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La nonviolenza e' in cammino. 246
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 246
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 2 Oct 2001 16:05:52 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 246 del 2 ottobre 2001 Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini: contro la guerra, la nonviolenza 2. Christa Wolf, per impedire le guerre 3. Lavinia Mazzucchetti ricorda la "Rosa Bianca" 4. Letture: AA. VV., Cervelli che parlano 5. Letture: Hannah Arendt, Archivio Arendt 1. 1930-1948 6. Letture: "Limes", La guerra del terrore 7. Per studiare la globalizzazione: da Zeno Saltini a Teresita Sandeschi Scelba 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: CONTRO LA GUERRA, LA NONVIOLENZA [Riproduciamo ampio stralci di uno dei contributi che compariranno nell'"Annuario della pace" di prossima pubblicazione presso l'editore Asterios. Per informazioni, prenotazioni, contatti, ci si puo' rivolgere a Giovanni Benzoni, uno degli animatori dell'iniziativa: tel. 0415206960, cell. 3282517362, e-mail: gbenzoni at tin.it (Giovanni Benzoni e' responsabile del Progetto Iride per la Fondazione Venezia per la Pace). Nel testo che segue l'autore ha rifuso anche alcuni suoi scritti precedenti: un articolo gia' pubblicato sulla rivista "Amici del lebbrosi" nel gennaio 12001, e un intervento diffuso nella rete telematica nel 1999] "Contro la falsa armonia del mondo ottenuta buttando via le vittime" (Aldo Capitini) Parte prima. Verso la guerra? Tre tesi I. Affermare che la guerra sia inevitabile è aver già ceduto alla guerra. La guerra non e' mai inevitabile. II. Affermare un rapporto rigidamente deterministico tra modello di sviluppo e guerra consolida quel modello di sviluppo trasformandolo in destino e ricatto. Ogni paradigma teorico ed ogni assetto pratico della fabrilità umana può essere modificato. La guerra non è mai necessaria. III. Il processo della trasformazione sociale può assumere forme diverse, chiunque si attardi ancora nella trista ed equivoca metafora della violenza forcipe della storia non è stato informato di Auschwitz e di Hiroshima. La guerra è in quanto tale nemica dell'umanità. * Parte seconda. Di dove veniamo? Dal Novecento Ci venne formulata la domanda: se si guardasse dalla finestra della pace sul Novecento, che cosa si dovrebbe dire? A questa domanda la prima, istintiva risposta è: un muto agghiacciato moto di orrore. Il Novecento è stato il secolo della guerra, dei genocidî, del dispiegamento della violenza con una estensione e profondità tali come mai si erano dati nella storia dell'uomo e del mondo. Le immense risorse messe a disposizione dagli enormi progressi della scienza, della tecnica e dell'organizzazione sociale sono state usate prevalentemente a fini così abissalmente antiumani, di devastazione ed annichilimento delle persone e della biosfera, che la disperazione è il primo moto. E tuttavia questa risposta, la percezione dell'orrore, è ad un tempo assolutamente necessaria e palesemente insufficiente. Non solo: in quanto essa si risolvesse in mera contemplazione atterrita dell 'orrore, e pertanto pietrificazione dinanzi all'orrore, e dunque nei fatti si convertisse in resa all'orrore, ebbene, allora essa sarebbe una risposta non solo insufficiente, ma indegna ed iniqua, poiché sfocerebbe in una effettuale complicità con l'orrore (sia pure per mera omissione, e sia pure come nudo essere schiacciati e sentirsi impotenti). Vi è dunque una seconda necessaria risposta, che attiene alla volontà più che alla percezione, che concerne la facoltà del decidersi e dell'agire oltre che la facoltà del conoscere ed interpretare; ed è la risposta seguente: che al male occorre non arrendersi; che alla violenza occorre resistere; all'ingiustizia negare il consenso. Tra i nomi che si possono dare a questa seconda risposta vi sono i seguenti: il principio responsabilità, la scelta della nonviolenza. * Ma cosa è il punto di vista della pace? Se è proprio di ogni essere umano percepirsi come vivente e come valore, come preziosa scintilla senziente e pensante, e quindi rivendicare a sé dei diritti, e quel diritto fondamentale che è il diritto di esistere senza del quale nessun altro diritto può darsi, ebbene, ne consegue che tale diritto a tutti gli esseri umani compete e va dunque riconosciuto: "nessuno sia respinto nel nulla" ha scritto una volta Elias Canetti; "ogni vittima ha il volto di Abele", ha detto una volta Heinrich Böll. Dalla rivendicazione da parte di ognuno del proprio irriducibile diritto di vivere discende l' affermazione di tale diritto per ciascun essere umano; discende il principio fondativo di ogni civile convivere: "tu non uccidere". Discende che la guerra, il dare la morte, ovvero il negare il soccorso e la vita, confliggono con ciò che di più radicale ed inalienabile, perché appunto costitutivo, vi è in ogni essere umano. Ovvero: ne discende che umanità e pace sono uno stesso concetto, e che ogni volta che contro qualcuno si rompe quel patto di mutuo soccorso che tutti gli uomini stringe, è all'intera umanità che si reca offesa, e a se stessi. * Il secolo di Auschwitz e di Hiroshima Il Novecento è il secolo di Auschwitz e di Hiroshima. Chi si provasse a pensare al ventesimo secolo cercando di abbracciarne con lo sguardo l'intero decorso, cogliendolo nella sua globalità e nelle sue peculiari emergenze, nel suo completo tracciato vedrebbe io credo come una gigantesca fornace e voragine che lo frattura, vedrebbe un cratere che ancora erutta, vedrebbe l'anticreazione all'opera nel mondo. E' il secolo che si apre con il trionfo della rapina coloniale e con la carneficina della grande guerra 1914-1918. Ed è il secolo che s'inabissa fino al Lager e alla Bomba. E dopo e nonostante un lungo e contrastato sforzo dell'umanità per risalire dal baratro della violenza e delle schiavitù verso una vita più degna, è il secolo che si chiude con un regime di apartheid planetario che condanna i quattro quinti dell'umanità attuale a una vita di sofferenze e molti alla morte per fame e di stenti; che si chiude con una crescente devastazione di quanto vi è di vitale e di degno nel mondo, nella natura e nella civiltà; che si chiude - tristo sigillo - con la guerra tornata fin nel cuore dell' Europa (ovvero di una delle aree privilegiate del mondo, nella cittadella del nord ricco, e ricco certo perché secolare rapinatore e oggi altresì sfacciato usuraio), con guerre in cui sono riemersi il razzismo genocida e le armi atomiche, mentre negli sterminati sud del mondo le guerre e la fame ed i morti per le strade sono la realtà quotidiana di un "disordine costituito" mondiale che senza infingimenti, ed anzi celebrandosi come culmine della storia, saccheggia interi continenti e sacrifica chi vi vive. Cosicché si torna ad Auschwitz, a Hiroshima: cifra ed emblema del secolo che muore, e sinistro presagio, truce eredità. Io scrivo queste righe e provo orrore. * Resistenza e apertura nonviolenta Ma il Novecento è stato anche altro: donne e uomini vi sono stati che hanno spezzato secolari catene; donne e uomini vi sono stati che si sono opposti alla violenza in nome dell'umanità; donne e uomini splendenti di dignità, portatori di speranza: nel loro camminare eretti, portatori di concreta utopia, profeti e prefigurazione di un'umanità di liberi ed eguali. Il Novecento è stato il secolo dell'orrore e della resistenza all'orrore; dell'inesorabile disperazione e dell'inesauribile speranza; delle tenebre più profonde e delle più fulgide luci sorte a contrastarle. Vi è stato Auschwitz: ma vi è stato anche Primo Levi, che Auschwitz ed i suoi autori ha sconfitto per sempre nel cuore e nelle menti di chiunque abbia letto i suoi libri, si sia accostato alla sua testimonianza. Vi è stata l'atomica su