La nonviolenza è in cammino. 158



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 158 del 23 marzo 2001

Sommario di questo numero:
1. Tre poesie di Wislawa Szymborska
2. Antonino Drago: i luoghi comuni su Gandhi, dieci pregiudizi da sfatare
3. Angela Dogliotti Marasso, una bibliografia minima su Gandhi e l'India
4. Luce Irigaray, la forza delle parole
5. Un appello a Ciampi per la grazia a Silvia Baraldini
6. Dino Frisullo, prigionieri in Turchia
7. Paola Lucchesi: Croazia, la futura pattumiera nucleare d'Europa?
8. "L'informazione impoverita" il 23 marzo a Bologna
9. Il 23 marzo a Gubbio l'esperienza sudafricana della commissione per la
verita' e la riconciliazione
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. TRE POESIE DI WISLAWA SZYMBORSKA
[Wislawa Szymborska, poetessa polacca, ha ricevuto il premio Nobel per la
letteratura nel 1996. I testi seguenti abbiamo estratto  da W. S., 25
poesie, Mondadori, Milano 1998]

* Sulla morte senza esagerare

Non si intende di scherzi,
stelle, ponti,
tessiture, miniere, lavoro dei campi,
costruzione di navi e cottura di dolci.

Quando conversiamo del domani
intromette la sua ultima parola
a sproposito.

Non sa fare neppure cio'
che attiene al suo mestiere:
ne' scavare una fossa,
ne' mettere insieme una bara
ne' rassettare il disordine che lascia.

Occupata a uccidere,
lo fa in modo maldestro,
senza metodo ne' abilita'.
Come se con ognuno di noi stesse imparando.

Vada per i trionfi,
ma quante disfatte,
colpi a vuoto
e tentativi ripetuti da capo!

A volte le manca la forza
di far cadere una mosca in volo.
Piu' d'un bruco
la batte in velocita'.

Tutti quei bulbi, baccelli,
antenne, pinne, trachee,
piumaggi nuziali e pelame invernale
testimoniano i ritardi
nel suo gravoso lavoro.

La cattiva volonta' non basta
e anche il nostro aiuto con guerre e rivoluzioni
e', almeno finora, insufficiente.

I cuori battono nelle uova.
Crescono gli scheletri dei neonati.
Dai semi spuntano le prime due foglioline,
e spesso anche grandi alberi all'orizzonte.

Chi ne afferma l'onnipotenza,
egli stesso e' la prova vivente
che essa onnipotente non e'.

Non c'e' vita
che almeno per un attimo
non sia stata immortale.

La morte
e' sempre in ritardo di quell'attimo.

Invano scuote la maniglia
d'una porta invisibile.
A nessuno puo' sottrarre
il tempo raggiunto.

**

* La fine e l'inizio

Dopo ogni guerra
c'e' chi deve ripulire.
In fondo un po' d'ordine
da solo non si fa.

C'e' chi deve spingere le macerie
ai bordi delle strade
per far passare
i carri pieni di cadaveri.

C'e' chi deve sprofondare
nella melma e nella cenere,
tra le molle dei divani letto,
le schegge di vetro
e gli stracci insanguinati.

C'e' chi deve trascinare una trave
per puntellare il muro,
c'e' chi deve mettere i vetri alla finestra
e montare la porta sui cardini.

Non e' fotogenico
e ci vogliono anni.
Tutte le telecamere sono gia' partite
per un'altra guerra.

Bisogna ricostruire i ponti
e anche le stazioni.
Le maniche saranno a brandelli
a forza di rimboccarle.

C'e' chi con la scopa in mano
ricorda ancora com'era.
C'e' chi ascolta
annuendo con la testa non mozzata.
Ma presto
gli gireranno intorno altri
che ne saranno annoiati.

C'e' chi talvolta
dissotterrera' da sotto un cespuglio
argomenti corrosi dalla ruggine
e li trasportera' sul mucchio dei rifiuti.

Chi sapeva
di che si trattava,
deve far posto a quelli
che ne sanno poco.
E meno di poco.
E infine assolutamente nulla.

Sull'erba che ha ricoperto
le cause e gli effetti,
c'e' chi deve starsene disteso
con la spiga tra i denti,
perso a fissare le nuvole.

**

* La veglia

La veglia non svanisce
come svaniscono i sogni.
Nessun brusio, nessun campanello
la scaccia,
nessun grido ne' fracasso
puo' strapparci da essa.

Torbide e ambigue
sono le immagini nei sogni,
il che puo' spiegarsi
in molti modi.
La veglia significa la veglia
ed e' un enigma maggiore.

Per i sogni ci sono chiavi.
La veglia si apre da sola
e non si lascia chiudere.
Da essa si spargono
diplomi e stelle,
cadono giu' farfalle
e anime di vecchi ferri da stiro,
berretti senza teste
e cocci di nuvole.
Ne viene fuori un rebus
irrisolvibile.

Senza di noi non ci sarebbero sogni.
Quello senza cui non ci sarebbe veglia
e' ancora sconosciuto,
ma il prodotto della sua insonnia
si comunica a chiunque
si risvegli.

Non i sogni sono folli,
folle e' la veglia,
non fosse che per l'ostinazione
con cui si aggrappa
al corso degli eventi.

Nei sogni vive ancora
chi ci e' morto da poco,
vi gode perfino di buona salute
e di ritrovata giovinezza.
La veglia depone davanti a noi
il suo corpo senza vita.
La veglia non arretra d'un passo.

La fugacita' dei sogni fa si'
che la memoria se li scrolli di dosso facilmente.
La veglia non deve temere l'oblio.
E' un osso duro.
Ci sta sul groppone,
ci pesa sul cuore,
sbarra il passo.

