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[REP] G8, la paura della violenza e la scomparsa delle molotov
- Subject: [REP] G8, la paura della violenza e la scomparsa delle molotov
- From: Marco Trotta <matro at bbs.olografix.org> (by way of Carlo Gubitosa <c.gubitosa at peacelink.it>)
- Date: Sat, 14 Jul 2001 14:25:29 +0200
Segnalo questo articolo di Manconi perché quanto meno ha il pregio di trattare la faccenda senza ipocrisia. M. _[Ripostato da: La Repubblica - http://www.repubblica.it ]________________ [http://www.repubblica.it/quotidiano/repubblica/20010714/commenti/1515apre.html] 14 luglio 2001 G8, la paura della violenza e la scomparsa delle molotov luigi manconi DAL 1989, in Italia, non viene lanciata una bottiglia Molotov (se non da bande del tifo organizzato). E da un decennio, in Italia, non si verificano scontri di piazza (o quasi): in ogni caso, non si verificano scontri di piazza paragonabili, per intensità di violenza, a quelli degli anni '70. Ci sono, piuttosto, rappresentazioni di battaglie di strada e scontri simulati. Spesso, queste performances belliche - grazie alla raffigurazione fotografica o televisiva - sono apparse come vere. Ma, a parte rare eccezioni, si è trattato esclusivamente di rappresentazioni. Posso dirlo perché ho partecipato ad alcune di esse - mi riferisco agli ultimi cinque anni e non al decennio 1967-1977 - con ruoli diversi, ma tutti relativi a un'attività qualificabile come di mediazione: prima e durante le manifestazioni. Questa opera di mediazione costituisce una novità solo relativa: anche negli anni '60 e '70 negli scontri di strada c'era una componente di recitato, che consentiva la negoziazione e favoriva l'attività dei negoziatori. Ma col passare del tempo e col ridursi della quota di violenza esercitata - e parallelamente alla crescita della quota di "simulazione militare" - è cresciuto anche il ruolo della mediazione. Il fatto è assai positivo per una considerazione di psicologia sociale che precede, e di molto, qualunque calcolo politico. In altri termini, i movimenti sociali sono portatori - oltre che di valori e di fini - di una carica di aggressività che è il segno del loro "antagonismo": ovvero della volontà di "cambiare le cose" e di "imporre" quel cambiamento a quanti vi si oppongono. Quell'aggressività non è rimuovibile interamente nè interamente governabile: ma non è destinata, di necessità, a tradursi in violenza contro le persone e le cose. Quell'aggressività può essere "contenuta" e sottoposta, appunto, a mediazione. "Contenere la violenza" è la formula utilizzata dal ministro degli Esteri, Renato Ruggiero, e ha due possibili significati: riduzione della quota di violenza effettivamente esercitata; amministrazione di quella stessa quota con i minori danni possibili per tutti. Nell'ultimo decennio è accaduto esattamente questo, grazie alla "combinazione virtuosa" di due fattori: lo sviluppo di una intensa attività negoziale intorno alla gestione delle manifestazioni e il diffondersi di un uso controllato della forza da parte di alcuni settori di manifestanti. Il discorso è, evidentemente, delicato, ma va affrontato senza ipocrisie. Quando, all'interno dei regimi democratici, si manifestano movimenti collettivi di contestazione, una quota di violenza è fisiologica e costituisce un costo non eliminabile. Si tratta di decidere se reprimerla indiscriminatamente, quella quota, col rischio di radicalizzarla ed estenderla: oppure, appunto, "contenerla". Le "tute bianche" e quei settori di manifestanti che partecipano ai cortei con una "attrezzatura di autodifesa", che esercitano una pressione fisica e ricorrono all'uso controllato della forza, svolgono un ruolo ambiguo. Ma - questo è il punto - è un ruolo, a mio avviso, positivamente ambiguo. Offre a quell'aggressività di cui si diceva, un canale in cui esprimersi e, insieme, uno schema (rituale e agonistico) che l'amministra. Propone uno sbocco - e, dunque, in qualche misura rischia di incentivare la violenza - ma esercita un controllo e pone (tenta di porre) limiti. L'attività delle "tute bianche" è, dunque, letteralmente, un esercizio sportivo (e lo sport è, classicamente, la prosecuzione e la codificazione della guerra con mezzi incruenti), che depotenzia e disinnesca la violenza: perlomeno, la gran parte di essa. Certo, questo presuppone un'idea della violenza di piazza come una sorta di flusso prevedibile, indirizzabile, controllabile: ma è proprio in questi termini che essa viene trattata da numerosi responsabili dell'ordine pubblico e da molti leader di movimento. Sia chiaro: il problema della violenza di piazza è cosa assai più complessa e ha radici profonde, ma - per una volta - considerarla sotto l'aspetto essenzialmente tecnico può essere utile. Mi spiego. La stragrande maggioranza del movimento italiano anti-globalizzazione è su posizioni di pacifismo integrale; una parte assai ridotta è favorevole alla radicalizzazione dello scontro (mi riferisco ai casseurs e a piccoli gruppi autonomi, luddisti e anarchici, che nella "violenza in sé", e nella sua funzione simbolica, credono e investono); una parte assai più ampia intrattiene con l'esercizio della forza un rapporto solo strumentale (finalizzata a uno scopo). Le