REPORTAGE TURCHIA



ASSOCIAZIONE COMUNITÀ
PAPA GIOVANNI XXIII
Servizio Odc - Pace - Caschi Bianchi


Reportage
Turchia
27 Aprile 2000


Missione di Pace 2000


 Bambini Nemici Dello Stato

Resoconto della missione di Pace in Turchia effettuata dal 18 marzo al 3 aprile 2000 dai volontari della Comunita' Papa Giovanni XXIII.

Per le strade di Diyarbakir abbiamo incontrato decine di bambini. Vivono intorno ai bidoni dell'immondizia, alla ricerca di qualche avanzo o di qualche oggetto da rivendere per poche lire turche. Sono i figli dei profughi che nel corso della guerra - oltre tremila villaggi saccheggiati e bruciati dall'esercito - si sono ammassati ai margini delle citta'. Ci sono bambini che lucidano le scarpe ai passanti. Sniffano una colla che esala un gas profumato, serve per non sentire i morsi della fame. Nell'agosto scorso abbiamo assistito a un processo di 5 minorenni, dagli 8 ai 16 anni, più un maggiorenne di 20 anni. L'accusa e' di separatismo, per aver scritto più volte sui muri della scuola di Diyarbakir frasi del tipo 'basta con la guerra, vogliamo la pace', 'la rivoluzione arriva dove non c'è umanità', 'abbasso il fascismo' e ' viva la fratellanza del popolo'. Erano scomparsi anche dei computer dalla scuola. L'avvocato sostiene che i ragazzi sono stati incarcerati preventivamente per oltre un anno e subito torture con scariche elettriche, per costringerli a firmare un'autocondanna ammettendo di essere gli autori sia delle scritte che del furto dei computer. Il 14 Aprile si è concluso il loro processo.

I minorenni curdi sono stati condannati dal tribunale speciale di Diyarbakir con pene da due a dodici anni e mezzo di prigione per collaborazione con il Pkk. La condanna più pesante è toccata a Aslan Erin, ventenne, ex-presidente del partito Hadep. La difesa, condotta dall'avvocato Muharren Erbey, si prepara a fare appello in cassazione ed eventualmente alla Corte Europea dei Diritti Umani. I dati ufficiali del Ministero di Giustizia parlano di 221 casi di bimbi condannati per reati di vario genere, per l'anno passato, nel sud-est della Turchia. Ma quello che piu' sconcerta e' il trattamento subito da chi ha commesso i cosidetti 'reati politici', come il caso precedentemente raccontato.

Un bambino dagli otto ai diciassette anni puo' essere incriminato per motivi politici con diversi capi d' accusa. Ad esempio, per avere parlato o cantato in pubblico in lingua curda, oppure per avere distribuito volantini o giornali proibiti. Sono 68 i bambini condannati a morte dal tribunale di Diyarbakir. Oggi la loro pena e' stata commutata a 20 anni di carcere. Nella fase istruttoria del processo non hanno avuto diritto ad un avvocato, si sono difesi da soli. Incarcerati nelle celle degli adulti, spesso subiscono le medesime torture. La piu' usata e' la scarica elettrica, perche' non lascia segni sul corpo. Ma c'e' dell'altro: spesso i prigionieri vengono spogliati, poi sottoposti a interrogatori che durano anche due settimane. Anche se non lasciano traccia fisica, sono marchi indelebili per la testa e la memoria di un bambino. Chi ha provato questa esperienza una volta tornato a casa stenta a dormire di notte. E ogni volta che qualcuno bussa alla porta, ha il terrore che la polizia sia tornata a prenderlo.
 Diyarbakir

Siamo partiti il 19 marzo per Diyarbakir, città principale del sud-est della Turchia, a maggioranza curda. Lo scopo del viaggio era la nostra presenza al Newroz (il capodanno curdo) che cade il 21 Marzo. Quest'anno la manifestazione è stata particolarmente importante perché per la prima volta il governo turco ha dato l'autorizzazione ai festeggiamenti nelle principali città del Kurdistan.

La gente che abbiamo incontrato ci diceva che finalmente si sarebbe festeggiato un Newroz di pace. Con la nostra presenza abbiamo cercato di scoraggiare eventuali violenze sulla popolazione civile, per sostenere questo piccolo segno di distensione concesso dal governo e raccolto dal popolo curdo.Per raggiungere il luogo dei festeggiamenti dobbiamo arrivare a dieci chilometri di distanza dalla città, in un luogo periferico scelto per evitare eventuali scontri dovuti all'arrivo delle 150 mila persone previste per l'evento.Ci dicono che la polizia in quest'area è abituata a reprimere le manifestazioni, non a vegliare sulla sicurezza della gente.

