Dossier globalizzazione (schede di approfondimento - seconda parte)



I G8, ovvero un governo informale del pianeta

I G7 erano nati come vertici economici. In seguito il loro campo d’azione si è esteso in modo considerevole, includendo questioni come i rapporti con i Paesi in via di sviluppo,  l’occupazione, l’ambiente, la criminalità organizzata, la droga, il terrorismo, l’energia, le reti d’informazione. Dal vertice di Birmingham nel 1998 poi, i “leader” del “summit” si sono concentrati sulla globalizzazione, perché innervosisce e preoccupa il loro elettorato, visto che sfugge al loro controllo.
Da Okinawa i problemi sono tutti sul tavolo: il ruolo del Fondo monetario internazionale e della Banca Mondiale; la ricaduta della crisi di paesi meno ricchi, come il Messico, sulle economie maggiori; i rapporti con i paesi in via di sviluppo.
Insomma, non è un mistero che il  club dei G8 non discute di questioni interne, come tasse, scambi commerciali, accordi vari, ma si vuole occupare e si occupa di questioni mondiali. Senza nessuna legittimità democratica, perché i “grandi” non hanno ricevuto un mandato dell’ONU, non sono stati chiamati in causa dai governi del sud del mondo, né hanno chiesto l’avviso agli  elettori dei loro paesi.
Questa mancanza di legittimità è stata rilevata anche da personaggi come Gorbaciov, il quale afferma che “La globalizzazione non rientra tra gli incarichi del G8, all'interno del quale sono tutelati solo gli interessi dei più forti. Proprio a causa della sua composizione il G8 non può assumersi la responsabilità di gestire il processo di globalizzazione”.
Questo governo mondiale informale scavalca le istituzioni internazionali che, almeno in linea ipotetica, sarebbero competenti ad affrontare con cognizione di causa e con qualche pretesa di legittimità, i grandi problemi del mondo: le Nazioni Unite, innanzitutto, le agenzie ad esse collegate (tipo Unesco per i temi culturali, Organizzazione Mondiale per la Sanità, la Fao per i problemi agricoli, l'Acnur per i profughi ed i rifugiati, ecc.), e le convenzioni ad esse risalenti e da esse promosse (la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, il Trattato contro le mine anti-uomo e contro la tortura, la convenzione di Rio e il protocollo di Kyoto per i problemi ambientali, la Convenzione per i diritti dell'infanzia e per la non-discriminazione delle donne, ecc.).

