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La nonviolenza è in cammino. 159
- Subject: La nonviolenza è in cammino. 159
- From: "Centro ricerca pace Viterbo" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 25 Mar 2001 17:58:27 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 159 del 24 marzo 2001 Sommario di questo numero: 1. Christa Wolf, non esiste una pace armata 2. Peppe Sini, cio' che e' mancato 3. Tiziano Tissino, invito alla via crucis Pordenone-Aviano del primo aprile 4. Noam Chomsky, l'alibi umanitario 5. Massimo Zucchetti, osservazioni critiche sul Rapporto Mandelli 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. CHRISTA WOLF: NON ESISTE UNA PACE ARMATA [Questo minimo frammento (da una pagina di diario datata "Meteln, 21 agosto 1981") abbiamo estratto da Christa Wolf, Premesse a Cassandra, edizioni e/o, Roma 1984, p. 133. Christa Wolf e' nata nel 1929, è considerata la maggiore scrittrice tedesca contemporanea; femminista e pacifista. Opere di Christa Wolf: segnaliamo almeno Il cielo diviso, Edizioni e/o, poi Mondadori; Riflessioni su Christa T., Mursia; Cassandra, Edizioni e/o; Premesse a Cassandra, Edizioni e/o] Non esiste una pace armata. La pace o e' disarmata o non e' pace - qualsiasi cosa uno pensi di dover difendere. Per due volte, in questo secolo, dalla "pace armata" e' nata la guerra, e ogni guerra e' stata piu' dura della precedente. Brecht disse esattamente la stessa cosa negli anni Cinquanta: se non ci armiamo avremo la pace. Se ci armiamo, avremo la guerra. Non vedo come si possa pensarla diversamente. 2. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: CIO' CHE E' MANCATO [Questo intervento e' stato scritto e diffuso l'8 giugno 1999, e successivamente ripubblicato come primo capitolo de La nonviolenza contro la guerra, Viterbo 2000 (testo disponibile in versione elettronica nella home page del sito di Peacelink). Lo riproponiamo senza alcuna modifica] * Una lettera aperta a tutte le persone impegnate per la pace Poteva il movimento per la pace essere più efficace nel contrastare la guerra? Sì. Cosa ci è mancato? La limpidezza di posizioni e la preparazione all'uso delle tecniche di lotta nonviolente. Carissimi amici, nella speranza che la guerra stia volgendo al termine, e mentre dobbiamo continuare a manifestare contro la scellerata continuazione sia dei bombardamenti sia della "pulizia etnica", e mentre dobbiamo prepararci agli impegni ulteriori contro la guerra, i suoi apparati ed i suoi presupposti (ed a tal fine occorrerà una rinnovata iniziativa per il disarmo; per lo scioglimento della Nato; contro il razzismo e in difesa dei diritti umani ovunque), occorre altresì che riflettiamo sui limiti della nostra iniziativa in questi mesi. * Potevamo come pacifisti fermare la guerra? Sì Poteva il nostro movimento per la pace essere più efficace nel contrastare la guerra? A nostro parere, sì. La mobilitazione generosa in tutta Italia di centinaia di migliaia di persone, la tenacia nell'opporsi alla guerra e nel chiedere il rispetto della Costituzione italiana e del diritto internazionale che questa guerra proibiscono, la capacità di argomentare con chiarezza ed efficacia le ragioni della pace proprio coniugandole con le ragioni della solidarietà, dell'opposizione al razzismo e della difesa dei diritti umani, e l'aver tenuto costantemente unite l'opposizione alla guerra con l'aiuto concreto alle vittime della guerra, delle deportazioni, della repressione nei Balcani, sono tutti elementi che hanno caratterizzato e qualificato il movimento per la pace nel nostro paese rendendolo un autentico rappresentante del popolo italiano nel momento in cui il nostro governo tradiva la legge fondamentale e si rendeva complice di un orribile cumulo di crimini, di un'orribile serie di stragi. * Una particolare circostanza che aumentava la nostra responsabilità Ed il nostro movimento per la pace poteva essere più efficace nel contrastare la guerra anche in virtù di una particolare circostanza tattica: che la gran parte dei bombardamenti stragisti sulla Jugoslavia sono partiti dalle basi Nato dislocate in territorio italiano. Questo aumentava la nostra responsabilità, la nostra angoscia, ma anche le nostre possibilità di intervento efficace contro la guerra. * Perché non siamo riusciti a fermare la guerra? La domanda che ora ci poniamo è: perché non siamo riusciti ad essere più efficaci contro la guerra? Cosa ci è mancato? Non ci è mancata la possibilità di agire: l'abbiamo avuta. Non ci è mancata la cognizione del ruolo peculiare dell'Italia, ridotta a gigantesca portaerei di bombardieri stragisti: lo abbiamo saputo fin dall'inizio. Non ci è mancata neppure la volontà di opporci intransigentemente alla guerra: ripetiamo, a centinaia di migliaia lo abbiamo saputo, lo abbiamo detto, abbiamo cercato di farlo. * E' mancata la scelta corale e persuasa della nonviolenza Quello che ci è mancato è stata l'adozione del punto di vista giusto: il punto di vista della nonviolenza e quindi la scelta della lotta nonviolenta; e conseguentemente l'adozione delle tecniche di lotta giuste: le tecniche dell'azione diretta nonviolenta; punto di vista e tecniche che richiedevano un serio ed onesto dibattito di tutto il movimento su questa grande sconosciuta: la nonviolenza, l'accoglimento collettivo e persuaso di essa, e una seria e rigorosa formazione alla nonviolenza. Questo è mancato. * Una posizione limpida contro la violenza E' mancata una posizione limpida nel giudizio sulla violenza: anche nel movimento che si oppone alla guerra molti hanno idee confuse e posizioni ambigue su questo decisivo punto. Sulle bandiere delle manifestazioni hanno campeggiato perlopiù volti di eroici combattenti per la giustizia, ma certo non per la pace. Per dirla in termini schematici, i manifestanti facevano riferimento più a Guevara che a Gandhi. Orbene, il riferimento a Guevara è sicuramente di grande valore nella storia della lotta di liberazione, per affermare l'uguaglianza, per contrastare l'oppressione imperialista e colonialista; ma in un movimento di lotta contro la guerra e per la pace sarebbe bene che si facesse riferimento a figure più coerenti con l'obiettivo per cui ci si sta impegnando. Molti, invece, hanno avuto un atteggiamento ambiguo: proprio mentre criticavano la Nato per aver condotto una guerra spacciandola per "giusta" (e nessuna guerra lo è), riproducevano lo stesso schema argomentativo definendo "giusta" la violenza a seconda di chi ne fa uso (e nessuna violenza lo è; naturalmente fermo