Dossier globalizzazione (schede di approfondimento - prima parte)



ALTRINFORMAZIONE
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Come mai grandi?

I G8 non sono grandi per dimensioni - altrimenti dovrebbero includere Paesi come Cina o Brasile -, o per popolazione  dovrebbero entrare Cina, India e Nigeria - o cultura, ma per la loro potenza economica. I primi 6, tra cui l’Italia, hanno i prodotti interni lordi (PIL) più elevati. C’è poi il Canada, che avrebbe un PIL decisamente più basso di due “staterelli” come Cina e Brasile  ma ha l’appoggio degli USA, per equilibrare un vertice dei grandi con troppi paesi europei -, e quindi la Federazione Russa che si troverebbe in coda anche alla Spagna, l’India, il Messico, l’Olanda, la Corea, l’Argentina  ma bisognava in qualche modo tenerla buona, e poi quando ci sono certe  decisioni economico-finanziarie, la Russia è ancora esclusa dal Club…
Nei G8 vive il 14.3 % della popolazione mondiale e si produce il 67.2 del PIL mondiale (se si esclude la Russia gli altri sette rappresentano l’11.8% della popolazione mondiale e il 66.2% del PIL mondiale). Qui si consuma la metà dei combustibili fossili ed oltre i tre quarti dell’energia nucleare, e si produce il 52% della CO2 (responsabile dell’effetto serra) (1).

Il reddito medio dei G8 è circa 22 volte più alto di quello dei paesi meno sviluppati ed i G8 detengono l’86.5 % del commercio mondiale di armamenti (soprattutto i 4 con diritto di veto al
consiglio di sicurezza dell’ONU).
Il mondo è sfregiato da linee di frattura e diseguaglianze persino più radicali. In primo luogo sul piano del reddito: quello di uno statunitense, che le statistiche ci dicono s’aggiri sui 29.000 dollari, quest’anno, è 78 volte quello di un indiano, accreditato di un reddito pro-capite pari a 370 dollari, 111 volte il reddito pro-capite di un nigeriano  - 260 dollari -, e sale a 290 volte quando si paragona al reddito di un etiope o  congolese - circa 100 dollari.
Queste, ancora una volta, sono statistiche, quelle che mettono tutti insieme. Non si possono confrontare il reddito di un grande manager - di quelli che sono pagati in azioni -, e il reddito di un qualsiasi abitante dell’ultimo 20% di popolazione, sarebbe come rapportare l’infinito allo zero.

Il consumo d’energia
Lo stesso discorso vale per un altro indicatore di accesso alle risorse, anche più significativo del semplice reddito, che è l’accesso all’energia. E’ stato calcolato, che un cittadino americano medio ha a disposizione, grazie alla potenza del suo sistema Paese, un potenziale di energia di 250.000 Kcal ogni giorno, che gli servono per i più semplici atti della vita quotidiana: spostarsi in auto, scaldare la casa, fare una doccia o scaldarsi un hamburger. Un francese, ma anche un italiano, ne ha a disposizione 84.000, un giapponese, popolo più sobrio, 63.000; ma un indiano può contare solo su 4.500 Kcal, che sono la 25a parte di un americano; un pachistano su 1.700 che sono la 147a parte; un etiope su 588 che è la 425a parte.