Villaggio globale
Supponiamo per un attimo che il G8 sia legittimamente il luogo deputato al governo del mondo. Quali sono stati i risultati dell’azione dei “Grandi” della Terra negli ultimi dieci anni?
Come scrive Kofi Annan, proviamo ad immaginare che il mondo sia un villaggio, composto da 1.000 abitanti fatto ad immagine della razza umana. Come sarà composto? Circa 150 abitanti vivono nei quartieri ricchi del villeggio, mentre 780 abitano nei sobborghi poveri, quelli che restano (70) vivono in un quartiere che è in transizione. 200 persone detengono l’86% di tutta la ricchezza, mentre gli altri 800 devono spartirsi il 14% residuo - e i 200 più poveri addirittura si devono accontentare dell’1%. L’aspettativa di vita nel quartiere ricco è di circa 78 anni, mentre nelle aree più povere scende a 64 e nelle zone poverissime è di soli 52 anni.
E questo enorme divario è cresciuto negli ultimi anni. Come ricorda il rapporto sullo sviluppo umano del 1999 dell’UNDP - United Nations Development Programme - dedicato alla globalizzazione, il divario di reddito tra il 20% più ricco degli individui che vive nei Paesi occidentali, ed il 20% più povero che vive nel Terzo Mondo era di 30 a 1 nel 1960, di 60 a 1 nel 1990, e di 74 a 1 nel 1997. I 200 individui più ricchi del mondo hanno più che raddoppiato il proprio patrimonio netto tra il 1994 e il  1997, fino ad arrivare a più di 1.000 miliardi di dollari. Le ricchezze dei primi tre miliardari in classifica superano ormai la somma dei Prodotti Nazionali Lordi di tutti i Paesi meno sviluppati, e dei loro 600 milioni di abitanti. Se classificate le prime 100 potenze economiche del mondo, nel 1995 avevate ancora 52 Stati e 48 imprese private. Nel 1999, le imprese erano diventate 58 e gli Stati 42. I primi venti posti sono occupati da paesi, poi è un susseguirsi continuo di multinazionali. General Motors risulta più grande della Danimarca, Ford della Norvegia e Mitsubishi  del Portogallo. Benché occupino solo 22 milioni di persone, le prime 200 multinazionali hanno un fatturato 18 volte più grande di quanto guadagnano tutti insieme i poveri assoluti del mondo. Qualcosa come un miliardo e mezzo di persone.
Tutto questo è avvenuto mentre aumentavano i poveri: 800 milioni di esseri umani conoscono la fame, più di un miliardo di persone non hanno accesso all’acqua, o a un alloggio decente. Ogni anno circa 17 milioni di persone muoiono di malattie infettive parassitarie. Eppure negli anni Settanta l’ONU aveva fissato un obiettivo impegnativo: sradicare la povertà tra il 1990 e il 2000. Ma già nel 1995 a Copenhagen, 150 Paesi  constatarono che l’obiettivo dello sradicamento della povertà non era  realizzabile, e che anzi era aumentata: nella risoluzione finale l’obiettivo di eliminare la povertà nel mondo venne spostato al 2020. Cinque anni dopo, gli stessi governi al Copenhagen+5, riconoscono ormai che lo sradicamento della povertà non è possibile, ma che nel 2015 si deve arrivare a ridurre della metà i più poveri, che in quel periodo saranno tra i 2 e i 3 miliardi.
Oramai nelle nostre élite è sparita l’idea di diritto a una vita decente per tutti: siamo in troppi  tra poco dovremmo essere 8 miliardi -, come si fa a garantirlo per tutti?
E così durante il 2° forum mondiale dell’acqua, nel marzo del 2000, 118 governi hanno firmato la dichiarazione ministeriale dell’Aia - tra di loro c’erano anche quelli della cosiddetta “nuova sinistra”, compreso quello italiano -, nella quale l’accesso all’acqua non veniva considerato più un diritto umano ma un bisogno. Nel 1998, a Roma, durante il vertice mondiale dell’alimentazione, gli stessi governi hanno firmato le indicazioni ministeriali finali, nelle quali si dice che l’accesso al cibo non è un diritto, ma un bisogno. E nel 1996, a Istanbul, gli stessi governi che hanno firmato a Roma - e all’Aja -, hanno rifiutato di riconoscere che l’accesso all’alloggio è un diritto, ma solo un bisogno.
Il diritto alla vita per i nostri dirigenti mondiali non esiste più. Stanno smantellando tutto, per affermare poi - come hanno fatto al vertice del Millennio delle Nazioni Unite, e anche al Copenhagen +5 a Ginevra, nel giugno del 2000 - l’inevitabilità della povertà come fatto strutturale dell’economia.



I grandi e il debito

Primi tentativi e iniziativa HIPC
Allo scoppiare della crisi del debito  agosto 1982 -, i governi del Nord e le istituzioni finanziarie reagirono come si trattasse solo di una momentanea crisi di liquidità, preoccupandosi di tutelare solo le banche che avevano concesso avventatamente i prestiti. Malafede o solo incapacità? Qualunque sia la risposta, solo a partire dall’ottobre 1988, il G7 compie il primo tentativo di intervento nella giusta direzione, perché riduce il carico del debito in maniera non temporanea, e viene seguito poi da misure più sostanziose al vertice di Londra nel 1991, e di Napoli nel 1994.
Peccato che questi interventi arrivino troppo tardi, e scalfiscano appena la montagna dei debiti accumulati.
Nell’autunno 1996, dopo il vertice del G7 di Lione, FMI e Banca mondiale annunciano un’iniziativa per i paesi poveri altamente indebitati (HIPC, in tutto sono 41). L’obiettivo era la cancellazione di almeno l’80% dell’intero debito di questi stati. A pochi giorni dall’inizio degli Spring Meeting (26-30 aprile 2001) però, Banca Mondiale e Fondo Mondiale hanno reso pubblico un documento interno,  che mette in dubbio l’efficacia dell’iniziativa HIPC. Un’opinione condivisa anche dall’OCSE, che nel suo rapporto 2000 sul debito estero, afferma che “l’integrale applicazione dell’iniziativa non si tradurrà in una diminuzione del valore nominale del debito”. Difficile dargli torto, visto che secondo la stessa Banca mondiale, il debito dei paesi poveri altamente indebitati è passato da 141 a 214 miliardi di $ tra il 1989 e il 2001.

