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KISSINGER sulla STAMPA
LA STAMPA
INTERNI Giovedì 24 Maggio 2001
KISSINGER «Berlusconi per l¹Italia come la Thatcher a Londra»
inviato a ROMA DOTTOR KISSINGER, ha incontrato dunque l¹onorevole Silvio
Berlusconi? «E¹ vero, ho visto Silvio Berlusconi, ho parlato anche con il
suo predecessore, l¹ex presidente del Consiglio, Massimo D¹Alema e l¹ex
direttore del Wto, l¹Organizzazione del Commercio, Renato Ruggiero» dice
tranquillo Henry KISSINGER, nel suo hotel a picco sul Pincio. «E oggi,
martedì, vedrò il Papa». Non sperate di estrarre al maestro della diplomazia
confessioni o indiscrezioni: sola ci riuscì Oriana Fallaci, ai tempi del
Vietnam, in un¹intervista che a KISSINGER non piacque e che si studia ancora
nelle scuole di giornalismo. Tanti anni fa Henry KISSINGER visitava la
Cappella Sistina, in Vaticano, naso in su come ogni turista, di qua il
Paradiso di Michelangelo, di là l¹Inferno. Passa per caso Gore Vidal, il
caustico scrittore americano, e osserva: «Henry cerca casa». Sergente
nell¹esercito Usa che liberò la Germania, docente ad Harvard di un celebre
International Seminar nei primi Anni Sessanta, consigliere per la Sicurezza
nazionale e poi segretario di Stato con i presidenti Nixon e Ford, inviato
in missione segreta a Pechino nel 1971 e protagonista della storica apertura
Cina-Usa del 1972, KISSINGER continua ad appassionare i suoi connazionali
come nessun altro leader contemporaneo. La rivista «Harper¹s» lo denuncia
ancora oggi per i bombardamenti in Cambogia del 1970 e il rivale mensile
«Atlantic» lo celebra come il maggior diplomatico del secolo. Il suo manuale
«Diplomacy» viene definito dallo storico Simon Schama «un formidabile
sguardo sul presente». Inferno o Paradiso? Henry KISSINGER torna a Roma e le
prime pagine si imbizzarriscono. «Ci sono stato per la prima volta nel 1946,
reduce di guerra. Niente smog, automobili, motorini. A piedi ovunque. Era
una città bellissima. Chi avrebbe mai detto che sareste diventati ricchi
così in fretta?». Com¹è andata con Berlusconi? «Abbiamo avuto un lungo
colloquio lunedì, ma c¹eravamo incontrati in altre occasioni». La stampa
internazionale, dall¹Economist a Le Monde, contesta al futuro premier il
conflitto di interessi tra politica ed aziende. Gli ha dato qualche
suggerimento? «Mi lasci dire che il conflitto di interessi è una questione
interna italiana e tocca agli italiani risolverla, non agli stranieri che
devono astenersi dal dare lezioni. Berlusconi rappresenta un cambiamento e
ha ottenuto la sua maggioranza, dopo aver creato un nuovo partito. E¹ quindi
più indipendente di altri vostri leader nella gestione politica. In politica
estera, da sempre il mio interesse principale, non vedo possibili
preoccupazioni. Credo sia opportuno dare a Berlusconi la possibilità di
dimostrare quanto siano davvero efficaci le sue strategie». Altri
osservatori guardano con preoccupazione alla Lega Nord di Umberto Bossi e ad
Alleanza nazionale di Gianfranco Fini. Lei? «I partiti moderni includono a
volte personaggi bizzarri. Non ho seguito da vicino il caso della Lega Nord
e degli altri partiti della coalizione. Mi sono concentrato sul ruolo di
Silvio Berlusconi. Io mi sforzo da sempre di migliorare le relazioni tra
Italia e Stati Uniti. Lavorerò a questo obiettivo anche con
l¹amministrazione di Berlusconi». Quali novità prevede, rispetto ai governi
Prodi, D¹Alema e Amato? «E¹ chiaro che le elezioni hanno mutato nettamente
la direzione del vostro paese verso il centrodestra. Berlusconi potrebbe
avere in Italia lo stesso impatto che la signora Margaret Thatcher ha avuto
in Gran Bretagna: certamente questa è la sua strategia, la meta che si
prefigge. Si tratta quindi di uno scenario nuovo, un cambiamento radicale
rispetto ai governi di centrosinistra degli anni passati. Lady Thatcher ha
trascinato il partito laburista verso le sue posizioni, sradicandolo dalla
sinistra al centro e mutando l¹intero panorama politico del paese.