Non le si puo' fuggire,
perche' ci accompagna in ogni fuga.
E non c'e' stazione
lungo il nostro viaggio
dove non ci aspetti.

2. RIFLESSIONE. ANTONINO DRAGO. I LUOGHI COMUNI SU GANDHI, DIECI PREGIUDIZI
DA SFATARE
[Il testo seguente abbiamo estratto da "Azione nonviolenta" di luglio-agosto
1998 (disponibile anche nel sito www.nonviolenti.org).
Antonino Drago e' nato a Rimini nel 1938, docente di storia della fisica all
'Università di Napoli, e' una delle figure piu' rappresentative dei
movimenti nonviolenti. Tra le opere di Antonino Drago: Scuola e sistema di
potere: Napoli, Feltrinelli, Milano 1968; Scienza e guerra (con Giovani
Salio), EGA, Torino 1983; L'obiezione fiscale alle spese militari (con G.
Mattai), EGA, Torino 1986; Le due opzioni, La Meridiana, Molfetta; La difesa
e la costruzione della pace con mezzi civili, Qualevita, 1997; Atti di vita
interiore, Qualevita 1997.
Mohandas Gandhi è il fondatore della nonviolenza. Nato a Portbandar in India
nel 1869, studi legali a Londra, avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui
divenne il leader della lotta contro la discriminazione degli immigrati
indiani ed elaborò le tecniche della nonviolenza. Nel 1915 tornò in India e
divenne uno dei leader del Partito del Congresso che si batteva per la
liberazione dal colonialismo britannico. Guidò grandi lotte politiche e
sociali affinando sempre più la teoria-prassi nonviolenta e sviluppando
precise proposte di organizzazione economica e sociale in direzione solidale
ed egualitaria. Fu assassinato il 30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti
ed è tale la grandezza di quest'uomo che una volta di più occorre ricordare
che non va  mitizzato, e che quindi non vanno occultati limiti,
contraddizioni, ed alcuni aspetti negativi -che pure vi sono- della sua
figura, della sua riflessione, della sua opera. Opere di Gandhi:  essendo
Gandhi un organizzatore, un giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d
'azione, oltre che una natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono
sempre essere contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la
sua riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede
significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verità. In
italiano l'antologia migliore è Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi;
si vedano anche: La forza della verità, vol. I, Sonda, Torino-Milano 1991;
Villaggio e autonomia, LEF; l'autobiografia tradotta col titolo La mia vita
per la libertà, Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton;
Civiltà occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento; La cura
della natura, LEF. Altri volumi sono stati pubblicati da Comunità: la nota e
discutibile raccolta di frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio:
Tempio di verità; da Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente
Il mio credo, il mio pensiero, e La voce della verità. Altri volumi ancora
sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali della
drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono stati
pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi massacrare?,
in "Micromega" n. 2 del 1991. Opere su Gandhi: tra le biografie cfr. B. R.
Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente accurato lavoro di Judith M.
Brown, Gandhi, Il Mulino; il recentissimo libro di Yogesh Chadha, Gandhi,
Mondadori. Tra gli studi cfr. Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo
Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente detto Gandhi, Ubaldini; ed i
volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il Mulino (in collaborazione con
Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il Mulino; Gandhi e l'India, Giunti.
Una importante testimonianza è quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro,
Paoline. Per la bibliografia cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma
Gandhi; materiali esistenti nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna.
Altri libri utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto,
William L. Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa,
Enrica Collotti Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione è quella di
Ernesto Balducci, Gandhi, ECP. Una interessante sintesi è quella di Giulio
Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem, Roma]
- Era un ometto brutto.
Aveva un bel portamento, agilita' fisica e una voce possente.
- Era un uomo straordinario, un santo.
Si e' autodefinito: "un politico che cerca di essere un santo".
- Nehru ed Indira Gandhi ne sono i seguaci.
All'indipendenza, Gandhi rifiuto' ogni carica pubblica; era contro il
progresso occidentale, voleva lo sviluppo dei villaggi come villaggi
comunitari, uniti in una federazione politica.
- La nonviolenza e' passivita'.
"Meglio prendere il fucile che essere vigliacchi; il fucile dara' il
coraggio; per la nonviolenza ce ne vuole di piu'".
- Gandhi ha inventato la nonviolenza.
"La nonviolenza e' antica come le montagne". (Furono lotte nonviolente
quelle delle conquiste sociali dei plebei nell'antica Roma; o quelle della
rivoluzione americana; o gran parte della Resistenza italiana).
- Gandhi era un idealista utopico in politica.
Ha saputo applicare al meglio la disobbedienza civile di massa, la
non-cooperazione di massa, sviluppare un programma costruttivo di massa.
- La nonviolenza funziona solo con le democrazie.
Le ultime rivoluzioni nonviolente (Iran 1979, Filippine 1986, Polonia e
Germania Est 1989) hanno dimostrato ampiamente il contrario.
- La nonviolenza e' lenta.
I tempi sono lunghi per tutti; e' deviante vedere solo l'ora X, nel passato
come nel futuro.
- Quando la nonviolenza non funziona ci vuole la violenza.
Vale proprio il contrario: quando la violenza non funziona solo la
nonviolenza puo'.
- La nonviolenza e' una lotta di rivendicazione.
La nonviolenza e' lavoro per l'unita', da ottenere mediante il cambiamento
delle persone (per primi se stessi) che sono in lotta.
(Libera sintesi di Antonino Drago da un articolo di Mark Shephard: "Mahatma
Gandhi and His Myths", Acorn, vol. 9 n. 1, 1997, 5-15).