restando il principio giuridico che ad ogni aggredito va riconosciuto il diritto di legittima difesa). * E' mancata una conoscenza seria ed onesta della nonviolenza Questo limite di confusione e di ambiguità è dipeso dalla purtroppo ancora scarsa conoscenza e presenza nel nostro paese, nella nostra riflessione, nel nostro dibattito, nella nostra comune formazione morale e civile (e quindi politica), di quella straordinaria tradizione di lotta e di pensiero che è la nonviolenza. Purtroppo anche molti, moltissimi pacifisti, hanno della nonviolenza un' immagine del tutto falsa: la confondono con la viltà, con la passività, con la mera predicazione retorica, o al più con la vocazione al martirio come scelta individualistica ed ininfluente, o con l'astrattezza di chi pretende di collocarsi al di sopra della mischia ed invece se ne trova al di sotto, e così via: riproducendo così, senza rendersene conto, gli stessi stereotipi e le stesse mistificazioni che contro la nonviolenza sono usati dagli oppressori, dai militaristi, dagli idolatri della violenza. * La nonviolenza è lotta, la più rigorosa Ed invece la nonviolenza è lotta, è la più rigorosa forma di lotta, quella che va alla radice, quella che pratica la coerenza tra i fini ed i mezzi, quella che nel corso stesso della lotta contro la violenza istituisce un' umanità fraterna e di eguali. Ma nonostante nel nostro paese siano vissuti uomini come Aldo Capitini e Danilo Dolci, Lorenzo Milani ed Ernesto Balducci, in Italia la nonviolenza è ancora largamente sconosciuta, anche tra coloro che pur se ne riempiono la bocca a sproposito. * Era possibile opporci efficacemente: usando le tecniche della nonviolenza La conoscenza della nonviolenza, e l'uso delle tecniche della nonviolenza, sarebbero state straordinariamente efficaci in questo terribile frangente. Un esempio per tutti: era possibile bloccare tutti i decolli da tutte le basi Nato in Italia semplicemente lanciando mongolfiere di carta nello spazio aereo sovrastante e circostante le piste di decollo. Questa azione diretta nonviolenta, realizzata da un piccolo gruppo di poche persone, bloccò i decolli per alcune ore ad Aviano in aprile. Se fosse stata fatta propria dall'intero movimento pacifista e realizzata a livello di massa dinanzi a tutte le basi Nato in Italia giorno dopo giorno avrebbe potuto avere un ruolo rilevante, ed avrebbe dimostrato come la nonviolenza possa intervenire efficacemente nel conflitto ed essere concretamente più forte del più forte apparato militare del mondo. Per oltre due mesi abbiamo proposto a tutti gli interlocutori possibili di far propria questa iniziativa rigorosamente nonviolenta e dimostratamente efficace, ma solo in pochi hanno aderito, solo pochissimi l'hanno realizzata o hanno tentato di realizzarla. Purtroppo quasi tutte le grandi organizzazioni e le più ampie reti di affinità presenti nel movimento non hanno colto questa occasione, preferendo perlopiù iniziative meramente simboliche (quando non semplicemente propagandistiche) e largamente inefficaci, ed inefficaci anche perché sovente non limpide. Non limpide perché da una parte si è preferito mantenere rapporti ambigui (anche per convergenti interessi) con il governo responsabile della guerra e le principali forze politiche che lo compongono; da un'altra si è privilegiata una presenza prevalentemente autopromozionale nel movimento; da un'altra parte ancora si è restati chiusi su posizioni nichiliste che quanto più si ammantavano di retorica ultrarivoluzionaria assolutamente dereistica tanto più erano totalmente subalterne ed effettualmente autoreferenziali. * Perché è andata così? E' mancata la formazione alla nonviolenza Perché è andata così, e il movimento per la pace non è stato sufficientemente efficace, sebbene abbia comunque svolto un'azione generosa che ha ottenuto dei risultati non disprezzabili (si pensi alla decisiva influenza della marcia Perugia-Assisi nel forzare il Parlamento italiano alla richiesta di sospensione dei bombardamenti)? A noi sembra di poter dire che è andata così perché è mancata la formazione alla nonviolenza: occorreva aver cominciato tutti da anni a fare dibattiti sulla nonviolenza, ad esaminarne, approfondirne ed introiettarne criticamente valori, metodi, dimensioni; ed occorreva aver cominciato tutti da anni a fare training di addestramento alle tecniche della nonviolenza. Quei purtroppo ristretti settori del movimento che queste esperienze di dibattito e di formazione avevano condotto, e che hanno proposto all'intero movimento di fare un salto di qualità in questa direzione, si sono trovati di fatto isolati: sovente rispettati per il loro rigore e addotti ad esempio, ma quasi sempre inascoltati nelle loro proposte di intervento concreto, di impegno comune. * Per non concludere Speriamo che la guerra stia per concludersi: ma dopo questa altre guerre verranno se non sapremo lottare per prevenirle. Ed è quindi una necessità per il nostro movimento cominciare subito una permanente attività di studio e discussione della nonviolenza, una permanente attività di formazione alla nonviolenza, di vero e proprio addestramento all'uso delle tecniche della nonviolenza ed alla comprensione dei valori della nonviolenza. Non abbiamo tempo da perdere. I bombardieri decollano ancora, le industrie armiere producono ancora, i poteri stragisti persistono ancora. La voce strozzata della pace, o della coscienza, ci chiede un impegno ancora più profondo, ancora più persuaso: ci chiede di far crescere la nonviolenza come unica coerente alternativa alla guerra e all'oppressione. * Che ne pensate? Saremo grati a tutti coloro che vorranno farci sapere la loro opinione su queste appena accennate, frettolose e provvisorie riflessioni. La discussione è aperta. Frattanto facciamo tutti tutto quel che possiamo per ottenere la cessazione della guerra. Un abbraccio, Viterbo, 8 giugno 1999 3. INIZIATIVE. TIZIANO TISSINO: INVITO ALLA VIA CRUCIS PORDENONE-AVIANO DEL PRIMO APRILE [Ringraziamo di cuore Tiziano Tissino per questo suo intervento. Tiziano Tissino e' impegnato nel movimento ecclesiale per la pace "Beati i costruttori di pace", nella "Rete di Lilliput", in numerose iniziative di pace, solidarieta', nonviolenza] Giusto due anni fa, iniziarono i bombardamenti contro la Serbia ed il Kossovo. Aviano fu la principale base aerea utilizzata in quella guerra. Quali siano i danni che provoco' e quanto poco abbia contribuito a costruire una vera pace basata sul rispetto dei diritti umani, sulla giustizia, sulla riconciliazione, e' sotto