Hiroshima e Nagasaki: ma vi è stato anche Günther Anders che l'età atomica ha totalmente smascherato e ci ha dato ragioni e strumenti per lottare contro l'orrore impensabile e concreto che ci supera ed annichilisce e che pure possiamo e dobbiamo contrastare. Vi è stata la guerra: ma vi è stato anche Mohandas Gandhi che ci ha dimostrato che è possibile lottare contro di essa nel modo più limpido ed intransigente, e ci ha proposto la rivoluzione necessaria per cambiare il corso della storia: la nonviolenza, che è la forza della verità, la forza dell'amore. L'apartheid trionfa tuttora su scala planetaria: ma Nelson Mandela ci ha dimostrato che se un uomo di volontà buona sa dire di no, e sceglie nitida la lotta per la dignità di ognuno e di tutti contro ogni servitù, allora l' umanità è invincibile. L'oppressione di genere ancora dimidia e squarcia l'umanità: ma Virginia Woolf ci ha spiegato che chi per secoli ha avuto la lingua tagliata reca in sé saggezza, verità ed amore sufficienti a rovesciare il mondo rovesciato. La distruzione della biosfera divora irreversibilmente risorse insostituibili: ma Vandana Shiva ci ha fatto vedere che se una popolazione sa abbracciare gli alberi essa salva gli alberi e se stessa. E' stato il secolo del totalitarismo, implicito tanto nel primato della tecnica come nelle ideologie del suolo e del sangue come nei miti della redenzione attraverso la denegazione ed il sacrificio del diverso; il totalitarismo ai cui idoli hanno sacrificato signorie illustrissime, e sui cui altari sono state arse seminagioni intere di uomini e donne innocenti. Ma contro il totalitarismo sono insorti avversari coraggiosi, donne e uomini che quando tutto sembrava perduto hanno saputo tutto salvare e sia pure al prezzo della propria stessa vita: gli infiniti martiri di tutte le Resistenze, cui scrivendo queste parole ancora ci inchiniamo memori e grati. La morte è stata eretta a dea e padrona (da Heidegger alle SS, il Novecento è stato un secolo follemente necrofilo), ma è stata combattuta sul piano teorico e pratico da tanti generosi. Il mondo è stato incendiato dalle ideologie dell'esclusione e della sopraffazione: ma vi è stato anche Ernesto Balducci e la sua proposta dell' uomo planetario; ma vi è stato anche Emmanuel Lévinas e la sua responsabilità dinanzi al volto muto e sofferente dell'altro. L'orgia della cultura consumista che tutto divora ed in primo luogo la nostra coscienza: ma di contro anche la riflessione di Hans Jonas ed il suo "principio responsabilità", ed il lavoro concreto ed efficace di esperienze come quella del Centro Nuovo Modello di Sviluppo. La disumanizzazione: ma vi è stato anche Franco Basaglia e la sua lotta luminosa per restituire umanità a coloro cui era stata negata. Così il Novecento non è solo il secolo dell'orrore, ma anche il secolo della resistenza all'orrore. Non è solo il secolo delle guerre, ma anche il secolo della resistenza alle guerre. Non è solo il secolo della disperazione, ma anche il secolo della speranza e della responsabilità. E' il secolo di Auschwitz e di Hiroshima, ed è il secolo della Resistenza e dell'inizio della lotta nonviolenta per un'umanità di liberi ed eguali. * Miti, retoriche, ideologie: la complicità con l'orrore Ci viene proposta una domanda sul ruolo che nel dispiegarsi della violenza abbiano i miti, le retoriche, le ideologie; di come la dimensione del sacro si leghi a quella della violenza; di come le chiese e le agenzie educative (ma tra le chiese e le agenzie educative possiamo collocare altresì i movimenti politici, i mass-media, e una serie infinita di "-ismi" e di istituzioni) possano venir arruolate nelle fila degli eserciti e dei torturatori. Domande che fanno tremare le vene e i polsi. Poiché invero questo è accaduto: che i miti delle origini come quelli del progresso abbiano prodotto stragi infinite; che le retoriche dell'identità e della supremazia abbiano spinto ad uccidere il diverso da sé; che le ideologie abbiano trasformato seguaci di idee in assassini spietati; che sacro e violenza si siano spesso stretti in un nodo scorsoio; che quasi ogni chiesa abbia sacrificato a dèi assetati di sangue, e quasi ogni agenzia educativa abbia insegnato quella sola corrotta virtù: l'obbedienza, che tutto travolge, e giustifica ogni abominio. Invero tutto questo è accaduto. E l'umana ragione troppo fragile schermo è stata, e l'umana solidarietà non ha saputo essere difesa efficiente o rimedio adeguato. * Ma anche: racconto, comunicazione, condivisione Invero questo è accaduto ed è quindi legittimo avere in sospetto i miti, le retoriche, le ideologie, ed il sacro, e le chiese e le scuole. Ma si è anche dato il contrario. Si è dato il raccontare che istituisce fraternità ed umanità effonde e riscatta: si pensi al raccontare e alla riflessione sul raccontare di Primo Levi; si pensi alla trasmissione del sapere attraverso le generazioni nel racconto orale che ci scalda intorno al fuoco e più del fuoco nel freddo e nel buio della notte. E le retoriche possono anche essere coscienza che comunicare è difficile e richiede consapevolezza, concentrazione, responsabilità; e che nell' interazione sociale invece di vincere si può convincere (vincere insieme); ed essere dunque coscienza del dubbio, arte di prudenza, atteggiamento di ascolto, e base, canale, strumento di democrazia, di civile convivere e condursi. E le ideologie oltre che falsa coscienza ed alienazione (l'analisi insuperata di Marx) possono essere anche una richiesta e uno sforzo di rendersi conto e di dare ragione, una ricerca comune (la "religio", come legame, collegamento, discorso comune tra gli uomini). E le chiese, le comunità, le "ecclesie" (includendo quindi tra esse ogni forma di comunità tenuta insieme da valori, interessi, bisogni comuni e profondi) possono anche essere convivenza solidale, condivisione del pane, una legge che non opprime ma sostiene e libera, e si fondino pure su sogni e illusioni: non sono forse sogni e illusioni tanta parte della stoffa di cui consistiamo? E le agenzie educative (dalla scuola al partito politico, dal lavoro alla comunità scientifica, dalle infinite sedi della socializzazione al movimento di rivendicazione) possono anche trasmettere esperienze e saggezza, essere ricerca comune ed educazione reciproca: coscientizzazione (Paulo Freire). In breve: è la volontà degli uomini che decide; il male non è mai necessario: ed a tutti è dato, sempre, di contrastarlo. * Gli uomini ora sanno E comunque noi oggi sappiamo: sappiamo, ce lo ha spiegato Primo Levi, che la strada dell'ossequio e del consenso è senza ritorno, e porta ai campi di sterminio. Sappiamo, lo ha ripetuto tante volte Mohandas Gandhi, che il potere oppressivo si regge anche sul consenso delle vittime e sull' indifferenza di chi sta a guardare. Sappiamo, lo scrisse memorabilmente Lorenzo Milani, che l'obbedienza non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, e che ognuno deve sentirsi l'unico responsabile di tutto. Gli uomini ora sanno. Ognuno deve sentirsi responsabile di tutto. * Le tre verità di Hiroshima Nel 1981 aprendo un celebre convegno di "Testimonianze" sul tema Se vuoi la pace, prepara la pace, Ernesto Balducci (uno dei più lucidi e limpidi costruttori di pace di questo secolo) pronunciò un forte discorso. In esso enunciò quelle che chiamò "le tre verità di Hiroshima". Rileggiamo le sue parole. "La prima verità contenuta in quel messaggio è che il genere umano ha un destino unico di vita o di morte. Sul momento fu una verità intuitiva, di natura etica, ma poi, crollata l'immagine eurocentrica della storia, essa si è dispiegata in evidenze di tipo induttivo la cui esposizione più recente e più organica è quella del Rapporto Brandt. L'unità del genere umano è ormai una verità economica. Le interdipendenze che stringono il