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Fw: saludos




ciao Fabio, da mo' che non ti sento. Ti scrivo per via di un'emergenza:
vogliono sloggiare il CIDECI del doctor Raymundo S‡nchez Barraza
dall'attuale sede di Don Bosco.  La manovra fa parte di un progressivo
smantellamento dell'opera di Don Samuel, operato dall'attuale diocesi  La
cosa triste  che si stanno uttilizzando i salesiani ( che sono in effetti
i legittimi proprietari del terreno) per sfrattare il CIDECI. Sulla
controversia dovrˆ decidere  a dicembre il vescovo Arizmendi, che a quanto
pare pende per lo sfratto. Il Dr. Raymundo per ora non vuole rendere
pubblica la situazione, sperando che si possa ancora influire sulla
decisione di Arizmendi sottoscrivendo una lettera che qui ti accludo. Se la
firmate e riuscite a farla firmare anche ad altri collettivi e associazioni
cattoliche, sarebbe di grande aiuto per la causa della conservazione del
CIDECI, che ha fatto un lavoro davvero importante in tutti questi anni. Se
vuoi maggiori dettagli puoi chiamare direttamente il Dr. Ray mundo. Per il
momento un abraccio, Gianni Proiettis



San Cristóbal de Las Casas, Chiapas.


MONS. FELIPE ARIZMENDI ESQUIVEL
Vescovo della Diocesi di San Cristóbal de Las Casas


Egregio Sr. Vescovo:

Noi, persone e organizzazioni civili firmatarie, ci rivolgiamo a Lei per
manifestarLe la nostra preoccupazione di fronte al rischio che il progetto
del Centro Indigeno per la Formazione Integrale "Fray Bartolomé de Las
Casas" A.C. (CIDECI - LAS CASAS) sparisca e quando questo succedera', si
sommera' all'interminabile catena di ingiustizie commesse contro i popoli
indigeni, ai quali questa istituzione si e' dedicata.

Siamo a conoscenza degli accordi sulla fiducia sottoscritti da parte del
CIDECI con i proprietari del terreno.  Cio' che ci sorprende piu' di tutto,
e' che si passi sopra a tutto cio' che e' stato il CIDECI, che con
l'appoggio di molteplici organizzazioni solidali nazionali e
internazionali, con le quali ha costruito e sostenuto la infrastruttura
necessaria per offrire ai giovani indigeni e di settori emarginati la
possibilita' di una formazione tecnica e umanistica per poter affrontare
degnamente il loro futuro e quello delle loro comunita'. Adesso i
proprietari del terreno sollecitano ai responsabili del CIDECI lo sgombero
e che abbandonino quanto hanno edificato, senza tener conto dell'accordo
stipulato sulla fiducia  e quindi senza alcun rimborso che permetta al
progetto di continuare  la sua missione e i suoi propositi che, senza alcun
dubbio, sono profondamente evangelici.

Ci provoca sconforto l'eventualita' che questa richiesta dei proprietari
del terreno cerchi in fondo di propiziare la sparizione di un progetto che
ha reso possibile una vita piu' giusta per i popoli indigeni, di un
progetto che e' stato una  opzione concreta per la quale i membri del
CIDECI sono stati perseguitati e minacciati  da elementi, dichiarati e non,
dello Stato che non sono d'accordo nel riconoscere dignita' e diritti ai
popoli indigeni.

Si tratta di uno sgombero senza contropartita che dia la possibilita' al
CIDECI di continuare a portare avanti i compiti che si e' prefissato e con
lo spirito che sempre lo ha animato. Ovviamente questo sgombero non si puo'
risolvere con la donazione di un altro terreno perche' l' enorme sforzo che
e' costato costruire questo Centro innovatore  ha un valore ben superiore.

Ci provoca, inoltre, una gran tristezza sapere che questa iniziativa e'
stata avallata da Lei. Questo ci ha fatto venire in mente le Sue parole
quando e' stato nominato a capo di questa Diocesi. Lei ci ha fatto la
generosa promessa di dedicare i suoi sforzi a favore del miglioramento e
della continuita' dei compiti diocesani. Lei ha detto: "Non sono venuto a
distruggere nulla".

