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pc: C'era una volta l'Argentina



Data: giovedì 20 dicembre 2001 0.27
Oggetto: C'era una volta l'Argentina


    19 Dicembre 2001


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C'era una volta l'Argentina
Un paese che era il granaio del mondo e dava lavoro a tutti. Oggi devastato
e distrutto dal neoliberalismo e dai diktat del Fmi. Con il ministro Domingo
Cavallo a passare il conto a una popolazione miserabile, frustrata e senza
lavoro
CLAUDIO TOGNONATO

C'era una volta un paese ricco e promettente che attirava migliaia di
emigranti di tutto il mondo, un paese capace di sfamare, prima la Spagna e
più tardi l'Europa del dopoguerra. Oggi, questo paese offre al mondo
globalizzato della finanza la possibilità d'investire con un tasso di
profitto tra i più vantaggiosi al mondo. L'occasione si spiega con un
primato incontestabile, sancito dalla Banca Morgan e dagli specialisti
internazionali, ma - attenzione - il primato è quello di essere il paese a
più alto rischio d'investimento del mondo.
Non è stato semplice fare sprofondare l'Argentina. C'è voluto il susseguirsi
di governi che, anche se diversi nel nome, hanno perseverato
nell'applicazione delle ricette liberiste, prima durante la dittatura
militare (1976-83), con Alfredo Martínez de Hoz, poi nella democrazia con il
peronista Carlos Menem o il radicale Fernando de la Rúa e sempre con
Domingo Cavallo. Il progetto economico resta quello "consigliato" dal Fondo
monetario internazionale. Anche per questo motivo, non fa molta differenza
che lo stesso Cavallo sia stato presidente della Banca centrale durante gli
ultimi anni della dittatura. Perché questo almeno bisogna riconoscerlo, in
questo ambito c'è stata una grande continuità.
Dieci anni fa Cavallo, ministro delle finanze del peronista Menem, sanciva
la parità tra peso e dollaro bloccando le fluttuazioni monetarie ma
paralizzando l'attività economica. Ora, superministro dell'economia con il
radicale De la Rúa, le alternative che presenta sono due: svalutazione o
dollarizzazione, anche se si teme un colpo doppio. Venerdì scorso, lo stesso
Cavallo, dopo essere riuscito a pagare 770 milioni di dollari in scadenza ed
evitare ad ultimo momento l'annunciato default del paese ha dichiarato con
sarcasmo che "sono i cittadini argentini a volere la dollarizzazione
dell'economia", come se i singoli cittadini potessero ancora fidarsi di lui,
quando solo dieci giorni fa gli sono stati congelati i depositi bancari (si
può prelevare fino ad un massimo di 250 dollari alla settimana), sono stati
sospesi i pagamenti delle pensioni e della tredicesima e sono stati tagliati
di un 13% le pensioni e di un altro 13% gli stipendi degli statali.
L'attuale crisi ha origine nella rottura di una coalizione tra le banche
creditrici, le aziende transnazionali e i gruppi locali che insieme hanno
lucrato nel governo di Menem con la privatizzazione delle aziende dei
servizi, che prima erano statali. La svendita dello Stato ha dato grande
liquidità al primo governo Menem, ma ormai il periodo del benessere è
passato, non resta quasi nulla da offrire della Res-pubblica. Lo Stato si è
ritirato da quasi tutti i settori dell'economia, ha venduto molte aziende e
proprietà ma, chiuse le operazioni, lo si ritrova più indebitato di prima.
Può sembrare strano ma, "la vendita dei gioielli della nonna" non ha
generato riserve cospicue o nuove attività economiche ma nuovi debiti.
Le transnazionali che hanno acquistato aziende di servizio pubblico premono
per la dollarizzazione che garantirebbe loro mantenere i livelli di guadagno
sul prezzo dei servizi (fra l'altro fra i più alti del mondo). Mentre, i
gruppi economici che hanno venduto la loro partecipazione in quelle aziende
vogliono una svalutazione che valorizzerebbe i loro capitali collocati
all'estero in banche sicure.
Davanti a questa crisi, e alle misure economiche del governo, le centrali
sindacali hanno realizzato giovedì scorso uno sciopero generale che ha
bloccato ogni attività del paese. Non ci sono stati mezzi di trasporto
pubblico, le fabbriche, gli uffici, le scuole, le università tutto era
deserto, garantiti solo alcuni servizi esenziali. A dimostrare la distanza
tra il paese reale e la sua classe dirigente è stata la scelta del capo del
partito d'opposizione l'ex presidente Menem (appena uscito dagli arresti
domiciliari per corruzione), che quello stesso giorno ha voluto visitare il
suo successore de la Rúa come segno di solidarietà. Ieri, lunedì hanno
scioperato i ferrovieri di tutto il paese contro la decisione dell'italiana
Techint che ha acquistato la gestione del "Ferroexpresso pampeano" e vuole
riorganizzare l'azienda licenziando il 30% del personale.
In coincidenza con lo sciopero generale di giovedì veniva diffuso l'indice
ufficiale di disoccupazione che arriva ormai ad un 18.3%. Una percentuale
appena inferiore al record stabilito nel 1985 con la crisi del Messico e il
cosiddetto effetto tequila quando la disoccupazione toccò il tetto di 18.4%,
anche se il numero dei disoccupati è ora maggiore in numeri assoluti. Le
cifre sono allarmanti: il 34.6% della forza lavoro urbana (l'indice non
misura quella rurale) non ha lavoro. Non solo, a questa percentuale si deve
aggiungere un 16.3% di sottoccupati, persone che lavorano meno di 35 ore
alla settimana. In totale si può dire che 4.8 milioni di argentini hanno
problemi di lavoro. In questo quadro arriva anche la notizia della
ristrutturazione del gruppo Fiat che, vista la situazione, ha deciso di
trasferire lo stabilimento dell'Iveco in Brasile.
Il governo di "centro-sinistra" di de la Rúa è sempre più isolato. Oltre
allo sciopero generale di giovedì scorso, ora deve vedersela anche con la
"consultazione popolare" promossa da diverse associazioni di diritti umani
che insieme alla Central de los trabajadores argentinos (Cta) di Victor De
Gennaro, un sindacato che sta erodendo la base di massa della tradizionale
Cgt, hanno dato vita al Frente contra la pobreza. Venerdì sono stati aperti
tavoli in 579 città e centi di tutto il paese con oltre 20.000 seggi dove si
può esprimere l'adesione alla proposta del Fronte: sussidio mensile di 380
dollari ad ogni capofamiglia disoccupato e un contributo minimo di 180 per
anziani senza pensione. Le urne si sono chiuse ieri sera raddoppiando le
previsioni più ottimistiche con oltre 2 milioni di adesioni. Oltre al
sussidio l'idea è anche quella di rilanciare i consumi che continuano a
diminuire anche nei beni di prima necessità e alimenti.
L'allarme è alto e in questi giorni è ricomparso un fenomeno che dalla crisi
economica del '89 non si vedeva: nella città di Mendoza, Rosario ed Entre
Ríos la popolazione ha saccheggiato alcuni supermercati e solo la
repressione della polizia ha impedito l'allargamento della protesta. La
preoccupazione è stata tale che in tutti i casi si è tentato di sedare la
sommossa distribuendo scatole con alimenti. Ma non era l'Argentina il
granaio del mondo?
Ma non sono queste le domande che si pongono gli organismi finanziari
internazionali. Il Fmi ha fatto sapere che se nei prossimi giorni non
vengono approvati dal parlamento i tagli al bilancio per il 2002, ovviamente
già ridotto all'osso, l'organismo annullerà ogni credito per tutto il 2002.
La situazione non è facile neanche per il governo in quanto i dirigenti
della maggioranza e dell'opposizione si sono detti entrambi contrari ad un
ennesima riduzione della spesa pubblica. Il governo è solo e in minoranza
sia alla Camera che al senato.
In questo clima è arrivata anche la condanna di Human Rights Watch. I
rappresentanti di questo organismo internazionale per i diritti umani si
sono riuniti la settimana scorsa con il presidente de la Rúa contestando la
mancanza di una politica del governo per fare luce sulla vicenda dei
desaparecidos e il rifiuto a concedere l'estradizione degli ex militari
richiesta più volte da vari paesi europei (fra cui l'Italia).
Sono ormai anni che si susseguono lunghe file davanti al consolato italiano.
Molti argentini vogliono emigrare, aggrapparsi alla scialuppa della
cittadinanza italiana e abbandonare la nave che ormai fa acqua dappertutto.
E' quanto meno indicativo che ad avere un passaporto italiano in tasca sia
pure lo stesso ministro Cavallo.
Il timore dell'esplosione