Abbiamo incontrato anche altre delegazioni europee provenienti da vari paesi: Francia, Germania, Belgio. L'appuntamento piu' importante è con Hadep, il partito politico che ufficialmente ha organizzato i festeggiamenti e ha 'contrattato' con i rappresentanti del governo turco tempi e modalità di svolgimento. Entrando nella sede del partito, abbiamo l'impressione che le decine di uomini e donne presenti nell'ufficio siano in attesa di qualcosa di molto importante, qualcosa che noi italiani non riusciamo a cogliere fino in fondo. Ci accolgono tutti con abbracci e strette di mano, con la forza di chi non sa parlare la stessa lingua ma vuole farsi capire e ci riesce benissimo. E' un saluto fra persone che non si conoscono, ma si sentono sullo stesso cammino.

Uno dei rappresentanti di Hadep ci ha ricevuto assieme ad altre persone, spiegandoci che questo Newroz dovrà essere un eco per la pace in Turchia e che l'obiettivo della gente sarà di lavorare per la democratizzazione della Turchia con mezzi pacifici. Hadep ha invitato alla festa anche il governatore della regione e degli artisti turchi. Quattro ragazzi curdi, che ci hanno fatto da interpreti nel corso dei nostri incontri, ci hanno guidato in uno dei quartieri popolari della città costruiti per raccogliere le migliaia di profughi provenienti dai villaggi distrutti dalla guerra. La gente passeggia per le strade sterrate attorno ai palazzoni, e nell'aria si respira tensione mista a euforia. In attesa della festa, qualcuno prepara i tradizionali fuochi del Newroz che verranno accesi qualche ora prima della mezzanotte.

Tuttavia il giorno prima della festa è solo un giorno qualunque, e lo dimostra l'atteggiamento degli agenti che ci hanno seguito a vista ininterrottamente. Mentre i nostri interpreti ci accompagnavano alla fermata dell'autobus per fare rientro a casa, all'improvviso ci ritroviamo circondati da moto, auto e pulmini della polizia. Scendono dai mezzi una trentina di poliziotti quasi tutti in borghese, cominciano a interrogarci e a perquisire i nostri zaini. La stessa sorte tocca ai nostri quattro amici. Veniamo caricati tutti su un furgone che ci porta alla questura, dove veniamo incappucciati uno alla volta, con gli abiti messi sopra la testa.

Tenendoci per il collo o per i capelli, ci trascinano a ginocchia piegate e schiena curva per una scalinata e un corridoio fino ad arrivare alla stanza dell'interrogatorio. Chi sei? come ti chiami? cosa fai qui? sei un missionario? non sai che la Turchia è un paese bello, senza problemi? Le nostre risposte rispetto alle loro domande e ai ceffoni che arrivano sulle nostre teste sembrano insignificanti. Come se stessero parlando con un asino dal quale non si ha la pretesa di ricevere una risposta. Finito l'interrogatorio ci vogliono portare all'albergo. Noi insistiamo a voler uscire con i ragazzi nostri amici. La riposta è ovvia: "Non sono cose che vi riguardano, qui si fa quello che diciamo noi". Ci aspetta un'interminabile notte insonne alla ricerca di una soluzione per aiutare i ragazzi ancora prigionieri nella questura: telefoniamo al console italiano ad Ismir, ad un avvocato che li possa assistere ma rimaniamo impotenti con l'ordine della polizia di non uscire dalla stanza fino a domattina. Speriamo…e preghiamo, in attesa della luce del giorno.

E' la mattina del Newroz, ma come prima cosa dobbiamo informarci sulla situazione dei nostri amici. Andiamo all'appuntamento ad Hadep disposti anche a rinunciare a monitorare la festa per correre in questura con un avvocato. Fortunatamente i ragazzi sono stati rilasciati durante la notte senza subire altre violenze. Saliamo sul primo taxi sgangherato e corriamo al luogo della festa. Lungo il tragitto veniamo fermati come tutti dai poliziotti in divisa. Passiamo a piedi due controlli, uno della polizia e uno del servizio d'ordine di Hadep, che evidentemente ci tiene a far sì che non ci sia gente armata e che tutto vada per il meglio. Arriva gente da tutte le parti del sud-est con i mezzi più disparati: chi con il proprio trattore, chi con pulman o auto, chi a piedi dai villaggi vicini.