Per questo, per valutare cio' che non si deve perdere, e' giusto ricordare
che, in 12 anni, questo Centro Indigeno che adesso si vuole smantellare per
trasformarlo in un collegio, ha preparato 4.635 donne e 9.081 uomini, in
totale sono stati 13.716 i fratelli e le sorelle indigeni preparati in 12
anni. In media 1.143 per anno.

Oggi, grazie a questo degno Centro Indigeno, e grazie alla  preparazione di
questi 13.716 fratelli e sorelle indigeni, sono stati 774  i progetti
comunitari nello stato del  Chiapas: 262 progetti agropecuari, 367 progetti
di attivita' produttive non agricole,  145 progetti di infrastruttura
(relativi all'acqua, sistemi di irrigazione, sale multiuso, aule, ecc.),
come si puo' constatare nel curriculum generale e nelle relazioni rese
pubbliche dal Cideci. 

A parte cio' che abbiamo gia' menzionato, c'e' dell' altro ben piu'
importante. Attualmente, questo Centro Indigeno continua a funzionare
preparando centinaia di sorelle e fratelli indigeni. A tutt'oggi, come pure
nel passato, questi uomini, donne e giovani hanno costruito qualcosa di
piu' che gli edifici del Cideci, hanno costruito dei percorsi verso la
giustizia e la pace. Lungo questi anni di vita, questo Centro Indigeno e'
stato qualcosa di piu' che un centro di preparazione,  e' stato un impegno
verso la giustizia e la pace. Non la pace intesa come tempo senza guerra e
carico di miseria, ma una vera pace, quella che si costruisce con giustizia
e senza esclusioni, con amore verso i piu' deboli e bisognosi, con
rispetto, fraternita' e genuina solidarieta'.

Questo Centro Indigeno ha contribuito in modo fondamentale nei dialoghi di
San Andrés. Con tutta umilta' facciamo presente che questo Centro Indigeno
si e' incaricato della logistica affinche' i due protagonisti del conflitto
potessero sedersi al tavolo del dialogo con le adeguate condizioni di
sicurezza. Grazie a questo Centro Indigeno, un'istanza di mediazione e una
di coadiuvanza si sono trovate nelle  condizioni di poter sviluppare il
loro importante lavoro durante i dialoghi di San Andrés. Grazie alla
silenziosa ed efficace coordinazione di questo Centro Indigeno, migliaia di
persone, indigeni e non, hanno potuto disporsi in cordoni di pace
permanenti nei giorni e nelle fredde notti durante il processo del dialogo.
Si e' reso responsabile pure dell'alimentazione di migliaia e migliaia di
sorelle e fratelli indigeni durante i dialoghi di San Andrés.

Noi abbiamo seguito da vicino il lavoro e la generosita' del CIDECI e con
molte altre persone e organizzazioni che in Messico e in altri paesi lo
hanno conosciuto, apprezzato ed appoggiato, non possiamo ammettere questa
richiesta di sgombero come legittima, ma invece ci sentiamo obbligati a
denunciarla come un atto ingiusto, motivato da interessi privati che,
ancora una volta, come tante altre, colpira' i piu' poveri togliendo loro
cio' che laboriosamente hanno costruito: la speranza di un sano benessere,
uno spirito di rispetto, un percorso di pace e di lavoro.

Come sara' interpretata questa azione? Che penseranno le centinaia di
comunita' indigene, dove vivono le migliaia di sorelle e fratelli che sono
passati dal CIDECI e nel quale si sono formati? Che penseranno i fratelli e
le sorelle indigeni che attualmente si stanno preparando con la speranza di
camminare lungo sentieri con piu' vita?

