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La nonviolenza è in cammino. 158
- Subject: La nonviolenza è in cammino. 158
- From: "Centro ricerca pace Viterbo" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 25 Mar 2001 17:58:46 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 158 del 23 marzo 2001 Sommario di questo numero: 1. Tre poesie di Wislawa Szymborska 2. Antonino Drago: i luoghi comuni su Gandhi, dieci pregiudizi da sfatare 3. Angela Dogliotti Marasso, una bibliografia minima su Gandhi e l'India 4. Luce Irigaray, la forza delle parole 5. Un appello a Ciampi per la grazia a Silvia Baraldini 6. Dino Frisullo, prigionieri in Turchia 7. Paola Lucchesi: Croazia, la futura pattumiera nucleare d'Europa? 8. "L'informazione impoverita" il 23 marzo a Bologna 9. Il 23 marzo a Gubbio l'esperienza sudafricana della commissione per la verita' e la riconciliazione 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. TRE POESIE DI WISLAWA SZYMBORSKA [Wislawa Szymborska, poetessa polacca, ha ricevuto il premio Nobel per la letteratura nel 1996. I testi seguenti abbiamo estratto da W. S., 25 poesie, Mondadori, Milano 1998] * Sulla morte senza esagerare Non si intende di scherzi, stelle, ponti, tessiture, miniere, lavoro dei campi, costruzione di navi e cottura di dolci. Quando conversiamo del domani intromette la sua ultima parola a sproposito. Non sa fare neppure cio' che attiene al suo mestiere: ne' scavare una fossa, ne' mettere insieme una bara ne' rassettare il disordine che lascia. Occupata a uccidere, lo fa in modo maldestro, senza metodo ne' abilita'. Come se con ognuno di noi stesse imparando. Vada per i trionfi, ma quante disfatte, colpi a vuoto e tentativi ripetuti da capo! A volte le manca la forza di far cadere una mosca in volo. Piu' d'un bruco la batte in velocita'. Tutti quei bulbi, baccelli, antenne, pinne, trachee, piumaggi nuziali e pelame invernale testimoniano i ritardi nel suo gravoso lavoro. La cattiva volonta' non basta e anche il nostro aiuto con guerre e rivoluzioni e', almeno finora, insufficiente. I cuori battono nelle uova. Crescono gli scheletri dei neonati. Dai semi spuntano le prime due foglioline, e spesso anche grandi alberi all'orizzonte. Chi ne afferma l'onnipotenza, egli stesso e' la prova vivente che essa onnipotente non e'. Non c'e' vita che almeno per un attimo non sia stata immortale. La morte e' sempre in ritardo di quell'attimo. Invano scuote la maniglia d'una porta invisibile. A nessuno puo' sottrarre il tempo raggiunto. ** * La fine e l'inizio Dopo ogni guerra c'e' chi deve ripulire. In fondo un po' d'ordine da solo non si fa. C'e' chi deve spingere le macerie ai bordi delle strade per far passare i carri pieni di cadaveri. C'e' chi deve sprofondare nella melma e nella cenere, tra le molle dei divani letto, le schegge di vetro e gli stracci insanguinati. C'e' chi deve trascinare una trave per puntellare il muro, c'e' chi deve mettere i vetri alla finestra e montare la porta sui cardini. Non e' fotogenico e ci vogliono anni. Tutte le telecamere sono gia' partite per un'altra guerra. Bisogna ricostruire i ponti e anche le stazioni. Le maniche saranno a brandelli a forza di rimboccarle. C'e' chi con la scopa in mano ricorda ancora com'era. C'e' chi ascolta annuendo con la testa non mozzata. Ma presto gli gireranno intorno altri che ne saranno annoiati. C'e' chi talvolta dissotterrera' da sotto un cespuglio argomenti corrosi dalla ruggine e li trasportera' sul mucchio dei rifiuti. Chi sapeva di che si trattava, deve far posto a quelli che ne sanno poco. E meno di poco. E infine assolutamente nulla. Sull'erba che ha ricoperto le cause e gli effetti, c'e' chi deve starsene disteso con la spiga tra i denti, perso a fissare le nuvole. ** * La veglia La veglia non svanisce come svaniscono i sogni. Nessun brusio, nessun campanello la scaccia, nessun grido ne' fracasso puo' strapparci da essa. Torbide e ambigue sono le immagini nei sogni, il che puo' spiegarsi in molti modi. La veglia significa la veglia ed e' un enigma maggiore. Per i sogni ci sono chiavi. La veglia si apre da sola e non si lascia chiudere. Da essa si spargono diplomi e stelle, cadono giu' farfalle e anime di vecchi ferri da stiro, berretti senza teste e cocci di nuvole. Ne viene fuori un rebus irrisolvibile. Senza di noi non ci sarebbero sogni. Quello senza cui non ci sarebbe veglia e' ancora sconosciuto, ma il prodotto della sua insonnia si comunica a chiunque si risvegli. Non i sogni sono folli, folle e' la veglia, non fosse che per l'ostinazione con cui si aggrappa al corso degli eventi. Nei sogni vive ancora chi ci e' morto da poco, vi gode perfino di buona salute e di ritrovata giovinezza. La veglia depone davanti a noi il suo corpo senza vita. La veglia non arretra d'un passo. La fugacita' dei sogni fa si' che la memoria se li scrolli di dosso facilmente. La veglia non deve temere l'oblio. E' un osso duro. Ci sta sul groppone, ci pesa sul cuore, sbarra il passo. Non le si puo' fuggire, perche' ci accompagna in ogni fuga. E non c'e' stazione lungo il nostro viaggio dove non ci aspetti. 