la presentazione del libro di Mario Colucci e
Pierangelo Di Vittorio, Franco Basaglia, Bruno Mondadori, Milano 2001.
Coordina e introduce Tommaso Losavio, direttore del Centro Studi e Ricerche
della ASL RM "E".
Intervengono l'on. Rosi Bindi, Alberto Gaston (ordinario di Igiene Mentale
presso l'Universita' degli studi "La Sapienza" di Roma), Maria Grazia
Giannichedda (presidente della Fondazione "Franco Basaglia"), Walter
Veltroni (sindaco di Roma).
Partecipano gli autori e Franca Ongaro Basaglia.

15. MATERIALI. PER STUDIARE LA GLOBALIZZAZIONE: DA GENE SHARP A RENATE
SIEBERT

* GENE SHARP
Profilo: è nato nell'Ohio (USA) nel 1928. Ha insegnato in diverse università
e dirige istituti e programmi di ricerca per le alternative nonviolente nei
conflitti e nella difesa. Opere di Gene Sharp: Politica dell'azione
nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985-1997; quest'opera in tre
volumi è un testo di riferimento fondamentale per chiunque operi in
situazioni di conflitto e intenda adottare le tecniche della nonviolenza o
promuovere la teoria-prassi nonviolenta. Di Sharp in italiano è disponibile
anche Verso un'Europa inconquistabile, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1989.

* WILLIAM SHIRER
Profilo: giornalista, saggista e storico americano. Opere di William Shirer:
Storia del Terzo Reich, Einaudi, Torino 1990; Mahatma Gandhi, Frassinelli,
Milano 1983.

* VANDANA SHIVA
Profilo: scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti istituti di
ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni Unite,
impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa dell'
ambiente e delle culture native, è oggi tra i principali punti di
riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli,
di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia
di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti
pericolosissimi. Opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi,
Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995;
Biopirateria, Cuen 1999; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, 2001.

* GIANCARLO SIANI
Profilo: giovane coraggioso giornalista, assassinato dalla camorra.

* RENATE SIEBERT
Profilo: sociologa di origine tedesca, nata a Kassel nel 1942, allieva di
Theodor W. Adorno, vive e lavora nell'Italia meridionale, dove insegna
Sociologia del mutamento presso l'Università di Calabria. Opere di Renate
Siebert: oltre a Frantz Fanon e la teoria dei rapporti tra colonialismo e
alienazione, Feltrinelli, Milano 1970, e ad Interferenze, Feltrinelli,
Milano 1979 (in collaborazione con Laura Balbo), tra le opere recenti
segnaliamo: E' femmina però è bella, Rosenberg & Sellier, Torino 1991; Le
donne, la mafia, Il Saggiatore, Milano 1994 (poi Est, 1997); La mafia, la
morte e il ricordo, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995; Mafia e quotidianità,
Il Saggiatore, Milano 1996; Andare ancora al cuore delle ferite, La
Tartaruga, Milano 1997 (intervista ad Assia Djebar); Cenerentola non abita
più qui, Rosenberg & Sellier, Torino 1999; (a cura di), Relazioni
pericolose, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000.

16. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

17. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ;
angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 254 del 10 ottobre 2001