La strage annunciata di Montemario a Roma... e la globalizzazione



Due morti. Una giovane sarda di Chilarsa (Oristano), Monica Nastasi di 31
anni, ragazza-madre di una bimba di tre anni, che tornava dalla notte di
lavoro in un bar. E un operaio romano di 43 anni, Marco De Marco, separato
dalla famiglia, che si alzava per andare a lavorare nella sua cooperativa
di facchinaggio. 
E' stata la più terribile delle morti. Monica, l'hanno vista bruciare viva
aggrappata alle sbarre della porta incastrata dall'esplosione, che hanno
trasformato in prigione e bara il loculo dove dormiva. Marco è stato
trovato nudo sotto la doccia aperta, in un estremo tentativo di sfuggire
alle fiamme.
Alle otto del mattino del 25 agosto, nel residence di via Pieve di Cadore
21 nel quartiere Montemario a Roma, quartiere benestante pieno di
ambasciate dietro via della Camilluccia, due lavoratori sono stati
ammazzati dagli strozzini che speculano sul caro affitti e sul bisogno
disperato di case.
Poteva essere una strage. Nello stabile, costruito negli anni '70 come
convitto per studenti e poi trasformato abusivamente in residence dalla Srl
Cadore (poi diventata Srl Casa del Pordoi), in 127 loculi allineati su sei
piani con porte e finestre sbarrate da grate sui stretti ballatoi in
comune, senza estintori nè scale antincendio nè uscite di emergenza, erano
ammassate centinaia di persone: 100-200 per i proprietari, in realtà almeno
trecento. Per lo più italiani secondo i proprietari, in realtà in grande
maggioranza immigrati dalle Filippine, da SriLanka, Bangladesh, Romania,
Albania...
L'esplosione si è verificata nel miniappartamento dei due fratelli albanesi
Shalp, ambedue lavoratori regolari. Una fuga di gas dalla bombola o, più
probabilmente, dai tubi marci della cucina fornita insieme al poverissimo
"mobilio". In un residence sarebbe vietato l'uso delle bombole a gas, e
infatti i proprietari sostengono che si tratta di un "condominio". Ma nel
sito della società (www.pordoi.it) e nei contratti d'affitto si parla di
residence.
In realtà non solo le cucine sono a bombola, ma l'impianto centralizzato di
riscaldamento a gas metano, funziona in misura così ridotta che d'inverno,
per non congelare, tutti fanno uso di stufette, in genere a gas per non
aggravare le bollette elettriche. E il rischio raddoppia. I divisori di
fortuna fra l'altro sono infiammabili, come dimostra la tragedia di Monica,
morta al di là di un muro di fuoco ni cui s'era trasformata la parete
divisoria dall'appartamento attiguo.
Le fiamme altissime hanno intrappolato i due lavoratori italiani, hanno
distrutto altri sei miniappartamenti e resi inagibili altri sedici, i cui
occupanti sono riusciti a fuggire. In molti dei loculi, di dimensioni
variabili fra 10 e 18 mq, sono ammassate intere famiglie con bambini. Solo
il caso ha limitato la strage.
Nel '91 la Circoscrizione aveva denunciato la struttura come residence
abusivo. Nel '95 l'associazione Senzaconfine, dopo aver ricevuto
segnalazioni da parte di immigrati sfrattati in malo modo, aveva inoltrato
un esposto alla magistratura romana, allegando copia dei contratti-bidone. 
Nessun esito: la proprietà, evidentemente ben coperta, ha avviato la
vendita di una parte dei miniappartamenti trenta su 127) a privati, i quali
probabilmente erano puri prestanome che subaffittavano (fra loro un
magistrato e un ufficiale dei Cc), ed ha ottenuto una registrazione come
"abitazione privata". Un normale condominio, insomma. Nel quale 97
appartamenti risultano appartenere però ad un unico proprietario,
l'ingegnere romano Giuseppe Callarà. Pare che altri ghetti del genere siano
di sua proprietà, ad esempio sulla via Cassia.
Un suo affittuario racconta però di essere stato costretto a pagare alcuni
mensili arretrati "nello yacht di Callarà, un politico di Capri, già
candidato sindaco per An". Il Callarà in questione esiste, ma si chiama
Federico. Un parente-socio, o la stessa persona? Il gestore della società è
un altro bel tipo: tale Giorgio Guelpa, agli onori delle cronache per aver
fondato e presentato alle elezioni con Moana Pozzi il "partito dell'amore",
precedenti per truffa, ma presidente di tre squadre di football...
Un'idea dei prezzi: il sito Internet della società propone tre soluzioni,
