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La nonviolenza e' in cammino. 236
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 236
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it> (by way of Alessandro Marescotti <a.marescotti at peacelink.it>)
- Date: Sat, 22 Sep 2001 11:36:34 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 236 del 22 settembre 2001 Sommario di questo numero: 1. Benito D'Ippolito, sopra un verso di Dante (Purg., VI, 32) 2. Peppe Sini, quattro ragioni per preparare lo sciopero generale contro la guerra 3. Rigoberta Menchu', fermare la codarda insensatezza della violenza 4. L'appello dell'Universita' di Chicago: occhio per occhio ci rende tutti ciechi 5. Angelo Cavagna: condanna per la strage, no a una nuova guerra, si' a una nuova Onu 6. Intervento di Luisa Morgantini al Parlamento Europeo 7. Giulio Vittorangeli, la critica al dominio non e' un crimine 8. Naomi Klein, game over 9. Raffaello Ugo, a Cagliari contro la guerra 10. Monica Lanfranco, presentazione di "Marea" 11. Letture: AA. VV., I giorni di Genova 12. Letture: Gianluca De Gennaro, Emmanuel Levinas profeta della modernita' 13. Letture: Lorenzo Milani, I care ancora 14. Roberto Tecchio, il laboratorio di ricerca e formazione sulla gestione nonviolenta dei conflitti (parte sesta ed ultima) 15. Per studiare la globalizzazione: da Ghiannis Ritsos a Marthe Robert 16. La "Carta" del Movimento Nonviolento 17. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. BENITO D'IPPOLITO: SOPRA UN VERSO DI DANTE (Purg., VI, 32) "Sarebbe dunque loro speme vana?" Migliaia, milioni di anni per imparare a camminare eretti. Trovare dal nulla il linguaggio, da dentro la gola cacciar fuori parole e frasi e pensieri, costruire case, ponti, biciclette, inventare l'ombrello e la compassione, scrivere libri che fanno parlare Qohelet e Leopardi con me secoli dopo, vincere la paura del mostro oceano, contare e nominare le stelle, impastare e cuocere il pane, fare l'amore come amore e non come foia, gli scacchi e i film di Woody Allen, la ragione serena di Diderot, mio padre che mi recitava Carducci tra le lacrime, l'esistenza di persone dolci come te. Tutto questo deve dunque finire in un cratere? Tutto questo deve essere dunque annichilito? "Sarebbe dunque loro speme vana?" 2. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: QUATTRO RAGIONI PER PREPARARE LO SCIOPERO GENERALE CONTRO LA GUERRA 1. Perche' una guerra scatenata a seguito degli attentati terroristici di un gruppo criminale (ancora neppure ben identificato) non ha fondamento nel diritto internazionale, e aggiunge crimine a crimine, strage a strage. 2. Perche' nel caso dell'Italia violerebbe anche la legge fondamentale del nostro paese, la Costituzione della Repubblica Italiana, nell'art. 11 e non solo. Sarebbe quindi due volte un atto criminale. 3. Perche' aggiungendo vittime innocenti a vittime innocenti non solo non sconfiggerebbe il terrorismo, ma lo rafforzerebbe. 4. Perche' rischia di evolvere in una guerra mondiale che puo' mettere fine alla civilta' umana. Pertanto, se la guerra venisse scatenata e il nostro governo decidesse (illegalmente) che l'Italia ad essa dovesse prendere parte, occorre agire per difendere la Costituzione e per cercar di salvare le vite degli esseri umani effettivo bersaglio della guerra. Ed a tal fine occorre: a) l'azione diretta nonviolenta eseguita esclusivamente da persone persuase della nonviolenza (e non da parte di persone ambigue o confuse che sarebbero pericolose a se' e agli altri); un'azione diretta nonviolenta che contrasti concretamente, operativamente, e non solo simbolicamente, la guerra e i suoi apparati (un esempio: l'azione diretta nonviolenta delle "mongolfiere per la pace" con cui ostruire lo spazio di decollo delle basi da cui partono i bombardieri); b) la disobbedienza civile di massa: ovvero il rifiuto di cooperare con chi ha tradito la Costituzione e si e' posto fuori legge; disobbedienza civile che significa rompere la complicita' con chi ordisce assassinii, e pagare di persona tutte le conseguenze economiche, civili e penali della propria azione di noncollaborazione; la disobbedienza civile e' una cosa seria che richiede disponibilita' ad accettare le prevedibili sofferenze e i prevedibili danni da subire come conseguenza alla propria assunzione di responsabilita', come sapevano Thoreau e Gandhi che l'hanno praticata davvero (mentre cio' che nei mesi scorsi e' stato spacciato sotto questa etichetta in italia ne e' l'esatto contrario); c) lo sciopero generale contro la guerra: per bloccare il nostro paese cosi' da impedire l'uso dell'esercito italiano per commettere stragi, e con la forza della democrazia e della legalita' ricondurre alla ragione quel governo, quel parlamento e quel presidente della Repubblica che accettando di portarci in guerra avrebbero commesso un atto di alto tradimento del nostro ordinamento giuridico. 3. RIFLESSIONE. RIGOBERTA MENCHU': FERMARE LA CODARDA INSENSATEZZA DELLA VIOLENZA [Rigoberta Menchu', india guatemalteca, e' premio Nobel per la Pace. Questo intervento abbiamo ripreso da "Il paese delle donne" (www.womenews.it)] Dopo essere venuta a conoscenza degli avvenimenti che hanno commosso il mondo, desidero rendere pubblica la mia posizione. Condanno fermamente i riprovevoli atti terroristici che sono costati migliaia di vite di civili innocenti e hanno avviato una spirale di violenza le cui conseguenze sono imprevedibili. Il terrorismo, da qualsiasi lato provenga, e' una condotta politicamente ingiustificabile e moralmente inaccettabile. Esprimo il mio piu' profondo sentimento di crdoglio e solidarieta' con le vittime, le loro famiglie e il popolo statunitense. Invito alla serenita' e al buon senso perche' si eviti di rispondere alla provocazione e all'insensatezza con quella che potrebbe risultare una offensiva revanchista, che alimenterebbe esclusivamente una escalation di violenza che, pur sapendo come e da dove nasce, nessuno e' in grado di prevedere come e quando avra' termine. Invoco che venga tentato di tutto per rendere possibile il dialogo tra un sistema mondiale egemonico, che include, esclude e seleziona unilateralmente, e la radicalita' disperata delle risposte che esso ha generato. Metto in guardia la comunita' internazionale circa il pericolo che le azioni di questi gruppi terroristici contribuiscano a scatenare una logica di guerra per cercar di dirimere vecchie e nuove controversie tra nazioni, e che giustifica azioni che colpiscono gruppi e settori che non hanno trovato un assetto pluralista per il riconoscimento e il rispetto della propria espressione di identita' nell'ambito istituzionale attuale. Sollecito i mezzi di comunicazione a evitare l'allarmismo fondato su interpretazioni di forte matrice ideologica, che accresce solo la confusione e alimenta i fantasmi dell'intolleranza. Infine richiamo la societa' civile del pianeta, i premi Nobel e coloro che hanno responsabilita' di governo in tutti i paesi del mondo, a non trarre conclusioni affrettate su quanto e' accaduto, e ad impegnarci tutti a creare un grande "fronte del buon senso" che fermi la codarda insensatezza della violenza e eviti maggiori sofferenze per l'umanita'. 