L’impronta ecologica
I G8 determinano il 41% dell’impronta ecologica degli uomini sul pianeta, con una media pro capite di 8,1 ettari, mentre nel resto del mondo è a 2, quando la disponibilità di terra produttiva pro capite è di 2.2 ettari. Tenendo conto delle capacità bioproduttive degli ecosistemi e della necessità della conservazione di almeno il 10% della superficie terrestre, l'impronta ecologica degli abitanti della Terra non dovrebbe superare le 2 unità di superficie.
Gli Stati Uniti hanno un'impronta ecologica che supera i 12 ettari pro capite, mentre quelle dei paesi dell'Europa occidentale vanno da 5 a quasi 10 ettari.
In Italia abbiamo, secondo i più recenti calcoli, un’impronta ecologica di 4,2 ettari pro-capite, con una biocapacità nazionale di 1,5 ettari pro-capite e quindi un deficit ecologico di 2,8 ettari pro capite. E’ come se i 57 milioni di italiani occupassero una superficie complessiva di 2.414.000 di chilometri quadrati (la nostra Italia ha una superficie di 301.000 kmq).
I paesi dell'Africa subsahariana sembrano appartenere ad un altro universo, perché presentano tutti impronte ecologiche inferiori a 2 ettari pro capite (quella dell'Eritrea e', ad esempio, di 0,35). Oggi i paesi poveri sono, quindi, hanno un  credito d’ambiente verso i Paesi del G8.

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(1) Le stime dell’Intergovernamental Panel on Climatic Change (IPCC)  è la struttura delle Nazioni Unite che riunisce oltre 2.500 specialisti del clima  prevedono un raddoppio della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera e un incremento della temperatura media terrestre tra 1 e 3,5° C entro il 2100. Si tratterebbe della più veloce variazione climatica dalla fine dell’ultima glaciazione.





Il G8 e la salute
Già nel summit di Okinawa i G8 hanno affrontato il problema delle malattie infettive (in particolare l’AIDS) e parassitarie, prendendo il solenne impegno di far diminuire del 25% il numero delle persone infette dal virus Hiv, di ridurre l’incidenza della tubercolosi del 50 per cento, di dimezzare la diffusione della malaria. Il tutto entro il 2010.
Quindici milioni di persone muoiono ogni anno a causa di malattie infettive. Si trovano soprattutto tra le popolazioni più povere, che hanno grossi problemi di accesso ai farmaci per il loro elevato costo. I G8 si sono impegnati a facilitare questo accesso, ma a tutt’oggi i risultati sono deludenti. Basta pensare a quello che è successo con la causa intentata da 39 multinazionali farmaceutiche contro il governo sudafricano, "colpevole" di aver varato norme che consentono la produzione, in forma economica, di medicinali anti-AIDS; o al governo USA che aveva citato per la stessa ragione il suo omologo brasiliano davanti ai tribunali del WTO - fortunatamente queste iniziative sono naufragate per la pressione della società civile.
Nel dicembre del 2000, viene nominato come coordinatore degli esperti sanitari per il vertice Eduardo Missoni, che si mette subito al lavoro. La prima bozza che presenta puntava a coinvolgere gruppi, movimenti, associazioni di volontariato, con l’obiettivo di ottenere il consenso di tutte le componenti della società civile, e non soltanto quello delle imprese. Insisteva inoltre sulla necessità di rendere più disponibili ed economicamente più accessibili i farmaci principali.
Consegna il documento, con il tempo non se ne sente più parlare. In marzo, a pochi giorni dal vertice di Palermo, spunta un altro documento “Beyond debf relief”, messo a punto ad un economista della Banca d’Italia, incaricato dal ministero del Tesoro.
La salute viene messa così nelle mani degli economisti, e si vede. La salute diventa un presupposto della crescita economica (se stai bene puoi produrre ricchezza, se no sei un ingranaggio rotto, dunque inutile), e “dimentica” di considerare che la salute è anche frutto di ciò che mangi o non mangi, dell’ambiente più o meno inquinato in cui vivi, delle condizioni in cui lavori, dell’istruzione, dell’accesso ai servizi sanitari che hai o non hai.
Il punto più critico è la creazione di un “Trust Fund for Health Care”, un fondo che sarebbe alimentato da versamenti di 500 milioni di dollari dei Paesi del G8 (Russia esclusa), e di 500.000 dollari delle multinazionali farmaceutiche e non. Stando alle indicazioni avanzate da Palazzo Chigi, il Trust Fund for Health Care dovrebbe essere amministrato dalla Banca Mondiale, mentre le strategie e le decisioni sull’impiego dei soldi verrebbero adottate da un consiglio direttivo composto dai donatori, pubblici e privati, nazionali e internazionali, aziende incluse, dunque.
Per un gigante farmaceutico come la Glaxo-SmithKline, la quota indicata rappresenterebbe l’equivalente del profitto realizzato in circa mezz’ora. Chiedere alle grandi multinazionali 500 mila dollari significa accontentarsi di contributi ridicoli a fronte di un enorme pubblicità positiva e  ad altri vantaggi, perché quelle imprese  potranno partecipare alla decisione su come usare i fondi. Destinandoli magari ad acquistare i farmaci prodotti dagli stessi "donatori".
Un altro aspetto inaccettabile è affidare la gestione del Fondo alla Banca Mondiale, cioè proprio a quell’istituzione che con i suoi famigerati aggiustamenti strutturali ha obbligato numerose nazioni africane, asiatiche e latinoamericane a smantellare i rispettivi sistemi sociosanitari, escludendo così dalle cure milioni di persone.
Un’ultima beffa: i 1000 miliardi che il governo italiano intende raccogliere con questa iniziativa, corrispondono a quello che il gruppo di 22 paesi che oggi sta beneficiando di alcune iniziative di riduzione del debito restituiscono ai paesi creditori in meno di tre mesi.
Piuttosto che diventare il paravento di questa operazione, Eduardo Missoni (*) si è dimesso.