Nord e il Sud del pianeta, attentamente esaminate, svelano che non è il Sud a dipendere dal Nord ma è il Nord che dipende dal Sud. Innanzitutto per il fatto che la sua economia dello spreco è resa possibile dalla metodica rapina a cui il Sud è sottoposto e poi, più specificamente, perché esiste un nesso causale tra la politica degli armamenti e il persistere, anzi l'aggravarsi, della spaventosa piaga della fame. Pesano ancora nella nostra memoria i 50 milioni di morti dell'ultima guerra, ma cominciano anche a pesarci i morti che la fame sta facendo: 50 milioni, per l'appunto, nel solo anno 1979. E più comincia a pesare il fatto, sempre meglio conosciuto, che la morte per fame non è un prodotto fatale dell'avarizia della natura o dell'ignavia degli uomini, ma il prodotto della struttura economica internazionale che riversa un'immensa quota dei profitti nell'industria delle armi: 450 miliardi di dollari nel suddetto anno 1979 e cioè 10 volte di più del necessario per eliminare la fame nel mondo. Questo ora si sa. Adamo ed Eva ora sanno di essere nudi. Gli uomini e le donne che, fosse pure soltanto come elettori, tengono in piedi questa struttura di violenza, non hanno più la coscienza tranquilla. La seconda verità di Hiroshima è che ormai l'imperativo morale della pace, ritenuta da sempre come un ideale necessario anche se irrealizzabile, è arrivato a coincidere con l'istinto di conservazione, il medesimo istinto che veniva indicato come radice inestirpabile dell'aggressività distruttiva. Fino ad oggi è stato un punto fermo che la sfera della morale e quella dell' istinto erano tra loro separate, conciliabili solo mediante un'ardua disciplina e solo entro certi limiti: fuori di quei limiti accadeva la guerra, che la coscienza morale si limitava a deprecare come un malum necessarium. Ma le prospettive attuali della guerra tecnologica sono tali che la voce dell'istinto di conservazione (di cui la paura è un sintomo non ignobile) e la voce della coscienza sono diventate una sola voce. Non era mai capitato. Anche per questi nuovi rapporti fra etica e biologia, la storia sta cambiando di qualità. La terza verità di Hiroshima è che la guerra è uscita per sempre dalla sfera della razionalità. Non che la guerra sia mai stata considerata, salvo in rari casi di sadismo culturale, un fatto secondo ragione, ma sempre le culture dominanti l'hanno ritenuta quanto meno come una extrema ratio, e cioè come uno strumento limite della ragione. E difatti, nelle nostre ricostruzioni storiografiche, il progresso dei popoli si avvera attraverso le guerre. Per una specie di eterogenesi dei fini - per usare il linguaggio di Benedetto Croce - l'«accadimento» funesto generava l'«avvenimento» fausto. Ma ora, nell'ipotesi atomica, l'accadimento non genererebbe nessun avvenimento. O meglio, l'avvenimento morirebbe per olocausto nel grembo materno dell'accadimento". * Un messaggio da Assisi: sei impegni per la pace Il 24 settembre 2000 si è svolta, promossa dai movimenti nonviolenti, una marcia da Perugia ad Assisi contro tutti gli eserciti e le guerre. Ai partecipanti si chiedeva l'adesione e l'impegno personale sui sei punti del "Manifesto 2000 per una cultura della pace e della nonviolenza" lanciato dai Premi Nobel per la Pace; è un programma che ci pare opportuno proporre alla lettura e alla riflessione. "1. Rispettare ogni vita. Rispettare la vita e la dignità di ogni essere umano senza alcuna discriminazione né pregiudizio; 2. Rifiutare la violenza. Praticare la nonviolenza attiva, rifiutando la violenza in tutte le sue forme: fisica, sessuale, psicologica, economica e sociale, in particolare nei confronti dei più deboli e vulnerabili, come i bambini e gli adolescenti; 3. Condividere con gli altri. Condividere il mio tempo e le risorse materiali coltivando la generosità, allo scopo di porre fine all'esclusione, all'ingiustizia e all'oppressione politica ed economica; 4. Ascoltare per capire. Difendere la libertà di espressione e la diversità culturale, privilegiando sempre l'ascolto e il dialogo senza cedere al fanatismo, alla maldicenza e al rifiuto degli altri; 5. Preservare il pianeta. Promuovere un consumo responsabile e un modo di sviluppo che tengano conto dell'importanza di tutte le forme di vita e preservino l'equilibrio delle risorse naturali del pianeta; 6. Riscoprire la solidarietà. Contribuire allo sviluppo della mia comunità, con la piena partecipazione delle donne e nel rispetto dei principi democratici, al fine di creare, insieme, nuove forme di solidarietà". Se una lezione e un programma di lavoro dall'esperienza del secolo che si è concluso possiamo trarre, ci pare che nelle parole di Balducci e nell' appello dei Premi Nobel per la Pace se ne possa trovare una traccia. E dunque al lavoro. * Parte terza. Ci sono alternative? La nonviolenza * Guardiamoci intorno I quattro quinti dell'umanità vivono una vita di enormi sofferenze; le guerre, la fame, lo sfruttamento, l'oppressione e l'ingiustizia strutturale tengono in condizioni disumane la maggior parte dell'umanità; la biosfera (ovvero quella sottile pellicola del nostro pianeta in cui soltanto esiste vita vegetale, animale ed umana) è messa a rischio da un modello di sviluppo criminale; ingenti risorse che potrebbero offrire benessere a molti, vengono invece rapinate, sperperate, distrutte da pochi; è crescente l'inquinamento dell'ambiente e la distruzione di risorse non rinnovabili; le nuove tecnologie (particolarmente quelle informatiche e quelle biologiche) contengono grandi potenzialità ma implicano enormi rischi e richiedono per la loro gestione un di più di democrazia, di razionalità, di responsabilità; si pone il problema di quale pianeta stiamo predisponendo per le generazioni future; pace, democrazia e diritti umani mai come oggi costituiscono una triade di esigenze irrefutabili e irrinviabili. * Dieci ferite della contemporaneità Un recente volume che analizza alcune figure e correnti della riflessione morale contemporanea (AA. VV., Etiche della mondialità, Cittadella, Assisi 1996) propone questa descrizione schematica della situazione presente: "Le ferite più laceranti della contemporaneità possono essere ricapitolate nel quadro seguente, articolato in dieci punti: 1) l'invadenza e gli effetti sconvolgenti di un ordine economico mondiale che, per assicurare l'opulenza ad una minoranza dell'umanità, produce per tutti gli altri la fame, il sottosviluppo, la disoccupazione, la degradazione del lavoro; 2) la crisi ecologica, con intollerabili danni alla biosfera ed alle condizioni per la sopravvivenza delle diverse forme di vita sulla terra; 3) la crisi demografica, con la crescente sproporzione tra popolazione e risorse disponibili; 4) l'acuirsi delle tensioni etniche e religiose, delle discriminazioni di casta e di sesso, nonché la traduzione irresponsabile del principio dell' autodeterminazione dei popoli; 5) la crisi delle relazioni interumane di solidarietà e l'esclusione di intere fasce della società; 6) il ricorso alla guerra come risoluzione delle controversie internazionali; 7) l'esistenza di regimi dittatoriali ed il ripetersi della violazione dei diritti umani in molti stati; 8) l'espandersi delle organizzazioni criminali transnazionali e del mercato mondiale delle droghe; 9) il monopolio occidentale del sistema informativo-comunicativo e l' omologazione delle culture sotto il liberismo assoluto dell'Occidente; 10) la difficoltà di indirizzare al bene comune dell'umanità le dinamiche e gli esiti della ricerca scientifica e della tecnologia". Si potrebbe dire diversamente, di alcune cose si potrebbe discutere, ma il quadro complessivo è all'incirca questo. (...) * Che fare? Si pone il problema di opporsi a tanta violenza, a tanto dolore, a tanta ingiustizia, a tanta follia. Ed occorre quindi elaborare e