3. MATERIALI. ANGELA DOGLIOTTI MARASSO: UNA BIBLIOGRAFIA MINIMA SU GANDHI E
L'INDIA
[Questa bibliografia abbiamo ripreso dal sito della Direzione didattica di
Pavone Canavese (www.pavonerisorse.to.it/storia900/). Angela Dogliotti
Marasso e' impegnata nei movimenti nonviolenti e nell'educazione alla pace.
Tra le opere di Angela Dogliotti Marasso: Aggressività e violenza, Edizioni
Gruppo Abele, Torino]
* Scritti di Gandhi
- M. K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, a cura di G. Pontara,
Einaudi, Torino 1981, 1996.
- M. K. Gandhi, Sulla violenza, a cura di G. Pontara, Linea d'ombra, Milano
1992.
- M. K. Gandhi, La forza della verita', vol.1, Sonda, Torino 1991.
- M. K. Gandhi, Antiche come le montagne, Edizioni di Comunita', Milano,
1981.
- M. K. Gandhi, La mia vita per la liberta', Newton Compton, Roma, 1978.
* Scritti su Gandhi e sulla lotta per l'indipendenza dell'India
- M. Torri, Dalla collaborazione alla rivoluzione nonviolenta, Einaudi,
Torino 1975.
- E. Collotti Pischel, La lotta dell'India per l'indipendenza, D'Anna,
Firenze, 1973.
- E. Erikson, La verita' di Gandhi, Feltrinelli, Milano 1972.
- D. Lapierre - L. Collins, Stanotte la liberta', Mondadori, Milano 1983.
- P. C. Bori - G. Sofri, Gandhi e Tolstoj. Un carteggio e dintorni, Il
Mulino, Bologna 1985.
- G. Sofri, Gandhi in Italia, Il Mulino, Bologna 1988.
- G. Sofri, Gandhi e l'India, Giunti, Firenze 1995.
- J. M. Brown, Gandhi. Prigioniero della speranza, Il Mulino, Bologna 1995.
- G. Salio, Gandhi, Red, Como 1997.

