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suora pacifista francescana sugli attentati dell'11 settembre
- Subject: suora pacifista francescana sugli attentati dell'11 settembre
- From: "Cipax" <cipax at romacivica.net> (by way of Alessandro Marescotti <a.marescotti at peacelink.it>)
- Date: Wed, 03 Oct 2001 08:34:47 +0200
Ecco un buon testo per il vostro notiziario. Giorgio e Gianni CIPAX - Centro Interconfessionale per la Pace Via Ostiense, 152 - 00154 Roma - Tel. 0657287347 - Fax 0657290945 <mailto:cipax at romacivica.net>cipax at romacivica.net - www.romacivica.net/cipax Uno sguardo più profondoDi Rosemary Linch, suora pacifista francescana di 84 anni, che vive in comunità a Las Vegas (USA) e ha animato per venti anni le manifestazioni di nonviolenza attiva contro gli esperimenti nucleari nel deserto del Nevada.
Noi, cittadini della più ricca e più potente nazione della terra abbiamo subito un’esperienza che ci ha scioccato, terrorizzato, fino a costringere le nostre ginocchia a piegarsi nella preghiera. Noi siamo giustamente sconvolti per la dimensione della tragedia e del male che è piombato su di noi. Ma c’è una domanda fondamentale finora ignorata nel pubblico dibattito: PERCHE’? Perché New York e Washington D.C.? Perché non Londra, Parigi o Roma? Perché non Mosca?
Le nazioni hanno la memoria lunga. Alcuni aspetti della malaccorta politica estera americana continuano a produrre effetti. Anche se molti episodi si sono sbiaditi nella nostra coscienza nazionale, essi continuano a vivere nella memoria delle nazioni che ne sono state colpite. Anche se non possono minimamente sminuire il male degli attacchi diretti contro gli Stati Uniti l’11 settembre, essi possono aiutarci a comprendere alcune persistenti animosità e perfino odii diretti contro il paese che amiamo.
Non molti anni fà gli Stati Uniti hanno dato sostegno e partecipato alle guerre a bassa intensità in Centro America, a volte contro i desideri espressi dalla maggioranza dei cittadini degli Stati Uniti e perfino del Congresso. Possiamo aver dimenticato qui lo scandalo Iran-Contras, ma sulle regioni colpite ha lasciato cicatrici ancora aperte. Il Cile ricorda l’assassinio di Allende. La Baia dei Porci, Grenada, Panama, la Libia, il Viet-Nam tutti episodi che hanno lasciato il segno, che hanno avuto effetti negativi. Abbiamo imparato a metterci in relazione con gli altri popoli in una posizione che non sia di dominio?
Il nostro atteggiamento sulla scena del mondo viene visto (a volte giustamente) come un atteggiamento arrogante e non cooperativo. Spesso tardiamo a dare il nostro contributo alle iniziative internazionali. Abbiamo negato la nostra partecipazione a vari progetti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Abbiamo respinto il trattato sulla bio-diversità e quello sulla messa al bando delle mine. In un mondo che necessariamente deve diventare sempre più unito, questi atteggiamenti sono obsoleti.
Un tempo gli “aiuti all’estero” significavano condivisione di cibo, sementi, attrezzi agricoli, forniture mediche e supporti educativi. Oggi questo termine indica prevalentemente vendite di armi o “aiuti”, che vengono spesso usati per rafforzare indegni regimi oppressivi. Questo non ha senso in un mondo che soffre per la fame, per le epidemie di AIDS e di altre malattie.
Cosa si può fare? Come nazione abbiamo milioni di cittadini generosi che lavorano duro. Anche se devoti al nostro paese, siamo tuttavia largamente “spoliticizzati”. La maggioranza dei cittadini non vota nemmeno. Le nostre campagne politiche, costose ed estenuanti, allontanano molti che trovano che le riforme promesse non si materializzano. In questi tempi di crisi e di dolore possiamo convenire che è importante mostrarci come una nazione non solo potente, ma anche forte e saggia. Abbiamo i nostri santi e i nostri profeti. Uno, l’onorevole dott. Martin Luther King ci consigliò bene, quando disse: “L’oscurità non ci può far uscire dall’oscurità, soltanto la luce può farlo”. Egli pagò il prezzo estremo per far venire la luce. Possiamo noi, in qualche maniera tutti insieme, come nazione, condividere questa saggezza? Possiamo noi, in tutta la nostra giustificata rabbia e nel nostro dolore, fermarci abbastanza a lungo per chiederci questo importante PERCHE’?
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