[TESTIMONIANZE] - Il racconto di un parlamentare








Ho partecipato assieme a 300.000 persone, a migliaia di iscritti a Rifondazione Comunista, all'intero gruppo parlamentare e alla direzione del partito alle manifestazioni di Genova contro il G8 e oggi, the day after, piena di dolore e di rabbia come cittadina che non si adatta a pensare che poche persone si arroghino il diritto di decidere i destini del mondo, come mamma di una figlia dell'età di Carlo, come parlamentare che vede con preoccupazione il proprio Paese scivolare su una china autoritaria voglio testimoniare quanto ho visto e vissuto in queste giornate 'cilene' e aggiungere, come farò in Parlamento quando il Ministro dell'Interno Scajola verrà a riferire (e non deve dimenticare che parlamentari comunisti, verdi e Ds erano tra la folla e non accetteranno giustificazioni a posteriori ai comportamenti violenti e irresponsabili delle forze dell'ordine), la denuncia personale delle violazioni dei più elementari diritti e delle regole della convivenza civile cui ho assistito in prima persona.

Raggiungo i cortei attraverso quartieri periferici devastati: macchine rovesciate, cassonetti di traverso nelle strade, negozi bruciati… Ma che succede? Da mesi il GSF ha dichiarato pubblicamente che i suoi manifestanti non compiranno alcun atto di violenza e che rispetteranno la città e le persone, le forze dell'ordine hanno schierato mezzi e uomini senza precedenti, i controlli sono e sono stati ferrei, la polizia è ovunque. Di fronte a Piazzale Kennedy assisto, spaventata, a uno di questi assalti: il gruppetto è piccolissimo, la violenza devastante, tutto in pochi minuti viene distrutto e bruciato, senza alcun intervento. Solo quando mi sto allontanando per l'impossibilità di respirare per il troppo fumo nero, arriva un'autopompa dei vigili del fuoco, lasciando ai ragazzi dai volti coperti tutto il tempo di andarsene indisturbati. Come hanno fatto questi black blockers a eludere i controlli alle frontiere, come possono continuare a distruggere indisturbati tutto ciò che incontrano? Sono contestatori radicali, provocatori, 'complici' o strumenti di chi vuole distruggere la voce del movimento contro la globalizzazione? A poco a poco la risposta, purtroppo, mi si rende evidente. La violenza gratuita di frange armate estranee al GSF e stranamente lasciate entrare nel nostro Paese, libere di scorrazzare e devastare delegittimano tutto il movimento e danno il pretesto per intervenire più brutalmente che mai nei confronti di tutti, senza fare distinzioni di sorta e intorbidire, stravolgere, manipolare, nascondere le idee, le ragioni, i messaggi e le proposte del movimento davanti all'opinione pubblica. Hanno lasciato spazio a una spirale di violenza per delegittimare l'intero movimento pacifista, per cancellare una straordinaria mobilitazione nonviolenta. L'epilogo tragico, la città messa a ferro e fuoco, la caccia al manifestante nei vicoli e sul lungomare sono frutto dell'incapacità e dell'improvvisazione o risultati cercati con metodo? Anch'io, come tutti i presenti a Genova, posso testimoniare che in alcune occasioni le forze dell'ordine (potremo ancora chiamarle così?) hanno lasciato agire indisturbati i violenti o, addirittura, non hanno minimamente cercato di impedire che si infiltrassero nei cortei per poter poi usare lacrimogeni e violenza alla cieca, travolgendo persone volontariamente inermi, con le mani alzate o seduti a terra. E' un caso o un calcolo che nella jeep da cui sono partiti i colpi che hanno assassinato Carlo vi fossero militari di leva giovanissimi e inesperti, anziché professionisti in grado di affrontare situazioni d'emergenza? Di fronte allo sbandamento per una violenza superiore a quanto mai ci saremmo aspettati, l'assemblea tragica seguita all'assassinio di Carlo riesce, nonostante tutto, ad arginare la inefficace ma comprensibile tentazione di alcuni di 'rispondere' e a confermare per sabato una grande manifestazione assolutamente pacifica. Gli avvocati del GSF contattano i parlamentari: molti sono stati i fermati, è stato loro impedito di incontrare gli avvocati e bisognerebbe capire che fine hanno fatto. In una decina ci rechiamo dal questore con un elenco di 'desaparecidos' per chiederne notizie. Anche qui restiamo completamente spiazzati da un atteggiamento del tutto inedito: il questore ci fa rispondere che non ci riceve. Decidiamo di restare perché abbiamo il diritto, come rappresentanti del popolo, di essere ascoltati, ma solo dopo un'ora di anticamera mi viene l'idea di telefonare al Ministro dell'interno per denunciare questo rifiuto. "Ci penso subito io" e, dopo pochissimi minuti, ecco apparire il questore disponibile all'incontro, assieme al vice capo della polizia Andreassi, tesi e imbarazzati per la figuraccia rimediata, ma anche per non