4. MATERIALI. L'APPELLO DELL'UNIVERSITA' DI CHICAGO: OCCHIO PER OCCHIO CI RENDE TUTTI CIECHI [Questa petizione internazionale, su cui e' in corso la raccolta delle adesioni, si trova nel sito http://home.uchicago.edu/~dhpicker/petition] Noi, cittadini degli Stati Uniti d'America e di altri Stati del mondo, chiediamo al Presidente degli Stati Uniti, George W. Bush; al Segretario Generale della Nato, Lord Robertson; al presidente dell'Unione Europea, Romano Prodi; e a tutti i leaders internazionali di usare moderazione e cautela nel rispondere ai recenti attacchi terroristici contro gli Stati Uniti. Imploriamo che il loro potere ricorra, dove possibile, alle istituzioni giudiziarie internazionali e alle leggi internazionali sui diritti umani, piuttosto che a strumenti di guerra, violenza e distruzione. Inoltre, affermiamo che il governo di una nazione deve essere considerato distinto e diverso da qualunque gruppo terroristico che operi dal suo interno, e dunque non possa essere irragionevolmente considerato responsabile di crimini commessi da questi gruppi. Ne consegue che il governo di una particolare nazione non puo' essere condannato per i recenti attacchi senza una convincente evidenza di una sua cooperazione e complicita' con gli individui che hanno effettivamente commesso i crimini in questione. Civili innocenti che vivono in una qualunque nazione ritenuta colpevole, in parte o totalmente, per i crimini recentemente perpetrati contro gli Stati Uniti, non possono essere ritenuti in alcun modo responsabili per le azioni dei loro governi, e devono quindi essere garantiti nella loro sicurezza ed immunita' da ogni azione militare o giudiziaria presa contro lo stato in cui essi risiedono. Da ultimo e con la massima energia, chiediamo che non venga fatto alcun ricorso ad armi nucleari, chimiche o biologiche ne' ad altro tipo di arma che produca distruzione indiscriminata, e riteniamo che sia un nostro inalienabile diritto umano il vivere in un mondo privo di tali armi. 5. RIFLESSIONE. ANGELO CAVAGNA: CONDANNA PER LA STRAGE, NO A UNA NUOVA GUERRA, SI' A UNA NUOVA ONU [Padre Angelo Cavagna e' il presidente del Gavci; per contatti: gavci at iperbole.bologna.it] Il Gruppo Autonomo di Volontariato Civile in Italia (Gavci), costituito per lo piu' da veri obiettori, quindi rigorosamente nonviolento, condanna l'attacco criminale agli Stati Uniti. Nel contempo invita gli USA e tutto l'Occidente a non riporre, ancora una volta, tutta la fiducia nel mostrare i muscoli bellici, bensi' a lavorare di diplomazia e di ingegneria istituzionale. Bush parla solo di guerra e di Nato. Il mondo, invece, proprio perche' globalizzato, ha bisogno di vere istituzioni internazionali. Va rifatta l'ONU, non piu' a salvaguardia degli interessi dei vincitori della seconda guerra mondiale, ma per garantire la giustizia e la pace per tutti i popoli. Senza vera ONU, non c'e' rimedio ne' al terrorismo, ne' alla guerra (ve ne sono in corso circa cinquanta, se non di piu'), ne' allo scempio dell'ambiente, ecc. Sembra cosa ovvia: a problemi mondiali devono corrispondere un parlamento e un governo mondiali, con un corpo di polizia internazionale (uso "non omicida" della forza armata) e non con gli eserciti nazionali (uso "omicida" della forza). E' questa la via istituzionale alla pace. Quasi tutti i politici sembrano muti e sordi su questa problematica. In questo modo ciascuno crede di fare i propri interessi mentre il mondo va verso l'autodistruzione. Siamo con il papa, che ha condannato l'attacco agli USA e ha detto no alla spirale della violenza. 6. RIFLESSIONE. INTERVENTO DI LUISA MORGANTINI AL PARLAMENTO EUROPEO [Riportiamo il testo dell'intervento di Luisa Morgantini nella sessione plenaria del 19 settembre del Parlamento Europeo. Per contatti: lmorgantini at europarl.eu.int] Signor Presidente, "non c'e' causa - neanche una causa giusta - che possa fare delle uccisioni di civili innocenti un atto legittimo. Il terrore non lastrica la strada per la giustizia ma e' il cammino piu' breve per l'inferno. Noi condanniamo e deploriamo questo crimine orrendo, condanniamo chi l'ha pianificato e perpetrato, con tutta la nostra forza possibile. La nostra partecipazione al dolore per le vittime, al dolore delle loro famiglie e dell'intero popolo americano in questi momenti difficili non e' che l'espressione del nostro profondo impegno verso l'unicita' del destino umano". Non sono parole mie ma alcune parole di intellettuali, politici e ministri palestinesi, come Yaser Abed Rabbo, Hanan Ashrawi, Mahmoud Darwish. Sono parole forti che danno speranza perche' vengono da persone che vivono e soffrono sotto l'occupazione militare israeliana. Questi sono tempi in cui tutti - persone, Stati, istituzioni - dobbiamo assumerci il massimo della responsabilita' e della determinazione per mettere il terrorismo fuori dalla storia, e insieme a questo anche la globalizzazione della poverta', dell'ingiustizia e delle guerre devono essere cacciati fuori dalla storia. "Le parole devono sostituire le armi" diceva Xavier Solana. Per questo non devono evocare, incitare all'odio o alla cultura del cowboy, "o vivi o morti". Come dicono le donne contro la guerra, tra uccidere e morire c'e'una terza via, che e' vivere. L'educazione alla pace, al rispetto del diritto non deve escludere nessuno, meno che mai i capi di Stato. Oggi dalla Palestina e da Israele con l'annuncio della tregua viene una striscia di futuro, esile, si', ma e' indispensabile aggrapparvisi. L'Unione europea ha contribuito alla possibilita' di ripresa del