Le promesse di Pinocchio a Colonia
Dal summit di Colonia del 1999 era uscita la promessa di cancellare i debiti dei 41 paesi più poveri ed altamente indebitati per 100 miliardi di dollari. Al momento solo 12 miliardi sono stati cancellati. 22 Paesi al momento stanno beneficiando dell'iniziativa HIPC: secondo la Banca mondiale, il servizio totale del debito passerà da 2,5 a 2,1 miliardi di dollari tra il 1999 e il 2005, e quasi un terzo dei paesi dovranno rimborsare nel 2005 più di quanto facevano nel 1999. I 22 paesi continuano a pagare 2 miliardi di dollari all'anno, così che gran parte dei governi interessati continuano a spendere più per ripagare il debito che per la sanità.



Il debito estero cancellato dall’Italia
Nel gennaio del 2001, la newsletter del Ministero del Tesoro ha pubblicato un articolo, firmato dal  direttore generale per i Rapporti finanziari internazionali, Lorenzo Bini Smaghi, su "I debiti cancellati dall'Italia", che fornisce importanti informazioni sull'attuale posizione dell'Italia e sugli impegni concretamente assunti in merito alla questione del debito estero dei paesi poveri.
Secondo quanto dichiarato da Smaghi, "Nello spirito della legge, l'Italia ha già sottoscritto impegni di cancellazione di suoi crediti nei confronti di 22 paesi tra i più poveri e altamente indebitati (fra questi Uganda, Mozambico e Nicaragua) per un ammontare complessivo di 1,88 miliardi di dollari, pari a circa 4 mila miliardi di lire”.
Complessivamente l’impegno preso dall’Italia con la legge approvata l’anno scorso è di cancellare crediti per 12.000 miliardi di lire. L’Italia è l’unico Paese ad essere andato al di là di impegni di facciata.

I grandi, la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale
Il potere di voto di ogni stato è proporzionale al contributo che versa. BM e FMI sono perciò controllate esclusivamente dai Paesi ricchi del Nord: USA, Canada, Giappone, Italia, Francia, Inghilterra, Germania, Russia e Arabia Saudita insieme detengono il 51% dei voti. Gli USA da soli hanno il 18,25% dei voti, seguiti a grande distanza dalla Germania e dal Giappone con il 5,67%.
Il numero di voti si traduce in un potere di influenza sull’attività dell’istituto, perché, come ammise uno dei ministri del tesoro USA, Donald Regan, il “FMI è un’istituzione fondamentalmente apolitica… Questo non vuol dire che gli interessi politici e di sicurezza degli Stati Uniti non siano serviti dal FMI”.

Le due istituzioni e il debito
Dopo lo scoppio della crisi del debito, furono concesse dilazioni di pagamento e riduzioni dei tassi d’interesse sui vecchi prestiti - oltre a nuove aperture di credito -, solo alle nazioni che ottennero finanziamenti dal Fondo e dalla Banca mondiale. Ma per ottenere un prestito dalle due istituzioni, il Paese richiedente doveva  e deve ancora oggi - accettare le condizioni dettate dal Fondo, cioè le “politiche di aggiustamento strutturale” (o PAS).
Gli Stati poveri avevano  e hanno - bisogno di questa valuta straniera per andare avanti, e quindi hanno applicato tali misure. L’imperativo per loro diventa produrre sempre più e consumare sempre meno, in modo da disporre di un grande avanzo per ripagare il debito. Il solo comandamento è di “tirare la cinghia”, e per popoli già immersi nella miseria ciò significa scendere al di sotto del livello di sopravvivenza.
Il taglio della spesa pubblica fa ricomparire malattie come malaria, tifo e colera, perché non c’è più una sanità pubblica, aumenta l’analfabetismo perché sono stati sospesi i servizi scolastici, cresce la fame perché sono stati sospesi gli interventi governativi per mantenere basso il prezzo dei generi alimentari, aumenta la repressione per soffocare la ribellione della gente.
Secondo un rapporto del 1996, prodotto dalla stessa Banca mondiale per analizzare l’impatto sociale delle PAS, in 8 dei 23 paesi esaminati si è avuto un aumento della povertà, mentre in 11 dei rimanenti 15 paesi la povertà è diminuita meno del 2%. Le spese sociali pro capite, inoltre, sarebbero diminuite nel 60% dei paesi esaminati.
I tagli alle spese sociali hanno portato ad un incremento della mortalità infantile e alla diminuzione del livello scolare, con un’inversione di tendenza rispetto ai successi degli anni Sessanta e Settanta. L'UNICEF ha calcolato che le PAS provocano ogni anno la morte di 500.000 bambini.
Le privatizzazioni e la stretta monetaria hanno fatto crescere la disoccupazione. La svalutazione della moneta ha portato ad una riduzione del potere di acquisto dei salari nell'ordine del 50-60% nel giro di 15 anni. In Guatemala, solo tra il 1986 ed il 1990, su impulso delle PAS, i salari sono scesi del 30%, in Salvador il salario di un operaio copre appena il 15% delle spese familiari.