(*) Eduardo Missoni compirà 47 anni il 31 luglio. Ha sposato la cilena Maria Ines Bussi, nipote di Salvador Allende. Alle spalle ha una formazione cristiana maturata nell’Agesci (scout). È un medico esperto in malattie tropicali: tra il 1980 e il 1983 ha operato come volontario in Nicaragua.
Dopo una parentesi all’Onu (funzionario dell’Unicef, in Messico, tra l’84 e l’87), da 14 anni lavora con il ministero degli Esteri italiano (Direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo). Oggi è il responsabile delle iniziative di carattere sanitario che l’Italia promuove in America latina e in varie zone dell’Africa.



Il G8 e l’istruzione
Il documento “Beyond debt relief” conteneva anche proposte sul tema dell’istruzione. Nel testo sono richiamati gli obiettivi dell’istruzione per tutti entro il 2015 e l’abbattimento del divario tra istruzione maschile e femminile entro il 2005. Sono gli obiettivi che si era data la conferenza mondiale sull’istruzione, svoltasi nel 1990 a Jomtien, in Thailandia.
Anche l’istruzione viene considerata una variabile economica, infatti nel testo si legge “L’investimento nell’istruzione migliora la competitività e la crescita arricchendo la qualità del mercato del lavoro. Accresce l’abilità della forza lavoro di adattarsi ai bisogni del mercato. Accresce l’abilità della forza lavoro di adattarsi ai bisogni del mercato. Accresce il tasso di attività e il potenziale outpout dell’economia. Conduce a maggior produttività e a maggiori salari. Una forza lavoro ben addestrata, consente anche il trasferimento di tecnologia che è uno dei motori chiavi dello sviluppo”.
Siamo quasi agli antipodi dello spirito di Jomtien, e più ancora di quello della conferenza di Dakar, svoltasi nell’aprile del 2000. Nel documento finale si affermava che “L’istruzione è un fondamentale diritto umano. E’ la chiave per uno sviluppo sostenibile, per la pace e la stabilità, tra i paesi e al loro interno, e come tale un indispensabile mezzo di partecipazione nelle società e nelle economie del XXI secolo, colpite da una rapida globalizzazione”.
Sostenibilità dello sviluppo, pace e crescita democratica sono semplicemente spariti.
Nelle proposte di azione elaborate dalla conferenza di Dakar, i 180 paesi partecipanti si erano impegnati, tra le altre cose, a coinvolgere la società civile e le organizzazioni non governative, a ridurre il debito estero dei paesi poveri per liberare risorse da destinare all’istruzione, a creare un meccanismo di monitoraggio in grado di verificare l’impegno e la gestione dei fondi, a combattere il lavoro minorile e a incoraggiare specialmente l’istruzione femminile.
Alcune di queste indicazioni restano anche nel documento pre-G8, ma lo spirito è stato stravolto. Quello che a Dakar era un diritto umano è diventato un investimento in “capitale umano”. La filosofia delle proposte che il governo farà agli altri grandi è evidente dalla struttura, in tre parti, del documento. La sezione A, la più lunga, è dedicata ai vantaggi che i paesi poveri avrebbero dalla riduzione delle tariffe e dal libero scambio. La sezione B analizza il ruolo degli investimenti privati. La sezione C, infine, tratta due campi specifici, la salute e l’istruzione “In cui il ruolo della Banca mondiale e delle Istituzioni multilaterali di sviluppo deve essere rafforzato. In questi due settori promuoviamo la creazione di fondi dedicati, costituiti da donazioni dei paesi industriali,  da integrare con gli attesi contributi dal settore privato. Questo costituirà una risorsa base per i paesi più poveri e promuoverà partnership tra il settore pubblico e quello privato, con l’obiettivo di espandere l’accesso ai servizi di base nella salute e nell’istruzione, arricchendo il capitale umano nei paesi più poveri”.