dialogo. Questo ruolo politico deve crescere e, se si accresce, si accresce nella fermezza della difesa del diritto. Si dica chiaramente a Sharon, cosi' come si e' detto ad Arafat che deve avere fermezza nell'impedire il terrorismo, si dica a Sharon che non puo' continuare impunemente a confiscare terre palestinesi, a costruire insediamenti, a uccidere e tenere i palestinesi segregati nei villaggi o, come ha fatto nella mattina di ieri, a distruggere il costruendo porto di Gaza, finanziato dai paesi dell'Unione Europea. Ci vogliono misure concrete: dare ai palestinesi fiducia per uno Stato nella sicurezza e dare ad Israele la certezza che nessuno attenta alla sua esistenza, cio' che e' in discussione e' la sua politica coloniale e di espansione, non la sua esistenza. Ieri, in Libano, insieme a una delegazione italiana ho incontrato il Presidente Lahoud. Egli ha espresso chiaramente il rifiuto del terrorismo, ma ha ribadito con forza quanto sia indispensabile la soluzione della questione palestinese e lo sviluppo della cooperazione politica ed economica con l'Europa e il mondo arabo. Dobbiamo credere in noi stessi, ed essere veramente costruttrici e costruttori di pace, costruttrici e costruttori del diritto. 7. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: LA CRITICA AL DOMINIO NON E' UN CRIMINE [Giulio Vittorangeli, una delle figure piu' lucide e tenaci della solidarieta' internazionale, e' tra i principali collaboratori di questo notiziario. Per contatti: giulio.vittorangeli at tin.it] E' difficile trovare parole, quando parole non ci sono; quando ci muoiono in gola strozzate da una violenza che ci espropria delle nostre stesse ragioni, che annulla ogni dignita' umana. Allora ci diciamo che dobbiamo resistere, almeno noi, che non dobbiamo cedere alla paura, alla disperazione e soprattutto alla logica della guerra; che dobbiamo avere il coraggio dei nostri radicali ideali. Resistere al senso di smarrimento che sta scuotendo le nostre vite e il mondo intero... ma come? Quante e quante volte abbiamo denunciato, documentato, letto, scritto, ragionato, sulle disuguaglianze del mondo, per cui il 20% della popolazione mondiale (i ricchi) ha l'82,7% del reddito totale del mondo; mentre i piu' poveri, il 20% dell'umanita', ha soltanto l'1,4%. Per cui 1,2 miliardi di persone vivono (sarebbe piu' giusto dire muoiono) con meno di un dollaro al giorno; 2,8 miliardi con meno di due dollari. Di come tutto questo sia assicurato da oltre 900 miliardi di dollari che vengono spesi per gli armamenti; per cui i 22 paesi piu' ricchi del mondo, spendono in aiuti allo "sviluppo" appena un decimo di quanto sborsano per la difesa e gli armamenti. Adesso corriamo il rischio che non solo l'Italia, ma l'intera Europa, aumenti le spesi militari facendo scomparire la cooperazione internazionale allo sviluppo a danno dei popoli del Sud del mondo, bollati come marginali se non funzionali al sostegno degli "Stati canaglia", cosi' definiti da Bush. Non solo, l'economia speculativa e il profitto prevalgono su qualunque etica, su qualunque diritto civile e umano. Non a caso, davanti ai ventimila omicidi degli aerei-bomba, tutto il mondo si e' fermato attonito, meno le borse: "... non si sono fermate neppure un secondo, hanno continuato a far soldi, a cercare utili selvaggi. Nessuno ha pensato di chiudere le borse per decenza e rispetto ai cadaveri ancora freschi" (Dario Fo, Franca Rame, Jacopo Fo, "Cacao" del 12/09/2001). Alla notizia degli attentati negli Stati Uniti, le quotazioni del petrolio si sono impennate e l'euro si e' rivalutato nei confronti del dollaro. C'e' qualcosa di profondamente sbagliato, qualcosa che non regge, in un sistema dove la ricchezza, la cultura e perfino la religione di una minoranza decidono del destino di tutti; in un sistema basato su una spirale di violenza strutturale che si esercita nell'oppressione politica, nello sfruttamento e nell'ingiustizia. Un mondo, quindi, divorato dalla prevaricazione del piu' forte sul piu' debole; un mondo che viene rapinato nella ricerca esasperata dei profitti a breve termine e in cui il divario tra i piu' poveri ed i piu' ricchi aumenta di anno in anno, non puo' che diventare un invivibile focolaio di tensioni e conflitti. E' evidente che l'odio per l'occidente, sviluppato in larghe fasce sociali del cosiddetto terzo mondo, e' figlio della cultura della violenza, della fame e dello sfruttamento disumano. Solo che non sono i poveri, gli emarginati, i disperati della terra che hanno gestito e pianificato il massacro statunitense, ma altri che si sono arrogati il diritto di agire in loro nome; altri che in realta' parlano la stessa lingua dei potenti, per un mondo diretto dai forti e dal profitto e non da chi crede nella giustizia e nell'umanita'. Resistere, perche' l'unica garanzia di sicurezza per il pianeta terra e' la giustizia, il sanare le ferite sanguinanti della fame e del sopruso. Non a caso le prime vittime di quanto e' avvenuto sono stati, tra insinuazioni e falsita', i palestinesi. Si e' iniziato con l'attribuire gli attentati al Fronte democratico per la liberazione della Palestina; si e' passati ad affermare che le stragi di New York e Washington dell'11 settembre sono stati perpetrati nell'anniversario della strage di Sabra e Chatila (16 e 17 settembre 1982: tra le 3.000 e le 3.500 le vittime palestinesi innocenti ed indifesi); fino a "La Palestina festeggia la strage", titolo di un tg diretto da un mascalzone. "La volonta' spietata dei nostri mass-media di rappresentare con immagini e parole la barbarie dell'intera "razza" araba e palestinese per poche decine di persone che hanno sorriso e distribuito dolcetti. Vorremmo vedere se fossimo noi a farlo, questi giornalisti direbbero che "gli italiani (tutti) ballano e cantano"? No, direbbero che sono solo un pugno di esaltati, disperati o chissa' cosa. Ma nel caso dei palestinesi no, diventa un popolo intero. Intanto altri undici palestinesi sono stati uccisi in queste ore ma, chi se ne frega, vanno additati tutti come criminali" (lettera dei cooperanti italiani in Palestina del 12/09/2001). La realta' e' che Sharon sta approfittando dell'occasione straordinaria rappresentata dall'attacco agli Stati Uniti, per colpire duramente - una volta per tutte - i palestinesi. Si veda l'allucinante compiacimento del ministro laburista degli interni del governo israeliano: "Abbiamo