praticare delle adeguate etiche planetarie; dei comportamenti concreti capaci di contrastare la catastrofica deriva presente; una azione politica coerente ed efficace; progetti, dinamiche, istituzioni all'altezza delle necessità. Come fare? Noi crediamo che per la lotta che occorre condurre alcuni strumenti operativi importanti li offra la teoria-prassi della nonviolenza. * La proposta della nonviolenza come teoria-pratica di liberazione La nonviolenza è una possibile risposta a questo urgente problema: alla violenza crescente si può, si deve, opporre la nonviolenza. Ma detto questo è stato detto ancora ben poco: cosa è la nonviolenza? In prima approssimazione potremmo dire che la nonviolenza è una teoria-pratica di liberazione, ovvero una proposta di azione finalizzata all 'affermazione concreta e immediata della dignità umana; una proposta pratica, ma che implica dei giudizi di valore, e quindi una teoria: un punto di vista che concerne questioni morali, politiche, gnoseologiche (cioè relat ive alla teoria della conoscenza), antropologiche (ovvero una visione dell' uomo e della cultura). Ma essenzialmente a nostro avviso la nonviolenza è lotta contro la violenza, lotta contro l'ingiustizia, lotta che afferma la responsabilità di ognuno per il bene di tutti, lotta che nel suo stesso farsi istituisce democrazia, diritti umani, difesa della biosfera. * La nonviolenza come cosa complessa La nonviolenza è una teoria-prassi sperimentale ed in continuo sviluppo creativo, dalle molteplici dimensioni ed interpretazioni, quindi da studiare rigorosamente. La nonviolenza non è una cosa semplice. Lo stesso termine si presta a diverse interpretazioni; i suoi ambiti applicativi sono molto diversificati, coloro che alla nonviolenza si sono accostati o che di strumenti, tecniche, riflessioni di essa hanno fatto uso, ne hanno dato interpretazioni molto diverse. Lo stesso Gandhi, che ne è il vero e proprio fondatore, ne ha dato definizioni diverse ed ha elaborato un concetto di essa sperimentale, contestuale, dinamico, critico. Sperimentale perché la nonviolenza non è un dogma ma un concreto operare in quanto tale constantemente ri-discutibile; contestuale, perché è solo nel vivo del conflitto, solo nella concretezza della lotta contro l'ingiustizia, che la nonviolenza in quanto prassi si dà, si misura e si definisce; dinamico, perché appunto la nonviolenza non è un che di statico, di ipostatizzato, di prefissato, di preconfezionato, ma si realizza nel processo della lotta, nel vivo del conflitto, nel cuore della storia e della società, ed agisce come parte in causa, come elemento contraddittorio e propulsivo, come rottura del disordine costituito e come progetto di trasformazione; critico, perché la nonviolenza non è uno stato di quiete, di appagamento, la fine di alcunché, ma un costante rovello, un' incessante verifica, una lotta interminabile, e quindi anche una serrata critica ed autocritica. La nonviolenza non è una ideologia o una filosofia politica e sociale in più; ma non è neppure un mero repertorio di strumenti e di tecniche; essa si propone come una teoria-prassi compatibile con altre teorie morali e politiche, ma ha una sua autonomia e coerenza che ne fa una cosa complessa, inconclusa, in sviluppo, ma insieme una cosa non confondibile, non sussumibile, non addomesticabile. * Dimensioni ed interpretazioni della nonviolenza Dimensioni: vedremo che la nonviolenza ha diverse dimensioni, una di esse è quella della scelta etico-politica, e quindi della condotta personale e collettiva nella vita quotidiana come nei conflitti politici, sociali e culturali; una seconda dimensione è quella delle tecniche di lotta e delle forme di gestione delle relazioni e dei conflitti; una terza dimensione è quella della nonviolenza come strategia di lotta contro le ingiustizie; una quarta dimensione è quella del progetto politico, economico e sociale che la scelta nonviolenta implica se le sue premesse vengono svolte fino alle ultime conseguenze. Intepretazioni: si potrebbe dire che vi sono tante interpretazioni della nonviolenza quanti sono coloro che la hanno adottata e che su di essa hanno riflettuto. Per quanto ci concerne, noi qui proponiamo un approccio non dogmatico, ma sperimentale ed aperto, concreto e contestuale; pertanto questo stesso scritto non è un formulario tuttologico, o un ricettario onnivalente, ma la proposta e la descrizione - certo intenzionata, certo non neutrale - di una serie di tesi su cui comunque la discussione e la riflessione restano aperte. * Cosa è la nonviolenza: questioni terminologiche preliminari 1. Il termine Il termine "nonviolenza" è la traduzione italiana del concetto coniato da Gandhi per definire la sua proposta ed azione di lotta; Gandhi utilizza due termini: ahimsa, che potremmo tradurre come "non violenza", o anche "assoluto contrario della violenza", "radicale opposizione alla violenza", ed anche "in-nocenza", "assoluto rifiuto di fare del male"; e satyagraha, che potremmo tradurre come "forza della verità", "attaccamento, adesione alla verità", "ma anche "forza coesiva della verità"; non solo: la radice indoeuropea "sat" designando non solo il vero, ma l'essere, il bene, il divino come infinitamente vero e buono, il termine coniato da Gandhi significa altresì "prossimità al bene", "contatto con l'essere", "unità con il e nel giusto e verace", "coessenzialità": insomma i termini gandhiani ahimsa e satyagraha definiscono un campo semantico ad un tempo molto preciso, molto profondo ed insieme molto ampio. Il termine italiano nonviolenza li traduce entrambi unificandoli; la sua peculiare forma grafica (scrivere cioè "nonviolenza" tutto attaccato e non separando "non" e "violenza") è stata proposta da Aldo Capitini, il maggior pensatore e promotore della nonviolenza in Italia, per sottolineare la positività ed originalità del concetto. Il termine "nonviolenza" è quindi recente, risale a Gandhi ed è del tutto novecentesco. 2. Il concetto Ci si è posti spesso il problema se sia recente anche il concetto cui il termine si riferisce. Come è noto una diffusa antologia di scritti gandhiani edita per le cure dell'Unesco si intitola Antiche come le montagne, e fa riferimento ad una celebre frase gandhiana in cui la nonviolenza è definita appunto "antica come le montagne". Ahinoi, qui mettiamo in discussione questa autorevole opinione, ed en passant contesteremo anche la fattura di questo celebre libro come di molte altre antologie gandhiane. E cominciamo da questa seconda opposizione: spesso si pubblicano raccolte di scritti gandhiani riducendo i suoi ragionamenti in "pillole", in frasi celebri astratte dal contesto. Ma Gandhi non è stato uno scrittore sistematico, un accademico, un trattatista, bensì un militante; e la sua scrittura è quasi esclusivamente giornalistica ed epistolare, sempre mirata alla concreta lotta da condurre in quel preciso momento ed in quella precisa situazione; e stando così le cose non è infrequente che Gandhi torni autocriticamente sulle sue precedenti opinioni per modificarle; così come è assolutamente ovvio che in momenti e situazioni diverse egli si esprima in modo diverso e vi siano quindi testi gandhiani che estrapolati dal contesto e posti l'uno di fronte all'altro possono sostenere due tesi perfettamente opposte. Da ciò deduciamo la necessità di evitare la pubblicazione di "pillole" gandhiane, per quanto brillanti ed acuminate possano essere singole frasi ridotte ad aforismi, e proponiamo invece che si pubblichi (e quindi si legga) Gandhi in edizioni che diano conto del contesto in cui i singoli testi proposti alla riflessione concretamente si inseriscono (da questo punto di vista non si loderà mai abbastanza per il suo rigore e la sua lealtà la fondamentale antologia di scritti gandhiani curata da Giuliano Pontara per Einaudi: Mohandas Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino, più volte ristampata). Peraltro del carattere sperimentale, aperto, contestuale e concreto della sua proposta teorico-pratica Gandhi era pienamente consapevole, al punto da intitolare la sua autobiografia Storia dei miei esperimenti con la verità (in traduzione italiana disponibile oggi col titolo stabilito dagli editori La mia vita per la libertà, Newton Compton, Roma), ripetutamente sottolineandovi come la sua ricerca, le sue esperienze e riflessioni, lo portassero ad un atteggiamento non dogmatico e ad una concezione costitutivamente aperta, sperimentale, dialettica, creativa della nonviolenza. Detto questo, passiamo alla prima questione proposta: il concetto di nonviolenza è antico o recente? Noi propendiamo per la seguente risposta: il concetto di nonviolenza è recente, e risale a Gandhi; la prassi della nonviolenza è invece effettivamente antica ed ha molte manifestazioni nel corso della storia dell'umanità. 