2. RIFLESSIONE. ANTONINO DRAGO. I LUOGHI COMUNI SU GANDHI, DIECI PREGIUDIZI DA SFATARE [Il testo seguente abbiamo estratto da "Azione nonviolenta" di luglio-agosto 1998 (disponibile anche nel sito www.nonviolenti.org). Antonino Drago e' nato a Rimini nel 1938, docente di storia della fisica all 'Università di Napoli, e' una delle figure piu' rappresentative dei movimenti nonviolenti. Tra le opere di Antonino Drago: Scuola e sistema di potere: Napoli, Feltrinelli, Milano 1968; Scienza e guerra (con Giovani Salio), EGA, Torino 1983; L'obiezione fiscale alle spese militari (con G. Mattai), EGA, Torino 1986; Le due opzioni, La Meridiana, Molfetta; La difesa e la costruzione della pace con mezzi civili, Qualevita, 1997; Atti di vita interiore, Qualevita 1997. Mohandas Gandhi è il fondatore della nonviolenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra, avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro la discriminazione degli immigrati indiani ed elaborò le tecniche della nonviolenza. Nel 1915 tornò in India e divenne uno dei leader del Partito del Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico. Guidò grandi lotte politiche e sociali affinando sempre più la teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il 30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed è tale la grandezza di quest'uomo che una volta di più occorre ricordare che non va mitizzato, e che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti negativi -che pure vi sono- della sua figura, della sua riflessione, della sua opera. Opere di Gandhi: essendo Gandhi un organizzatore, un giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d 'azione, oltre che una natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verità. In italiano l'antologia migliore è Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi; si vedano anche: La forza della verità, vol. I, Sonda, Torino-Milano 1991; Villaggio e autonomia, LEF; l'autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la libertà, Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton; Civiltà occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento; La cura della natura, LEF. Altri volumi sono stati pubblicati da Comunità: la nota e discutibile raccolta di frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio: Tempio di verità; da Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio pensiero, e La voce della verità. Altri volumi ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali della drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono stati pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991. Opere su Gandhi: tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino; il recentissimo libro di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra gli studi cfr. Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Una importante testimonianza è quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per la bibliografia cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi; materiali esistenti nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri libri utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto, William L. Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa, Enrica Collotti Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione è quella di Ernesto Balducci, Gandhi, ECP. Una interessante sintesi è quella di Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem, Roma] - Era un ometto brutto. Aveva un bel portamento, agilita' fisica e una voce possente. - Era un uomo straordinario, un santo. Si e' autodefinito: "un politico che cerca di essere un santo". - Nehru ed Indira Gandhi ne sono i seguaci. All'indipendenza, Gandhi rifiuto' ogni carica pubblica; era contro il progresso occidentale, voleva lo sviluppo dei villaggi come villaggi comunitari, uniti in una federazione politica. - La nonviolenza e' passivita'. "Meglio prendere il fucile che essere vigliacchi; il fucile dara' il coraggio; per la nonviolenza ce ne vuole di piu'". - Gandhi ha inventato la nonviolenza. "La nonviolenza e' antica come le montagne". (Furono lotte nonviolente quelle delle conquiste sociali dei plebei nell'antica Roma; o quelle della rivoluzione americana; o gran parte della Resistenza italiana). - Gandhi era un idealista utopico in politica. Ha saputo applicare al meglio la disobbedienza civile di massa, la non-cooperazione di massa, sviluppare un programma costruttivo di massa. - La nonviolenza funziona solo con le democrazie. Le ultime rivoluzioni nonviolente (Iran 1979, Filippine 1986, Polonia e Germania Est 1989) hanno dimostrato ampiamente il contrario. - La nonviolenza e' lenta. I tempi sono lunghi per tutti; e' deviante vedere solo l'ora X, nel passato come nel futuro. - Quando la nonviolenza non funziona ci vuole la violenza. Vale proprio il contrario: quando la violenza non funziona solo la nonviolenza puo'. - La nonviolenza e' una lotta di rivendicazione. La nonviolenza e' lavoro per l'unita', da ottenere mediante il cambiamento delle persone (per primi se stessi) che sono in lotta. (Libera sintesi di Antonino Drago da un articolo di Mark Shephard: "Mahatma Gandhi and His Myths", Acorn, vol. 9 n. 1, 1997, 5-15). 