4. RIFLESSIONE. LUCE IRIGARAY: LA FORZA DELLE PAROLE
[Questo intervento di Luce Irigaray apparve sul quotidiano "La Repubblica"
il 19 maggio 1999.
Luce Irigaray, tra le piu' influenti pensatrici contemporanee, e' nata in
Belgio, vive e lavora a Parigi dove è direttrice di ricerca al CNRS. Tra le
opere di Luce Irigaray: Speculum. L'altra donna, Feltrinelli, Milano 1975;
Questo sesso che non è un sesso, Feltrinelli, Milano 1978; Sessi e
genealogie, La Tartaruga, Milano 1987; Parlare non è mai neutro, Editori
Riuniti, Roma 1991; Amo a te, Bollati Boringhieri, Torino 1993; Essere due,
Bollati Boringhieri, Torino 1994; La democrazia comincia a due, Bollati
Boringhieri, Torino 1994; Etica della differenza sessuale, Feltrinelli,
Milano 1995]
Chiedere di esprimersi sulla guerra a persone il cui mestiere e' pensare,
non e' gia' cominciare ad aprire una terza via tra i belligeranti, in grado
forse di portare luce all'una e all'altra parte? Spesso nel corso della
storia, i filosofi e gli artisti hanno consigliato o ispirato i politici.
Sarebbe bene che le loro riflessioni aprissero oggi nuove prospettive
diplomatiche, piu' ampie, piu' disinteressate, piu' attente alle diversita'
politico-culturali esistenti tra i vari paesi, tra le varie regioni.
Prospettive che possano porre fine non soltanto a questa guerra, ma a tutte
le guerre, facendo apparire come caduco, poco degno dell'umano, un tale modo
di risolvere i problemi.
* La parola sospesa
La guerra, in effetti, e' prima di tutto la rottura del dialogo, l'assenza
di parola, la perdita dell'umano in quanto tale. Il passaggio dal discorso
alla violenza muta si verifica chiaramente tra i belligeranti, ma anche tra
tutti quanti gli altri: i cittadini stessi non si parlano piu'. Non sanno
quello che pensa l'altro, a quale clan appartiene, e temono di suscitare un
conflitto alla minima parola pronunciata. Questa diffidenza tra cittadini e'
peraltro mantenuta dai politici e dai media i quali dettano quello che
bisogna pensare e accusano coloro che la pensano diversamente di
"disubbidienza civile", di "appartenenza a partiti" condannabili in quanto
"estremisti" di destra o di sinistra, oppure di "anti-americanismo
primitivo", ecc. Ognuno e' invitato ad aggregarsi al coro dei sostenitori
che applaudono a ogni colpo inferto. E la vendetta inflitta sul nemico
totalitario - che non si sente mai parlare, cosa che aiuterebbe i cittadini
a formarsi una propria opinione - cala sui cittadini effetti totalitari meno
percepiti: il primo dei quali e' la costrizione a pensare come coloro che
hanno deciso di fare la guerra. E qualora uno si arrischi a disturbare il
punto di vista generale, i sondaggi prendono la parola in sua vece, facendo
tacere le sue proteste con l'argomento, cosiddetto democratico, dei numeri.
Come sono calcolati i sondaggi, lo ignoro, ma mentre da essi risulta che la
maggioranza dei francesi interpellati sarebbe "per la guerra", io non ho
ancora trovato una sola persona che lo sia veramente tra coloro che ho
interrogato: i miei vicini, i commercianti del mio quartiere, gli stranieri
incontrati in queste ultime settimane, per non parlare dei miei amici. Ho
invece osservato che la gente e' triste, che non ha capito un granche', che
e' preoccupata per le possibili rappresaglie, che ha sempre piu'
l'impressione di ricevere delle informazioni insufficienti e di essere
intossicata da discorsi che l'obbligano a giudicare la situazione in un
certo modo e non in liberta'.
* Nero o bianco
La guerra e' anche il ritorno alla logica del tutto bianco o tutto nero,
culla dei regimi autoritari. E' l'abdicazione generale del giudicare, della
coscienza, della determinazione individuale. Cio' che e' cattivo, che e'
nero, e' lui, l'altro, e io, che sono colpevole o complice della distruzione
di un paese povero, dell'equilibrio dei paesi vicini messi appena un po'
meno male e della morte di cittadini innocenti, io dovrei sentirmi buono/a,
tutto/a bianco/a. Meglio ancora: fiero/a di far regnare nel mondo l'ordine
giusto, orgoglioso/a di stare con i buoni.
E la guerra non ha neppure piu' l' alibi della legittima difesa, essa e' il
mezzo utilizzato affinche' il giusto distrugga l'ingiusto, il bianco il
nero, in assenza di "stati d' animo" che significherebbero probabilmente un
ritorno egoista al proprio se', a una compiacenza sensibile e troppo umana.
E se la nostra attenzione viene attirata senza sosta sui rifugiati, sui
profughi, e' ancora per rendere piu' nero il nero, senza che venga mai posta
la domanda sulla responsabilita' di chi o di cio' che ha accelerato il
disastro, l'esodo. Il bianco dev'essere incessantemente giustificato e
rigiustificato, deve restare senza macchia.
* Una guerra pulita
D' altronde, una tecnologia ultrasofisticata aiutera' i piu' ricchi - i
bianchi - a non sporcarsi le mani col sangue, a non vederlo neppure.
Uccidono senza essere costretti a guardare il crimine commesso, assassinano
a distanza, ciecamente. E' il radar che decide, che sbaglia o che non
sbaglia. L' unica responsabilita' dei bianchi e' quella di manovrare bene la
macchina, scordando che sono umani. Una guerra pulita dimentica l'esistenza
dell'altro, il corpo e l'anima del nemico da abbattere, se non anche i
propri.
Gli stessi ritmi elementari della vita non sono piu' rispettati: non piu'
notte o giorno. Non piu' sangue, ne' necessita' vitali: l'astrazione tecnica
prevale. L' andamento della Borsa, qui e altrove, e' oramai interpretato in
rapporto alla guerra. E allo stesso modo si parla anche dei danni economici
causati da essa, piu' che delle vittime umane. Quei luoghi saranno rimessi
in sesto, si promette, senza dire quando. E non si riconosce nemmeno che
anche vestigia culturali saranno cosi' state annientate per dar luogo a
un'architettura standard.
Non si trattera' qua di annientare la cultura stessa? Cominciare a
bombardare alla vigilia di un'importante festa ortodossa, il 24 marzo -
come, altrove, alla vigilia del Ramadan -, non e' forse un modo di affermare
il disprezzo per una cultura e la volonta' di distruggerla? Ma quale cultura
si pretende d'imporre in suo luogo? Abolire le differenze e le storie
rispettive, non e', anche li', promuovere dei valori a rischio totalitario?
* Legge del taglione
Nelle culture europee, la pena di morte - suprema legge del taglione - e'
stata abolita. Arrogarsi il diritto di uccidere per vendicare il crimine
commesso non fa piu' parte dei nostri codici. Ordunque la giustificazione
della guerra alla quale assistiamo invoca questo taglione: io distruggero'
chi ha distrutto. E dopo? Ammettiamo pure che il giustiziere, o i
giustizieri, abbia oramai la coscienza pura e in pace, quali germi di
violenza saranno stati seminati? Tra il nemico, tra coloro che dalla guerra
sono danneggiati, nel corpo o nei beni, tra coloro che assistono impotenti
al massacro. Non c'e' qualcosa d'ironico nel sentire i politici predicare ai
ragazzi la dolcezza e la tolleranza quando essi stessi propongono l'esempio
di violenze spietate: nei gesti e nelle parole?
* Cittadini ostaggi dello Stato
Puo' essere considerato un progresso il far portare a un popolo il peso
delle azioni del suo capo? Prima, il taglione veniva esercitato sullo stesso
colpevole, ora un popolo intero viene punito. E ancora, si puo' qualificare
come progresso democratico il fatto di poter uccidere senza sapere che si
uccide ne' chi si uccide? Possibilita' certo riservata ai ricchi - non ai
poveri ne' ai ragazzi - cosi' come e' loro riservato il privilegio di
inquinare l'insieme dei cittadini e d'imporre loro altri flagelli che
distruggono gli esseri viventi e il loro habitat.
E' legittimo domandarsi inoltre se rendere asettica la guerra o rendere
asettica la vita umana all'interno di progetti universali non rispettosi
delle differenze: di sensibilita', di corpi, di culture - se non
astrattamente, sulla carta o in discorsi incantatori -, non corrisponda a
preparare un olocausto generalizzato dell' umanita'. Chi o che cosa e' in
questo caso piu' temibile? Come sventare il pericolo? Certamente non
esorcizzando gli errori e gli orrori del passato proiettandoli in modo cieco
e poco coerente sul presente e sul futuro. Non e' che invece, preoccupandosi
in maniera civile dei diritti di ogni cittadino e dei rapporti tra tutti i
cittadini tenendo conto delle loro differenze, un ordine mondiale potrebbe
essere costruito? Questo non puo' essere ne' militare ne' finanziario. Sono
gli uomini e le donne che lo possono assicurare in un mutuo rispetto
garantito da diritti: non quelli degli Stati soltanto, ma i loro diritti.
Gli uomini e le donne che vivono in questo mondo non smettono di pagare -
fisicamente, moralmente, economicamente - certe follie e cecita' di coloro
che pretendono di governarli, contribuendo anche spesso a corrompere
l'opinione pubblica in modo che il potere e il denaro restino loro. E'
arrivato il momento di affidare ai cittadini una maggiore responsabilita'
nei confronti di essi stessi, nei confronti della societa', nei confronti
della storia. Piu' l'orizzonte diventa vasto, piu' e' importante garantire
l'esistenza, la sicurezza, il futuro degli uomini e delle donne che vi
vivono oggi, che vi vivranno domani.