i nostri occhi proprio in questi giorni: da un lato, e' emerso il criminale uso dell'uranio impoverito, punta dell'iceberg di una vera e propria guerra contro l'ambiente (ricordo solo i gravissimi bombardamenti sul petrolchimico di Pancevo, cosi' come su tutte le altre industrie chimiche della Serbia); dall'altro, quanto sta accadendo in Macedonia dimostra ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, come la guerra abbia inasprito ed approfondito gli odi etnici, rafforzato i fautori della violenza, indebolito il senso della convivenza. Fra una settimana, ci sara' la quinta via crucis Pordenone-Aviano. Cammineremo, ancora una volta, lungo la strada che porta alla Base Usaf, per chiedere che quella base venga smantellata, ma soprattutto per rimettere in discussione questo sistema economico e sociale, che ha bisogno di basi come Aviano per sopravvivere. Sara', lo sappiamo, un piccolo gesto, ma quelli tra noi che sono stati a Butembo, il mese scorso, hanno potuto sperimentare come anche piccoli gesti, se compiuti da una moltitudine, possono dare risultati insperati. E' per questo che ti chiedo di accompagnarci in questo percorso, e di diffondere questo invito, coinvolgendo quanti piu' amici possibile. Ci vediamo il primo aprile, allora? Di seguito: - l'appello di convocazione della via crucis; - l'elenco delle adesioni; - il programma, con l'elenco degli interventi. * L'appello "Beati i Costruttori di Pace" del Friuli Venezia Giulia e nazionale, Pax Christi Italia - Centro "Ernesto Balducci" di Zugliano (UD) promuovono la Via Crucis Pordenone - Base Usaf di Aviano il primo aprile 2001. Continua il cammino di speranza insieme agli impoveriti e umiliati della Terra, vittime della violenza strutturale del nostro mondo, di cui la Base di Aviano e' emblema, artefice e presidio. Il segno della Via Crucis rende visibili gli itinerari quotidiani, le parole e le scelte di nonviolenza attiva di persone e comunita', in un tempo difficile e complesso, apparentemente sfavorevole. Nell'anno del grande Giubileo, paradossalmente, la Base Usaf di Aviano, santuario della violenza e sentinella armata del nuovo ordine mondiale, ha vissuto il suo massimo ampliamento. La certezza della presenza di armi atomiche nell'area della Base e l'uso di decine di migliaia di bombe all'uranio impoverito nelle recenti guerre del Golfo e del Kossovo hanno reso evidenti le dimensioni e la pericolosita' dei mezzi bellici che si progettano, si realizzano e si usano per gli interventi, cosiddetti, di "ingerenza umanitaria". Tutto questo si e' svolto nel pressoche' totale silenzio delle istituzioni, della politica, delle religioni, nell'indifferenza dei piu'. E' ormai diffusa la convinzione che preparare e poi fare la guerra sia una necessita' ineluttabile. La sua legittimazione e' tale che anche il dibattito sull'uranio impoverito ha portato solo alla richiesta di bandire questo tipo di armi, senza porsi il problema di mettere in discussione la guerra stessa in quanto tale. Per altro, la guerra in Serbia e Kossovo e' stata messa sotto accusa a posteriori soltanto per i rischi dei nostri soldati e non per i danni irreparabili inflitti alle popolazioni civili, all'ambiente... Il risultato e' che, nella nostra regione, ospitiamo armi, chi le produce e le usa, e rifiutiamo accoglienza alle persone in fuga dalle guerre e dalle conseguenze di un ingiusto ordine mondiale. Si e' depositato in modo indelebile nelle nostre coscienze e nei nostri cuori l'intenso momento vissuto davanti alla Base di Aviano nel settembre 2000 con i rappresentanti delle vittime di Hiroshima, dei neri del Brasile, degli Indios Nasa delle Ande Colombiane e delle comunita' del Chiapas... Il loro silenzio, la loro vibrante denuncia, la loro resistenza progettuale, la preghiera intensa per ricevere il conforto della profezia, i segni di speranza affidati a ciascuno, ci incoraggiano. Restano altresi' nella nostra memoria le celebrazioni "giubilari" della terra e della pace, vissute con grande partecipazione emotiva sulla diga del Vajont e all'unico campo di sterminio nazista in Italia, la Risiera di San Sabba di Trieste. Cosi' come non ci e' possibile ignorare i tanti cammini di resistenza per la giustizia e la pace che ad ogni latitudine persone di buona volonta' e comunita' conducono nel segno della speranza. Tutti invochiamo la pace, molti pregano per la pace; quando poi si chiamano per nome le situazioni di violenza, di ingiustizia, di guerra, ci si divide e pare che la ideologia e la politica soffochino la profezia della pace che e' il cuore stesso del Vangelo. Eppure "quelle cose che facevano inorridire Geremia, Isaia, Osea, Amos, sono le stesse che abbiamo davanti agli occhi, anche peggiori, che debbono farci inorridire e gridare" (Escher). Le armi in generale e quelle nucleari in particolare non servono a difendere la liberta' ma la posizione di privilegio iniquo di cui gode il mondo nord-occidentale. "Rinunciare ad esse significherebbe rinunciare al nostro vantaggio economico sugli altri popoli. La pace e la giustizia procedono insieme. Sulla strada che seguiamo attualmente, la nostra politica economica verso gli altri paesi ha bisogno delle armi nucleari. Abbandonare queste armi significherebbe abbandonare qualcosa di piu' che i nostri strumenti di terrore globale; significherebbe abbandonare le ragioni di tale terrore: il nostro posto privilegiato in questo mondo" (R. Hunthousen, arcivescovo di Seattle). La Via Crucis, segno che attinge alla verita' dell'uomo sul Golgotha, si colloca come seme nel terreno della storia: chiediamo percio' alle istituzioni civili e religiose una presa di posizione su rifiuto, allontanamento e distruzione delle testate atomiche e dei proiettili a uranio impoverito. Chiediamo altresi' che si avvii uno studio serio sulla riconversione della Base Usaf di Aviano. Ripetiamo con fiducia il gesto del seminatore, perche' non possiamo proprio rassegnarci a constatare la desertificazione della speranza, della giustizia, della legalita', dei progetti e dei segni di pace. Vogliamo contribuire affinche' nella nostra terra friulana e in ogni luogo del pianeta si possa costruire una convivenza pacifica, libera dal ricatto, dalla violenza e dalle armi. In cammino, dunque! * Adesioni Acli Regionale del Friuli Venezia Giulia, Acli Provinciali di Udine, Giovani della Acli (Ud), Associazione per la Pace di Pordenone, Associazione Armadilla (Conegliano), Caritas Diocesana (Vittorio Veneto), Caritas Parrocchia di Cristo Re (Pn), Cipax (Roma), Commissione