3. MATERIALI. ANGELA DOGLIOTTI MARASSO: UNA BIBLIOGRAFIA MINIMA SU GANDHI E L'INDIA [Questa bibliografia abbiamo ripreso dal sito della Direzione didattica di Pavone Canavese (www.pavonerisorse.to.it/storia900/). Angela Dogliotti Marasso e' impegnata nei movimenti nonviolenti e nell'educazione alla pace. Tra le opere di Angela Dogliotti Marasso: Aggressività e violenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino] * Scritti di Gandhi - M. K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, a cura di G. Pontara, Einaudi, Torino 1981, 1996. - M. K. Gandhi, Sulla violenza, a cura di G. Pontara, Linea d'ombra, Milano 1992. - M. K. Gandhi, La forza della verita', vol.1, Sonda, Torino 1991. - M. K. Gandhi, Antiche come le montagne, Edizioni di Comunita', Milano, 1981. - M. K. Gandhi, La mia vita per la liberta', Newton Compton, Roma, 1978. * Scritti su Gandhi e sulla lotta per l'indipendenza dell'India - M. Torri, Dalla collaborazione alla rivoluzione nonviolenta, Einaudi, Torino 1975. - E. Collotti Pischel, La lotta dell'India per l'indipendenza, D'Anna, Firenze, 1973. - E. Erikson, La verita' di Gandhi, Feltrinelli, Milano 1972. - D. Lapierre - L. Collins, Stanotte la liberta', Mondadori, Milano 1983. - P. C. Bori - G. Sofri, Gandhi e Tolstoj. Un carteggio e dintorni, Il Mulino, Bologna 1985. - G. Sofri, Gandhi in Italia, Il Mulino, Bologna 1988. - G. Sofri, Gandhi e l'India, Giunti, Firenze 1995. - J. M. Brown, Gandhi. Prigioniero della speranza, Il Mulino, Bologna 1995. - G. Salio, Gandhi, Red, Como 1997. 4. RIFLESSIONE. LUCE IRIGARAY: LA FORZA DELLE PAROLE [Questo intervento di Luce Irigaray apparve sul quotidiano "La Repubblica" il 19 maggio 1999. Luce Irigaray, tra le piu' influenti pensatrici contemporanee, e' nata in Belgio, vive e lavora a Parigi dove è direttrice di ricerca al CNRS. Tra le opere di Luce Irigaray: Speculum. L'altra donna, Feltrinelli, Milano 1975; Questo sesso che non è un sesso, Feltrinelli, Milano 1978; Sessi e genealogie, La Tartaruga, Milano 1987; Parlare non è mai neutro, Editori Riuniti, Roma 1991; Amo a te, Bollati Boringhieri, Torino 1993; Essere due, Bollati Boringhieri, Torino 1994; La democrazia comincia a due, Bollati Boringhieri, Torino 1994; Etica della differenza sessuale, Feltrinelli, Milano 1995] Chiedere di esprimersi sulla guerra a persone il cui mestiere e' pensare, non e' gia' cominciare ad aprire una terza via tra i belligeranti, in grado forse di portare luce all'una e all'altra parte? Spesso nel corso della storia, i filosofi e gli artisti hanno consigliato o ispirato i politici. Sarebbe bene che le loro riflessioni aprissero oggi nuove prospettive diplomatiche, piu' ampie, piu' disinteressate, piu' attente alle diversita' politico-culturali esistenti tra i vari paesi, tra le varie regioni. Prospettive che possano porre fine non soltanto a questa guerra, ma a tutte le guerre, facendo apparire come caduco, poco degno dell'umano, un tale modo di risolvere i problemi. * La parola sospesa La guerra, in effetti, e' prima di tutto la rottura del dialogo, l'assenza di parola, la perdita dell'umano in quanto tale. Il passaggio dal discorso alla violenza muta si verifica chiaramente tra i belligeranti, ma anche tra tutti quanti gli altri: i cittadini stessi non si parlano piu'. Non sanno quello che pensa l'altro, a quale clan appartiene, e temono di suscitare un conflitto alla minima parola pronunciata. Questa diffidenza tra cittadini e' peraltro mantenuta dai politici e dai media i quali dettano quello che bisogna pensare e accusano coloro che la pensano diversamente di "disubbidienza civile", di "appartenenza a partiti" condannabili in quanto "estremisti" di destra o di sinistra, oppure di "anti-americanismo primitivo", ecc. Ognuno e' invitato ad aggregarsi al coro dei sostenitori che applaudono a ogni colpo inferto. E la vendetta inflitta sul nemico totalitario - che non si sente mai parlare, cosa che aiuterebbe i cittadini a formarsi una propria opinione - cala sui cittadini effetti totalitari meno percepiti: il primo dei quali e' la costrizione a pensare come coloro che hanno deciso di fare la guerra. E qualora uno si arrischi a disturbare il punto di vista generale, i sondaggi prendono la parola in sua vece, facendo tacere le sue proteste con l'argomento, cosiddetto democratico, dei numeri. Come sono calcolati i sondaggi, lo ignoro, ma mentre da essi risulta che la maggioranza dei francesi interpellati sarebbe "per la guerra", io non ho ancora trovato una sola persona che lo sia veramente tra coloro che ho interrogato: i miei vicini, i commercianti del mio quartiere, gli stranieri incontrati in queste ultime settimane, per non parlare dei miei amici. Ho invece osservato che la gente e' triste, che non ha capito un granche', che e' preoccupata per le possibili rappresaglie, che ha sempre piu' l'impressione di ricevere delle informazioni insufficienti e di essere intossicata da discorsi che l'obbligano a giudicare la situazione in un certo modo e non in liberta'. * Nero o bianco La guerra e' anche il ritorno alla logica del tutto bianco o tutto nero, culla dei regimi autoritari. E' l'abdicazione generale del giudicare, della coscienza, della determinazione individuale. Cio' che e' cattivo, che e' nero, e' lui, l'altro, e io, che sono colpevole o complice della distruzione di un paese