Il luogo del Newroz è circondato dalle forze dell'ordine turche ma la gente non è preoccupata, continua a ballare, cantare e a suonare senza sosta fino al termine delle sei ore di libertà. Ci sembra di assistere ad una scena grottesca di un film di Kusturica, dove in un carcere gigantesco oltre 150 mila persone festeggiano le uniche sei ore d'aria di cui possono usufruire nel corso di un anno. La nostra impressione e' che le organizzazioni della società civile curda abbiano risposto in modo maturo e responsabile a questa concessione da parte del governo di Ankara

Istanbul

Ad Istanbul abbiamo incontrato la scrittrice Nadire Mater, giornalista dell'Ips (l'agenzia di stampa turca) e membro di 'Reporters Senza Frontiere'. Nadire e' autrice de "Il libro di Mehmet", un testo in cui vengono raccolte le interviste fatte a 42 ex militari di leva che negli ultimi 15 anni hanno combattuto nel sud-est del paese partecipando alla guerra tra l'esercito turco e il Pkk. Dalle risposte dei ragazzi intervistati emergono la sofferenza e le tragedie personali di quanti, per 'amor di patria', si sono ritrovati a combattere un 'nemico invisibile' al di là delle montagne del Kurdistan.

Nadire Mater e Semih Sokmen, l'editore del libro, rischiano fino da sei a tredici anni di carcere per 'insulto e vilipendio contro il sistema militare'. Tutto è cominciato nell' aprile del 1998, quando in Turchia e' uscita la prima delle tre edizioni del libro, un best-seller di cui sono stati gia' venduti piu' di 15.000 esemplari.

Vorremmo far pubblicare il libro in Italia, in modo da sostenere Nadire e la sua casa editrice. Il prossimo 5 maggio ci sarà una nuova udienza del processo contro la scrittrice e il suo editore, e forse sara' la definitiva. Nadire è serena, e non teme le possibili conseguenze legali. Sa che oramai la verità ha bucato il muro del silenzio imposto dal regime, e si sente appoggiata dalla gente e da numerosi gruppi internazionali che lottano per il rispetto dei diritti umani. Come lei stessa ci ha detto, "non sono io ad essere sotto accusa ma le migliaia di giovani militari che ogni anno vengono obbligati a combattere in una guerra che non vogliono e di cui non ne comprendono il significato. (…) Se saremo condannati, il nostro processo rappresenterà più di una drastica violazione della libertà di stampa e del diritto dell'opinione pubblica di sapere. Questo sarà un attentato a tutti i giovani militari, ora e per sempre".

Piu' di 100 articoli e numerosi reportage televisivi e radiofonici hanno gia' denunciato la situazione di Nadire Mater, passata sotto silenzio unicamente sulla stampa italiana. La scrittrice turca chiede ai giornalisti, agli attivisti per i diritti umani e a tutte le persone che hanno a cuore la libertà di stampa e di opinione, di sostenere la causa per la libera circolazione de 'Il libro di Mehmed' e la sua assoluzione assieme all'editore Semih Sokmen.

Obiettori Fuorilegge

Nel corso del nostro viaggio abbiamo incontrato anche lo Iami (Iniziativa Antimilitarista di Istanbul), un gruppo di ragazzi e ragazze che si dichiarano obiettori di coscienza e rifiutano ogni forma di violenza. Tra i ragazzi dello Iami c'e' Ugur Yorulmaz, un ragazzo che il prossimo 15 maggio si consegnerà alle autorità turche dichiarandosi pubblicamente obiettore di coscienza e rifiutando quindi l'arruolamento nelle forze armate. In Turchia non è riconosciuto il diritto all'obiezione di coscienza e chi obietta viene considerato disertore, mentre per il fatto di rendere pubblico tale atto si incorre in una condanna supplementare con l'accusa di allontanare le persone dal servizio militare. La pena è il carcere a vita.

Ugur e i gli attivisti dello Iami stanno lanciando una 'Campagna per la pace, l'antimilitarismo, l'obiezione di coscienza e per una cultura nonviolenta'. Il progetto consiste in due appuntamenti: il primo è la 'Festa dell'Obiezione di Coscienza' che si svolgerà a Istanbul il 15 maggio prossimo. Ci sarà un concerto rock con gruppi antimilitaristi, mostre fotografiche sulla guerra, dibattiti e la dichiarazione pubblica di obiezione di coscienza di Ugur. Seguirà un'azione su vasta scala contro l'obbligo del servizio militare con lo slogan: 'Libertà per l'Obiezione di Coscienza'. Secondo Ugur "perché quest'iniziativa possa avere il massimo risultato abbiamo bisogno di persone che condividano con noi questo giorno di festa, per far capire al governo del paese che il problema non è solo 'affare turco' ". Sarebbe anche importante radunare fondi per affrontare le spese che richiede l'organizzazione di questa campagna. E' questo l'appello pressante che Ugur rivolge alla società civile italiana ed internazionale, in particolare agli obiettori e a tutti coloro che si riconoscono nei valori della pace, dell'antimilitarismo e dei diritti umani. Per questo suo gesto anche Ugur rischia di finire in carcere. Ed è anche per sostenere il suo coraggio e la sua coerenza che ci uniamo al suo appello, dandoci appuntamento ad Istanbul il 15 maggio 2000.




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