cosiddette "tute bianche" rappresentano bene quest'ultima componente, ma non la esauriscono: accanto a loro, ma diversi da loro, operano i "gruppi di affinità", le associazioni che provengono da esperienze di nonviolenza classica e di disubbidienza civile e associazioni di cristiani radicali. Le "esercitazioni" messe in atto e in scena nei giorni scorsi - giovani che interpretano "poliziotti" che simulano di malmenare giovani che interpretano "manifestanti" - richiamano un'attività di "formazione" (e di vero e proprio training) alla nonviolenza. Le "tute bianche" portano al punto estremo - assai vicino a quello di rottura - il medesimo discorso della nonviolenza, declinato in forme assai differenti, e la disponibilità a ricorrere alla forza per conquistare "agibilità": ovvero luoghi e occasioni di presenza e di parola. A ben vedere, l'economia e la geometria dei cortei degli ultimi anni hanno avuto, tutti, questa posta in gioco: gli spazi da occupare. Nell'ottenere, o meno, l'obiettivo (raggiungere quella zona, entrare in quello spazio, partecipare a quella iniziativa), il movimento verifica la propria autonomia e la propria "autorità". Balza agli occhi la valenza eminentemente simbolica di una simile mobilitazione: e giova ricordare che i conflitti a più alta intensità simbolica sono quelli dove maggiore è il rischio di rottura. E' esattamente per questo motivo che il ruolo di una mediazione, capace di tutelare gli investimenti simbolici di entrambi i contendenti, è così cruciale. In questo quadro, l'uso del corpo e della strumentazione di "autotutela" da parte delle "tute bianche" è, come si diceva, in precario equilibrio tra difesa e offesa: tra protezione della propria incolumità e uso del proprio corpo (e di ciò che lo "riveste": scudi in plexiglas, caschi da muratori, corpetti nautici...) come corpo contundente. E' un rischio sottolineato anche da un leader dei "gruppi di affinità" ("alzare il livello di protezione personale può essere pericoloso: può elevare il livello offensivo e repressivo"): ma, come si è anticipato, finora i risultati sono stati, sia pure contraddittoriamente, positivi. E cito a conferma, ancora, quel dato: dal 1989, in Italia, non vengono lanciate bottiglie incendiarie. Vi sembra poco? (Ciò, va detto, non costituisce una garanzia sufficiente rispetto al G8 di Genova: la componente dei casseurs, esile e controllabile tra i manifestanti italiani, sarà più temibile quando si irrobustirà grazie agli apporti degli stranieri). Certo, anche nell'ultimo decennio si sono verificate violenze di piazza, ma i danni prodotti - in particolare, quelli alle persone - sono stati limitati (anche quando, come nel caso della manifestazione contro la visita di Haider in Vaticano, e in altre occasioni ancora, gli scontri sono stati aspri): e questo ha impedito che si innescasse una spirale di rappresaglie e ritorsioni. Il merito di una amministrazione non cruenta dell'ordine pubblico nell'ultimo decennio è, appunto, di quella "combinazione virtuosa" tra gestione controllata dell'aggressività da parte dei manifestanti e capacità di mediazione da parte dei responsabili dell'ordine pubblico. E qui possono risultare utili alcune testimonianze dirette. Un anno e mezzo fa, nel corso di una riunione nella prefettura di una città del Nord, i responsabili dell'ordine pubblico e alcuni leader di movimento discussero puntigliosamente e, infine, convennero minuziosamente - oltre che sul tragitto - sulla destinazione finale del corteo. E ci si accordò sul fatto che vi fosse un punto, segnalato da un numero civico, raggiungibile col consenso delle forze dell'ordine, e un altro punto, segnalato da un numero successivo, non "consentito", ma "tollerato". Lo spazio tra i due successivi limiti - un centinaio di metri - fu, poi, il "campo di battaglia" di uno scontro totalmente incruento e pressoché interamente simulato (ma tale non apparve nelle riprese televisive) tra manifestanti e polizia. In una situazione tutt'affatto diversa - il Gay Pride del 2000, a Roma - dove la variabile-violenza era assai remota, la mediazione sul tragitto del corteo fu altrettanto meticolosa. Un numero incalcolabile di riunioni a diversi livelli e in diverse sedi discusse dell'itinerario - per mesi! - e la meta del Colosseo assunse, ben presto, un intenso significato simbolico. La soluzione cui si giunse fu, poi, quella di un corteo che "lambiva" il Colosseo e ne percorreva una parte del perimetro esterno. In quella, e in altre circostanze, numerosi esponenti del centrodestra, allora all'opposizione, denunciarono il calabrachismo dei responsabili (politici e tecnici) dell'ordine pubblico; i più accaldati (o i più scemi) parlarono di "subalternità del governo ai centri sociali". E' passato appena un anno e il centrodestra sembra aver imparato che la gestione pacifica dell'ordine pubblico e le strategie di "contenimento" della violenza sono una questione non solo di intelligenza e di razionalità, ma anche di buongoverno. Insomma, la parola d'ordine è: trattare senza farsi male. __________________________________________________________________________ -- pck-redazione at peacelink.it: La lista della redazione di PeaceLink
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