Signor Vescovo, cio' che questo Centro Indigeno e' e cio' che simbolizza,
non e' esclusivo di nessuno, non appartiene a noi, e nemmeno alla Diocesi
che Lei presiede,  di fatto non e' nemmeno proprieta' dello stesso Cideci.
Questo Centro Indigeno appartiene a tutti noi: a Lei, alla Diocesi, alla
societa' civile, indigena e non indigena, insomma a tutti noi che lavoriamo
per la giustizia, a tutti noi che costruiamo cammini di pace.

Signor Vescovo, non stiamo chiedendo che si rispetti un contratto; stiamo
chiedendo che si dia seguito ad un precetto a cui Lei stesso si richiama e
continua a richiamarsi: la giustizia.

Il progetto di sgombero del CIDECI, rappresenta un oltraggio etico e
morale. Rappresenta una lampante ingiustizia.

E' giustizia cio' che chiediamo. Semplicemente, in tutta la sua
complessita'. Rispettosamente Le chiediamo di intervenire per impedire che
questa inaccettabile ingiustizia diventi realta'.

Cordialmente.


------------------



San Cristóbal de Las Casas, Chiapas.


MONS. FELIPE ARIZMENDI ESQUIVEL
Obispo de la diócesis de San Cristóbal de Las Casas

Presente.

Distinguido Sr. Obispo:

Las personas y organizaciones civiles abajo firmantes, nos dirigimos a
usted para manifestarle nuestra preocupación por el riesgo de que el
proyecto del Centro Indígena de Capacitación Integral "Fray Bartolomé de
Las Casas" A.C. (CIDECI - LAS CASAS) desaparezca, acto que de llevarse a
cabo, sin duda se sumará a la interminable cadena de injusticias cometidas
contra los pueblos indígenas, a quienes esta institución se ha dedicado.

Estamos enteradas de la suscripción de convenios de "buena fe" de parte del
CIDECI con los propietarios del terreno. Pero lo que nos sorprende
sobremanera, es que se pase por alto que ha sido el CIDECI, con el apoyo de
múltiples organismos solidarios nacionales e internacionales, quien
construyó y mantuvo la infraestructura necesaria para poder brindar a los
jóvenes indígenas o de sectores marginados la posibilidad de una formación
técnica y humanística para enfrentar con dignidad su futuro y el de sus
pueblos. Ahora los propietarios del terreno solicitan a los responsables
del CIDECI que lo desalojen, y entreguen lo edificado, sin ninguna
prestación recíproca a la "buena fe" que permita que el proyecto siga
adelante con su misión y propósitos que, por cierto, son profundamente
evangélicos.

Nos causa desazón la posibilidad de que esta demanda de los propietarios
del terreno, en el fondo lo que busque sea propiciar la desaparición de un
proyecto que ha proporcionado posibilidades de una vida más justa para los
pueblos indígenas, opción concreta que les ha merecido a los miembros del
Cideci el ser perseguidos, amenazados, hostigados por actores  visibles y
oscuros del Estado que no están de acuerdo en reconocer la dignidad y
derechos de los pueblos indígenas.

Se trata de un desalojo, sin contrapartidas que habiliten al CIDECI para
mirar por la continuidad de las tareas que en él se desarrollan y del
espíritu que lo anima. Obviamente este desalojo no se resuelve con la
donación de otro terreno; a la construcción y al enorme esfuerzo que
significó erigir este innovador Centro les corresponde un valor mucho mayor
.

Nos provoca, además, una gran tristeza el saber que esta iniciativa ha sido
avalada por usted. Tal hecho nos llevó a recordar sus palabras al hacerse
cargo de esta Diócesis. Usted nos ofreció la generosa promesa de poner sus
mejores esfuerzos en favor del mejoramiento y continuidad de las tareas
diocesanas. "No he venido a destruir nada", dijo usted.


Por ello, y para sopesar lo que no debe perderse, conviene traer a la
memoria que, en 12 años, este Centro Indígena que se pretende desmantelar
para convertir sus espacios en colegio formal, capacitó a 4,635 mujeres y
9,081 hombres. 13,716 hermanos y hermanas indígenas capacitadas en 12 años.
En promedio, 1,143 hermanas y hermanos capacitados por año. 