Il G8 ed il debito estero dei paesi poveri
Le pressioni esercitate dalle campagne nazionali Jubilee 2000 avevano portato a schierarsi tutti i grandi del mondo a favore della cancellazione del debito. Ma agli annunci non sono seguiti i fatti. Alle manifestazioni di Genova sarà presente anche “Drop the debt” la campagna che ha preso il posto di Jubilee 2000 per ottenere almeno la cancellazione di tutti i debiti dei 41 Paesi poveri ed altamente indebitati. Secondo il presidente Ciampi, l’Italia si impegnerà ad ottenere maggiori impegni dai Paesi del G8 (?).

Il G8 e l’ambiente
Il mondo è al limite del collasso ambientale. L’hanno recentemente confermato sia il World Watch Institute, sia l’istituto dell’ONU per l’ambiente, sia l’UNEP, l’agenzia internazionale delle Nazioni Unite, sia più di recente l’Accademia nazionale statunitense delle scienze.
Gli accordi di Kyoto del 1997 rappresentano, a livello internazionale, il tentativo più avanzato di affrontare una tematica ambientale di interesse planetario in un’ottica di sostenibilità, anche se le riduzioni di inquinamento in esso richieste (5-6 %) sono decisamente inferiori a quelle richieste dagli scienziati (60-80%).
Purtroppo la Conferenza dell’Aia del 2000, che avrebbe dovuto definire le procedure di attuazione del Protocollo di Kyoto, ha messo chiaramente in evidenza che non tutti i paesi industrializzati sono pronti ad impegnarsi per una riduzione del proprio impatto sul sistema climatico. Nonostante la gravissima situazione ambientale sia sotto gli occhi di tutti, i G8 sembra non abbiano nessuna intenzione di dare risposte serie a questo problema.

Il G8 e la finanza
Anche nel summit di Genova i G8 parleranno della cosiddetta “architettura finanziaria globale” e quindi del bisogno di ridefinire il ruolo, il mandato e gli strumenti delle Istituzioni Finanziarie Internazionali quali la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale.
Tale esigenza è sempre più sentita di fronte alle frequenti crisi finanziarie, al tracollo delle economie del sud est Asiatico, della Russia e del Brasile, alla crescente diffusione della povertà ed alla emarginazione dei paesi più poveri. Da più parti della società civile si chiedono regole di equità, trasparenza ed accesso alle informazioni per il FMI, politiche economiche socialmente giuste ed ecologicamente sostenibili (l’applicazione delle prescrizioni del FMI e della BM hanno avuto effetti devastanti sullo sviluppo sociale e sull’ambiente), trasparenza e controllo dei movimenti di capitale.
Altro tema del vertice sarà la gestione dei movimenti globali di capitale, per i quali si chiede di aumentare il grado di liberalizzazione: nessuno spazio quindi a provvedimenti quali la Tobin tax proposta da centinaia di associazione e cittadini in tutto il mondo.