3. La prassi Vi sono nel passato prenovecentesco innumerevoli episodi di riflessione e prassi nonviolente, ma in essi raramente la nonviolenza si presenta come un concetto autonomo e fondativo dell'azione; più spesso è implicato da motivazioni o da finalità che restano altre. Facciamo alcuni esempi: sono sicuramente altissime figure di nonviolenti alcuni fondatori e rappresentanti di religioni: ma in queste personalità, nella loro predicazione, nelle loro esperienze, non era centrale l'idea di un'azione riformatrice etico-politico-sociale nonviolenta; centrale è una posizione e proposta religiosa e trascendente. Orbene, si potrebbe obiettare che anche in Gandhi la prospettiva religiosa è centrale; ciò è vero, ma è non meno vero che la proposta della nonviolenza non si configura come parte speciale di un progetto religioso da assumere tout court, ma come teoria-prassi dotata di una sua autonomia e di una sua capacità persuasiva anche rispetto a persone che non ne condividono i fondamenti religiosi. Ed in effetti è possibile aderire alla teoria-prassi nonviolenta senza aderire ad una posizione religiosa. Ancora: nel corso della storia molti movimenti sociali hanno fatto uso di tecniche di lotta nonviolente; hanno proposto e praticato programmi sociali e politici nonviolenti; hanno adottato etiche personali e collettive nonviolente; basti pensare a tante esperienze del cristianesimo (il cui ruolo storico nell'abbattimento del sistema schiavistico antico e dell' ideologia ad esso inerente è indiscutibile), con punte rilevantissime - un solo esempio: Francesco d'Assisi -; dell'umanesimo - anche qui un solo esempio: l'irenismo erasmiano -; dell'illuminismo; del socialismo in molte delle sue concrete vicende di pensiero e di lotta; delle tradizioni che oggi definiremmo "ecologiste" - includendo in esse anche culture tradizionali comunitarie distrutte dalla furia colonialista -. Tuttavia una compiuta (ancorché aperta e felicemente inconcludibile) teorizzazione della nonviolenza ed una pratica politico-sociale centrata su di essa è un fatto dell'ultimo secolo. Poi, naturalmente, in alcune delle figure più rilevanti della nonviolenza contemporanea ed autocosciente la radice della riflessione, della scelta e dell'impegno può benissimo essere religiosa, così è in Gandhi, così in Lanza del Vasto, così in Martin Luther King, così anche - in modo a lui peculiare - in Aldo Capitini (che pure interagisce con l'antifascismo politico e la tradizione otto-novecentesca azionista, mazziniana ma anche liberal-socialista come è noto); ma molte delle persone che hanno aderito ai movimenti di lotta da essi suscitati potevano benissimo non condividere quella radice e pur sentirsi completamente presi da quelle proposte analitiche ed operative, di riflessione e di lotta, ed aderirvi quindi toto corde muovendo da una prospettiva integralmente laica. Fondamentalmente laica ci pare di poter considerare la proposta di Danilo Dolci, o quella ecofemminista di Vandana Shiva, o l'elaborazione di Gene Sharp, o di Johan Galtung, o di Giuliano Pontara. Ed un rappresentante illustre della nonviolenza come Jean Marie Muller ha pertinentemente argomentato nel senso del riconoscimento dell'autonomia teorica della nonviolenza e della possibilità di un'adesione ad essa indipendentemente dall'eventuale credo religioso personale; ed analogamente ha argomentato, in una più ampia riflessione sull'uomo "planetario" che deve fronteggiare qui e adesso sfide globali terribili e cruciali e costruire una cultura della pace che a tutti chiede un peculiare contributo, uno straordinario sacerdote cattolico come Ernesto Balducci. Insomma, la prassi nonviolenta è un fenomeno che ha una lunga tradizione storica; la concettualizzazione della nonviolenza come teoria-prassi specifica risale a Gandhi ed è quindi fenomeno relativamente recente; la terminologia precisamente corrispondente è gandhiana, e la sua più adeguata traduzione e peculiare trascrizione italiana è merito particolare di Aldo Capitini. * Cosa è la nonviolenza: alcune definizioni Venendo alla definizione di cosa la nonviolenza sia, preliminarmente ripetiamo che di essa sono state date definizioni molteplici non solo a seconda dei diversi protagonisti che ne hanno fatto uso e dei diversi autori che ne hanno scritto, ma anche dalla stessa persona, militante e/o studioso, in fasi e contesti diversi della sua riflessione e del suo agire. Qui proponiamo una nostra definizione sintetica ed aperta: la teoria-prassi della nonviolenza si basa sull'amore-forza della verità, è lotta contro la violenza condotta in modo rigoroso e radicale, praticando la coerenza tra mezzi e fini; la nonviolenza si caratterizza per un atteggiamento sperimentale e non dogmatico, di apertura e comprensione; la nonviolenza è agire nelle situazioni di conflitto, è resistenza concreta e intransigente contro l'oppressione, è progetto sociale di eguaglianza e di liberazione testimoniato e costruito nell'azione diretta. (...) * Sguardi sulla nonviolenza 1. Rompere la complicità. Alla base della nonviolenza vi è la consapevolezza che il potere ingiusto ed oppressivo si regge anche sulla complicità delle vittime e degli indifferenti: la nonviolenza è in primo luogo un appello a rompere la complicità con l'ingiustizia, a toglierle il consenso, ad uscire dalla passività, a prendersi la propria responsabilità, a lottare per la verità e la giustizia. 2. La nonviolenza è lotta. E' lotta contro la violenza, contro l' ingiustizia, contro la menzogna. E' lotta perché ogni essere umano sia riconosciuto nella sua dignità; è lotta contro ogni forma di sopraffazione; è lotta di liberazione per l'uguaglianza di tutti nel rispetto e nella valorizzazione della diversità di ognuno. E' la forma di lotta più profonda, quella che va più alla radice delle questioni che affronta. E' lotta contro il potere violento, cui si oppone nel modo più completo, rifiutando la sua violenza e rifiutando di riprodurre violenza. Afferma la coerenza tra i mezzi ed i fini, tra i metodi e gli obiettivi. Tra la lotta e il suo risultato c'è lo stesso rapporto che c'è tra il seme e la pianta. Chi lotta per la liberazione di tutti, deve usare metodi coerenti. Chi lotta per l' uguaglianza deve usare metodi che tutti possano usare. Chi lotta per la verità e la giustizia deve lottare nel rispetto della verità e della giustizia. E' lotta contro il male, non contro le persone. E' lotta per difendere e liberare, per salvare e per convincere, e non per umiliare o annientare altre persone. E' lotta fatta da esseri umani che non dimenticano di essere tali. Che non si abbrutiscono, che non vogliono fare del male, bensì contrastare il male. E' lotta per l'umanità. La nonviolenza è il contrario della viltà. E' il rifiuto di subire l'ingiustizia; è il rifiuto di ogni ingiustizia, sia di quella contro di me, sia di quelle contro altri. La nonviolenza è lotta. E' lotta per la verità, è lotta per la giustizia, è lotta di liberazione e di solidarietà, è lotta contro ogni oppressione. 