essere in grado di darci notizie certe sui nomi dei fermati, per non saper riconoscere da dove vengano i bossoli che abbiamo raccolto per terra, per dover ammettere di non essere stati in grado di fermare i -secondo loro- 3000 black block presenti in città che hanno dato vita a centinaia di focolai. L'incontro si conclude con promesse per l'indomani: la strategia sarà modificata e tutto filerà liscio perché è chiaro anche a loro che la stragrande maggioranza dei manifestanti è pacifica e che il diritto a manifestare va comunque tutelato. La manifestazione sabato mattina è imponente: le 300.000 presenze ci rassicurano, ma, appena partito il corteo, al lancio di un sasso da un'altura fuori dal percorso, la polizia risponde con il lancio di un lacrimogeno che si ferma ai nostri piedi, nelle prime fila dei responsabili del GSF, dei parlamentari, del servizio d'ordine. Non è un buon auspicio, ma il corteo parte, forte della determinazione di tutti a manifestare in pace. Di polizia neanche l'ombra, eppure in migliaia di manifestazioni di dimensioni estremamente più ridotte siamo abituati a sentirci 'scortati' da chi un po' ci controlla e un po' ci protegge. Dopo una giornata tragica come quella di ieri, invece, niente: nessun cordone a gestire una massa così imponente, per impedire che si infiltrino elementi estranei di disturbo, per proteggere da possibili incursioni laterali… Decidiamo di sfilare velocemente per dare spazio alle migliaia e migliaia di persone che premono, siamo veramente ansiosi di arrivare alla meta, di sapere che tutto è filato liscio. Ma le notizie che ci giungono sono di continue interruzioni del corteo, di irruzioni, di assalti delle forze dell'ordine contro la manifestazione per l'ingresso di elementi estranei e incappucciati che la polizia stessa aveva spinto inseguendoli verso il corteo. Fumogeni, lacrimogeni, idranti, manganelli, inseguimenti: senza un perché, senza un motivo scatenante. Solo violenza cieca e devastante. Siamo ormai in Corso Torino, verso la fine del percorso, quando ci troviamo di fronte gruppi di incappucciati armati di mazze e bocce di ferro e, subito dopo, il cavalcavia della ferrovia sotto il quale dovremo infilarci, al di là uno spiegamento di poliziotti in assetto di guerra. Non ci sentiamo di imbottigliare lì dentro centinaia di migliaia di persone per non cadere nella trappola di scontri con i violenti che fornirebbero l'alibi a interventi per ristabilire 'l'ordine'. Decidiamo di sederci a terra e non proseguire fino a che non avremo garanzie che il corteo possa procedere indisturbato oltre quell'imbuto (ma chi ha pensato il percorso?) Ebe Bonafini, leader della Madri argentine di Piazza di Maggio, José Bové, don Vitaliano della Sala, Vittorio Agnoletto, il sindaco di Porto Alegre e tutti i parlamentari presenti nella prima fila del corteo si siedono a terra, imitati dalle file successive, ma sappiamo di non poter restare per molto, considerata la moltitudine che preme alle nostre spalle. Così chiamo il numero della Digos che il questore ci aveva lasciato la sera prima per le emergenze. La risposta è agghiacciante: se non potete proseguire disperdetevi, quasi fosse semplice disperdere 300.000 persone, volatilizzarle. Insistiamo per un incontro, la risposta è disarmante: "non sono pratico di Genova (la perfetta efficienza delle forze dell'ordine era stata più volte garantita dal Governo in Parlamento!), se volete parlarmi venite voi". A un momento di smarrimento (c'è o ci fa? Per quale motivo vogliono il disordine?) segue immediatamente la necessità di dare uno sbocco al corteo che preme e in 5 parlamentari più il portavoce Agnoletto ci avviamo, attraversando con tranquillità almeno apparente lo sbarramento dei black block armati, dentro il tunnel alla fine del quale finalmente parliamo con un responsabile che riusciamo a convincere a spostare macchine e uomini alla testa del corteo per garantirne il proseguimento. Macchine e blindati arrivano 'sgommando' e con fare 'rambesco' si pongono alla nostra testa: è inevitabile che dal corteo partano al loro indirizzo grida 'assassini' e non solo per Carlo, ma per tutto un comportamento incomprensibile che lascia ai responsabili del corteo compiti di ordine pubblico che spetterebbero alla polizia che, intanto, fomenta e profitta del disordine per colpire violentemente alla cieca chi capita. Così nell'ultimo mezzo chilometro abbiamo finalmente chi ci apre la strada come avrebbe dovuto fare fin dal mattino. Ma i problemi non sono finiti: la piazza dove termina la manifestazione è assolutamente insufficiente ad accogliere tutti i partecipanti: ma chi l'ha scelta sapeva in anticipo che alcuni spezzoni non sarebbero mai arrivati perché ricacciati indietro e fatti fuggire dalla furia cieca di poliziotti ed elicotteri utilizzati per disperderli?