Hoy, gracias a este digno Centro Indígena, y gracias a la capacitación de
estos 13,716 hermanos y hermanas indígenas, se han generado 774 proyectos
comunitarios en el estado de Chiapas: 262 proyectos agropecuarios, 367
proyectos de actividades productivas extra-parcelarias, 145 proyectos de
infraestructura (proyectos de agua, sistemas de riego, salones de usos
múltiples, aulas, etc.), así como consta en el currículo general e informes
públicos del Cideci. 

Sin embargo, hay algo aún más importante que lo arriba mencionado. En la
actualidad, este Centro Indígena sigue funcionando y capacitando a cientos
de hermanas y hermanos indígenas. Como en el presente, también en el
pasado, estos hombres, mujeres y jóvenes construyeron algo más que los
edificios del Cideci, construyeron caminos hacia la justicia y la paz. A lo
largo de estos años de vida, éste Centro Indígena ha sido algo más que un
centro de capacitación, ha sido un empeño de justicia y de paz. No la paz
como tiempo vacío de guerra y repleto de miseria, sino la verdadera paz, la
que se construye con justicia y sin exclusiones, con amor hacia los más
débiles y necesitados, con respeto, fraternidad y genuina solidaridad.

Este Centro Indígena contribuyó con una parte fundamental en los diálogos
de San Andrés. Bajo el sigilo que la humildad cobija, este Centro Indígena
fue responsable logístico para que dos actores en conflicto pudieran
sentarse en una mesa en condiciones apropiadas y seguras. Gracias a este
Centro Indígena, una instancia de mediación y una instancia de coadyuvancia
tuvieron las condiciones necesarias para desarrollar su importante labor en
los diálogos de San Andrés. Gracias a la silenciosa y eficaz coordinación
de este Centro Indígena, miles de personas indígenas y no indígenas
colocaron cinturones de paz permanentes en los días y en las frías noches
durante el proceso de diálogo. Fue este Centro Indígena, el responsable de
alimentar a miles y miles de hermanas y hermanos indígenas durante los
diálogos de San Andrés.

Nosotros seguimos de cerca el trabajo y generosidad del CIDECI; y con las
muchas personas y organizaciones que en México y en otros países lo han
conocido, valorado y apoyado, no podemos admitir este proyectado desalojo
como un acto legítimo, sino, más bien, estamos obligados a denunciarlo como
un acto injusto, motivado por un interés particular que, una vez más, como
tantas y tantas otras veces, golpeará a los más pobres quitándoles lo que
trabajosamente han construido: una esperanza de sano bienestar, un espíritu
de respeto, un camino de paz y trabajo.

¿Cómo será comprendida esta acción? ¿Qué pensarán las cientos de
comunidades indígenas donde viven miles de hermanas y hermanos que por el
CIDECI pasaron y se formaron? ¿Qué pensarán los hermanos y hermanas
indígenas que actualmente ahí se forman con la esperanza de transitar por
sendas de más vida?.

Sr. Obispo, lo que este Centro Indígena es y lo que simboliza, no es
exclusividad de nadie, no nos pertenece a nosotros, tampoco le pertenece a
la diócesis que usted preside, de hecho, tampoco ha sido exclusividad del
mismo Cideci; este Centro Indígena nos pertenece a todos, a usted, a la
Diócesis, a la sociedad civil indígena y no indígena, en fin, a todos los
que trabajamos por la justicia, a todos los que construyen caminos para la
paz.

Señor Obispo, en lo específico, este reclamo no lo sustentamos en un papel
signado; se abraza a un precepto que usted ha exigido y sigue exigiendo:
justicia.

El proyectado desalojo del CIDECI, representa un agravio ético y moral.
Representa una flagrante injusticia.

Es justicia lo que pedimos. Así de simple, así de complejo. Es con carácter
estrictamente respetuoso que le solicitamos tenga a bien intervenir para
impedir que esta inaceptable injusticia se realice, y más aún, que llegue a
consumarse.


Atentamente.