3. Otto brevi caratterizzazioni della nonviolenza. La nonviolenza è forte: può opporsi efficacemente alla forza delle armi; può sfidare coerentemente i più grandi poteri del mondo. La nonviolenza è umile: non richiede attitudini eccezionali, pose monumentali, proclami retorici; non richiede ingenti risorse fisiche o finanziarie; richiede limpidezza di condotta ed assunzione di responsabilità. La nonviolenza è concreta: interviene realmente nel conflitto; porta la pace e la giustizia nel suo stesso porsi; si oppone ugualmente alla vigliaccheria ed alla violenza; educa alla dignità umana. La nonviolenza è coerente: è l'unico modo coerente di lottare contro la violenza; è l'unico modo coerente di affermare la dignità di ogni essere umano; è l'unico modo coerente per ridurre l'ingiustizia e il dolore nel mondo. La nonviolenza è il potere di tutti: poiché tutti possono lottare con la nonviolenza, poiché la nonviolenza fa appello a tutti, poiché la nonviolenza rispetta la dignità di tutti e di ciascuno. La nonviolenza è adesione alla verità, è forza della verità: da Gandhi a Capitini gli amici della nonviolenza sanno che essa è incompatibile con la menzogna, con i sotterfugi, con gli intrighi e le doppiezze: la nonviolenza è l'amore per la verità che irrompe nell'agire politico e sociale, è il principio responsabilità (il rispondere al volto dell'altro che muto e sofferente ti interroga - Lévinas -, il farsi carico del mondo e dell'umanità - Jonas -) che si rende operare autentico; è la critica della ragion pratica che si fa movimento di solidarietà e di liberazione. La nonviolenza è lotta come amore: lotta integrale contro l'ingiustizia e la menzogna, lotta integrale per la comunicazione e la dignità, lotta integrale contro la violenza; lotta integrale per i diritti umani, lotta integrale per un'umanità di eguali, liberi e fraterni. La nonviolenza è utopia concreta, principio speranza, ortopedia del camminare eretti: abbiamo usato queste tre formule del filosofo Ernst Bloch per significare che la nonviolenza è concreta azione e concreto progetto politico e sociale di dignità umana e difesa della biosfera; che la nonviolenza è inveramento della speranza in una lotta coerente e che nel suo stesso farsi è liberante; che la nonviolenza è affermazione ed istituzione del diritto e dei diritti, legalità e democrazia in cammino. 4. Quattro regole di condotta per l'azione diretta nonviolenta: I. A un' iniziativa nonviolenta possono partecipare solo le persone che accettano incondizionatamente di attenersi alle regole della nonviolenza. II. Tutti i partecipanti devono saper comunicare parlando con chiarezza, con tranquillità, con rispetto per tutti, e senza mai offendere nessuno. III. Tutti i partecipanti devono conoscere perfettamente senso, fini, modalità e conseguenze dell'azione diretta nonviolenta; devono averne piena conoscenza, e devono esserne completamente convinti; in particolare sottolineiamo la necessità di essere pienamente informati e consapevoli delle conseguenze cui ogni singolo partecipante può andare incontro, conseguenze che vanno accettate pacificamente e onestamente, ed alle quali nessuno deve cercare di sottrarsi. IV. Tutti devono rispettare i seguenti princìpi della nonviolenza: a) non fare del male a nessuno (se una sola persona dice o fa delle stupidaggini, o una sola persona si fa male, l'azione diretta nonviolenta è irrimediabilmente e totalmente fallita, e deve essere immediatamente sospesa); b) spiegare a tutti (amici, autorità, interlocutori, interpositori, eventuali oppositori) cosa si intende fare, e che l'azione diretta nonviolenta non è rivolta contro qualcuno, ma contro la violenza; c) dire sempre e solo la verità; d) fare solo le cose decise prima insieme con il metodo del consenso ed annunciate pubblicamente (cioè a tutti note e da tutti condivise); nessuno deve prendere iniziative personali di nessun genere; la nonviolenza richiede lealtà e disciplina; e) assumersi la responsabilità delle proprie azioni e quindi subire anche le conseguenze che ne derivano; f) mantenere una condotta nonviolenta anche di fronte all' eventuale violenza altrui. Chi non accetta queste regole non può partecipare all'azione diretta nonviolenta, poiché sarebbe di pericolo per sé, per gli altri e per la riuscita dell'iniziativa che deve essere, appunto, rigorosamente nonviolenta. Per poter partecipare ad un'azione diretta nonviolenta è necessario aver partecipato prima alla discussione ed all' organizzazione che ha portato alla sua decisione e realizzazione, ed è altresì assolutamente indispensabile aver partecipato ad un training di addestramento alla nonviolenza. 5. Una definizione fondamentale: la "carta" del Movimento Nonviolento (...) 6. Necessità dell'addestramento alla nonviolenza. La nonviolenza non è né un atteggiamento spontaneo, né un banale "volersi bene"; bensì: a) una meditata scelta etico-politica di trasformazione delle relazioni personali e sociali, b) un insieme di tecniche di lotta rigorose ed assai elaborate, c) una strategia di lotta profondamente caratterizzata, d) un progetto di relazioni umane e politiche radicalmente alternativo a quelle dominanti. Quindi la nonviolenza non è affatto "spontanea", va conosciuta e coltivata. Nessuno si sorprende se un soldato deve addestrarsi, nessuno si sorprende se un medico deve studiare: ebbene, la nonviolenza richiede un addestramento e uno studio non inferiori ma superiori a quelli richiesti al soldato ed al medico. Senza studio non è possibile comprendere la nonviolenza; senza addestramento non è possibile condurre l'azione nonviolenta. Proprio perché la nonviolenza è una proposta morale, sociale e politica di lotta di liberazione che nel suo stesso farsi inveri la dignità umana di ognuno e di tutti, essa richiede un impegno di conoscenza, di preparazione, di discussione, di consapevolezza e di capacità critica e autocritica assolutamente superiore a quello richiesto in altre forme di organizzazione, in altri ambiti di studio, in altre proposte di azione. 7. I diritti umani, presi sul serio. Scegliamo la nonviolenza perché essa è l'unica teoria-prassi dell'azione politica e sociale collettiva che si prefigge nel suo stesso svolgersi il rispetto dei diritti umani di tutti, non solo di coloro che partecipano all'azione, ma anche di coloro che la subiscono. La nonviolenza non rinvia la realizzazione dei diritti umani ad un futuro successivo alla conclusione della lotta, essa realizza i diritti umani nel corso stesso della lotta. La nonviolenza non nega umanità agli avversari con cui lotta, essa riconosce l'umanità deagli avversari con cui lotta. La nonviolenza è lotta intransigente per affermare la dignità umana di tutti e per affermarla subito. Essa è nei suoi metodi e nel suo svolgersi coerente con i suoi fini: poiché il fine è la dignità umana e la liberazione dall'oppressione, la lotta nonviolenta nel suo stesso svolgimento deve realizzare la dignità di tutti e prefigurare la liberazione di tutti. Per questo diciamo che la nonviolenza è lotta come amore. 8. La liberazione umana, subito. Inoltre scegliamo la nonviolenza perché essa è l'unica teoria-prassi dell'azione politica e sociale collettiva che realizza nel suo stesso farsi una forma autentica di democrazia diretta, rapporti egualitari e non gerarchici, che prefigura già nella sua organizzazione relazioni umane e sociali liberate e liberanti; perché consente la partecipazione di tutti ed abolisce rapporti di potere e di oppressione. Per questo essa adotta il metodo del consenso, per questo essa non è solo una forma di lotta ma anche una occasione di costruzione di rapporti umani solidali; per questo nella nonviolenza si richiede una piena limpidezza di comportamenti e una forte lealtà nei confronti di tutti, di sottoporre tutto alla discussione comune, e di scegliere sempre e solo gli obiettivi e le forme di lotta che tutti i partecipanti condividono. 