Il tesserino di parlamentare mi consente l'ingresso nella "zona rossa" e decido di rendermi conto di cosa succede anche lì: per potersi riunire, scavalcando le istituzioni internazionali competenti e legittimate, gli 8 capi dei governi dei paesi più ricchi e potenti del pianeta hanno dovuto desertificare una città, militarizzarla, impedire fisicamente alle persone di esistere, blindandosi dietro a grate di ferro e containers che rendono spettrale l'ambiente, facendosi proteggere da decine di migliaia di poliziotti forniti di autoblindo, armati e in tenuta antisommossa. Sanno di non avere alcuna legittimità dal punto di vista delle regole della democrazia rappresentativa, sanno che le loro politiche di rapina e di morte stanno conducendo la terra sul ciglio di una catastrofe climatica, che fame, siccità, povertà, guerre e conflitti, malattie (curabili se il profitto delle imprese farmaceutiche non fosse più importante di una vita umana) sono conseguenze dirette e sempre più drammatiche delle loro decisioni. Sempre di più sentono il fiato dei popoli sul collo e hanno paura, perché non bastano soldi, armamenti, media e potere politico per poter continuare a dettare indisturbati gli indirizzi all'intero pianeta. Il re è nudo: lo percepisco non solo dal silenzio surreale e dall'odore acre di paura che si respira nella zona rossa, ma addirittura dai patetici limoni finti attaccati alle piante davanti a Palazzo Ducale, dalle facciate di cartapesta volute dal nostro Presidente del consiglio per nascondere a se e agli altri il mondo reale. E quando il mondo irrompe sulla loro scena, quando la presenza massiccia di giovani, di uomini e di donne consapevoli, quando la crescita esponenziale di un movimento determinato a far valere i diritti di molti contro i privilegi di pochi sottrae loro legittimità simbolica denunciando che altro non sono se non un club privato di ricchi-potenti che con mezzi economici, con la miseria, lo sfruttamento, la schiavitù, il ricatto del lavoro nero porta avanti solo i propri interessi contro quelli dei popoli, non hanno esitato anche qui -anche in quello che avrebbero voluto come "salotto buono" per mostrare i loro volti generosi- a usare direttamente e in modo pochissimo elegante quella violenza che quotidianamente esercitano in ogni luogo del pianeta.




Tiziana Valpiana
deputata


22 luglio 2001