5. APPELLI. UN APPELLO A CIAMPI PER LA GRAZIA A SILVIA BARALDINI
[Il seguente appello abbiamo ripreso dal quotidiano "Il manifesto" di oggi]
Signor presidente, conceda la grazia
Siamo un gruppo di persone attente, per scelta etica e culturale, ai diritti
negati ad altri esseri umani meno premiati dal destino o meno tutelati dalla
societa' in cui vivono.
Per questo ci rivolgiamo a Lei, signor Presidente Ciampi, che oltre ad
essere il massimo garante della Costituzione italiana ha anche nel suo
passato l'esperienza di aver partecipato come partigiano alla guerra di
liberazione contro la dittatura del fascismo e del nazismo.
Il caso che ci ferisce e per il quale ci rivolgiamo a Lei, e' quello di
Silvia Baraldini, una donna imputata di reati non di sangue e pero'
condannata negli Stati Uniti a una pena sterminata di quarantatre anni, di
cui diciannove gia' scontati. E' una pena offensiva per la cultura giuridica
italiana e di diversi altri paesi europei e non. Ma quello che piu' ci
colpisce e' che lo Stato italiano per riportare questa cittadina a casa,
secondo la convenzione di Strasburgo non rispettata dal governo di
Washington per diversi anni, abbia dovuto avallare e far firmare alla
detenuta un patto vessatorio contro se stessa che non solo offende ogni
morale giuridica, ma beffa la stessa Silvia Baraldini quando il presidente
Bill Clinton, al momento di lasciare il suo alto incarico, grazia piu' di
centoquaranta persone, fra cui le compagne di Silvia, Linda Evans e Susan
Rosenberg, condannate come altri reclusi beneficiati da questo atto di
clemenza, per reati molto piu' gravi di quelli attribuiti alla Baraldini
stessa.
Tralasciamo di entrare nelle pieghe delle sentenze contro questa donna,
recentemente operata di tumore, come era gia' successo dieci anni fa
impietosamente in un carcere nordamericano. Non possiamo, pero', dimenticare
che una delle due condanne a vent'anni le e' stata comminata per due reati
piu' supposti che provati. Aver dato assistenza ad un movimento nero per un
colpo ad una banca, presuntamente ideato ma mai posto in essere, ed aver
suppostamente collaborato alla fuga da un penitenziario di massima sicurezza
di Assata Shakur, militante della "Black liberation army", malgrado un
testimone portato dall'Fbi abbia clamorosamente sbagliato nell'indicare il
colore degli occhi di Silvia, che sono azzurro cielo e non marroni come il
teste ha affermato. Ci e' difficile inoltre accettare che i secondi
vent'anni del suo supplizio la Baraldini li debba scontare solo perche',
contro ogni prassi giuridica, un tribunale nordamericano ha classificato il
suo impegno con i movimenti di resistenza della gente nera in quegli anni,
come un reato comune e non politico. Un'interpretazione forzata, per
riuscire ad applicare contro di lei la "legge Rico", una legge creata per i
fiancheggiatori della mafia e quindi non estendibile per nessuna
giurisprudenza ad altro tipo di reati.
Per le sue colpe, in un paese europeo, la Baraldini avrebbe potuto scontare
una pena massima fra i cinque e gli otto anni di reclusione. Ed invece e'
stata sotterrata in una detenzione kafkiana che agli inizi ha dovuto
scontare nel carcere di Lexington, un istituto di pena appena costruito e
dove erano recluse sotto terra solo detenute di tipo politico, che il
governo degli Stati Uniti e' stato costretto a chiudere per "inumanita'"
dopo una campagna internazionale di Amnesty International e della chiesa
protestante nordamericana.
Ci chiediamo come l'apparato di giustizia italiano, che sappiamo molto
preoccupato nel rispettare anche nei dettagli il patto con gli Stati Uniti
(ma sembra indifferente alla cultura e all'etica che hanno informato la
scrittura della Costituzione e dei suoi codici), possa dimenticare tutto
questo, negando alla detenuta Baraldini perfino una visita natalizia alla
madre ottuagenaria ammalata anch'essa di tumore e ricoverata in un istituto
per anziani.
E ci stupisce, gentilissimo signor Presidente, che nessun giurista, storico
o politologo in Italia, considerando il caso di Silvia Baraldini, non
ricordi pubblicamente che in quegli anni all'estremismo di tanti gruppi
libertari o sovversivi, e' corrisposto purtroppo in molti paesi, non esclusi
gli Stati Uniti, un atteggiamento altrettanto estremo e in molti casi
repressivo, se e' vero come e' vero, per esempio, che molti dei movimenti
delle minoranze etniche negli Stati Uniti sono stati annichiliti con misure
talvolta piu' militari che politiche. Non e' per caso che proprio
recentemente un tribunale di New York abbia condannato lo Stato a risarcire
i familiari dei militanti neri uccisi dalla guardia nazionale per sedare una
rivolta nella prigione di Attica, dove sorprendentemente i fucili degli
agenti centrarono quasi solamente reclusi arrestati per reati di natura
politica. Silvia Baraldini e' probabilmente l'ultima vittima di una guerra
fredda che spesso ha fatto dimenticare anche nei paesi liberi le regole
elementari della democrazia. Sappiamo che proprio per questo la giustizia
italiana ha da tempo messo in essere tutta una serie di iniziative perche'
chiunque ha sbagliato 20 o 25 anni fa, in nome di un ideale piu' o meno
discutibile, possa riappropriarsi, pagati i suoi errori, della propria vita.
Cosi' anche chi ha commesso reati di sangue o compiuto stragi ha potuto
usufruire di semiliberta' o liberta' condizionata o addirittura di
sospensione della pena per maternita' o malattia.
Solo Silvia Baraldini (che questi reati non ha commesso) non puo' curarsi
ancora dalla sua grave infermita', che richiede una grande serenita'
psicologica, nella propria casa usufruendo delle normative in vigore per
tutti i cittadini italiani. E questo in base a un patto inquietante, gia'
inficiato dalla realta' di una grave malattia, nota alle autorita' degli
Stati Uniti al momento della restituzione all'Italia della detenuta, ma
taciuta non solo a lei e al suo avvocato, ma anche alle autorita' italiane
designate a ratificare quell'accordo.
Di quale paese, signor Presidente, e' cittadina Silvia Baraldini? E puo'
essere valido un accordo con gli Stati Uniti che nega ancora, dopo
vent'anni, ogni diritto civile ad una donna malata, dal diritto alla salute
a quello alla vita, considerata l'ampiezza della condanna?
Signor Presidente Ciampi, e' in base a questa realta' mortificante che lede,
secondo noi, non solo i diritti della Baraldini ma anche quelli
dell'autonomia di uno stato come quello italiano, che le chiediamo con
umilta' ma anche con la fermezza di chi non accetta la sparizione dell'etica
nella politica, di concedere la grazia a Silvia Baraldini.
Jose' Saramago (premio Nobel per la letteratura)
Gunther Grass (premio Nobel per la letteratura)
Dario Fo (premio Nobel per la letteratura)
Franca Rame (attrice)
Rigoberta Menchu' (premio Nobel per la pace)
Adolfo Perez Esquivel (premio Nobel per la pace)
Danielle Mitterrand (pres. Fondation France Libertes)
Ramsey Clark (ex ministro della Giustizia Usa)
Luis Sepulveda (scrittore)
Jorge e Zelia Amado (scrittori)
Juan Gelman (poeta)
Eduardo Galeano (scrittore)
Paco Ignacio Taibo I (scrittore)
Paco Ignacio Taibo II (scrittore)
Elena Poniatowska (scrittrice)
Carlos Montemayor (scrittore e storico)
Daniel Chavarria (scrittore)
Frei Betto (teologo e scrittore)
Leonardo Boff (teologo e scrittore)
Chico Buarque de Hollanda (cantautore)
Walter Salles (regista)
Manuel Vazquez Montalban (scrittore)
Juan Manuel Serrat (cantautore)
Javier Marias (scrittore)
Pablo Amati (biologo)
Moni Ovadia (regista teatrale)
Giulio Girardi (teologo e scrittore)
Dacia Maraini (scrittrice)
Antonio Tabucchi (scrittore)
Pino Cacucci (scrittore)
Gillo Pontecorvo (regista)
Ettore Scola (regista)
Bernardo Bertolucci (regista)
Mario Monicelli (regista)
Suso Cecchi d'Amico (sceneggiatrice)
Giuseppe Tornatore (regista)
Gabriele Salvatores (regista)
Giulietto Chiesa (scrittore e giornalista)
Alessandra Riccio (docente universitaria)
Gianni Mina' (scrittore e giornalista)
Gianni Mura (scrittore e giornalista)
Marco Tropea (editore)
Laura Grimaldi (scrittrice)
Marialina Marcucci (ex vicepresidente Regione Toscana)
Antonio Albanese (attore)
Gino Strada (medico)
Franco Ferrarotti (sociologo)
Manuel Fajardo (scrittore)
Wayne Smith (docente universitario)
Rev. Sloane Coffin (attivista per i diritti civili)
Grace Paley (attivista per i diritti civili)
Maurizio Chierici (scrittore)
Paolo Collo (operatore culturale)
Maurizio Costanzo (giornalista)
Peter Tompkins (scrittore)