9. La nonviolenza è gestione del conflitto. La nonviolenza è gestione del conflitto, la cui esistenza essa riconosce e valorizza. La nonviolenza non è una visione idilliaca ed illusoria, quindi narcotizzante, dei rapporti sociali; ma la consapevolezza della conflittualità degli ideali e degli interessi, delle situazioni esistenziali e delle relazioni sociali, dei rapporti economici e politici, degli assetti culturali e ideologici. Essa si propone di intervenire nel conflitto e di farlo umanizzando il conflitto, valorizzandone la dimensione morale e conoscitiva, gestendolo in modo da renderlo fecondo di rapporti umani più giusti, lottando incessantemente contro la violenza, contro l'ingiustizia, contro l'inganno. Si può essere nonviolenti solo nel conflitto, si può essere nonviolenti solo se si lotta per la giustizia. (...) 10. La nonviolenza è ripudio assoluto della violenza. La nonviolenza è opposizione assoluta alla violenza: non ammette complicità, meschinità o sotterfugi. La nonviolenza smaschera e ripudia i sofismi sulla "violenza buona", sulla "guerra giusta", e simili infamie: la nonviolenza si oppone sempre e comunque alla guerra e alla violenza. Ovviamente gli amici della nonviolenza riconoscono agli oppressi il diritto di legittima difesa; ovviamente gli amici della nonviolenza hanno la capacità di ricostruire i rapporti di causa ed effetto che producono l'oppressione e la violenza, e si battono in primo luogo contro le cause e le condizioni strutturali che producono ingiustizia, sopraffazione, sofferenza, violenza. Lo stesso Gandhi era esplicito nel dichiarare che di fronte alla violenza la cosa peggiore è la viltà, e che se non si ha la forza di resistere con la nonviolenza, gli oppressi hanno il dovere di resistere comunque; ma aggiungeva che la nonviolenza è incomparabilmente più forte e migliore della resistenza violenta, e che occorre avere la forza di scegliere sempre e comunque la nonviolenza. Noi riteniamo che vi siano argomentazioni ineludibili che ci convincono a ripudiare la violenza come metodo di lotta; argomenti che ci persuadono quindi ad ammettere solo la nonviolenza come metodo di lotta. 11. Per la critica della violenza. Elenchiamo alcune ragioni essenziali per cui occorre essere rigidamente contro la violenza. Citiamo da Giuliano Pontara, voce Nonviolenza, in AA.VV., Dizionario di politica, Tea, Torino 1992: I. il primo argomento "mette in risalto il processo di escalation storica della violenza. Secondo questo argomento, l'uso della violenza (...) ha sempre portato a nuove e più vaste forme di violenza in una spirale che ha condotto alle due ultime guerre mondiali e che rischia oggi di finire nella distruzione dell'intero genere umano"; II. il secondo argomento "mette in risalto le tendenze disumanizzanti e brutalizzanti connesse con la violenza" per cui chi ne fa uso diventa progressivamente sempre più insensibile alle sofferenze ed al sacrificio di vite che provoca; III. il terzo argomento "concerne il depauperamento del fine cui l'impiego di essa può condurre (...). I mezzi violenti corrompono il fine, anche quello più buono"; IV. il quarto argomento "sottolinea come la violenza organizzata favorisca l'emergere e l'insediamento in posti sempre più importanti della società, di individui e gruppi autoritari (...). L'impiego della violenza organizzata conduce prima o poi sempre al militarismo"; V. il quinto argomento "mette in evidenza il processo per cui le istituzioni necessariamente chiuse, gerarchiche, autoritarie, connesse con l'uso organizzato della violenza, tendono a diventare componenti stabili e integrali del movimento o della società che ricorre ad essa (...). «La scienza della guerra porta alla dittatura» (Gandhi)". A questi argomenti da parte nostra ne vorremmo aggiungere altri due: VI. un argomento, per così dire, di tipo epistemologico: siamo contro la violenza perché siamo fallibili, possiamo sbagliarci nei nostri giudizi e nelle nostre decisioni, e quindi è preferibile non esercitare violenza per imporre fini che potremmo successivamente scoprire essere sbagliati; VII. soprattutto siamo contro la violenza perché il male fatto è irreversibile (al riguardo Primo Levi ha scritto pagine indimenticabili soprattutto nel suo ultimo libro I sommersi e i salvati). Agli argomenti contro la violenza Pontara aggiunge opportunamente un ultimo decisivo ragionamento: "I fautori della dottrina nonviolenta sono coscienti che ogni condanna della violenza come strumento di lotta politica rischia di diventare un esercizio di sterile moralismo se non è accompagnata da una seria proposta di istituzioni e mezzi di lotta alternativi. Di qui la loro proposta dell'alternativa satyagraha o della lotta nonviolenta positiva, in base alla duplice tesi a) della sua praticabilità anche a livello di massa e in situazioni conflittuali acute, e b) della sua efficacia come strumento di lotta" per la realizzazione di una società fondata sulla dignità della persona, il benessere di tutti, la salvaguardia dell'ambiente. 12. Perché ci diciamo "amici della nonviolenza" e non "nonviolenti". Ci diciamo "amici della nonviolenza" e non "nonviolenti" perché, come spiegava Aldo Capitini, dobbiamo essere modesti e realistici: la nonviolenza è un ideale cui tendere, un ideale assai impegnativo, una pratica da verificare giorno per giorno nella vita quotidiana, nei rapporti interpersonali come nelle grandi lotte necessarie; e solo nella verifica quotidiana per un verso, e nel momento più aspro della lotta, per l'altro, si evidenzia la nostra capacità di attenerci ad essa, di esserne creativamente gli artefici; quindi evitiamo di sembrare sbruffoni, e consideriamoci per quello che siamo: donne e uomini in ricerca, per un'umanità di liberi ed eguali, appunto: amici della nonviolenza. * Perché riteniamo necessaria la scelta della nonviolenza (...) Sottolineiamo che formuliamo la proposta della nonviolenza come esigenza di verità e di concretezza; di intervento attivo e immediato; di azione coerente e rigorosa; di assunzione personale e collettiva di responsabilità; di rifiuto della complicità, della viltà, dell'indifferenza. Rimarchiamo che la proposta di dedicarsi allo studio e di far uso della teoria-prassi della nonviolenza non vuol essere sostitutiva di altri approcci e di altre teorie: crediamo che essa sia compatibile con un impegno religioso come con un impegno laico; che essa sia compatibile con varie tradizioni filosofiche, di filosofia morale, di filosofia del diritto e di filosofia politica; che essa sia giovevole ed arricchente per movimenti di liberazione e di solidarietà che si richiamano sia a tradizioni religiose, sia a tradizioni politiche ordinate a fini di giustizia e libertà, di eguaglianza e dignità umana, di emancipazione degli oppressi, di difesa e promozione dei diritti sociali, civili, politici, umani; e particolarmente alle tradizioni liberali, democratiche, socialiste e libertarie. * Parte quarta. Per i lettori distratti? Una bibliografia essenziale E' difficile restringere in pochi libri fondamentali le mille fonti a cui ci si può alimentare. Dovessimo fare una scelta radicale ed indicarne uno solo, esso sarebbe: Primo Levi, I sommersi e i salvati, edito da Einaudi. Ma per fortuna è ragionevole supporre che chi legge queste righe abbia desiderio di conoscere più persone, più riflessioni, più libri. E dunque ecco un percorso minimo in dieci punti. 