Alcuni esempi
1)      Negli anni Ottanta lo Zimbabwe aveva ottenuto buoni risultati economici, accompagnati da una riduzione della mortalità infantile del 50% e da un aumento della speranza di vita da 56 a 64 anni. 
Nel 1991 lo Zimbabwe ha ottenuto un finanziamento di 484 milioni di dollari dal FMI in cambio dell’eliminazione delle protezioni nel settore manifatturiero e della deregolamentazione del mercato del lavoro. 
Nei cinque anni successivi gli addetti nel settore manifatturiero sono scesi del 9%, i salari reali hanno subito una contrazione del 26%, il PIL è sceso del 5,8%, gli investimenti privati del 9%, la spesa sanitaria è diminuita del 32% in un paese affetto dalla crescita esponenziale del virus dell’AIDS.
2)      In seguito all’intervento di BM e FMI in Costa d’Avorio, il PIL è sceso del 15% e la percentuale di popolazione che vive con meno di 1 dollaro al giorno è passata dal 17,8% al 36,8%. La riduzione della spesa scolastica è stata del 35%.
3) La Banca Mondiale e il Fmi hanno il controllo sull'economia della Tanzania dal 1985. A quanto pare, quando hanno preso in mano la situazione il Paese socialista versava nella miseria, nella malattia e nei debiti. Gli esperti non sprecarono tempo e provvidero immediatamente ad abolire le barriere doganali, a ridurre i sussidi del governo e a svendere le industrie di stato. In soli quindici anni il PIL della Tanzania è crollato da 309 a 210 $ a testa, il tasso di alfabetizzazione sta calando e la percentuale di popolazione che versa ormai in condizioni di povertà assoluta ha raggiunto il 51%.
Oggi, in Tanzania, l’8% della popolazione -  1.400.000 persone - sono colpite dall’AIDS. Il Fondo e la Banca hanno chiesto al Paese africano di far pagare le visite ospedaliere, che prima erano gratuite. Da allora il numero dei pazienti curati nei tre maggiori ospedali di Dar Es Salaam è diminuito del 53%. Il FMI e la Banca mondiale hanno anche imposto il pagamento delle tasse scolastiche: ora la la frequenza scolastica è passata dall'80 al 66%.



Cattivi progetti
Secondo un documento interno della BM, datato giugno 1996, la valutazione di impatto ambientale non svolge un ruolo determinante nell’attuazione dei progetti poiché spesso viene svolta troppo tardi. Anche il monitoraggio degli effetti sociali viene trascurato in circa il 50% dei progetti della Banca, e i Piani di Aggiustamento Strutturale, che rappresentano almeno la metà di programmi della Banca, raramente sono sottoposti a tali valutazioni.
La Banca mondiale ha finanziato progetti disastrosi sotto l’aspetto ambientale e sociale: negli anni Ottanta, ha concesso 4 miliardi di $ all’India per la costruzione di 8 centrali elettriche a carbone. 140.000 poveri vengono espulsi dalle loro terre senza essere risarciti per far posto alle centrali. Questo é il primo di una serie di prestiti che finanzieranno progetti nel settore energetico che  aumenterebbero di oltre il 3% i gas a effetto serra. 
Nel 1996, in Camerun, la Banca mondiale approva un prestito di 60 milioni di $ al Camerun per aprire strade nella foresta tropicale.  Lo staff della Banca che si occupa del finanziamento non ha svolto un'analisi dell'impatto ambientale e sociale come previsto nelle procedure. Progetti simili sono previsti in Repubblica Centrafricana, Congo e Gabon.
Rapporti interni alla Banca rivelano che oltre 2 milioni di persone sono state espulse dalle loro terre in seguito a progetti da  lei finanziati.