6. DIRITTI VIOLATI. DINO FRISULLO: PRIGIONIERI IN TURCHIA
[Dall'associazione Azad (ass.azad at libero.it) riceviamo e pubblichiamo questo
intervento di Dino Frisullo.
Dino Frisullo e' impegnato nel movimento antirazzista e per i diritti umani,
per il suo impegno di solidarietà con il popolo kurdo è stato detenuto in
Turchia. Tra le opere di Dino Frisullo: L'utopia incarcerata, L'altritalia,
Roma 1998]
Proprio nel grande giorno del Newroz in cui due milioni di kurdi manifestano
per i loro diritti, e mentre giungono notizie di attacchi di polizia a
Istanbul e Mersin e di ritorsioni anche a margine dell'immensa
manifestazione di Diyarbakir, ci giunge una mail sconvolgente
dall'Associazione per i diritti umani (Ihd): e' morto il primo dei 150
prigionieri in sciopero della fame ormai da 153 giorni (altri trecento circa
digiunano da novanta giorni).
Traduciamo qui sotto il comunicato in turco dell'IHD, che e' un accorato
appello a noi, alle associazioni di solidarieta', ai giuristi, magistrati e
avvocati democratici, a coloro che s'impegnano per "liberarsi dalla
necessita' del carcere", a chiunque ami la liberta' e la vita...
A Cengiz Soydas molti altri potrebbero seguire: i prigionieri in Turchia
hanno ormai superato il limite estremo toccato negli analoghi digiuni
dell'Ira in Irlanda e della Raf in Germania.
Cengiz era stato rinchiuso in quel carcere di Sincan "di tipo F", cioe'
d'isolamento, in cui sono stati trasferiti gran parte dei detenuti strappati
con il fuoco e il piombo dalle loro celle di Bayrampasa e Umranye,
nell'operazione del 19 dicembre definita con atroce ironia "Ritorno alla
vita". Nelle celle di Sincan hanno trovato esattamente cio' per cui sono
state pensate: l'arbitrio e la tortura dei carcerieri, l'isolamento dagli
avvocati, dai parenti, dal mondo.
Come dice il comunicato dell'IHD, il regime turco cerca di isolare l'agonia
dei prigionieri soffocando ogni voce di dissenso. Proprio ieri si e' aperto
il processo al presidente dell'IHD Husnu Ondul, che potrebbe portare alla
chiusura dell'associazione le cui sedi sono state gia' sigillate una dopo
l'altra.
Proponiamo di raccogliere la richiesta avanzata alla delegazione italiana
attualmente in Turchia dalla sorella di Metin Yurtsever, militante
dell'Hadep torturato e ucciso dalla polizia a Istanbul perche' in sciopero
della fame quando Ocalan era a Roma, e di organizzare una nuova delegazione
dall'Italia in occasione del processo intentato dall'IHD ai torturatori di
suo fratello, il 4 aprile prossimo. Una delegazione che chieda con forza,
questa volta, di entrare nei sepolcri con grate e negli ospedali in cui
centinaia di esseri umani si stanno spegnendo.
Dino Frisullo
*Comunicato dell'IHD
Cengiz Soydas ha perso la vita al centocinquantatreesimo giorno di sciopero
della fame.
Ancora una volta morte. Ancora dolore.
Cengiz Soydas, detenuto nel carcere di massima sicurezza "di tipo F" di
Sincan, in sciopero della fame dal 22 novembre 2000, e' spirato oggi
nell'ospedale Numune di Ankara, dove era stato ricoverato in seguito
all'aggravarsi delle sue condizioni.
In questi giorni abbiamo assistito a un grande impegno da parte di difensori
dei diritti umani, intellettuali, artisti, parenti dei detenuti e cittadini
sensibili, teso a trovare una soluzione allo sciopero della fame avviato
contro l'istituzione delle prigioni di tipo F e ad evitare altre morti.
Ma nonostante gli appelli e gli sforzi della parte piu' sensibile della
societa' civile, lo stato turco ha insistito in un atteggiamento di rifiuto
e di disprezzo dei prigionieri in quanto esseri umani, ed anzi, una volta
imposto un pesante silenzio con il ricorso alla repressione violenta, si e'
sforzato di imbavagliare l'opinione pubblica democratica.
Con tremenda ostinazione lo stato ha evitato di prendere in esame i problemi
posti, non ha fatto un passo per risolverli, sordo agli appelli disperati
delle madri dei prigionieri.
Cosi' dalle celle definite "bare" cominciano ad uscire bare vere.
Noi ci chiediamo:
Per quanto tempo ancora il ministro della Giustizia e le altre autorita'
responsabili potranno ignorare questo dramma?
Quanti prigionieri ancora dovranno morire o restare invalidi, prima che
capiscano che occorre dare risposta alle loro rivendicazioni?
La loro coscienza e' tranquilla, mentre un padre e una madre soffocano nel
dolore proprio nel giorno del Newroz, festa della fratellanza?
Noi, persone impegnate per la tutela dei diritti umani, leviamo ancora una
volta la nostra voce. In nessuna societa' democratica lo stato si accanisce
contro i propri cittadini. Prima che altri muoiano, occorre mettere mano a
una soluzione, a partire da immediati incontri con i prigionieri. L'impegno
per una soluzione a questo punto non discende solo da un dovere
istituzionale, ma da un inderogabile principio di umanita'.
Associazione per i diritti umani (IHD), sezione di Istanbul