1. Quattro pensatori fondamentali, che poi sono quattro pensatrici, ed è sintomatico che le riflessioni e le parole decisive nel Novecento ci pare le abbiamo scritte delle donne: Virginia Woolf, e particolarmente Le tre ghinee (utile anche la biografia scritta da Quentin Bell, Virginia Woolf, Garzanti). Hannah Arendt, e particolarmente Le origini del totalitarismo, Comunità; Vita activa, Bompiani; La banalità del male, Feltrinelli; Sulla rivoluzione, Comunità; La vita della mente, Il Mulino (utile la biografia scritta da Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt. Per amore del mondo, Bollati Boringhieri). Simone Weil, di cui va letta tutta l'opera ed in particolare almeno i quattro volumi dei Quaderni, Adelphi (utile la biografia scritta dalla sua amica Simone Pétrement, La vita di Simone Weil, Adelphi). Vandana Shiva, la grande scienziata e filosofa indiana impegnata nei movimenti ecologisti, femministi, per i diritti dei popoli e delle persone, di cui in italiano sono disponibili Sopravvivere allo sviluppo, Isedi; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri; ed altri volumi ancora. 2. Per l'analisi del nostro tempo, su aspetti specifici e cruciali, indichiamo tre autori, ovviamente rinunciando ad infiniti altri: Franz Kafka, e non c'è bisogno di spiegare perché, basta leggerlo. Sulla guerra e la sofferenza delle classi popolari: Nuto Revelli (nato a Cuneo nel 1919, ufficiale degli alpini nella tragedia della campagna di Russia, eroe della Resistenza, testimone della cultura contadina e delle sofferenze delle classi popolari in guerra e in pace. Le sue opere non sono letteratura, ma grande testimonianza storica, lucido impegno civile, e limpida guida morale, si leggano tutte: La guerra dei poveri, La strada del davai, Mai tardi, L' ultimo fronte, Il mondo dei vinti, L'anello forte, Il disperso di Marburg, Il prete giusto; sono tutte pubblicate presso Einaudi). Sui poteri criminali, punta di lancia della cosiddetta "globalizzazione", decisiva è l' opera di Umberto Santino (e tra i suoi lavori particolarmente: La mafia finanziaria, in La borghesia mafiosa, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato; La violenza programmata, Angeli; L'impresa mafiosa, Angeli; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti). (...) 2. RIFLESSIONE. CHRISTA WOLF: PER IMPEDIRE LE GUERRA [La seguente osservazione della grande scrittrice femminista e pacifista e' del primo maggio 1981 e si trova in Christa Wolf, Premesse a Cassandra, e/o, Roma 1984, p. 124] Per impedire le guerre bisogna anche che la gente di volta in volta eserciti, nel proprio paese, la critica nei confronti di cio' che nel proprio paese non va. Ruolo dei tabu' nella preparazione della guerra: incessantemente, smisuratamente cresce il numero dei segreti ignobili. 3. RIFLESSIONE. LAVINIA MAZZUCCHETTI RICORDA LA "ROSA BIANCA" [Da Lavinia Mazzucchetti, Cronache e saggi, Il Saggiatore, Milano 1966, p. 305. Lavinia Mazzucchetti (1889-1965), limpida figura di antifascista, nell'articolo del 1948 da cui abbiamo estratto questo passo ricorda la Resistenza e il martirio del gruppo di professori e studenti di Monaco che nel 1943 seppero opporsi al nazismo] Si vanno moltiplicando le rievocazioni commemorative di quello che fu l'unico sussulto morale della gioventu' tedesca. Ma proprio contro certa retorica sorge oggi a protestare uno degli studenti ribelli uscito dal carcere, Hans Hirzel, precisando non senza amarezza: "Eccezionale nella congiura degli studenti e' che essi, sia pure in condizioni anormali, hanno agito come avrebbe dovuto agire ogni uomo normale. E lo hanno sottolineato sin che hanno potuto. E Sofia Scholl ha detto ancora in faccia ai suoi giudici: Voi pensate come noi, ma non avete il coraggio di agire in conformita'". 4. LETTURE. AA. VV., CERVELLI CHE PARLANO AA. VV. (a cura di Eddy Carli), Cervelli che parlano, Bruno Mondadori, Milano 1997, pp. 240, lire 16.000. Una raccolta di interviste a illustri studiosi che documenta "il dibattito su mente, coscienza e intelligenza artificiale". 5. LETTURE. HANNAH ARENDT: ARCHIVIO ARENDT 1. 1930-1948 Hannah Arendt, Archivio Arendt 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001, pp. 272, lire 55.000. Una raccolta di scritti poco noti e con una conferenza inedita. Discutibile la scelta di tradurre dalla altrui traduzione inglese alcuni testi pubblicati dalla Arendt in tedesco. Ma la pubblicazione e' meritoria; il costo invece proibitivo. 6. LETTURE. "LIMES": LA GUERRA DEL TERRORE I quaderni speciali di "Limes", La guerra del terrore, suppl. al n. 4/2001, pp. 128, lire 14.000. La pregevole "rivista italiana di geopolitica" diretta da Lucio Caracciolo offre come di consueto punti di vista diversi (e in dibattito tra loro) ed utili materiali di approfondimento sui temi internazionali di maggior rilievo ed attualita'. 7. MATERIALI. PER STUDIARE LA GLOBALIZZAZIONE: DA ZENO SALTINI A TERESITA SANDESCHI SCELBA * ZENO SALTINI Profilo: nato a Fossoli di Carpi (MO) nel 1900, sacerdote cattolico ed educatore, fondatore della comunità di Nomadelfia, che ha sede dapprima nell 'ex-campo di concentramento di Fossoli, poi nei pressi di Grosseto. * LUIGI SALVATORELLI Profilo: nato a Marsciano nel 1886 e deceduto a Roma nel 1974, giornalista, storico, impegnato nella lotta antifascista. Opere di Luigi Salvatorelli: segnaliamo particolarmente Nazionalfascismo, pubblicato dalla casa editrice Gobetti nel 1923, ristampato da Einaudi, Torino 1977; ed il classico Il pensiero politico italiano dal 1700 al 1870, Einaudi, Torino 1935, più volte ristampato. * GAETANO SALVEMINI Profilo: illustre storico (1873-1957), meridionalista, oppositore intransigente del fascismo. Opere di Gaetano Salvemini: della vastissima opera di Salvemini segnaliamo per un primo approccio almeno la classica monografia su La rivoluzione francese, Feltrinelli, Milano, e le sapidissime Lettere dall'America 1944/1946, Laterza, Bari 1967. * GIANCARLO SALVOLDI Profilo: docente di geografia economica, parlamentare, ha elaborato il testo di riforma della legge sull'obiezione di coscienza e fatto approvare la norma che vieta l'esportazione di armi nei paesi che violano i diritti umani. Opere di Giancarlo Salvoldi: (con Valentino Salvoldi e Lush Gjergji), Bosnia: non potete obbligarci a odiare, Emi, Bologna; (con Valentino Salvoldi e Lush Gjergji), Kosovo: nonviolenza per la riconciliazione, Emi, Bologna. * VALENTINO SALVOLDI Profilo: sacerdote cattolico, docente universitario all'Alfonsianum di Roma, autore di numerose pubblicazioni, impegnato nella solidarietà con i poveri, per la pace e l'ambiente; ha lavorato in vari paesi dell'Africa e dell'Asia, ed in aree di conflitto (Albania, Kosovo, Bosnia). Opere di Valentino Salvoldi: Albania: tolleranza e solidarietà; (con Giancarlo Salvoldi e Lush Gjergji), Bosnia: non potete obbligarci a odiare; (con Giancarlo Salvoldi e Lush Gjergji), Kosovo: nonviolenza per la riconciliazione; Per le strade del mondo; (con Lush Gjergji), Resistenza nonviolenta nella ex-Jugoslavia, tutti presso la Emi, Bologna. Inoltre: (con Bernard Häring), Nonviolenza. Per osare la pace, Edizioni del Messaggero, Padova; Il Vangelo della solidarietà, Paoline, Milano; (a cura di), Mai più la guerra, La Meridiana, Molfetta. Cfr. inoltre: Valentino Salvoldi intervista Bernhard Häring, Cittadella, Assisi 1994; Valentino Salvoldi (a cura di), Häring. Un' autobiografia a mo' di intervista, Paoline, Milano 1997. * TERESITA SANDESCHI SCELBA Profilo: nata a Torino nel 1885, deceduta a Roma nel 1975, medico, femminista. Opere su Teresita Sandeschi Scelba: Teresita Sandeschi Scelba e i suoi tempi, CNDI, Roma 1975. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ; per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ; angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 246 del 2 ottobre 2001
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