Ecumenismo (Pn), Commissione Giustizia e Pace CNBB (Conferenza Episcopale Brasiliana) Norte II, Commissione Giustizia e Pace (Vittorio Veneto), Comitato "No AMX", Comunita' di San Martino al Campo (Ts), Centro Missionario Diocesano (Pn), Gruppo Pace di Quartier del Piave, GIM (Gioventu' Impegno Missionario) del Triveneto, IPSIA (Istituto Pace e Innovazione delle Acli) Nazionale, Missionari Comboniani (Pd), Postulanti Missionari Comboniani (Pd), Monasteri Clarisse di San Marino, Paganico (Aq), Monte Giorgio (Ap), Novaglie (Vr), Regina Mundi (Pg), Pollenza (Mc), Ravenna; Piccoli Fratelli di Alfonsine, Parrocchie di Vallenoncello, B. V. delle Grazie (Pn), Cristo Re (Pn), S. Maria Assunta (Ud), San Domenico (Ud), Zugliano; parroci forania di Valvasone (Pn), Rete Radie' Resch, Voce Isontina (Go), C.V.C.S. (Go), ufficio pastorale missionaria Diocesi di Lucca, don Angelo Moratto, Nanni Salio. * Programma - Ore 14.00: partenza da piazzetta San Marco. - Ore 18.00: arrivo davanti ai cancelli della Base Usaf. Propongono le riflessioni: mons. Ovidio Poletto, Vescovo di Pordenone; Comunita' di San Martino al Campo (Trieste); Comunita' Rinascita (Tolmezzo); GIM del Triveneto; mons. Diego Bona, vescovo presidente di Pax Christi. Sono previste alcune testimonianze in diretta telefonica da diverse situazioni del pianeta Terra (p. Jean-Marie Benjamin, da anni impegnato contro l'embargo all'Iraq e nella denuncia dell'uso dell'uranio impoverito; Gino Strada, fondatore di Emergency; un/a rappresentante della comunita' nera di San Salvador de Bahia, Brasile; suor Rosemary Linch, francescana, da trent'anni impegnata nelle lotte nonviolente contro gli esperimenti nucleari nel deserto del Nevada, Usa; mons. Melkisedek Sikuli, vescovo di Butembo-Beni, Nord-Kivu, R. D. Congo, promotore ed organizzatore del Simposio Internazionale per la Pace in Africa, tenutosi a Butembo dal 26 febbraio al primo marzo 2001). La Via Crucis si concludera' con un segno: i partecipanti saranno invitati a contribuire all'acquisto di medicinali per l'Iraq: come gesto alternativo all'uso del denaro nel mondo dell'accumulo, del consumismo sfrenato, degli investimenti inaccettabili per gli armamenti; come partecipazione alle condizioni di sofferenza e di morte, in particolare di migliaia di bambini, causate dall'embargo; come consapevolezza che la guerra del Golfo, con l'implicazione dell'Italia e anche della Base di Aviano, ha operato una svolta nella legittimazione della guerra che successivamente si e' di nuovo e terribilmente realizzata. Sara' a disposizione un bus-navetta per tornare a Pordenone. Per adesioni ed informazioni: "Beati i Costruttori di Pace" di Pordenone, tel. e fax 0434.578140; associazione nazionale "Beati i Costruttori di Pace", tel. e fax 049.8070699; Centro di accoglienza "Ernesto Balducci", tel. 0432.560699, fax 0432.562097. 4. RIFLESSIONE. NOAM CHOMSKY: L'ALIBI UMANITARIO [Il seguente intervento di Noam Chomsky e' apparso sul quotidiano "La Repubblica" il 25 aprile 1999 durante la guerra dei Balcani. Noam Chomsky e' nato a Philadelphia nel 1928. Illustre linguista, docente universitario al MIT di Boston, è uno degli intellettuali americani più prestigiosi. Da decenni impegnato per i diritti civili e dei popoli, contro la guerra e l'imperialismo. Opere di Noam Chomsky: prescindendo dagli scritti più specialistici di linguistica e filosofia del linguaggio, qui segnaliamo soltanto due volumi di conferenze: Conoscenza e libertà, Einaudi; Linguaggio e problemi della conoscenza, Il Mulino. Per quanto riguarda gli scritti di intervento civile segnaliamo almeno I nuovi mandarini, La guerra americana in Asia, Riflessioni sul Medio Oriente, tutti presso Einaudi, Torino; La quinta libertà, Alla corte di re Artù, Illusioni necessarie, tutti presso Elèuthera, Milano; Anno 501: la Conquista continua, I cortili dello zio Sam, Il club dei ricchi, tutti presso Gamberetti, Roma; La società globale (con Heinz Dieterich), presso La Piccola, Celleno (VT); Linguaggio e libertà, La fabbrica del consenso, Sulla nostra pelle, Atti di aggressione e di controllo, presso Marco Tropea. Opere su Noam Chomsky: la monografia migliore è di J. Lyons, Chomsky, Fontana Press, London 1991. Interessante ed utile il volume che raccoglie il dibattito su e tra Jean Piaget e Noam Chomsky, con contributi di vari altri studiosi: Théories du langage. Théories de l'aprentissage, Seuil. In italiano esistono molti studi su Chomsky linguista e sulla grammatica generativa trasformazionale, ma a nostra conoscenza non c'è una monografia complessiva su Chomsky come intellettuale pacifista ed attivista per i diritti umani e dei popoli] Esiste un regime di diritto internazionale e un ordinamento internazionale, basato sulla Carta delle Nazioni Unite, sulle sue successive risoluzioni e sulle sentenze della Corte internazionale. Questo regime vieta la minaccia e l'uso della forza, tranne nei casi in cui il Consiglio di sicurezza abbia dato la sua esplicita autorizzazione, dopo aver accertato l'insuccesso dei mezzi pacifici, oppure per la propria difesa in caso di "attacco armato" (un concetto restrittivo) fino all'entrata in azione del Consiglio di sicurezza. Ma esiste, quantomeno, una divaricazione, se non una diretta contraddizione, tra le regole dell'ordinamento mondiale stabilite dalla Carta dell'Onu e i diritti specificati nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. La Carta bandisce l'uso della forza in violazione della sovranita' degli Stati, mentre la Dichiarazione garantisce i diritti degli individui contro gli Stati che li opprimono. L'argomento dell'"intervento umanitario", usato per giustificare l'intervento Usa-Nato nel Kosovo, prende le mosse da questa divaricazione. Un parere su questa questione e' stato espresso sul "New York Times" da Jack Goldsmith, esperto in diritto internazionale alla Chicago Law School. Chi critica i bombardamenti della Nato, osserva Goldsmith, "dispone certo di forti argomenti giuridici", ma "molti ritengono che esista un'eccezione per l'intervento umanitario sul piano consuetudinario e pratico". Di fatto, se un'eccezione del genere esiste, deve essere basata sulla premessa della "buonafede" di coloro che intervengono. E questa presunzione di buonafede non puo' basarsi sulla retorica, bensi' sui precedenti di ciascuno di essi, in particolare in materia di osservanza dei principi del diritto internazionale, delle decisioni della Corte internazionale e cosi' via. Ad esempio, l'Iran si era offerto di intervenire in Bosnia per impedire i