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un agenda per il dopo Seattle
- Subject: un agenda per il dopo Seattle
- From: Alessandro Marescotti <kfqma at tin.it>
- Date: Tue, 07 Mar 2000 19:16:54 +0100
From: LUCCHESI FABIO <amfut at tin.it> Metto in rete la versione integrale dell'articolo pubblicato domenica dal manifesto L'articolo riprende le proposte sul dopo Seattle presentate lo scorso mercoledì come Rete Lilliput a stampa e parlamentari e prova a ragionare su alcuni scenari futuri Il post scriptum, che il manifesto non ha pubblicato, è dedicato alla proposta formulata dal Qatar (!!) di ospitare la prossima conferenza ministeriale dopo Seattle Chi pensa a preparare il travestimento da cammelli? MAURIZIO MELONI un agenda per il dopo Seattle A due mesi dagli eventi, la battaglia di Seattle è ormai divenuta una categoria dello spirito. La riflessione su quel movimento crea entusiasmo e alimenta sogni di trasformazione sociale. Evocare quella vicenda suscita terreni e linguaggi comuni tra frammenti e sensibilità diverse. Decine di affollatissimi dibattiti in tutta Italia ("come non si vedeva da anni", commentano molti degli organizzatori locali), in cui non è raro sentire affermazioni come: "è la prima vittoria dopo tanti anni". Probabilmente non lo è, tuttavia, inequivocabilmente, la vicenda Seattle sposta l'agenda internazionale "a sinistra" (parola quantomai inadeguata, soprattutto su questi temi); un esempio è la recente ratifica, a Montreal, del Protocollo sulla biodiversità, impensabile senza il collasso della Terza Conferenza Ministeriale della Wto. Gli opinionisti, la grande stampa, le televisioni, i Forum ufficiali, volenti o nolenti sono costretti a fare i conti con le troppe zone d'ombra della globalizzazione. Esemplare il discorso di Clinton a Davos. Confrontate le affermazioni sulla bontà della Wto fatte prima di Seattle con quelle di oggi. Grandi organizzazioni sociali e sindacali che solo fino a qualche mese fa consideravano poco più che folkloristici, comunque politicamente non vendibili, i temi e gli stili della battaglia di Seattle, oggi si propongono di ripartire da lì. Tutto bene, si dirà. Rimane tuttavia che nel dibattito su Seattle c'è un convitato di pietra, un'assenza paradossale: la Wto. Ovvero i contenuti materiali di quella battaglia. Molto è stato scritto e detto sul movimento di Seattle, ma nulla o quasi sullo scenario futuro di questo Organismo. Cosa bisogna farne? Abolirlo? Riformarlo? Lasciarlo com'è, ma affiancandogli degli organismi che ne limitino le funzioni e lo strapotere? E' un tema tecnico, si dirà. Ma i movimenti che hanno animato la controagenda di Seattle erano lì per mettere al centro del dibattito pubblico la grave questione democratica aperta dall'operato della Wto. Un grande simbolo, certo, della globalizzazione. Ma pure un'istituzione in carne e ossa, con le sue regole, i suoi poteri, i suoi equilibri. Uno dei grandi punti di forza del movimento di Seattle (evidentissimo negli slogan della Big march di martedì 30) è stata la grande capacità di unire una proposta radicale ma anche dettagliata e articolata sulla Wto alla diffusione capillare, popolare del tema. Due gambe di una battaglia che vanno tenute insieme, per evitare di avere un gran parlare su Seattle senza affrontare poteri e meccanismi concreti che quel movimento ha provato a mettere in discussione. Per evitare che Seattle diventi una piattaforma girevole su cui ognuno possa accomodarsi senza coglierne il rivolgimento interno che esso comporta, il cambiamento di stili che esige, la radicalità che richiede. L'ispirazione di Seattle, se così si può dire, andrà misurata sulle cose concrete. Rimettere in discussione modelli, poteri, schemi della globalizzazione deve rimanere il termometro di quell'onda lunga. Dunque, che fare della Wto? Mai come oggi questa domanda suona urgente. Fino a ieri le Campagne e i movimenti emersi a Seattle hanno potuto strutturare la propria strategia intorno alla piattaforma comune che chiedeva di bloccare il nuovo Round negoziale ("Stop Millennium Round"), rivedere gli accordi