ucciso quattordici palestinesi e il mondo tace". Resistere, perche' non possiamo permettere che la solidarieta' verso la Palestina, gia' scandalosamente bassa sino ad ora, diventi da qui in avanti un'impresa quasi disperata. C'e', infine, un altro elemento che ha profondamente trasformato in questi ultimi dieci anni i rapporti di convivenza e di civilta' universale: aver ridato legittimita' e dignita' alla guerra come valido strumento di risoluzione delle controversie internazionali, gettando definitivamente alle ortiche le Nazioni Unite, che nonostante gli evidenti limiti rappresentavano l'unica casa comune di tutti i popoli del mondo. E' stata la piu' atroce e tremenda riaffermazione del diritto della forza sulla forza del diritto; il trionfo di un (dis)ordine mondiale fondato sull'omicidio (su questo, rinviamo alla riflessione di Cristina Papa, "Tra il grido e il silenzio scegliamo la parola", pubblicata su questo notiziario n. 228 del 14/09/2001). Non a caso l'Onu, cosi' come la nostra Costituzione, nate dalla tragedia della seconda guerra mondiale, avevano rifiutato e bandito la guerra, riconoscendone l'orrore e l'impossibilita'. Invece ci siamo privati di qualsiasi istituzione internazionale per il dialogo tra i popoli, delegando tutto a quella mostruosita' che e' la Nato. La realta' e' che l'indagine e il giudizio sui responsabili del crimine internazionale contro il popolo statunitense, che offende tutta l'umanita', dovevano competere all'Onu nelle sue legittime istituzioni; ma dato che questa e' stata ridotta ad un povero guscio vuoto, resta solo la ritorsione e la rappresaglia degli Usa. Resistere perche' bisogna ricostruire un processo democratico di partecipazione e discussione su scala mondiale, fondato sul rispetto della vita e sul ripudio della violenza, della guerra e del terrorismo; fondato sulla scelta di far fronte all'orrore con gli strumenti della pace, della giustizia e del dialogo. Diversamente, forse, non c'e' salvezza. Per tutto questo siamo contrari alla pretesa di fare giustizia con le armi del governo degli Stati Uniti e dei suoi alleati. Occorre che la condanna dell'attacco terroristico e la solidarieta' alle vittime non si trasformi in un indistinto appoggio ad una nuova guerra. Una vendetta che non serve a nulla, una vendetta che portera' altri massacri tra i diseredati del mondo, altro dolore e altra rabbia. Non solo non crediamo alla "guerra santa, del bene contro il male" (una risposta bellica di tutto l'occidente non potra' che radicalizzare il conflitto con il mondo arabo), ma il terrorismo piu' viene combattuto militarmente e piu' si riproduce fino a colpire il cuore degli Stati. Questa scelta contro la guerra, rischia di farci passare (agli occhi dell'opinione pubblica) come "amici" dei terroristi: e' facile in questo momento il passaggio (il)logico "siete contro gli Usa e la Nato, quindi state dalla parte dei terroristi". Ma la critica al dominio non e' mai un crimine. E' evidente che dopo quanto e' successo, la vita del movimento antiglobalizzazione e' oggi assai piu' difficile. Pero' "la critica dal basso della globalizzazione capitalistica, costituisce forse il solo antidoto efficace contro il dilagare del fondamentalismo in tutte queste sue diverse dimensioni, in qualche modo collegate fra loro. Non ha bisogno di farsi "americano" per combattere la ferocia del terrorismo, ne' di sposare tradizioni culturali oppressive o regimi autoritari e oscurantisti, per combattere gli squilibri dell'economia globale e le tragedie che ne conseguono (come e' invece il caso, quando non si tratti di pura e semplice ipocrisia, dell'antiglobalismo di stampo fascista, identitario e micronazionalista); non ha bisogno dunque neanche di essere "antiamericano". E' una enorme responsabilita' quella che gli si para di fronte" (Marco Bascetta, "il manifesto" del 16/09/2001). Resistere, anche se ci sentiamo a volte ridicoli e impotenti; continuare caparbiamente a lavorare con gli strumenti della pace, della nonviolenza e della solidarieta' internazionale, perche' il mondo (complesso e complicato) non ha bisogno di terroristi e gendarmi, ma di comprensione, rispetto e tenerezza. Nessuno di noi rinuncera' alle sue responsabilita', ai suoi desideri, all'orrore per qualsiasi massacro, in guerra, o nella quotidiana sopravvivenza. 8. DOCUMENTAZIONE. NAOMI KLEIN: GAME OVER [Naomi Klein, giornalista canadese, e' tra le figure piu' note del movimento per la giustizia globale. Questo articolo abbiamo ripreso dal sito di Indymedia] E' il momento, nel gioco della guerra, nel quale deumanizziamo i nostri nemici. Sono completamente incomprensibili, i loro atti inimmaginabili, le motivazioni prive di senso. Sono "pazzi" e i loro stati "canaglie". Non e' il momento per una maggiore comprensione - solo una migliore intelligence. Queste sono le regole dei giochi di guerra. Le persone sensibili obietteranno senza dubbio a questa caratterizzazione: la guerra non e' un gioco. E' vere vite spezzate, figli perduti, figlie, madri e padri, ognuno con la sua dignitosa storia. L'atto di terrore di martedi e' stato realta' nella sua forma piu' dura, un atto che fa sembrare tutti gli altri atti improvvisamente frivoli, come un gioco. E' vero: la guerra non e' sicuramente un gioco. E forse, dopo martedi, non verra' piu' considerata tale. Forse, l'11 settembre 2001 segnera' la fine dell'era della guerra-videogioco. Guardare i servizi televisivi martedi e' stato completamente in contrasto con l'ultima volta che sono rimasta incollata davanti ad un televisore a guardare un guerra in tempo reale alla CNN. Il campo di battaglia alla Space Invaders della guerra del Golfo non aveva quasi niente in comune con quello che abbiamo visto questa settimana. All'epoca, invece di vedere veri palazzi esplodere uno dopo l'altro, vedevamo solo sterili prospettive di bersagli dal punto di vista della bomba - prima c'erano e dopo non piu'. Chi c'era in quegli astratti poligoni? Non l'abbiamo mai capito. Sin dalla guerra del Golfo, la politica estera americana si e' basata su un'unica brutale finzione: che l'esercito statunitense potesse intervenire in conflitti in giro per il mondo - Iraq, Kossovo, Israele - senza subire perdite. Questo e' un paese che e' arrivato a credere nell'ossimoro definitivo: la guerra sicura. La logica della guerra sicura, ovviamente, e' basata sull'abilita' tecnologica di