E' ora di cambiare 
Le critiche non si fermano solo agli aspetti sociali e ambientali. Secondo alcuni rapporti della Banca mondiale, il 37% dei  progetti finanziati sono da considerarsi insoddisfacenti, e tutti, nel lungo periodo, hanno dimostrato di avere risultati molto limitati.
Le politiche di aggiustamento strutturale non hanno posto un fine al problema del debito, e in molti Paesi non hanno nemmeno avuto un benefico influsso sull’economia. Secondo il World Economic Outlook del FMI "mentre negli ultimi decenni alcuni Paesi in via di sviluppo hanno fatto grandi progressi nell'elevare i livelli di vita, troppi altri Paesi, e circa 1/5 della popolazione del pianeta, hanno avuto una regressione in termini relativi ed in alcuni casi anche assoluti".
All’interno della Banca mondiale e del FMI siano ben consci di ciò (nel 2000 l'autore principale del Rapporto sullo Sviluppo Mondiale, Ravi Kanbur, si è dimesso in segno di protesta dopo i tentativi da parte del management della BM di alterare parte dei risultati delle sue ricerche sulle cause della povertà.

I grandi e l’Organizzazione mondiale del commercio
Nel settembre del 1986, su invito dell’ amministrazione Reagan, 92 paesi  rappresentanti il 90% del commercio planetario  si ritrovano a Punta dell’Este in Uruguay, per l’inizio di un nuovo ciclo di negoziati sul commercio. Le negoziazioni sono più lunghe e difficili del previsto. I negoziati si interrompono più volte, ma il 15 dicembre 1993, i negoziatori europei ed americani firmano l’”atto finale” dell’Uruguay Round a Ginevra. Quattro mesi dopo  a Marrakech  arrivano le firme degli altri paesi membri del GATT. Con questa firma nasceva il WTO.
Come ha affermato David Hartridge, ex-direttore della direzione servizi del WTO, senza l’enorme pressione delle compagnie transnazionali, e in particolare delle multinazionali finanziarie americane, non ci sarebbe stato nessun accordo e forse nessun Uruguay Round. L’influenza del settore industriale era evidente anche nella composizione della delegazione americana: la grande maggioranza dei suoi membri veniva dal mondo delle grandi imprese.
All’apporto, per me determinante, delle transnazionali, bisogna poi aggiungere il peso  delle discussioni avvenute in quattro vertici del G7: da quello di Houston del 1990 a quello di Tokio del 1993. In tutti e quattro i vertici, i leader  discussero intensamente su come assicurare un completamento positivo dell'Uruguay Round, e si sono impegnarono a raggiungere tale obiettivo.

Breve (visto lo spazio) riassunto dei danni provocati dal WTO
Le decisioni all’interno dell’Organizzazione mondiale del commercio si prendono per consenso, cioè quando tutti i paesi membri trovano un accordo su un testo. Ma come si arriva a questo punto? I paesi del quad, o quadrilaterale  Stati Uniti, Unione Europea, Giappone e Canada -, raggiungono un accordo su un testo e poi lo impongono agli altri paesi membri del WTO. Dov’è nato il quad? Nel vertice dei G7 del 1982, a Versailles.
L’obiettivo dichiarato del WTO è “abbattere gli ostacoli al libero commercio”. Ma se il commercio è “un’attività economica fondata sullo scambio di merce con altra di valore equivalente, o con denaro” (definizione dello Zingarelli), perché il WTO si deve occupare anche di temi come la salute, l’educazione, l’ambiente, la stampa e gli audiovisivi?
Durante i suoi primi sei anni di vita, l’Organizzazione mondiale del commercio ha imposto a diversi paesi membri, e a milioni di persone, la modifica di decine di leggi o regolamenti nazionali. Con la scusa di disciplinare gli scambi commerciali, l’OMC si è immischiata in quasi tutti i campi della vita dei paesi membri: dal tasso di DDT accettabile nelle verdure, alla presenza di organismi geneticamente modificati nei nostri piatti, fino al futuro dei nostri servizi pubblici. Ed ha quasi sempre considerato le esigenze di salute, ambiente e dei piccoli produttori, come ostacoli da rimuovere per arrivare al “libero commercio”.
A vantaggio di chi va tutto questo? Dei molti paesi del Sud del mondo, per i quali la liberalizzazione dei mercati, provocata in buona parte dal WTO, si è tradotta “in un incremento nelle disuguaglianze, nel declino dell’occupazione e in una caduta in termini assoluti dei salari, dell’ordine del 20-30% nei soli paesi latinoamericani”, come scrive l’UNCTAD? Oppure delle multinazionali, i cui profitti sono cresciuti, nel 1999, del 10,3%, a doppia cifra per il quinto anno di fila?

-----------------------------------------------------------

I materiali qui riportati ci sono stati gentilmente inviati da Roberto Bosio <robertobosio at libero.it> autore del libro "Verso l'alternativa" (edizioni EMI, Bologna). Ringraziamo di cuore Roberto.
A.M.