esistenti, escludere nuovi temi dall'Organizzazione (come gli investimenti e la spesa pubblica). Ma ora è necessario un passo in avanti. La Wto sta rimettendo in piedi il negoziato su temi già in agenda prima di Seattle (agricoltura e servizi) con la prospettiva non remota che questi facciano da volàno ad un nuovo Round onnicomprensivo (è la posizione del Commissario europeo). La volontà di cooptazione dei movimenti di Seattle costituisce inoltre un elemento ulteriore che spinge nella direzione di dover far chiarezza sul cosa vogliamo. Se non si ha una bussola precisa si rischia di finire a fare tappezzeria dentro le istituzioni globali. Le quali non aspettano altro, nella profonda crisi di legittimità che attraversano. Non sarebbe un esito felice. Il Forum di Davos non diventa più democratico se vi partecipa José Bovè. Questo vale per la Wto. Come sempre, il problema è di struttura, non di persone. Partiamo da un elemento che ha contraddistinto l'identità profonda dei movimenti di Seattle: garantire un quadro multilaterale dove scrivere regole globali, rimane un obiettivo di gran parte dei soggetti anti-Wto. Lo ha ribadito in una recente intervista Saskia Sassen, docente alla New York University, autrice di riferimento a Seattle: «Fino ad un anno fa, ha dichiarato la Sassen in un recente numero di Alias, ripetevo che bisognava porre fine all'operato della Wto. Ma dopo la rivolta ho maturato un altro punto di vista. La Wto è un'organizzazione sovranazionale che può essere sottoposta al controllo pubblico. Nel quadro di un'economia globale, sono necessarie organizzazioni sovranazionali sicuramente più rappresentative e trasparenti di quanto lo sia oggi la Wto». Può sembrare un atteggiamento paradossale, ma occorre riflettere. La battaglia di Seattle ha riportato in una dimensione pubblica l'arco di temi su cui questa Organizzazione aveva messo le mani. Non c'è un modo migliore di rappresentare il vero conflitto della globalizzazione, la dialettica a cui dà vita: non protezionismo contro libero scambio, bensì controllo dei cittadini versus dominio di un sistema di attori privati socialmente non responsabili. Un nodo che si chiama "privatizzazione (espropriazione) dei processi decisionali". Come Rete di Lilliput abbiamo presentato recentemente alcune iniziali indicazioni di fondo circa una radicale ridiscussione sul funzionamento della Wto. Queste richieste, certamente migliorabili, vanno nel senso dell'aumento del controllo democratico sull'operato dei negoziatori (scandalosa a Seattle la pratica della "green room" che escludeva i Paesi poveri e il ruolo del Comitato 133, zona grigia aperta ad influenze imprenditoriali, per ciò che concerne l'Europa); della diminuzione del potere dei micro-tribunali interni (panels) dell'Organizzazione; del ripristino del ruolo delle Nazioni Unite (di cui la Wto, come noto, non fa parte) e del ruolo dell'Unctad, rilanciando una proposta elaborata da Walden Bello di Focus on the Global South; dell'istituzione di una World Environmental Organization che limiti le competenze della Wto. Soprattutto del vero grande tema occultato a Seattle: l'avvio di un nuovo contratto con il Sud del mondo. Il ritorno della politica nelle relazioni Nord-Sud (vent'anni fa il Piano Brandt, l'ultimo tentativo prima del neoliberismo e della speculare deriva di tipo umanitario). Si potrebbe partire da una piccola proposta: l'abolizione dei dazi per i 48 paesi più poveri, in considerazione anche di quanto è stato richiamato in questi giorni alla X Conferenza dell'Unctad a Bangkok e cioè che questa fascia di Paesi ha perduto negli ultimi anni oltre il 40% della già misera quota di partecipazione al commercio mondiale. Non è in questo senso un bel sapere il fatto che l'Unione Europea abbia appena approvato nuovi dazi, anche verso Paesi africani. Da questo primo passo occorre risalire all'articolazione di un quadro che intervenga sui nodi di fondo degli squilibri tra centro e periferia. La battaglia sul debito, sulla riconversione ecologica dei consumi nel Nord, sul commercio equo, la triplice tassazione sulle