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Venezuela: Il golpe nascosto



LUCIANA CASTELLINA http://www.ilmanifesto.it
Mi sento colpevole, credo che tutti dovremmo sentirci colpevoli. Di
disattenzione grave. Nonostante i reiterati appelli che da mesi ci arrivano
dagli aggrediti. Gli ultimi in ordine di tempo nel continente che non
consente alcuna sospensione dell'attenzione: l'America del sud. E' vero che
siamo tutti impegnati ad impedire l'aggressione all'Iraq (che peraltro è già
in atto, visto che centinaia di aerei americani già bombardano il paese un
giorno sì e uno no). Questa non è tuttavia una giustificazione al nostro
silenzio sulla vicenda che si sta consumando da mesi in Venezuela e sta
purtroppo per giungere a un fatale esito: la defenestrazione tramite golpe
diluito del presidente democraticamente e regolarmente eletto dal popolo,
Hugo Chavez. Colpi di stato da qualche tempo in America latina non ce ne
erano più stati. Il sub continente sembrava vaccinato dopo le tragedie degli
anni `60 e `70. E però l'astensione era evidentemente dovuta solo al fatto
che né Washington né i suoi clienti locali sembravano averne più bisogno: in
tutte le capitali salvo L'Avana le redini del potere erano state collocate
in mani sicure e le popolazioni tramortite dalla cura del Fmi. Poi le cose
hanno cominciato a cambiare: da un lato la catastrofe argentina e il fiasco
di Cardoso, l'«assennato» presidente brasiliano, assai amato anche dal miope
riformismo europeo; dall'altro, e di conseguenza, la vittoria di Chavez in
Venezuela, un anno dopo di Lula in Brasile, un mese fa di Lucio Gutierrez in
Ecuador.

I protagonisti non sono certo uguali: l'ex metalmeccanico di San Paolo ha
alle spalle decenni di militanza sindacale ed è sostenuto da un grande
partito popolare di sinistra. Gli altri due sono espressione di movimenti
populisti, ma anche popolari, perché alla direzione dei rispettivi paesi
sono stati portati dalla rabbia e dalle aspirazioni dei diseredati che per
ora - Chavez è lì da ormai quasi quattro anni - non sono stati delusi né
ingannati. Pur fra mille difficoltà - prima fra tutte quella dovuta
all'assenza a proprio sostegno di una forza politica organizzata e
sperimentata - le prime scelte compiute sono state quelle giuste. E in
particolare in Venezuela hanno provocato subito scintille, perché hanno
toccato gli interessi di chi ha a che fare con quella cosa per cui si stanno
oggi facendo tutte le guerre: il petrolio.

Certo, bin Laden non si può cercarlo, con tutta la buona volontà e
nonostante la fantasia dell'Istituto che il Pentagono gestisce a Los Angeles
in collaborazione con un pezzo di Hollywood, a Maracaibo. Ma Iraq,
Afghanistan, Cecenia, e Venezuela sono in definitiva legati fera loro da
questo filo di olio nero. Ed è per questo che Chavez non è sopportabile.
Soprattutto è necessario bloccare, ricattandolo e intimidendolo, il processo
iniziato in America Latina subito, prima che diventi contagioso. Il golpe
alla cilena che si sta preparando a Caracas, animato dalla mobilitazione dei
ceti privilegiati e dalle corrotte organizzazioni sindacali (e, purtroppo,
persino da antichi compagni comunisti - quelli del Mas - a tal punto
convertiti da non sapere più distinguere fra populismo e popolare, da non
saper più vedere la sostanza della posta in gioco in Venezuela) non è ancora
arrivato all'ultimo atto. Gli Stati uniti, immersi fino al collo nel primo
tentativo di rovesciare Chavez, un anno fa (furono i primi a «riconoscere»
il nuovo governo golpista, assieme alla Spagna), questa volta sembrano più
cauti. Non solo perché hanno al momento gatte più urgenti da pelare ma
perché sono finalmente un po' intimiditi da quello che sta accadendo in
America Latina, da Lula innanzitutto. E poi perché lo sciopero ad oltranza
che i golpisti hanno promosso è tutt'ora minoritario, il grosso del popolo
di Caracas, e ancor più della provincia, non solo non partecipa ma è sceso e
scende in strada (due milioni di persone l'altro giorno) a sostegno del suo
presidente. Non è facilissimo gridare «nuove elezioni» quando quelle che
hanno eletto l'attuale parlamento e governo sono state libere e
regolarissime. Ma proprio per questo sarebbe anche più grave che
prevalessero: si tratterebbe di un'altra e durissimo colpo portato alla
legalità, ottenuto col ricatto del blocco della produzione e del trasporto
petrolifero - base di sopravvivenza per il Venezuela - un atto analogo a
quello dei camionisti cileni. Non voglio aggiungere un'altra manifestazione
al già lungo elenco di quelle che stiamo facendo in queste settimane. Si
tratta solo di ricordarsi della vicenda venezuelana, delle implicazioni
generali che quel che lì sta accadendo comporta. Non possiamo lasciare che
avvenga nel silenzio dei media, dei partiti, dei parlamenti, della chiesa; e
anche dei nostri movimenti.
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Nello

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