ingaggiare una guerra esclusivamente dal cielo. Ma si basa anche sulla profonda convinzione che nessuno oserebbe provocare gli Stati Uniti - l'unica superpotenza rimasta - sul suo stesso suolo. Questa convinzione ha permesso, fino a martedi, agli americani di rimanere sconsideratamente non colpiti - addirittura disinteressati - dai conflitti internazionali nei quali sono protagonisti di primo piano. Gli americani non hanno reportage quotidiani da parte della CNN sui continui bombardamenti in Iraq, ne' vengono sottoposti a storie di interesse umanitario sugli effetti devastanti, sui bambini di quel paese, delle sanzioni economiche. Dopo il bombardamento, nel 1988, di uno stabilimento farmaceutico in Sudan (scambiato per una fabbrica di armi chimiche), non ci sono stati molti servizi giornalistici sui danni causati nella regione alla prevenzione sanitaria a causa della mancata produzione di vaccini. E quando la Nato ha bombardato obiettivi civili in Kossovo - inclusi mercati, ospedali, convogli di rifugiati, treni passeggeri e una stazione televisiva - la NBC non ha effettuato interviste "di strada" ai sopravvissuti su quanto fossero shockati da quella distruzione indiscriminata. Gli Stati Uniti sono diventati esperti nell'arte di igienizzare e deumanizzare gli atti di guerra commessi altrove. In casa, la guerra non e' piu' un'ossessione nazionale, e' un business che viene in gran parte terziarizzato ad esperti. Questo e' uno dei principali paradossi del paese: nonostante sia il motore della globalizzazione in tutto il mondo, la nazione non e' mai stata cosi' isolazionista e cosi' poco mondiale. Non meraviglia che l'attacco di martedi, oltre ad essere orripilante oltre ogni descrizione, ha aggiunto l'orrore, per molti americani, di sembrare giunto assolutamente all'improvviso. le guerre raramente arrivano come un completo shock al paese sotto attacco ma e' corretto dire che questa volta e' successo cosi'. Al giornalista di "USA Today" Mike Walter la CNN ha chiesto di riassumere le reazioni sulla strada. Quello che disse fu : "O mio dio, o mio dio, o mio dio, non ci posso credere". L'idea che si possa essere preparati a tanto inumano terrore e' assurda. Comunque, guardandolo attraverso le reti televisive americane, l'attacco di martedi sembrava provenire piu' da un altro pianeta che da un'altra nazione. Gli eventi non sono stati raccontati tanto da giornalisti quanto da una nuova razza di presentatori-celebrita' che hanno avuto un numero incalcolabile di apparizioni cameo in film della TimeWarner a proposito di apocalittici attacchi terroristici agli Stati Uniti - ora, incongruamente, si trovano a dover riportare la realta'. Gli Stati Uniti sono un paese che non solo si crede in pace ma anche a prova di guerra, una percezione di se' che risulterebbe una vera sorpresa alla maggioranza degli Iracheni, Palestinesi e Colombiani. Come da un'amnesia, gli Stati Uniti si sono risvegliati nel mezzo di una guerra, solo per accorgersi che sta andando avanti da anni. Gli Stati Uniti meritavano di essere attaccati? Ovviamente no. Questa e' un'argomentazione orribile e pericolosa. Ma c'e' un'altra domanda che deve essere posta: la politica estera degli Stati Uniti ha creato le condizioni nelle quali una logica cosi' deviata puo' fiorire, una guerra non tanto all'imperialismo degli Stati Uniti ma ad una supposta sordita' alla ragione di questi? L'era della guerra-videogioco nella quale gli Stati Uniti sono sempre al comando ha prodotto una rabbia cieca in molte parti del mondo, una rabbia nei confronti della persistente asimmetria della sofferenza. Questo e' il contesto nel quale perversi assetati di vendetta non chiedono altro che i cittadini americani condividano la loro sofferenza. Fin dall'attacco, i politici e i commentatori statunitensi hanno ripetuto il mantra che il paese sarebbe andato avanti come al solito. Lo stile di vita americano, insistono, non verra' interrotto. Sembra uno strano proclamo da fare quando tutte le prove indicano l'opposto. La guerra, per parafrasare una frase dei vecchi tempi della guerra del Golfo, e' la madre di tutte le interruzioni. Esattamente come dovrebbe essere. L'illusione di una guerra senza vittime e' stata infranta per sempre. Sul nostro videogioco collettivo lampeggia un messaggio: Game Over. 9. INIZIATIVE. RAFFAELLO UGO: A CAGLIARI CONTRO LA GUERRA [Raffaello Ugo e' impegnato nel movimento per la pace a Cagliari. Per contatti: raff.ugo at tiscalinet.it] Il comitato cagliaritano che organizza le manifestazioni contro il vertice Nato, di fronte al pericolo di azioni di guerra, ha deciso che, in caso di attacco militare, ci si riunira' in un sit-in di protesta nella Piazza Costituzione a Cagliari dalle ore 18.00 del giorno in cui avverra' l'attacco (o del giorno immediatamente successivo, se risultassero ormai passate le 18.00). L'invito rivolto a tutti e' a fare altrettanto, in ogni piazza della Sardegna e d'Italia. Il 27 settembre, in occasione del vertice Nato di Pozzuoli, a Cagliari un corteo partira' da Piazza Garibaldi alle 16.00, e si avviera' verso il Molo Ichnusa, nella Piazza della Darsena, dove sono previste diverse attivita' e dalle 20.00 si terra' un concerto. Il comitato che organizza la manifestazione del 27, e anche l'eventuale manifestazione contro l'azione bellica di rappresaglia statunitense i cui segnali sono ormai evidenti, e' un comitato del tutto spontaneo. Subito dopo i fatti di Genova alcune persone sentivano forte il bisogno di non permettere che si chiudesse un capitolo cosi' grave per la democrazia si sono piu' volte riunite per dare corpo a una protesta decisa e pacifica. Il vertice Nato sarebbe stata un'occasione utile per parlare con i sardi della pericolosa situazione nell'isola: servitu' militari (sembra siano state rilevate anche tracce di uranio impoverito presso il poligono di Teulada), mancanza di un piano di sicurezza in caso di incidente nucleare nel porto di Cagliari, La Maddalena, ecc. Purtroppo, il grave attentato terroristico negli Stati Uniti oscura per la sua portata e per le sue conseguenze l'importante scadenza. Le spese militari avranno cosi' un'ulteriore impennata compreso l'inutile e costosissimo scudo spaziale, e il restringimento delle liberta' democratiche avra' la sua giustificazione nella necessita' di tutelare la sicurezza dei cittadini. Chi avrebbe avuto da guadagnarci non ha perso tempo. La profonda e intollerabile ingiustizia, la rabbia e la frustrazione che hanno portato alcuni esseri umani a sacrificare la propria vita e quella di migliaia di altri inconsapevoli civili non sembra aver modificato minimamente l'approccio dei potenti ai problemi mondiali. Temo invece che sia stata data la spinta decisiva a un processo che, come una valanga, minaccia di travolgerci. Potremmo chiuderci in casa dopo aver fatto sufficienti provviste, sistemare i sacchetti di sabbia alle finestre e accendere la televisione per osservare i professionisti fare la guerra; oppure uscire, in tanti, a gridare col cuore in gola che un mondo diverso e' possibile. 