povero, dell'equilibrio dei paesi vicini messi appena un po' meno male e della morte di cittadini innocenti, io dovrei sentirmi buono/a, tutto/a bianco/a. Meglio ancora: fiero/a di far regnare nel mondo l'ordine giusto, orgoglioso/a di stare con i buoni. E la guerra non ha neppure piu' l' alibi della legittima difesa, essa e' il mezzo utilizzato affinche' il giusto distrugga l'ingiusto, il bianco il nero, in assenza di "stati d' animo" che significherebbero probabilmente un ritorno egoista al proprio se', a una compiacenza sensibile e troppo umana. E se la nostra attenzione viene attirata senza sosta sui rifugiati, sui profughi, e' ancora per rendere piu' nero il nero, senza che venga mai posta la domanda sulla responsabilita' di chi o di cio' che ha accelerato il disastro, l'esodo. Il bianco dev'essere incessantemente giustificato e rigiustificato, deve restare senza macchia. * Una guerra pulita D' altronde, una tecnologia ultrasofisticata aiutera' i piu' ricchi - i bianchi - a non sporcarsi le mani col sangue, a non vederlo neppure. Uccidono senza essere costretti a guardare il crimine commesso, assassinano a distanza, ciecamente. E' il radar che decide, che sbaglia o che non sbaglia. L' unica responsabilita' dei bianchi e' quella di manovrare bene la macchina, scordando che sono umani. Una guerra pulita dimentica l'esistenza dell'altro, il corpo e l'anima del nemico da abbattere, se non anche i propri. Gli stessi ritmi elementari della vita non sono piu' rispettati: non piu' notte o giorno. Non piu' sangue, ne' necessita' vitali: l'astrazione tecnica prevale. L' andamento della Borsa, qui e altrove, e' oramai interpretato in rapporto alla guerra. E allo stesso modo si parla anche dei danni economici causati da essa, piu' che delle vittime umane. Quei luoghi saranno rimessi in sesto, si promette, senza dire quando. E non si riconosce nemmeno che anche vestigia culturali saranno cosi' state annientate per dar luogo a un'architettura standard. Non si trattera' qua di annientare la cultura stessa? Cominciare a bombardare alla vigilia di un'importante festa ortodossa, il 24 marzo - come, altrove, alla vigilia del Ramadan -, non e' forse un modo di affermare il disprezzo per una cultura e la volonta' di distruggerla? Ma quale cultura si pretende d'imporre in suo luogo? Abolire le differenze e le storie rispettive, non e', anche li', promuovere dei valori a rischio totalitario? * Legge del taglione Nelle culture europee, la pena di morte - suprema legge del taglione - e' stata abolita. Arrogarsi il diritto di uccidere per vendicare il crimine commesso non fa piu' parte dei nostri codici. Ordunque la giustificazione della guerra alla quale assistiamo invoca questo taglione: io distruggero' chi ha distrutto. E dopo? Ammettiamo pure che il giustiziere, o i giustizieri, abbia oramai la coscienza pura e in pace, quali germi di violenza saranno stati seminati? Tra il nemico, tra coloro che dalla guerra sono danneggiati, nel corpo o nei beni, tra coloro che assistono impotenti al massacro. Non c'e' qualcosa d'ironico nel sentire i politici predicare ai ragazzi la dolcezza e la tolleranza quando essi stessi propongono l'esempio di violenze spietate: nei gesti e nelle parole? * Cittadini ostaggi dello Stato Puo' essere considerato un progresso il far portare a un popolo il peso delle azioni del suo capo? Prima, il taglione veniva esercitato sullo stesso colpevole, ora un popolo intero viene punito. E ancora, si puo' qualificare come progresso democratico il fatto di poter uccidere senza sapere che si uccide ne' chi si uccide? Possibilita' certo riservata ai ricchi - non ai poveri ne' ai ragazzi - cosi' come e' loro riservato il privilegio di inquinare l'insieme dei cittadini e d'imporre loro altri flagelli che distruggono gli esseri viventi e il loro habitat. E' legittimo domandarsi inoltre se rendere asettica la guerra o rendere asettica la vita umana all'interno di progetti universali non rispettosi delle differenze: di sensibilita', di corpi, di culture - se non astrattamente, sulla carta o in discorsi incantatori -, non corrisponda a preparare un olocausto generalizzato dell' umanita'. Chi o che cosa e' in questo caso piu' temibile? Come sventare il pericolo? Certamente non esorcizzando gli errori e gli orrori del passato proiettandoli in modo cieco e poco coerente sul presente e sul futuro. Non e' che invece, preoccupandosi in maniera civile dei diritti di ogni cittadino e dei rapporti tra tutti i cittadini tenendo conto delle loro differenze, un ordine mondiale potrebbe essere costruito? Questo non puo' essere ne' militare ne' finanziario. Sono gli uomini e le donne che lo possono assicurare in un mutuo rispetto garantito da diritti: non quelli degli Stati soltanto, ma i loro diritti. Gli uomini e le donne che vivono in questo mondo non smettono di pagare - fisicamente, moralmente, economicamente - certe follie e cecita' di coloro che pretendono di governarli, contribuendo anche spesso a corrompere l'opinione pubblica in modo che il potere e il denaro restino loro. E' arrivato il momento di affidare ai cittadini una maggiore responsabilita' nei confronti di essi stessi, nei confronti della societa', nei confronti della storia. Piu' l'orizzonte diventa vasto, piu' e' importante garantire l'esistenza, la sicurezza, il futuro degli uomini e delle donne che vi vivono oggi, che vi vivranno domani. 