massacri, in un periodo in cui l'Occidente non faceva nulla per contrastarli. La proposta e' stata scartata come ridicola. Ma se si vuole essere razionali, la questione deve essere approfondita. I precedenti dell'Iran sono peggiori di quelli degli Stati Uniti in materia di interventi e di violenza? Che valutazione dare della buonafede dell'unico paese che ha opposto il suo veto alla risoluzione con la quale il Consiglio di sicurezza invitava tutti gli Stati a obbedire alle leggi internazionali? E quali sono i suoi precedenti storici? Prima dell'inizio degli attuali bombardamenti, esisteva gia' nel Kosovo una situazione drammatica, imputabile in larghissima misura alle forze militari jugoslave. Le vittime erano in maggioranza kosovari di etnia albanese. In casi del genere, il mondo esterno si trova di fronte a tre alternative: 1) aggravare la catastrofe; 2) non intervenire; 3) cercare di mitigare la catastrofe. Queste alternative sono illustrate da altri casi contemporanei. Ci limiteremo ad esaminarne alcuni di dimensioni analoghe, chiedendoci fino a che punto il caso del Kosovo corrisponda ai modelli proposti. Colombia. In questo paese, secondo le valutazioni del Dipartimento di Stato, ogni anno il numero degli assassinii politici ad opera del governo e dei gruppi paramilitari legati ad esso e' analogo a quello del Kosovo prima dei bombardamenti, e i profughi che fuggono per sottrarsi a quelle atrocita' superano di molto il milione. La Colombia occupa il primo posto tra i paesi dell'emisfero occidentale che hanno ricevuto armi e addestramento militare dagli Stati Uniti durante tutti gli anni '90, in cui la spirale della violenza ha continuato a crescere. Questi aiuti sono oggi in ulteriore aumento, con il pretesto della "guerra alla droga", giudicato del tutto inattendibile da quasi tutti gli osservatori seri. L'amministrazione Clinton ha elogiato con particolare entusiasmo il presidente colombiano Cesar Gaviria, il cui governo, secondo le organizzazioni per la difesa dei diritti umani, e' responsabile di "livelli di violenza spaventosi", che hanno segnato un peggioramento anche rispetto ai precedenti governi. In questo caso, la reazione degli Usa e' del primo tipo: aggravare le atrocita'. Turchia. In base a valutazioni molto prudenti, la repressione dei curdi in Turchia e' di dimensioni paragonabili alle violenze perpetrate nel Kosovo. Il loro punto culminante risale ai primi anni '90. Un'indicazione della portata di questa repressione e' data dall'esodo di oltre un milione di curdi, fuggiti dalle campagne per cercare scampo a Diyarbakir, capitale ufficiosa del Kurdistan, tra il 1990 e il 1994, quando l'esercito turco devastava i villaggi. Nel 1994 si registrano due dati di rilievo: secondo il giornalista Jonathan Randal, che si era recato sul posto: "Quello fu l'anno della piu' feroce repressione nelle province curde della Turchia". E fu anche l'anno in cui la Turchia "era passata al primo posto tra i paesi importatori di forniture militari americane, divenendo cosi' anche il primo paese importatore d'armi del mondo". Quando le associazioni di difesa dei diritti umani denunciarono l'uso da parte dei turchi di jet statunitensi per bombardare i villaggi, l'amministrazione Clinton trovo' il modo di eludere le leggi che imponevano la sospensione di forniture belliche alla Turchia. Ecco un altro esempio della prima alternativa: aggravare le atrocita'. Si noti che sia la Colombia che la Turchia spiegano le violenze perpetrate (con il sostegno degli Usa) adducendo la necessita' di difendere il loro paese dalla minaccia di guerriglieri terroristi. Esattamente come il governo della Jugoslavia. Laos. Nella Piana delle Giare, al nord del Laos, ogni anno migliaia di persone, per lo piu' bambini e contadini poveri, perdono la vita sul teatro delle operazioni militari degli anni '60 e '70: oggi sappiamo che quelli furono i piu' violenti bombardamenti di obiettivi civili mai registrati nella storia, e probabilmente anche i piu' crudeli. La maggior parte delle persone colpite sono vittime delle cosiddette "bombies", minuscoli ordigni anti-uomo, che provocano effetti molto peggiori delle mine. Sono congegni specificamente designati per uccidere e mutilare, mentre non provocano alcun danno ai camion, agli edifici e cosi' via. L'intera pianura e' gremita di questi ordigni, che secondo la casa produttrice, la Honeywell, hanno un grado di probabilita' del 20-30 per cento di non esplodere al primo impatto. Un dato che potrebbe denotare un controllo di qualita' particolarmente scadente, o rivelare una politica di massacro ad azione ritardata di civili. Secondo una valutazione piuttosto riduttiva, quest'anno il numero delle vittime nel Laos sarebbe approssimativamente comparabile a quello del Kosovo prima dei bombardamenti, con la differenza che tra le persone uccise dalle bombies la percentuale dei bambini e' molto piu' elevata. Sono stati compiuti molti sforzi per sensibilizzare l'opinione pubblica su questo flagello e cercare di porvi rimedio. Il Mine Advisory Group (Gruppo di consulenza sulle mine), che ha sede in Gran Bretagna, sta tentando di rimuovere questi ordigni letali, ma secondo quanto riferisce la stampa britannica, gli Stati Uniti rifiutano di mettere a disposizione i loro esperti in procedure di disinnesco, che consentirebbero di svolgere l'operazione in modo "molto piu' rapido e sicuro". Queste procedure non vengono rese pubbliche a motivo del segreto di Stato, che negli Usa copre l'intera faccenda. La stampa di Bangkok riporta una situazione molto simile in Cambogia, in particolare nella regione orientale del paese, dove i bombardamenti Usa raggiunsero il massimo dell'intensita' nei primi mesi del 1969. In questo caso, la reazione statunitense e' del tipo 2: non intervenire. E la reazione dei media e dei commentatori e' il silenzio, in osservanza alle norme in base alle quali la guerra nel Laos e' stata definita "una guerra segreta": in realta', una guerra conosciuta ma sottaciuta, come nel caso della Cambogia nel marzo 1969. Era stato raggiunto allora uno straordinario livello di autocensura, analogo a quello attuale. Kosovo. La minaccia dei bombardamenti Nato ha provocato un'impennata nell'escalation delle atrocita' dell'esercito serbo e delle forze paramilitari, aggravatesi ulteriormente in seguito alla partenza degli osservatori internazionali. Come ha dichiarato il generale Wesley Clark, comandante supremo della Nato, l'inasprimento della violenza e delle atrocita' dei serbi dopo i bombardamenti della Nato era "del