transazioni speculative (Tobin tax), sugli Investimenti Diretti Esteri, sugli utili. Senza timore di quello che molti autori hanno prospettato nei termini di un protezionismo "ragionevole", universalista, capace di sfuggire all'ordine globalitario che la Wto mira ad imporre. Per fare questo, serve come il pane un Forum per le regole globali. Per una politica globale come lo è l'economia: capace tuttavia di prevenirne i movimenti e di tramutare la corsa verso il fondo in livellamento verso l'alto. Esimendosi dall'intervenire laddove il ruolo degli stati nazionali è tale da garantire una mligliore applicazione degli standard sociali e ambientali (ad esempio la Wto probisce ad uno stato di avere standard ambientali più alti di quelli ricnosciuti internazionalmente: è il caso della controversia Canada vs. Ue sull'amianto che si risolverà nei prossimi mesi). Tuttavia, provando a disegnare questo faticoso scenario alternativo, fatto di tessere di un puzzle che si compongono, si ha la sensazione di non raccogliere fino in fondo l'ispirazione dei giorni di Seattle. Bisogna avventurarsi in questi tecnicismi, ma non basta. Il disagio sta nel fatto che sarebbe illusorio credere che con le regole e con un bel Forum globale si risolva tutto. Che ad una Wto cattiva se ne possa contrapporre una buona, costruita nel rispetto delle norme di trasparenza e democrazia. Questo livello della battaglia rimane necessario ma non sufficiente. Nei linguaggi e nei volti di Seattle c'era anche un altra ispirazione: depotenziare l'economia, sottrarre terreno all'ambito globale, ricondurre il più possibile beni, prodotti, ambiti di vita ad un livello il meno dipendente possibile dalla logica del macro, fino a stemperare la forza pervasiva dell'Economico in altri ambiti del rapportarsi reciproco. Occorre dunque lavorare in direzione di uno spazio pubblico globale che sia democratico, trasparente e sotto controllo. Questo spazio dovrebbe tuttavia contare in maniera sempre più limitata nella vita di ciascuno di noi. Dovrebbe costituire un ambiente istituzionale non sfavorevole - di più da questo livello non dobbiamo aspettarci - ad una trasformazione sociale che vada in direzione dell'autogoverno dei processi da parte dei cittadini. Sia attraverso poli regionali forti (Europa, Africa ...) che partoriscano nuovi istituti di partecipazione e controllo, sia mediante un arcipelago di reti locali radicate nel territorio, ma aperte l'una con le altre e progressivamente indipendenti dai circuiti dell'economia globale. Il dibattito internazionale sul dopo Seattle oscilla oggi tra questi due poli. Priorità del livello locale e riforma radicale delle istituzioni. Questi sono due dei punti di merito che vanno affrontati per non lasciar cadere l'ispirazione di quel movimento. p.s. Dopo la rinuncia di molte città già candidate ad ospitare la Conferenza Ministeriale del dopo Seattle, presumibilmente nel 2001, si è fatto avanti un coraggioso Paese. Il Qatar. Yousef Hassaini Kamal, ministro del commercio del Paese del Golfo, ha espresso sabato scorso il desiderio di ospitare la Quarta Conferenza Ministeriale nella città di Doha. Il giorno del collasso di Seattle, Greenpeace international aveva suggerito alla Wto, ironicamente, di riunirsi di nuovo a Piongyang, Corea del Nord. A quanto pare, stanno studiando qualcosa di meglio. -- "Altreconomia" piazza Napoli 30/6 20146 Milano (Italy) tel./fax 0039-02-48.95.30.31 0039-02.48.95.30.32 -- "Altreconomia" piazza Napoli 30/6 20146 Milano (Italy) tel./fax 0039-02-48.95.30.31 0039-02.48.95.30.32 ------------------------------------------------------------------------ Inviare msg: noomc-it at egroups.com Iscriversi : noomc-it-subscribe at egroups.com Cancellarsi: noomc-it-unsubscribe at egroups.com Supporto tecnico: noomc-it-owner at egroups.com ------------------------------------------------------------------------ Virgilio People Home page del gruppo: http://virgilio.egroups.com/group/noomc-it http://virgilio.egroups.com - VIRGILIO PEOPLE - Crea gratis il tuo gruppo in Rete
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