7. SCORIE NUCLEARI. PAOLA LUCCHESI: CROAZIA, LA FUTURA PATTUMIERA NUCLEARE
D'EUROPA?
[Riceviamo e pubblichiamo]
Sabato 24 marzo 2001, per la seconda volta in poco piu' di un mese, i
cittadini della regione della Banovina (a sudest di Zagabria, confinante con
la Bosnia) scenderanno in piazza per protestare contro un progetto del
governo croato di realizzare un deposito di scorie nucleari nella localita'
di Trnovska Gora, ad appena un paio di chilometri dal confine con la
Bosnia-Erzegovina, segnato in questa regione dalla Una, il meraviglioso
fiume di smeraldo sulla cui tutela si stanno coalizzando sempre piu' le
associazioni locali ambientaliste e di cittadini delle tre entita' statuali
confinanti (Croazia, Repubblica Serba di Bosnia, Federazione BiH).
L'ipotizzato deposito dovrebbe trovar collocazione nelle miniere d'argento
in disuso nella localita' di Majdan, al centro di un territorio ricco di
sorgenti, dal terreno umido e poroso. Da notare che la Una dopo poche decine
di chilometri confluisce nella Sava (presso Jasenovac), la quale e' a sua
volta affluente del Danubio (a Belgrado): evidente dunque che un incidente
nel previsto deposito avrebbe conseguenze funeste per una vasta regione
dell'Europa Centro-Orientale.
Inoltre, la popolazione delle regioni interessate e' pesantemente colpita
dalla crisi economica e sociale risultante dal crollo della Jugoslavia e
dalle due guerre (croata e bosniaca) che hanno spazzato proprio quest'area.
Cinque anni dopo la fine delle ostilita' la situazione e' ancora drammatica
(impianti produttivi distrutti o comunque dismessi, alta disoccupazione,
crisi dei profughi non ancora risolta, infrastrutture ancora molto carenti).
La piu' forte speranza per un futuro migliore e' legata allo sviluppo di
un'agricoltura di qualita' (il progetto di un centro per l'agricoltura
biologica a Dubica, una delle cittadine rivierasche, e' appena stato
finanziato dal governo croato) e di un turismo ecologico e responsabile.
Progetti in tal senso si stanno gia' elaborando.
La collocazione di un deposito di scorie nucleari al centro di quest'area e'
dunque in totale contrasto, oltre che con la sicurezza, con le aspirazioni
della popolazione locale.
La tesi delle associazioni ambientaliste e' che il governo cerchi di portare
avanti questa opzione come sua ultima chance, visto che ben altre cinque
localita' negli ultimi anni hanno dovuto essere scartate a causa della forte
resistenza della popolazione locale. La regione della Banovina, e del Pounje
in particolare, e' piu' debole in quanto ancora semispopolata (il rientro
della parte di popolazione serba fuggita nel 1995 procede lentamente), e la
reazione e' stata piu' lenta.
Il dato piu' preoccupante in questa situazione e' comunque l'ipotesi che il
deposito contestato non serva solo per le scorie della centrale nucleare di
Krsko (situata in territorio sloveno a poche decine di chilometri dal
confine croato e dalla capitale Zagabria; l'impianto e' una comproprieta'
sloveno-croata, sulla quale e' da tempo in corso una feroce polemica fra i
due stati). Il deposito sarebbe infatti di capacita' molto superiore al
necessario, dato che fa sospettare l'esistenza di ulteriori progetti di
smaltimento: piu' precisamente l'accoglimento di scorie dell'industria
nucleare francese e tedesca. Ha destato estrema preoccupazione in tal senso
la recentissima visita a Zagabria di una delegazione della corporation
francese del nucleare Framatom (che di recente ha realizzato una fusione con
la tedesca Siemens), ricevuta nientemeno che dal Presidente della Repubblica
Stjepan Mesic.
La Croazia si e' gia' piu' volte dimostrata molto debole, specialmente con
la nuova compagine governativa in carica da poco piu' di un anno, a
resistere alle pressioni dei grandi gruppi industriali esteri, spesso
accompagnate da pressioni politiche a sostegno di interessi economici
esterni alla Croazia. Emblematico il caso della Enron, colosso mondiale
dell'energia elettrica, che e' riuscita ad imporre ai croati un rovinoso
contratto (stipulato all'epoca di Tudjman, e che invano il nuovo governo ha
cercato di modificare) con un'ipotesi di possibile costruzione di una
megacentrale termoelettrica non necessaria alle esigenze del paese; intanto
pero' e' entrata in vigore gia' due anni fa la parte dell'accordo in base
alla quale la Croazia acquista dalla Enron energia elettrica a prezzi almeno
il trenta per cento piu' alti di quelli di mercato. Alcuni mesi fa,
l'aumento e' arrivato alle tasche dei consumatori sotto forma di aumenti di
pari dimensioni delle bollette. Questo caso da manuale e' solo uno dei tanti
che si stanno verificando, intorno ad aziende e servizi di valore in
Croazia, tali da suscitare l'interessamento di grandi investitori esteri.
Con questi precedenti, l'ipotesi di pressioni dall'esterno per ospitare
scorie nucleari "importate" in Croazia e' particolarmente preoccupante.
Le associazioni ambientaliste della Banovina hanno gia' ottenuto il sostegno
delle "colleghe" in tutta la Croazia. L'alleanza comprende gia' alcune
associazioni ambientaliste storiche della Bosnia-Erzegovina. Ora il
movimento cerca ulteriore sostegno a livello internazionale.
Per informazioni in lingua italiana e contatti, Paola Lucchesi, tel.
0039.333.4777714, e-mail: paola.lucchesi at mail.inet.it