10. ESPERIENZE. MONICA LANFRANCO: PRESENTAZIONE DI "MAREA" [Ringraziamo Monica Lanfranco per questa scheda di presentazione della rivista trimestrale (ma anche utilissimo sito in rete) di saperi delle donne "Marea"] "Marea: donne, ormeggi, rotte, approdi", Erga edizioni, trimestrale di saperi delle donne, www.marea.it "Marea", questi i suoi numeri: sei anni di attivita', 24 numeri della rivista omonima, un sito internet www.marea.it, numerosi interventi di autrici, intellettuali, docenti e ricercatrici italiane e non, una pluralita' di iniziative e incontri pubblici in varie regioni italiane, una specifica collana editoriale con due testi gia' pubblicati, un concorso letterario alla sua seconda edizione, una diffusione nelle librerie di tutto il territorio nazionale, un video sull'esperienza femminile al G8 di Genova. "Marea" ha un comitato di redazione composto da donne che lavorano nel mondo dell'informazione, della scuola, del sindacato, della formazione professionale, della solidarieta' e del movimento delle donne. "Marea" nasce a Genova come tribuna per veicolare notizie, idee, materiali e polemiche che nascono dal lavoro di quante credono che prima di tutto occorra segnare il cammino con la propria identita' sessuata. Obiettivo del trimestrale e' quello di trattare l'attualita' e le riflessioni - le storie e i racconti - la critica e le informazioni per dire lo stare al mondo delle donne. Le sue rubriche sono state pensate in chiave "marina" per rafforzare e rendere evidente il legame della rivista con la sua terra d'origine, la Liguria, ma anche con l'elemento femminile dell'acqua: 'Conchiglie' si chiamano le recensioni di libri, 'Orca' e' il tema che ogni volta viene approfondito con interventi e interviste, 'Faro' e' la parte che riguarda i materiali di riflessione ed elaborazione, 'Sabbia' e' il titolo della sezione che lascera' spazio alla creativita' letteraria delle autrici che vi scriveranno. Hanno scritto su "Marea", tra le altre: Elettra Deiana, Rosangela Pesanti, Sandra Verda, Silvia Neonato, Adele Cambria, Simona Mafai, Marina Pivetta, Lidia Menapace, Miriam Grassi, Maria Grazia Ruggerini, Grazia Francescato, Helena Velena, Lia Celi, Rosi Braidotti, Vandana Shiva, Teresa de Lauretis, Tanith Lee. Comitato di redazione: Monica Lanfranco (direttora, sito internet www.village.it/lanfranco/), Marina Barbieri, Lucia Deleo, Laura Guidetti, Mariella Todaro, Nicla Vassallo. Tra qualche giorno sara' disponibile il numero 3 di "Marea", un numero speciale di 200 pagine, con gli atti del convegno Punto G e riflessioni sui fatti di Genova al G8. I testi pubblicati nel segno dell'impegno contro ogni guerra e il militarismo, sono: - Ti scrivo da sotto le bombe. Pagine di rabbia e speranza delle donne contro la guerra nell'ex Jugoslavia, a cura di Monica Lanfranco e Cristina Papa; - Un dopoguerra ancora, di Lidia Campagnano. Il primo concorso letterario (2000) ha prodotto la raccolta dei lavori premiati dal titolo Taciturne e coraggiose. Raccontare le donne liguri tra natura e cultura; il secondo, in uscita a natale 2001, e' dedicato al tema Amiche: luci ed ombre di un sentimento. Il video prodotto dalla rivista ha per titolo: "Giugno-luglio 2001: le donne". Si tratta di un video vhs di 25 minuti che "Marea" ha realizzato per raccogliere le immagini e le parole di cio' che molte donne hanno realizzato e vissuto a Genova, un mese prima del summit del G8, all'evento "Punto G - genere e globalizzazione", realizzato dalla rete della Marcia Mondiale delle donne, e nei giorni di luglio. Le parole di Lidia Menapace, Starhawk, Luisa Morgantini, le immagini del corteo dei migranti del 19 luglio, il racconto di due genovesi presenti nei luoghi dove le donne della rete della Marcia si erano date appuntamento il 20 e le immagini di gioia di quella giornata fino all'inizio dell'incubo, il corteo del 21, la giornata "Genova libera" del 24, dopo le devastazioni e la repressione poliziesca: questo il sommario del video. La scelta narrativa e' stata quella di privilegiare le immagini di cio' che si e' riuscite a fare, (di cio' che avrebbero dovuto e potuto essere quei momenti), immagini che in realta' nessuno ha potuto vedere perche' oscurate dalla drammatica realta' della violenza e della repressione. Il video, prodotto da "Marea" con l'autofinanziamento, e' a disposizione di tutte e tutti anche per organizzare momenti di incontro e dibattito sui contenuti della protesta e della proposta delle donne nel movimento antiglobalizzazione. Il costo e' di lire 20 mila. Per prenotazioni, abbonamenti e informazioni: e-mail mochena at village.it e sul sito www.marea.it 11. LETTURE. AA. VV., I GIORNI DI GENOVA AA. VV., I giorni di Genova, Indice Internazionale, Roma 2001, pp. 156, lire 15.000. "Cronache, commenti e testimonianze dai giornali di tutto il mondo" sui fatti di Genova nei giorni del G8. Molti punti di vista a confronto. 12. LETTURE. GIANLUCA DE GENNARO, EMMANUEL LEVINAS PROFETA DELLA MODERNITA' Gianluca De Gennaro, Emmanuel Levinas profeta della modernita', Edizioni Lavoro, Roma 2001, pp. 136, lire 18.000. Una presentazione della riflessione di Levinas scritta "in mezzo a una vita di comunita', in una casa di accoglienza a Gubbio". 13. LETTURE. LORENZO MILANI, I CARE ANCORA Lorenzo Milani, I care ancora, Emi, Bologna 2001, pp. 480, lire 35.000. Una raccolta di materiali milaniani di straordinaria rilevanza, curata da par suo da Giorgio Pecorini, che se non esistesse bisognerebbe inventarlo. 