5. APPELLI. UN APPELLO A CIAMPI PER LA GRAZIA A SILVIA BARALDINI [Il seguente appello abbiamo ripreso dal quotidiano "Il manifesto" di oggi] Signor presidente, conceda la grazia Siamo un gruppo di persone attente, per scelta etica e culturale, ai diritti negati ad altri esseri umani meno premiati dal destino o meno tutelati dalla societa' in cui vivono. Per questo ci rivolgiamo a Lei, signor Presidente Ciampi, che oltre ad essere il massimo garante della Costituzione italiana ha anche nel suo passato l'esperienza di aver partecipato come partigiano alla guerra di liberazione contro la dittatura del fascismo e del nazismo. Il caso che ci ferisce e per il quale ci rivolgiamo a Lei, e' quello di Silvia Baraldini, una donna imputata di reati non di sangue e pero' condannata negli Stati Uniti a una pena sterminata di quarantatre anni, di cui diciannove gia' scontati. E' una pena offensiva per la cultura giuridica italiana e di diversi altri paesi europei e non. Ma quello che piu' ci colpisce e' che lo Stato italiano per riportare questa cittadina a casa, secondo la convenzione di Strasburgo non rispettata dal governo di Washington per diversi anni, abbia dovuto avallare e far firmare alla detenuta un patto vessatorio contro se stessa che non solo offende ogni morale giuridica, ma beffa la stessa Silvia Baraldini quando il presidente Bill Clinton, al momento di lasciare il suo alto incarico, grazia piu' di centoquaranta persone, fra cui le compagne di Silvia, Linda Evans e Susan Rosenberg, condannate come altri reclusi beneficiati da questo atto di clemenza, per reati molto piu' gravi di quelli attribuiti alla Baraldini stessa. Tralasciamo di entrare nelle pieghe delle sentenze contro questa donna, recentemente operata di tumore, come era gia' successo dieci anni fa impietosamente in un carcere nordamericano. Non possiamo, pero', dimenticare che una delle due condanne a vent'anni le e' stata comminata per due reati piu' supposti che provati. Aver dato assistenza ad un movimento nero per un colpo ad una banca, presuntamente ideato ma mai posto in essere, ed aver suppostamente collaborato alla fuga da un penitenziario di massima sicurezza di Assata Shakur, militante della "Black liberation army", malgrado un testimone portato dall'Fbi abbia clamorosamente sbagliato nell'indicare il colore degli occhi di Silvia, che sono azzurro cielo e non marroni come il teste ha affermato. Ci e' difficile inoltre accettare che i secondi vent'anni del suo supplizio la Baraldini li debba scontare solo perche', contro ogni prassi giuridica, un tribunale nordamericano ha classificato il suo impegno con i movimenti di resistenza della gente nera in quegli anni, come un reato comune e non politico. Un'interpretazione forzata, per riuscire ad applicare contro di lei la "legge Rico", una legge creata per i fiancheggiatori della mafia e quindi non estendibile per nessuna giurisprudenza ad altro tipo di reati. Per le sue colpe, in un paese europeo, la Baraldini avrebbe potuto scontare una pena massima fra i cinque e gli otto anni di reclusione. Ed invece e' stata sotterrata in una detenzione kafkiana che agli inizi ha dovuto scontare nel carcere di Lexington, un istituto di pena appena costruito e dove erano recluse sotto terra solo detenute di tipo politico, che il governo degli Stati Uniti e' stato costretto a chiudere per "inumanita'" dopo una campagna internazionale di Amnesty International e della chiesa protestante nordamericana. Ci chiediamo come l'apparato di giustizia italiano, che sappiamo molto preoccupato nel rispettare anche nei dettagli il patto con gli Stati Uniti (ma sembra indifferente alla cultura e all'etica che hanno informato la scrittura della Costituzione e dei suoi codici), possa dimenticare tutto questo, negando alla detenuta Baraldini perfino una visita natalizia alla madre ottuagenaria ammalata anch'essa di tumore e ricoverata in un istituto per anziani. E ci stupisce, gentilissimo signor Presidente, che nessun giurista, storico o politologo in Italia, considerando il caso di Silvia Baraldini, non ricordi pubblicamente che in quegli anni all'estremismo di tanti gruppi libertari o sovversivi, e' corrisposto purtroppo in molti paesi, non esclusi gli Stati Uniti, un atteggiamento altrettanto estremo e in molti casi repressivo, se e' vero come e' vero, per esempio, che molti dei movimenti delle minoranze etniche negli Stati Uniti sono stati annichiliti con misure talvolta piu' militari che politiche. Non e' per caso che proprio recentemente un tribunale di New York abbia condannato lo Stato a risarcire i familiari dei militanti neri uccisi dalla guardia nazionale per sedare una rivolta nella prigione di Attica, dove sorprendentemente i fucili degli agenti centrarono quasi solamente reclusi arrestati per reati di natura politica. Silvia Baraldini e' probabilmente l'ultima vittima di una guerra fredda che spesso ha fatto dimenticare anche nei paesi liberi le regole elementari della democrazia. Sappiamo che proprio per questo la giustizia italiana ha