8. INCONTRI. "L'INFORMAZIONE IMPOVERITA" IL 23 MARZO A BOLOGNA
[Riceviamo e volentieri diffondiamo]
Il Comitato Cittadino contro la Guerra a due anni dalla "Guerra Umanitaria"
promuove un'iniziativa su "L'informazione impoverita: le nuove guerre e la
strategia mediatica".
Bologna, venerdi 23 marzo, dalle ore 18 alle ore 24 alla Sala Zonarelli, v.
Sacco 14, quartiere S. Donato.
* ore 18,00: proiezione del video, in edizione integrale, "Paying the price:
killing the children of Iraq", un film di John Pilger, edizione italiana a
cura di "Un ponte per ...". Introduce Sergio Coronica.
* ore 20,00: intervallo gastronomico.
* ore 21,00: presentazione del volume "Contro le nuove guerre" a cura delle
Scienziate e Scienziati contro la Guerra (Odradek, Roma 2000) e dei numeri
34 e 35 della rivista "Giano" contenenti il "Dossier NATO". Interventi di:
Giulia Barone, storica, Universita' di Roma 1; Luigi Cortesi, docente di
storia contemporanea, Universita' di Napoli; Tommaso Di Francesco,
giornalista de "il manifesto"; Isidoro D. Mortellaro, docente di Storia
delle Istituzioni Politiche, Universita' di Bari; Alberto Negri, giornalista
de "Il Sole 24 Ore"; Francesco Strazzari, Istituto Europeo di Fiesole.

9. INCONTRI. IL 23 MARZO A GUBBIO L'ESPERIENZA SUDAFRICANA DELLA COMMISSIONE
PER LA VERITA' E LA RICONCILIAZIONE
Per iniziativa del "Coordinamento a sostegno dei diritti umani e della
solidarieta'" (cui aderiscono varie istituzioni e movimenti locali) venerdi
23 marzo, presso la biblioteca comunale di Gubbio, con inizio alle ore 17,
si svolge un incontro con Helene Blignaut, Soraya Jacobs e Antonello Nociti
sul tema "Come costruire una pace multirazziale: lo straordinario
insegnamento del Sudafrica e della Commissione sudafricana per la verita' e
la riconciliazione".

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ;
angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 158 del 23 marzo 2001