14. MATERIALI. ROBERTO TECCHIO: IL LABORATORIO DI RICERCA E FORMAZIONE SULLA GESTIONE NONVIOLENTA DEI CONFLITTI (PARTE SESTA ED ULTIMA) [Ringraziamo Roberto Tecchio, formatore alla gestione nonviolenta dei conflitti, per averci messo a disposizione questo testo. Concludiamo oggi la pubblicazione delle schede utilizzate nel laboratorio, ed aggiungiamo l'annuncio per le future iscrizioni. Per contatti: trestele at tiscalinet.it] Scheda teorica n. 7 La trasformazione del conflitto e la sua risoluzione a livello personale e sociale. "Il medico cura, la natura guarisce". Oggi si tende ad usare sempre piu' la terminologia anglosassone conflict management, o conflict transformation, al posto di conflict resolution. In sostanza hanno tutti lo stesso significato e probabilmente c'e' solo un'accresciuta consapevolezza del fatto che nei conflitti noi abbiamo il potere di orientarne in qualche misura la trasformazione, ma certo non quello di risolverli. Insomma il concetto di risoluzione e' pericolosamente presuntuoso e vicino al mito di onnipotenza: noi, da soli, possiamo solo gestire il conflitto, mai risolverlo, esattamente come il medico ha il potere di curare, ma non quello di guarire (1). Attraverso un esempio di vita ordinaria proviamo a riassumere la dinamica della gestione nonviolenta dei conflitti per vedere come si opera la trasformazione e come si arriva a una possibile risoluzione. I nostri attori (chiamiamoli Anna e Bruno, soci che gestiscono un'attivita' di servizi), di fronte a un problema (come arredare l'ufficio) durante la discussione si arrabbiano e litigano scambiandosi reciproche accuse (il problema si e' trasformato in conflitto). Anna (che ha alle spalle un training nonviolento) durante la pausa pranzo riconosce la situazione conflittuale e comincia a lavorare in modo nonviolento sulla sua rabbia e frustrazione (gestione del disagio). Dopo un po' riesce a calmarsi, a ritrovare fiducia e a percepire sia Bruno sia la situazione sotto un'altra luce. Abbiamo cosi' che una delle parti in conflitto ha gestito efficacemente il proprio disagio e quindi ha ottenuto una trasformazione e risoluzione del conflitto a livello personale (ricordiamoci la distinzione fatta all'inizio tra la dimensione personale e quella sociale del conflitto - punto 1.1.), per cui rabbia e frustrazione sono scomparse, o fortemente ridotte, e resta solo la chiara percezione di un problema concreto da risolvere (le scelte inerenti l'arredamento). Dunque Anna ora si sente pronta a incontrare Bruno. Ma Bruno come sta? Bruno (anche lui ha alle spalle un buon training nonviolento), che ha dovuto pure saltare il pranzo per motivi di lavoro, e' invece ancora risentito: in lui c'e' irritazione, pensieri negativi sulla situazione e su Anna, e forse anche su di se'. Quindi ci troviamo di fronte una situazione dove una parte ha risolto il conflitto a livello personale, mentre l'altra no, per cui a livello sociale il conflitto non e' affatto risolto. E infatti sappiamo benissimo che sino a quando anche una sola delle parti in conflitto non avra' efficacemente gestito il suo disagio continuera' a scaricarlo in qualche modo nella relazione con l'Altro e col mondo circostante, creando a tal fine pretesti e falsi problemi - falsi, ma non per questo meno dolorosi, pericolosi e "reali" (2). A questo punto se Anna vuole affrontare il problema concreto dovra' prepararsi a fare inevitabilmente i conti col disagio di Bruno e questo in pratica significa, come abbiamo visto, riuscire a riconoscere e accettare tale disagio. Questa naturale implicazione della gestione nonviolenta dei conflitti e' dura da digerire: oltre a saper gestire bene il mio disagio, cosa gia' di per se' molto impegnativa, devo in qualche misura saper anche aiutare l'altro a gestire il suo disagio, cosa veramente difficile e delicata, sulla quale si ha un potere certamente limitato, ma pure tanto importante. Ora, se questo e' vero, si puo' capire la fondamentale importanza del saper gestire positivamente il disagio a livello personale: chi riesce a gestire bene il proprio disagio si trova nelle condizioni migliori per "tentare" di trasformare e risolvere costruttivamente il conflitto anche nella sua dimensione sociale. E diciamo "tentare" perche' il risultato sociale della risoluzione dei conflitti dipende per forza di cose da ognuna delle parti coinvolte. Come dire: se l'altro e' ineliminabile, allora e' indispensabile (ed e' utile ricordarsi che "gli Altri, siamo Noi") (3). Aiutare l'altro a gestire il suo disagio non richiede uno spirito di abnegazione, ne' l'essere psicoterapeuti: nella misura in cui riesco veramente ad accettare e comprendere il disagio dell'altro (cioe' per es. non mi faccio travolgere dall'onda emotiva della sua rabbia, disperazione, o dolore), di fatto io lo sto aiutando. Accettare vuol dire "riconoscere in modo sentito", con la testa e col cuore, e quando ci sentiamo cosi' riconosciuti accade sempre qualcosa di positivo, di sano, di curativo, di bello, il che non significa che non sia doloroso. In ambito psicoterapeutico alcuni arrivano a dire che l'accettazione e' la forza guaritrice piu' potente che si conosca, ma la cosa non stupisce se si pensa che nel nostro linguaggio l'accettazione e' solo un altro nome dell'amore. Tornando al nostro esempio, immaginiamo che Anna riesca appunto a mostrare un sincero ascolto nella fase iniziale dell'incontro con Bruno, e magari anche a chiedere scusa per le parole dure dette prima. Bruno comincia cosi' a distendersi e un po' alla volta riesce pure lui a recuperare quel po' di fiducia che poi lo mette in grado di gestire bene il suo disagio (e in cio' possiamo supporre che sia stato facilitato dall'atteggiamento sinceramente positivo e amichevole manifestato da Anna alla ripresa del dialogo - attenzione, non stiamo parlando di un atteggiamento di controllata calma e di ostentata gentilezza, cose che generano effetti completamente diversi). Ecco allora che, secondo il nostro approccio, possiamo dire che il conflitto e' stato positivamente trasformato e risolto anche nella sua dimensione sociale, per cui ora le parti si trovano in una condizione piu' favorevole per affrontare e risolvere insieme il problema concreto. Allora, in questo stato della relazione che potremmo chiamare di pace (anche la pace come il conflitto e' uno stato della relazione), i nostri eroi possono "tentare" di risolvere insieme il loro problema. E il verbo "tentare" rimane d'obbligo, perche' non tutti i problemi, qui e ora, possono essere risolti come vorremmo. Anzi, molto spesso solo un'intelligente e fiduciosa accettazione consente di