Atmosfera tesissima in Argentina. Anche ieri sporadiche proteste nelle
province e nei sobborghi di Buenos Aires. Si temono altri assalti come
quelli di giovedì e lunedì (nella foto Ap). Il paese è bloccato in attesa
dell'approvazione della finanziaria per il 2002 presentata dal ministro
Cavallo al Congresso: nuovi tagli da 9 a 40 miliardi di dollari. Da dove
salteranno fuori? Al Fmi non interessa, se l'Argentina vuole nuovi crediti
per evitare il defualt deve tagliare. Ma tagliando rischia di esplodere. De
la Rua e Cavallo hanno fretta ma l'opposizione peronista, ora maggiorritaria
in Congresso, nicchia.

Caos argentino
Assaltati i supermercati in varie città

Ondata di saccheggi e scioperi in Argentina. Dopo il supermercato di Rosario
saccheggiato giovedì, si sono ripetuti episodi simili nella provincia di
Mendoza (1.000 Km dalla capitale), a Concordia e nell'estrema periferia di
Buenos Aires. In un quartiere della capitale centinaia di donne e bambini si
sono presentati davanti ad un megastore della Carrefour e, per evitare il
peggio, i dipendenti hanno distribuito carrelli pieni di alimenti. Da ieri
la polizia bonaerense ha deciso di aumentare la vigilanza davanti ai
principali supermercati.
Tutta l'Argentina vive ore di caos dopo le ultime misure governative che
impediscono di ritirare dai depositi bancari più di 1000 dollari al mese.
Soprattutto è l'aumento della povertà (40% degli argentini) e della
disoccupazione a spingere molte famiglie alla disperazione. Il governo
definisce i saccheggi "provocazioni di alcuni agitatori che vogliono mettere
zizzania". Però è un fatto inconfutabile che sono in aumento anche le
astensioni dal lavoro. Ieri è toccato al settore dei trasporti con il blocco
totale dei treni a lunga, media e corta distanza. Per mercoledì è annunciato
lo sciopero dei medici di 50 ospedali di Buenos Aires contro il piano di
riaggiustamento provinciale.
Il governo De la Rua sta per presentare il piano di bilancio per il 2002:
una delle condizioni per avere il nuovo prestito del Fmi. Ma nel paese si
dibatte solo di svalutazione o di dollarizzazione. L'amministrazione nega di
volere adottare il dollaro ma gli osservatori sono ormai convinti che per
salvare l'Argentina e gli investimenti stranieri questa rimane l'unica
soluzione. Il biglietto verde del resto è già l'unica moneta utilizzata
nelle vendite al dettaglio.