tutto prevedibile". Il Kosovo e' quindi un altro esempio dell'alternativa 1: aggravare la violenza. Le aspettative erano esattamente queste. Un argomento standard e' quello di chi dice: non c'era altro da fare contro quelle atrocita'. Ma questo non e' mai vero. E' anche troppo facile trovare esempi per illustrare l'alternativa 3, almeno per chi voglia attenersi alla retorica ufficiale. In un suo saggio, uno dei piu' importanti tra i recenti studi accademici sugli "interventi umanitari", Sean Murphy analizza gli avvenimenti successivi al patto Kellogg-Briand del 1928, che dichiarava illegale la guerra, e quindi gli sviluppi del periodo successivo alla promulgazione della Carta dell'Onu, nella quale quel testo era stato articolato e rafforzato. Nel primo dei periodi esaminati, scrive Murphy, gli esempi di "interventi umanitari" di maggior rilievo sono l'aggressione giapponese contro la Manciuria, l'invasione dell'Etiopia per ordine di Mussolini e l'occupazione di alcune zone della Cecoslovacchia da parte delle truppe di Hitler. Tutte queste azioni di guerra sono state accompagnate da un'edificante retorica umanitaria. Il Giappone doveva creare un "paradiso in terra" e difendere la popolazione della Manciuria dai "banditi cinesi", con il sostegno dei leader nazionalisti cinesi: una figurazione assai piu' credibile di tutte quelle che gli Usa siano riusciti ad rappresentare durante il loro attacco contro il Vietnam del Sud. Mussolini doveva liberare migliaia di schiavi e portare avanti la "missione di civilta'" dell'Occidente. Quanto a Hitler, aveva proclamato l'intenzione della Germania di porre fine alle tensioni etniche e alla violenza, nonche' di "salvaguardare le individualita' nazionali dei popoli tedesco e ceco". Il presidente slovacco gli aveva chiesto di dichiarare la Slovacchia un protettorato. Paragonare queste oscene giustificazioni con quelle addotte per gli attacchi armati e i vari "interventi umanitari" del periodo successivo alla Carta dell'Onu puo' costituire un utile esercizio intellettuale. In quel periodo, l'esempio forse piu' pregnante di alternativa 3 e' l'invasione vietnamita della Cambogia, nel dicembre 1978, che ha posto fine alle atrocita' di Pol Pot. Il Vietnam invoco' allora il diritto di difendersi contro un attacco armato. Nel periodo in questione, questo fu uno dei pochi casi in cui l'argomento della difesa era plausibile. I Khmer Rossi o DK (Democratic Kampuchea) stavano perpetrando una strage nelle zone di confine. La stampa Usa condanno', accusandoli di oltraggio e violazione della legalita' internazionale, i "prussiani" dell'Asia, che furono duramente puniti per aver posto fine ai massacri di Pol Pot, prima con l'invasione cinese (sostenuta dagli Usa), e quindi con l'imposizione di durissime sanzioni da parte degli Stati Uniti. L'America riconobbe l'espulsa DK come governo ufficiale della Cambogia, adducendo la sua "continuita'" con il regime di Pol Pot, come ebbe a spiegare il Dipartimento di Stato. E successivamente, senza troppe finezze, gli Usa sostennero i Khmer Rossi nei loro continui attacchi alla Cambogia. Nonostante gli sforzi disperati degli ideologi per dimostrare che il cerchio e' quadrato, e' difficile dubitare degli effetti distruttivi dei bombardamenti Nato su cio' che resta della fragile struttura delle leggi internazionali. Gli Usa lo hanno detto peraltro con estrema chiarezza, nel corso delle discussioni conclusesi con la decisione della Nato. A parte il Regno Unito (che attualmente e' indipendente pressappoco quanto lo era l'Ucraina prima dell'avvento di Gorbaciov) i paesi della Nato si sono dimostrati scettici nei confronti della politica Usa. Oggi, l'opposizione all'insistenza di Washington sull'uso della forza e' in aumento, anche all'interno della Nato, in particolare nei paesi piu' vicini al teatro del conflitto (Grecia e Italia). La Francia ha chiesto una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu per autorizzare lo spiegamento di forze Nato di mantenimento della pace; richiesta alla quale gli Usa hanno opposto un rifiuto netto, riaffermando con insistenza che la Nato "deve poter agire indipendentemente dalle Nazioni Unite", come hanno spiegato esponenti ufficiali del Dipartimento di Stato. Analogamente, i bombardamenti sull'Iraq hanno costituito un'espressione plateale di disprezzo per l'Onu, manifestatasi anche attraverso la scelta del momento per scatenare l'attacco, e recepita come tale. Lo stesso vale per gli attacchi che alcuni mesi prima avevano distrutto meta' degli impianti di produzione farmaceutica di un piccolo Stato africano. Fu durante gli anni della presidenza Reagan che gli Usa assunsero una posizione di aperta sfida nei confronti del diritto internazionale e della Carta dell'Onu. Le massime autorita' spiegarono con brutale chiarezza che la Corte internazionale, l'Onu e gli altri organismi ormai non contavano piu' nulla, dato che non ottemperavano piu', come negli anni del dopoguerra, agli ordini degli Usa. Sotto la presidenza di Clinton, la sfida all'ordine mondiale e' divenuta cosi' estrema da preoccupare tutti gli analisti politici, compresi i piu' accaniti falchi. Nell'ultimo numero di "Foreign Affairs", il piu' importante giornale dell'establishment, Samuel Huntington avverte che agli occhi di buona parte del mondo (probabilmente della maggior parte) gli Usa "stanno diventando la superpotenza malandrina", e sono considerati come "la principale minaccia esterna contro le rispettive societa'". Gli Usa hanno scelto una linea d'azione che conduce, come hanno esplicitamente riconosciuto, a un'escalation (prevedibile, secondo l'espressione di Clark) delle atrocita' e della violenza; e ovviamente, cosi' facendo assestano un nuovo colpo a un ordinamento internazionale che ancora offre ai piu' deboli almeno una limitata protezione nei riguardi degli stati predatori. Le conseguenze a piu' lungo termine sono impossibili da prevedere. Un argomento standard e' che bisognava per forza intervenire: davanti a quelle atrocita' non c'era altro da fare. Ma questo non e' mai vero. La scelta dovrebbe essere sempre quella dettata dal principio di Ippocrate: "Prima di tutto, non nuocere". Se non si riesce a trovare un modo per rispettare questo elementare principio, meglio astenersi dall'agire. Esistono sempre altre vie da prendere in considerazione. Quelle della diplomazia e dei negoziati non sono mai esaurite. Il diritto all'"intervento umanitario" sara' probabilmente invocato sempre piu' spesso in futuro - in maniera giustificata o meno - ora