vivere in pace, piu' distesi ed efficaci, in un presente che puo' essere pieno di problemi, disagi e conflitti. Da questo esempio, seppure riferito a un caso di conflitto in ambito cooperativo, possiamo trarre alcune importanti conclusioni che in fondo valgono per qualsiasi tipo di confitto (4): la gestione nonviolenta del disagio (cioe' la gestione nonviolenta della dimensione interiore del conflitto, che e' cio' su cui io ho il massimo potere e responsabilita'): a) puo' "garantire" la risoluzione del conflitto a livello personale; b) non puo' mai "garantire" la risoluzione del conflitto a livello sociale; c) non puo' mai "garantire" la risoluzione dei problemi a livello sociale; d) ma costituisce la base piu' forte ed efficace per poter trasformare e risolvere costruttivamente i problemi e i conflitti a livello sociale, perche' consente di utilizzare al meglio le risorse disponibili di creativita' e intelligenza che vengono fortemente menomate dalla presenza di stati emotivi negativi. Il termine "garantire" e' messo in evidenza perche' esprime assai bene il desiderio diffusissimo e la radicata convinzione di poter trovare tecniche o metodi "sicuri" che risolvano "presto, definitivamente e senza dolori" ogni conflitto, ogni problema, ogni disagio, ogni male. Questo mito di onnipotenza, che ricerca e propaganda la sicurezza assoluta (salute sicura, lavoro sicuro, guadagni sicuri, citta' sicure...), implica naturalmente l'uso della violenza e, purtroppo, si apprende e si trasmette inconsapevolmente. Pero' cambiare e' certamente possibile e la nonviolenza e' solo uno dei tanti modi di vedere e chiamare la via del cambiamento. 1. Per la sua particolare importanza segnalo qui la recente opera curata da J. Galtung, Conflict Transformation by Peaceful Means (the Transcend Method), che costituisce il primo manuale per la gestione nonviolenta dei conflitti pubblicato ufficialmente dall'Onu. In forma ridotta e' pubblicato dalle Edizioni Gruppo Abele: La trasformazione nonviolenta dei conflitti. 2. Qui si aprono i temi, fondamentali per capire i conflitti a livello meso e macro, del capro espiatorio, della demonizzazione o deumanizzazione del nemico, dell'elaborazione paranoidea del lutto. Vedi per es. F. Fornari, cui e' dedicato il testo di AA. VV., Le radici affettive dei confitti, La meridiana; e Luigi Pagliarani, Violenza e Bellezza, Guerini. 3. Su tali considerazioni si fondano gli approcci nonviolenti di mediazione dei conflitti (a livello familiare, sociale, aziendale, ecc), cioe' quando le parti in conflitto riconoscono di non essere piu' in grado di risolvere da sole il problema e allora, di comune accordo, chiedono aiuto a una "terza parte" esterna al conflitto. Attualmente, a mio parere segno molto positivo, c'e' un ricorso sempre piu' frequente alla mediazione dei confitti in ambiti micro (famiglia, scuola, quartiere); in merito suggerisco il testo di S. Castelli, La mediazione, Cortina. Un altro testo recentissimo, molto agile, e' C. Besemer, Gestione dei confitti e mediazione, Edizioni Gruppo Abele. 4. Quando la relazione e' degradata, o inserita in un contesto competitivo, la gestione e trasformazione dei problemi richiede sempre un innalzamento del livello di scontro: insomma bisogna passare dalle parole ai fatti. In questi casi si parla di lotta nonviolenta, che anche se condotta con la forza dell'amore, sempre lotta e' (per i vari tipi di trasformazione dei conflitti, dalla conversione al compromesso positivo alla coercizione nonviolenta, vedi Sharp, op. cit., vol. terzo). * La gestione nonviolenta dei conflitti: laboratori di ricerca e formazione Prosegue presso l'associazione Cipax l'attivita' di formazione permanente alla nonviolenza con metodologie attive ed esperienziali. I laboratori si avviano in diversi periodi dell'anno quando si raggiunge il numero ottimale di iscritti (massimo dodici). Il modulo base (alla decima edizione) si svolge in otto incontri di due ore l'uno. Prossimo inizio entro meta' ottobre 2001. Per informazioni e iscrizioni: Cipax, Via Ostiense 152, Roma e-mail: cipax at romacivica.net, tel. 0676963043 (Roberto Tecchio, ore ufficio). 15. MATERIALI. PER STUDIARE LA GLOBALIZZAZIONE: DA GHIANNIS RITSOS A MARTHE ROBERT * GHIANNIS RITSOS Profilo: poeta greco contemporaneo, per il suo impegno politico dalla parte degli oppressi ha subito durissime persecuzioni. Opere di Ghiannis Ritsos: molte raccolte di Ritsos sono state tradotte in italiano, con fine sensibilita', da Crocetti, Pontani, Sangiglio. Opere su Ghiannis Ritsos: Crescenzio Sangiglio, Jannis Ritsos, La Nuova Italia, Firenze 1975. * ANNAMARIA RIVERA Profilo: docente di etnologia all'Università di Bari, impegnata nella "Rete antirazzista". Opere di Annamaria Rivera: L'imbroglio etnico, Dedalo. * ARMIDO RIZZI Profilo: nato nel 1933, teologo, docente, animatore di comunità, collabora a varie riviste. Opere di Armido Rizzi: Differenza e responsabilità, Marietti, Casale Monferrato 1983; Infinito e persona, Ianua, Roma 1984; Scandalo e beatitudine della povertà, Cittadella, Assisi 1987; Esodo, ECP, S. Domenico di Fiesole 1990; L'Europa e l'altro, Paoline, Cinisello Balsamo 1991; (a cura di), La solidarietà andina, ECP, S. Domenico di Fiesole 1993; Pensare la carità, ECP, S. Domenico di Fiesole 1995. Opere su Armido Rizzi: si veda la parte a lui dedicata in AA. VV., Etiche della mondialità, Cittadella, Assisi 1996. * PLACIDO RIZZOTTO Profilo: partigiano, socialista, segretario della Camera del Lavoro, dirigente delle lotte contadine. Assassinato dalla mafia nel 1948. Opere su Placido Rizzotto: Dino Paternostro, A pugni nudi, La Zisa, Palermo 1992; Dino Paternostro, Il sogno spezzato di Placido Rizzotto e le lotte contadine a Corleone, Città Nuove, Corleone 1998. * MARTHE ROBERT Profilo: studiosa francese, esperta di letteratura tedesca, traduttrice di Kafka, autrice di fondamentali saggi sulla letteratura moderna e sulla psicoanalisi. Opere di Marthe Robert: L'antico e il nuovo, Rizzoli, Milano 1969; Da Edipo a Mosè, Sansoni, Firenze 1981; Solo come Kafka, Editori Riuniti, Roma 1982. 16. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 17. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ; per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ; angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 236 del 22 settembre 2001
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