Il G8 e le tecnologie informatiche
Ad Okinawa i G8 hanno enfatizzato l’importanza dell’Information Technology (IT) e come l’accesso ad essa deve essere consentito a tutti. 
Secondo i dati Gartner group il 50% delle abitazioni americane è collegato al web. Cioè metà dei cittadini americani ne è tuttora escluso. Da noi la percentuale aumenta: solo 15 milioni di italiani accedono alla rete, e l'esclusione è legata a fattori generazionali, sociali, economici, culturali, ma anche alla diffusione delle infrastrutture indispensabili. Le politiche pubbliche nei paesi sviluppati possono riempire la frattura con programmi a vasto raggio come il progetto E-europe. Ma il divario digitale esaspera il rapporto iniquo tra nord e sud del mondo. Il 90% degli accessi a internet proviene dai paesi ricchi. Ma da soli, Stati Uniti e Canada raggruppano il 57% del totale, e appena l'1% viene da Africa e Medio oriente. In termini reali, in Africa solo 2 milioni e mezzo di persone navigano in rete, contro 136 milioni di americani, 83 milioni di europei e 679 mln in Asia, soprattutto in India, in Cina e nel sudest.
Il gap è alla fonte: dei 94 milioni di provider nel mondo oltre il 95% ha sede nei paesi sviluppati, il resto si concentra tra Cina, Hong Kong, Israele, Singapore. Se pensiamo che appena la metà della popolazione mondiale dispone di luce elettrica e telefono, il quadro si completa. Ma chi installerà e gestirà le reti in paesi spesso del tutto privi di aziende e risorse umane? Secondo il Rapporto 2001 dell'Organizzazione internazionale del lavoro, anche la produzione di nuove tecnologie si concentra nel mondo ricco, dove vive il 16% dei 6 miliardi di abitanti della terra. E` il nuovo orizzonte del divario: la colonizzazione tecnologica.

Il G8 ed il commercio mondiale
Al vertice di Birmingham nel 1998, e a quello di Colonia nel 1999, era chiaro che il lancio di un nuovo round di negoziati sul commercio richiedeva un accordo tra Europa, Nord America e Giappone. Ma in entrambi i summit non si raggiunse un accordo sui temi commerciali, così gli USA e l’Unione Europea giunsero alla conferenza di Seattle con agende diverse e in conflitto. Comunque entrambe furono rigettate dai paesi del Sud del mondo. Non fu possibile lanciare alcun nuovo negoziato sul commercio.
L’anno scorso al vertice di Okinawa ci furono  grandi dichiarazioni sul coinvolgimento dei paesi in via di sviluppo nel WTO, e sulla necessità di una sua maggiore trasparenza. Nulla è stato fatto. Quest’anno a Genova la delegazione italiana vuol dare un’alta priorità al commercio, per arrivare ad un accordo tra i G8 prima della conferenza ministeriale del WTO, a Doha, in Qatar, alla fine del 2001.
Il rischio maggiore è una nuova spinta ai negoziati, che potrebbero portare ad accordi ancora più favorevoli per le imprese, e alla privatizzazione di scuola, sanità, e di tutti gli altri servizi di base (come l’acqua), con prestazioni di alto livello solo per chi può pagare, mentre gli altri si dovranno accontentare, quando non verrano semplicemente esclusi.



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I materiali qui riportati ci sono stati gentilmente inviati da Roberto Bosio <robertobosio at libero.it> autore del libro "Verso l'alternativa" (edizioni EMI, Bologna). Ringraziamo di cuore Roberto.
A.M.