da tempo messo in essere tutta una serie di iniziative perche' chiunque ha sbagliato 20 o 25 anni fa, in nome di un ideale piu' o meno discutibile, possa riappropriarsi, pagati i suoi errori, della propria vita. Cosi' anche chi ha commesso reati di sangue o compiuto stragi ha potuto usufruire di semiliberta' o liberta' condizionata o addirittura di sospensione della pena per maternita' o malattia. Solo Silvia Baraldini (che questi reati non ha commesso) non puo' curarsi ancora dalla sua grave infermita', che richiede una grande serenita' psicologica, nella propria casa usufruendo delle normative in vigore per tutti i cittadini italiani. E questo in base a un patto inquietante, gia' inficiato dalla realta' di una grave malattia, nota alle autorita' degli Stati Uniti al momento della restituzione all'Italia della detenuta, ma taciuta non solo a lei e al suo avvocato, ma anche alle autorita' italiane designate a ratificare quell'accordo. Di quale paese, signor Presidente, e' cittadina Silvia Baraldini? E puo' essere valido un accordo con gli Stati Uniti che nega ancora, dopo vent'anni, ogni diritto civile ad una donna malata, dal diritto alla salute a quello alla vita, considerata l'ampiezza della condanna? Signor Presidente Ciampi, e' in base a questa realta' mortificante che lede, secondo noi, non solo i diritti della Baraldini ma anche quelli dell'autonomia di uno stato come quello italiano, che le chiediamo con umilta' ma anche con la fermezza di chi non accetta la sparizione dell'etica nella politica, di concedere la grazia a Silvia Baraldini. Jose' Saramago (premio Nobel per la letteratura) Gunther Grass (premio Nobel per la letteratura) Dario Fo (premio Nobel per la letteratura) Franca Rame (attrice) Rigoberta Menchu' (premio Nobel per la pace) Adolfo Perez Esquivel (premio Nobel per la pace) Danielle Mitterrand (pres. Fondation France Libertes) Ramsey Clark (ex ministro della Giustizia Usa) Luis Sepulveda (scrittore) Jorge e Zelia Amado (scrittori) Juan Gelman (poeta) Eduardo Galeano (scrittore) Paco Ignacio Taibo I (scrittore) Paco Ignacio Taibo II (scrittore) Elena Poniatowska (scrittrice) Carlos Montemayor (scrittore e storico) Daniel Chavarria (scrittore) Frei Betto (teologo e scrittore) Leonardo Boff (teologo e scrittore) Chico Buarque de Hollanda (cantautore) Walter Salles (regista) Manuel Vazquez Montalban (scrittore) Juan Manuel Serrat (cantautore) Javier Marias (scrittore) Pablo Amati (biologo) Moni Ovadia (regista teatrale) Giulio Girardi (teologo e scrittore) Dacia Maraini (scrittrice) Antonio Tabucchi (scrittore) Pino Cacucci (scrittore) Gillo Pontecorvo (regista) Ettore Scola (regista) Bernardo Bertolucci (regista) Mario Monicelli (regista) Suso Cecchi d'Amico (sceneggiatrice) Giuseppe Tornatore (regista) Gabriele Salvatores (regista) Giulietto Chiesa (scrittore e giornalista) Alessandra Riccio (docente universitaria) Gianni Mina' (scrittore e giornalista) Gianni Mura (scrittore e giornalista) Marco Tropea (editore) Laura Grimaldi (scrittrice) Marialina Marcucci (ex vicepresidente Regione Toscana) Antonio Albanese (attore) Gino Strada (medico) Franco Ferrarotti (sociologo) Manuel Fajardo (scrittore) Wayne Smith (docente universitario) Rev. Sloane Coffin (attivista per i diritti civili) Grace Paley (attivista per i diritti civili) Maurizio Chierici (scrittore) Paolo Collo (operatore culturale) Maurizio Costanzo (giornalista) Peter Tompkins (scrittore) 6. DIRITTI VIOLATI. DINO FRISULLO: PRIGIONIERI IN TURCHIA [Dall'associazione Azad (ass.azad at libero.it) riceviamo e pubblichiamo questo intervento di Dino Frisullo. Dino Frisullo e' impegnato nel movimento antirazzista e per i diritti umani, per il suo impegno di solidarietà con il popolo kurdo è stato detenuto in Turchia. Tra le opere di Dino Frisullo: L'utopia incarcerata, L'altritalia, Roma 1998] Proprio nel grande giorno del Newroz in cui due milioni di kurdi manifestano per i loro diritti, e mentre giungono notizie di attacchi di polizia a Istanbul e Mersin e di ritorsioni anche a margine dell'immensa manifestazione di Diyarbakir, ci giunge una mail sconvolgente dall'Associazione per i diritti umani (Ihd): e' morto il primo dei 150 prigionieri in sciopero della fame ormai da 153 giorni (altri trecento circa digiunano da novanta giorni). Traduciamo qui sotto il comunicato in turco dell'IHD, che e' un accorato appello a noi, alle associazioni di solidarieta', ai giuristi, magistrati e avvocati democratici, a coloro che s'impegnano per "liberarsi dalla necessita' del carcere", a chiunque ami la liberta' e la vita... A Cengiz Soydas molti altri potrebbero seguire: i prigionieri in Turchia hanno ormai superato il limite estremo toccato negli analoghi digiuni dell'Ira in Irlanda e della Raf in Germania. Cengiz era stato rinchiuso in quel carcere di Sincan "di tipo F", cioe' d'isolamento, in cui sono stati trasferiti gran parte dei detenuti strappati con il fuoco e il piombo dalle loro celle di Bayrampasa e Umranye, nell'operazione del 19 dicembre definita con atroce ironia "Ritorno alla vita". Nelle celle di Sincan hanno trovato esattamente cio' per cui sono state pensate: l'arbitrio e la tortura dei carcerieri, l'isolamento dagli avvocati, dai