che i pretesti della guerra fredda hanno perduto la loro efficacia. Percio' vale forse la pena di ascoltare un commentatore altamente autorevole come Louis Henkin, professore emerito di diritto internazionale alla Columbia University. In un suo libro che e' un testo di riferimento nel campo dell'ordinamento internazionale, Henkin definisce "deplorevoli le pressioni volte a erodere il divieto dell'uso della forza" e dichiara: "Gli argomenti addotti per legittimare l'uso della forza (in caso di violazioni dei diritti umani) sono poco convincenti e pericolosi. Tali violazioni sono purtroppo talmente diffuse che se si ammettesse la possibilita' di porvi rimedio attraverso l'uso esterno della forza, non vi sarebbero piu' leggi in grado di vietare l'uso della forza contro qualsiasi stato da parte di qualsiasi altro. Credo che si debbano rivendicare i diritti umani, e porre rimedio ad altre ingiustizie, in maniera diversa, con mezzi pacifici, e non aprendo le porte alle aggressioni e vanificando il piu' importante passo avanti compiuto nel campo del diritto internazionale: quello che ha posto fuori legge la guerra e ha proibito l'uso della forza". Certo, questi principi non risolvono automaticamente i problemi specifici. In ogni singolo caso va considerato il merito della questione. Chi rifiuta di adottare il modello comportamentale di Saddam Hussein deve assumersi il non facile onere della prova, quando si tratta di far uso della minaccia o di ricorrere alla forza in violazione ai principi dell'ordinamento internazionale. Forse, le condizioni per far fronte a quest'onere ci sono. Ma questo deve essere dimostrato, e non soltanto proclamato con argomenti retorici ed emotivi. E le conseguenze di ogni violazione del genere devono essere accuratamente valutate, in particolare riguardo a cio' che si considera "prevedibile". 5. URANIO IMPOVERITO. MASSIMO ZUCCHETTI: OSSERVAZIONI CRITICHE SUL RAPPORTO MANDELLI [Diffondiamo questa qualificatissima presa di posizione del prof. Massimo Zucchetti, docente al Politecnico di Torino] Con riferimento ai lavori della Commissione scientifica sull'uranio impoverito nominata dal Ministro della Difesa, presieduta dal prof. Mandelli, il sottoscritto ha esaminato la Relazione Preliminare emessa dalla Commissione in data 19.3.2001. Nell'esprimere apprezzamento per il lavoro effettuato dai membri della Commissione e per i dati messi a disposizione, si esprime stupore tuttavia sul fatto che i risultati di questo lavoro siano stati intesi come "Assoluzione dell'uranio impoverito", facendo ampio torto al reale contenuto del rapporto stesso e alle dichiarazioni dello stesso prof. Mandelli. Inoltre, sullo specifico del metodo utilizzato nel rapporto e sui suoi risultati preliminari, verranno espresse alcune osservazioni critiche, atte piu' che altro, se prese in considerazione, a migliorarne i contenuti. 1) La relazione preliminare non e' (e non poteva essere) una "assoluzione" dell'uranio impoverito. Il sottoscritto in particolare, a questo riguardo, concorda pienamente con il prof. Mandelli ed i membri della Commissione sui seguenti punti: - Si tratta di una relazione preliminare su un aspetto specifico dell'intera questione, ovvero la maggior incidenza di tumori rispetto al normale nei militari italiani in missione nei Balcani. - La quantita' di dati a disposizione era troppo esigua per poter permettere sia di negare sia di affermare con certezza il legame fra uranio impoverito e certe neoplasie. - Sara' necessario un accurato monitoraggio nel tempo, sia per quanto riguarda l'acquisizione di eventuali nuovi casi, sia per controlli da effettuare su altre popolazioni a rischio, sia per seguire nel tempo la coorte dei soggetti militari esposti. E' necessario in particolare aggiornare il numero di casi di neoplasie mediante l'acquisizione della documentazione necessaria alla conferma diagnostica delle segnalazioni che arriveranno alla Commissione nei prossimi mesi. - Il ruolo di altre cause oltre all'uranio impoverito non ha potuto essere preso in considerazione. - Le considerazioni effettuate sul ruolo dell'uranio impoverito sono preliminari e derivano dalla letteratura e dalle campagne recenti dell'Unep. - L'incidenza di alcune forme tumorali (linfoma di Hodgkin, ma anche altre) e' superiore all'atteso, anche se, viste le precedenti premesse, erano di statistica dubbia e l'attribuzione all'uranio impoverito non e' stata possibile. Vi sono tuttavia lavori in letteratura che indicano una possibile correlazione fra linfoma di Hodgkin e esposizione interna da uranio impoverito. Se questa e' una sentenza assolutoria, allora il sottoscritto qui, alla pari dei membri della Commissione nel Rapporto, si e' probabilmente espresso in una lingua diversa dall'italiano corrente! 2) Sui seguenti punti della relazione si esprimono invece alcune perplessita' e osservazioni. In particolare: A) La statistica sulla normalita' o meno rispetto all'atteso del numero di casi di malattia riscontrati dipende ovviamente da due parametri, cioe': a) Il numero di casi di tumore preso in considerazione. b) La popolazione globale presa come campione statistico. Se infatti 10 casi di tumore, ad esempio, sono "sotto il normale" su una popolazione di 1 milione di persone, sono "sopra il normale" su una popolazione di 1.000 persone. Sulla determinazione di queste grandezze il rapporto solleva dei dubbi. Infatti: a) L'esame dei casi di malattie e morti attribuibili all'uranio impoverito deve prendere in esame, vista l'esiguita' del fenomeno, la maggior base possibile di casi significativi, per migliorare la affidabilita' dell'indagine. Allora, i molti ulteriori casi segnalati dalle associazioni di militari colpiti (quali la AnaVafaf e altre) non possono non essere presi in considerazione, e probabilmente, visti i piccoli numeri, potrebbero modificare alcune delle conclusioni ora tratte nel Rapporto. b) La popolazione considerata "esposta" ai fini della statistica sulla normalita' dell'insorgenza dei tumori e' di ben 57.164 soggetti, includendo fra i potenzialmente esposti anche soggetti che sono stati nei Balcani per una sola volta e per tempi brevissimi (anche fino ad un sol giorno, in teoria), oppure in date talmente posteriori ai bombardamenti e/o in luoghi cosi' lontani da essi da poterne escludere con ogni probabilita' l'esposizione da uranio. La statistica stessa sui colpiti da linfoma di Hodgkin, ad esempio, indica in 173 giorni la durata media della permanenza, con un minimo di 64 giorni per un solo caso. In sostanza, se si