il "miniappartamento", la "mansarda", il "bilocale". Tutti buchi. L'affitto
varia rispettivamente da 620.000 lire a 1.000.000 a 1.200.000 lire al mese,
più le spese di riscaldamento (?!), luce, pulizie, cambio lenzuola, per un
contratto semestrale. Aumenti del 10% per un trimestre, del 20% per un
bimestre, fra il 70% e il 90% per un contratto di un mese (con l'abbuono,
bontà loro, delle spese supplementare per gli affitti più brevi).
Moltiplicando, lo stabile frutta ai proprietari fra un miliardo e un
miliardo e mezzo all'anno.
Il contratto prevede il pagamento interamente anticipato, nessuna
restituzione in caso di recesso anticipato, e la possibilità di sfratto
immediatamente esecutivo con cambio delle chiavi in caso di necessità per
il proprietario. Un giorno di ritardo, raccontano, e trovi un nuovo
lucchetto a casa tua. Il tutto ricorrendo a un escamotage, crediamo
illegale: considerare l'affittuario "custode" (a pagamento, s'intende) del
loculo affittato.
Il comandante dei vigili del fuoco Luigi Abete scuoteva la testa. Ogni
tanto una chiamata: ascensori bloccati, fighe d'acqua... Impianti non a
norma, ovvio. E quei divisori, chiede in una lettera ufficiale al comune di
Roma, chi può averli autorizzati, per trasformare un palazzo in alveare?
La polizia, dal canto suo, era intervenuta più volte nel palazzo. Ma non
per verificare i rischi: solo per cercare e "stanare" gli immigrati
irregolari. L'ultima volta in gennaio. Non ne aveva trovati molti, del
resto: la maggior parte degli immigrati sono regolari, ma sono obbligati
dall'assurdità delle leggi ad essere titolari di un contratto d'affitto per
rinnovare il soggiorno o per chiedere il ricongiungimento familiare. E'
così che la burocrazia apre la strada alla speculazione e alla rapina.
Ora la polizia raccoglie gli elementi per un procedimento per omicidio
colposo. Fra essi, la testimonianza di chi scrive, che ha visto con i suoi
occhi il ragioniere distribuire ad immigrati fogli freschi di stampa,
dicendo loro "dite di essere entrati il 25 agosto, questo è il contratto".
Ma qui bisognerebbe procedere per ben altri reati, per la strage mille
volte evitata per un soffio, e non solo contro i proprietari, ma contro
tutte le istituzioni che hanno consentito per anni ed anni questa ed altre
rapine. 
Questa ed altre: Roma è piena di palazzine cadenti, vere topaie riempite di
immigrati da speculatori e faccendieri. Un nome per tutti: il commendator
Cristello, un uomo di salde amicizie democristiane (un tempo) e vaticane
(sempre), proprietario di quattro o cinque formicai-residence.
Non solo immigrati: ormai in queste strutture s'incontra una umanità mista,
dal pensionato alla ragazza-madre, dall'operaio precario allo studente
fuori sede, fianco a fianco con gli "extracomunitari". I vecchi e nuovi
poveri, di tutti i colori. Solidali fra loro, nella vita quotidiana e nelle
tragedie. Questa solidarietà si toccava con mano, nelle lacrime di molti
immigrati amici dei due italiani morti, dopo i tentativi disperati di
salvarli. E nella rabbia, che però subito si trasformava in rassegnazione e
omertà nei confronti di coloro dai quali dipende il loro tetto.
E' la stessa solidarietà elementare che diventa invece lotta comune nelle
case e nelle scuole in disuso occupate, a Roma e Ostia e altrove. Ancora
fin troppo poche.
Tutto questo c'entra qualcosa con la protesta di Genova e le sue ragioni?
C'entra, e molto. Persino nel simbolo ricorrente delle sbarre, le stesse
che trasformano le case in celle, le città in prigioni, i centri
d'accoglienza in lager. E il fuoco che divampa oltre quelle sbarre, nel
"residence" di Roma come nel "centro di permanenza" di Trapani...
C'entra, e molto. Bisognerà che di queste ragioni quotidiane si nutra il
movimento contro la globalizzazione della rapina. Che sappia calare le sue
grandi ragioni nel vissuto delle tante donne e uomini piccoli che popolano
i ghetti come via Pieve di Cadore, da individuare uno per uno. Fra le
grandi e le "piccole" ragioni c'è un legame da ricostruire. Il processo
agli speculatori assassini di Roma deve diventare una battaglia comune, il
loro disprezzo per la dignità e la vita umana è lo stesso dei padroni di
Rio, di Città del Messico, di Lagos. E di Genova.

Dino Frisullo

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