parenti, dal mondo. Come dice il comunicato dell'IHD, il regime turco cerca di isolare l'agonia dei prigionieri soffocando ogni voce di dissenso. Proprio ieri si e' aperto il processo al presidente dell'IHD Husnu Ondul, che potrebbe portare alla chiusura dell'associazione le cui sedi sono state gia' sigillate una dopo l'altra. Proponiamo di raccogliere la richiesta avanzata alla delegazione italiana attualmente in Turchia dalla sorella di Metin Yurtsever, militante dell'Hadep torturato e ucciso dalla polizia a Istanbul perche' in sciopero della fame quando Ocalan era a Roma, e di organizzare una nuova delegazione dall'Italia in occasione del processo intentato dall'IHD ai torturatori di suo fratello, il 4 aprile prossimo. Una delegazione che chieda con forza, questa volta, di entrare nei sepolcri con grate e negli ospedali in cui centinaia di esseri umani si stanno spegnendo. Dino Frisullo *Comunicato dell'IHD Cengiz Soydas ha perso la vita al centocinquantatreesimo giorno di sciopero della fame. Ancora una volta morte. Ancora dolore. Cengiz Soydas, detenuto nel carcere di massima sicurezza "di tipo F" di Sincan, in sciopero della fame dal 22 novembre 2000, e' spirato oggi nell'ospedale Numune di Ankara, dove era stato ricoverato in seguito all'aggravarsi delle sue condizioni. In questi giorni abbiamo assistito a un grande impegno da parte di difensori dei diritti umani, intellettuali, artisti, parenti dei detenuti e cittadini sensibili, teso a trovare una soluzione allo sciopero della fame avviato contro l'istituzione delle prigioni di tipo F e ad evitare altre morti. Ma nonostante gli appelli e gli sforzi della parte piu' sensibile della societa' civile, lo stato turco ha insistito in un atteggiamento di rifiuto e di disprezzo dei prigionieri in quanto esseri umani, ed anzi, una volta imposto un pesante silenzio con il ricorso alla repressione violenta, si e' sforzato di imbavagliare l'opinione pubblica democratica. Con tremenda ostinazione lo stato ha evitato di prendere in esame i problemi posti, non ha fatto un passo per risolverli, sordo agli appelli disperati delle madri dei prigionieri. Cosi' dalle celle definite "bare" cominciano ad uscire bare vere. Noi ci chiediamo: Per quanto tempo ancora il ministro della Giustizia e le altre autorita' responsabili potranno ignorare questo dramma? Quanti prigionieri ancora dovranno morire o restare invalidi, prima che capiscano che occorre dare risposta alle loro rivendicazioni? La loro coscienza e' tranquilla, mentre un padre e una madre soffocano nel dolore proprio nel giorno del Newroz, festa della fratellanza? Noi, persone impegnate per la tutela dei diritti umani, leviamo ancora una volta la nostra voce. In nessuna societa' democratica lo stato si accanisce contro i propri cittadini. Prima che altri muoiano, occorre mettere mano a una soluzione, a partire da immediati incontri con i prigionieri. L'impegno per una soluzione a questo punto non discende solo da un dovere istituzionale, ma da un inderogabile principio di umanita'. Associazione per i diritti umani (IHD), sezione di Istanbul 7. SCORIE NUCLEARI. PAOLA LUCCHESI: CROAZIA, LA FUTURA PATTUMIERA NUCLEARE D'EUROPA? [Riceviamo e pubblichiamo] Sabato 24 marzo 2001, per la seconda volta in poco piu' di un mese, i cittadini della regione della Banovina (a sudest di Zagabria, confinante con la Bosnia) scenderanno in piazza per protestare contro un progetto del governo croato di realizzare un deposito di scorie nucleari nella localita' di Trnovska Gora, ad appena un paio di chilometri dal confine con la Bosnia-Erzegovina, segnato in questa regione dalla Una, il meraviglioso fiume di smeraldo sulla cui tutela si stanno coalizzando sempre piu' le associazioni locali ambientaliste e di cittadini delle tre entita' statuali confinanti (Croazia, Repubblica Serba di Bosnia, Federazione BiH). L'ipotizzato deposito dovrebbe trovar collocazione nelle miniere d'argento in disuso nella localita' di Majdan, al centro di un territorio ricco di sorgenti, dal terreno umido e poroso. Da notare che la Una dopo poche decine di chilometri confluisce nella Sava (presso Jasenovac), la quale e' a sua volta affluente del Danubio (a Belgrado): evidente dunque che un incidente nel previsto deposito avrebbe conseguenze funeste per una vasta regione dell'Europa Centro-Orientale. Inoltre, la popolazione delle regioni interessate e' pesantemente colpita dalla crisi economica e sociale risultante dal crollo della Jugoslavia e dalle due guerre (croata e bosniaca) che hanno spazzato proprio quest'area. Cinque anni dopo la fine delle ostilita' la situazione e' ancora drammatica (impianti produttivi distrutti o comunque dismessi, alta disoccupazione, crisi dei profughi non ancora risolta, infrastrutture ancora molto carenti). La piu' forte speranza per un futuro migliore e' legata allo sviluppo di un'agricoltura di qualita' (il progetto di un centro per l'agricoltura biologica a Dubica, una delle cittadine rivierasche, e' appena stato finanziato dal governo croato) e di un turismo ecologico e responsabile. Progetti in tal senso si stanno gia' elaborando. La collocazione di un deposito di scorie nucleari al centro di quest'area e' dunque in totale