includono nella statistica persone che all'uranio non sono state esposte mai, da un lato, e si escludono invece casi di patologie che potrebbero aumentare la statistica, dall'altro, risulta ovvio come si possa giungere alle conclusioni sulla "normalita' rispetto alle attese" dell'incidenza di tumori. B) Per quanto riguarda lo screening dei militari esposti per accertare l'esposizione ad uranio impoverito (ovvero gli esami da effettuare su potenziali contaminati, ma senza patologie) e' ben noto [si veda come solo esempio la ref. 1] che esami ematologici e delle urine "standard" non possono, a distanza di qualche anno, rilevare alcunche', tranne il caso di militari con proiettili ritenuti, che non si applica qui. La tipologia di esami da effettuare risulta piu' complessa in questo caso. E' anche improbabile, che, a distanza di anni, il meccanismo di esposizione alla risospensione di polveri da parte di militari "alla prima esperienza" sia in grado, a distanza di anni dai bombardamenti, di provocare in costoro una esposizione significativamente rilevabile. Si fa notare in ultimo che l'analisi "Whole Body Counter" e' poi inefficace alla rilevazione di contaminazioni da alfa emettitori quali l'uranio. C) Si concorda con la Commissione che la via di esposizione piu' rilevante per l'uranio impoverito e' l'inalazione e che, dai polmoni, una frazione non trascurabile dell'attivita' in questi depositata si concentri nei linfonodi del mediastino. Questo tuttavia, al di la' delle comprensibili cautele e premesse della Commissione gia' esaminate, appare un segnale significativo di correlazione fra l'eccesso di casi di linfomi di Hodgkin e l'esposizione a uranio impoverito. Si concorda pero' su come occorra meglio chiarire il ruolo della contaminazione interna da uranio nella eziologia dei linfomi, campo di ricerca sul quale non vi sono sufficienti dati. D) Fra le statistiche del UNSCEAR citate nel Rapporto riguardo il linfoma di Hodgkin, risultano purtroppo di scarsa utilita' quelle legate a esposizione a Iodio-131 e al gas Radon, mentre e' interessante la statistica del 1994 che riporta, fra i lavoratori addetti alla lavorazione del minerale uranifero (quindi professionalmente esposti a inalazione di polveri di uranio) casi in eccesso di linfoma di Hodgkin, pur in presenza di normale incidenza di tumori a polmoni e ossa. E) La citazione dei rassicuranti risultati del rapporto UNEP [2]: "non e' stata registrata una contaminazione significativa delle aree sottoposte a mitragliamento con dardi all'uranio impoverito" non rassicura affatto, purtroppo, a causa di forti dubbi riguardo la liceita' di tali conclusioni. Infatti: - Le misurazioni sono state fatte a distanza di anni dai bombardamenti. Il sottoscritto ha gia' ampiamente spiegato in altre sedi [3] come sia improbabile, a distanza di anni, rilevare l'inquinamento da DU con le usuali misure di contaminazione ambientale. Occorre ricorrere a bioindicatori/bioaccumulatori, nei quali si puo' ancora rilevare il DU anche dopo parecchio tempo dai bombardamenti. - Il rapporto afferma infatti di non aver trovato concentrazioni ambientali rilevanti di DU e questo appunto non stupisce. Tuttavia, contraddice le sue stesse conclusioni (il DU in seguito ad un bombardamento non si sparge nell'atmosfera se non entro un piccolo raggio dall'esplosione, ergo l'esposizione della popolazione nel suo insieme risulta trascurabile), leggendo quanto scritto nell'Appendice VI del Rapporto stesso. - In essa vengono riportati i dati sui rilevamenti di DU in certi bioindicatori (licheni e muschi). Si legge che in tutti i casi in cui si e' ricorso a questa misura si e' trovato rilevante traccia di DU, segno che esso si era polverizzato e sparso nell'atmosfera. Questo, anche in concomitanza con rilevazioni nulle di contaminazione del suolo. Si raccomanda nel Rapporto l'uso di questi bioindicatori in future rilevazioni. - Questa appare percio' una implicita affermazione di non aver utilizzato le tecniche piu' adeguate per la rilevazione del DU. Risultano percio' opinabili ed inficiate tutte le affermazioni del rapporto sulla pericolosita' del DU. - Inoltre, solo in 11 siti sugli oltre 100 indicati sono state effettuate misurazioni. Date le caratteristiche "a spot" dell'inquinamento da DU, questo compromette la completezza ed esaustivita' dell'indagine. F) Si concorda con la Commissione che i coefficienti di rischio attualmente raccomandati dall'ICRP (derivati da alte esposizioni croniche esterne principalmente a nuclidi beta e gamma emettitori - statistiche su Hiroshima, Nagasaki e pazienti alto-irraggiati per errate cure con raggi X negli anni quaranta) siano di difficile applicazione al caso in esame (esposizioni interne croniche ad alfa emettitori). Questo, tra l'altro, costituisce un ulteriore elemento di critica a molte delle rassicuranti stime recentemente pubblicate [4]. In conclusione, il sottoscritto, al contrario di considerarlo una sentenza assolutoria, considera il Rapporto della Commissione come un pregevole primo risultato di una analisi che andra' ovviamente completata. Segnala in particolare la necessita' di migliorare e rivedere la statistica (come riportato nel punto A di questo Documento) e di proseguire nell'interessante analisi della correlazione fra alcune forme tumorali (linfoma di Hodgkin) e l'esposizione interna da Uranio (punti C e D di questo Documento). Rimanendo a disposizione per ogni eventuale chiarimento, porgo distinti saluti, Prof. Ing. Massimo Zucchetti Professore di Ruolo di Impianti Nucleari, DENER - Politecnico di Torino * Note 1. F. J. Hooper et al., "Elevated urine uranium excretion by soldiers with retained uranium shrapnel", Health Phys. 77(5) (1999) 512-519. 2. Unep, Depleted Uranium in Kosovo - Post-Conflict Environmental Assessment, marzo 2001, reperibile al sito: http://balkans.unep.ch/du/reports/report.html 3. M. Cristaldi, A. Di Fazio, C. Pona, A. Tarozzi, M. Zucchetti, "Uranio impoverito (DU). Il suo uso nei Balcani, le sue conseguenze sul territorio e la popolazione", "Giano", n. 36 (sett.-dic. 2000), pp. 11-31. 4. Unione Europea, Opinion of the group of experts established according to Article 31 of the EURATOM Treaty - Depleted Uranium, reperibile al sito: http://europa.eu.int/comm/environment/radprot/opinion.pdf 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ; per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ; angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 159 del 24 marzo 2001
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