contrasto, oltre che con la sicurezza, con le aspirazioni della popolazione locale. La tesi delle associazioni ambientaliste e' che il governo cerchi di portare avanti questa opzione come sua ultima chance, visto che ben altre cinque localita' negli ultimi anni hanno dovuto essere scartate a causa della forte resistenza della popolazione locale. La regione della Banovina, e del Pounje in particolare, e' piu' debole in quanto ancora semispopolata (il rientro della parte di popolazione serba fuggita nel 1995 procede lentamente), e la reazione e' stata piu' lenta. Il dato piu' preoccupante in questa situazione e' comunque l'ipotesi che il deposito contestato non serva solo per le scorie della centrale nucleare di Krsko (situata in territorio sloveno a poche decine di chilometri dal confine croato e dalla capitale Zagabria; l'impianto e' una comproprieta' sloveno-croata, sulla quale e' da tempo in corso una feroce polemica fra i due stati). Il deposito sarebbe infatti di capacita' molto superiore al necessario, dato che fa sospettare l'esistenza di ulteriori progetti di smaltimento: piu' precisamente l'accoglimento di scorie dell'industria nucleare francese e tedesca. Ha destato estrema preoccupazione in tal senso la recentissima visita a Zagabria di una delegazione della corporation francese del nucleare Framatom (che di recente ha realizzato una fusione con la tedesca Siemens), ricevuta nientemeno che dal Presidente della Repubblica Stjepan Mesic. La Croazia si e' gia' piu' volte dimostrata molto debole, specialmente con la nuova compagine governativa in carica da poco piu' di un anno, a resistere alle pressioni dei grandi gruppi industriali esteri, spesso accompagnate da pressioni politiche a sostegno di interessi economici esterni alla Croazia. Emblematico il caso della Enron, colosso mondiale dell'energia elettrica, che e' riuscita ad imporre ai croati un rovinoso contratto (stipulato all'epoca di Tudjman, e che invano il nuovo governo ha cercato di modificare) con un'ipotesi di possibile costruzione di una megacentrale termoelettrica non necessaria alle esigenze del paese; intanto pero' e' entrata in vigore gia' due anni fa la parte dell'accordo in base alla quale la Croazia acquista dalla Enron energia elettrica a prezzi almeno il trenta per cento piu' alti di quelli di mercato. Alcuni mesi fa, l'aumento e' arrivato alle tasche dei consumatori sotto forma di aumenti di pari dimensioni delle bollette. Questo caso da manuale e' solo uno dei tanti che si stanno verificando, intorno ad aziende e servizi di valore in Croazia, tali da suscitare l'interessamento di grandi investitori esteri. Con questi precedenti, l'ipotesi di pressioni dall'esterno per ospitare scorie nucleari "importate" in Croazia e' particolarmente preoccupante. Le associazioni ambientaliste della Banovina hanno gia' ottenuto il sostegno delle "colleghe" in tutta la Croazia. L'alleanza comprende gia' alcune associazioni ambientaliste storiche della Bosnia-Erzegovina. Ora il movimento cerca ulteriore sostegno a livello internazionale. Per informazioni in lingua italiana e contatti, Paola Lucchesi, tel. 0039.333.4777714, e-mail: paola.lucchesi at mail.inet.it 8. INCONTRI. "L'INFORMAZIONE IMPOVERITA" IL 23 MARZO A BOLOGNA [Riceviamo e volentieri diffondiamo] Il Comitato Cittadino contro la Guerra a due anni dalla "Guerra Umanitaria" promuove un'iniziativa su "L'informazione impoverita: le nuove guerre e la strategia mediatica". Bologna, venerdi 23 marzo, dalle ore 18 alle ore 24 alla Sala Zonarelli, v. Sacco 14, quartiere S. Donato. * ore 18,00: proiezione del video, in edizione integrale, "Paying the price: killing the children of Iraq", un film di John Pilger, edizione italiana a cura di "Un ponte per ...". Introduce Sergio Coronica. * ore 20,00: intervallo gastronomico. * ore 21,00: presentazione del volume "Contro le nuove guerre" a cura delle Scienziate e Scienziati contro la Guerra (Odradek, Roma 2000) e dei numeri 34 e 35 della rivista "Giano" contenenti il "Dossier NATO". Interventi di: Giulia Barone, storica, Universita' di Roma 1; Luigi Cortesi, docente di storia contemporanea, Universita' di Napoli; Tommaso Di Francesco, giornalista de "il manifesto"; Isidoro D. Mortellaro, docente di Storia delle Istituzioni Politiche, Universita' di Bari; Alberto Negri, giornalista de "Il Sole 24 Ore"; Francesco Strazzari, Istituto Europeo di Fiesole. 9. INCONTRI. IL 23 MARZO A GUBBIO L'ESPERIENZA SUDAFRICANA DELLA COMMISSIONE PER LA VERITA' E LA RICONCILIAZIONE Per iniziativa del "Coordinamento a sostegno dei diritti umani e della solidarieta'" (cui aderiscono varie istituzioni e movimenti locali) venerdi 23 marzo, presso la biblioteca comunale di Gubbio, con inizio alle ore 17, si svolge un incontro con Helene Blignaut, Soraya Jacobs e Antonello Nociti sul tema "Come costruire una pace multirazziale: lo straordinario insegnamento del Sudafrica e della Commissione sudafricana per la verita' e la riconciliazione". 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ; per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ; angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 158 del 23 marzo 2001
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