Paradossalmente ha messo nei guai anche il partito conservatore, perché
adesso le differenze tra destra e sinistra inglesi sono minime. Vedremo se
Berlusconi riuscirà a suscitare in Italia un processo analogo». Dopo la
vittoria, Berlusconi ha annunciato una serie di posizioni simili a quelle
prese dal presidente George W. Bush, la critica al trattato di Kyoto per
esempio. Altri leader europei sono invece scettici sulla nuova
amministrazione Usa. La preoccupa la tensione Europa-Usa? «C¹è stress, ma
gli Stati Uniti non ne sono i maggiori responsabili. L¹amministrazione
Clinton era vittima della sindrome del Vietnam e non amava le istituzioni
sorte durante la Guerra Fredda, come la Nato. Preferiva il multilateralismo
alle scelte di Washington. L¹amministrazione di George W. Bush è composta da
uomini che vengono dalla Guerra Fredda e da ministri maturati invece quando
già il trauma del Vietnam era assorbito. Sono cresciuti in una stagione di
grandi successi per la politica americana e possono trovarsi a disagio con i
coetanei europei». Come giudica la politica estera dell¹Unione Europea? «Le
critiche europee agli americani sono tattiche, non strategiche. E¹ vero che
talvolta dalla Casa Bianca viene un messaggio troppo immediato, non
perfettamente levigato. Ma è anche vero che la sola strada resta il dialogo:
non vedo alternative. Spesso gli europei, per affermare la propria identità,
non trovano altro mezzo che criticare gli americani. Credetemi: la nuova
amministrazione Usa vuol cooperare con l¹Unione europea. Ma mentre per
Washington è facile discutere con la Francia, l¹Italia o la Gran Bretagna,
discutere con l¹Unione è difficile. Perché l¹Unione europea manca di centro,
talvolta non si sa con chi negoziare finché non è stata raggiunta una
decisione: e a quel punto è troppo tardi. Io sono nato in Europa, se nella
mia formazione si trovano elementi europei sono lusingato. Ho passato la
vita cercando la cooperazione politica tra i due continenti. Oggi, con
preoccupazione, la vedo declinare. L¹Alleanza atlantica è considerata una
semplice rete di sicurezza, non un sistema di valori coeso. E
l¹amministrazione americana è dunque tentata di guardare all¹area del
Pacifico più che all¹Atlantico». Nel merito dei problemi: sì o no al
protocollo di Kyoto sull¹ambiente? «Finora lo ha ratificato solo la Romania.
Danneggia sia gli americani che voi europei». Tribunale internazionale: sì o
no? «Temo che alla tirannia degli Stati si possa sostituire la tirannia dei
giudici». Esercito europeo, sì o no? «Nessuno vieta agli europei di formare
un loro esercito, come ce l¹hanno già gli Stati, e di impiegarlo come fecero
gli inglesi alle Falkland, i francesi in Algeria e noi americani nel Golfo.
Il problema sorge se questa forza è costituita a prescindere dalla struttura
militare della Nato. Tutto si può risolvere creando un coordinamento tra
esercito europeo e Nato». Scudo antimissile spaziale: sì o no? «Non sono un
esperto di tecnologia militare, ma nessun leader può dire agli elettori:
rinuncio a difendervi da un attacco nucleare. Lo scudo spaziale era una
cattiva idea quando le superpotenze erano due, Usa e Urss. Finita la Guerra
Fredda la minaccia viene da molti centri rivali e quindi l¹opportunità dello
scudo va discussa». Il punto maggiore di attrito è stato però di recente tra
Washington e Pechino, con la vicenda dell¹aerospia sequestrato. «Meglio non
discuterne mentre si è all¹estero: troppo delicato» (alla rete tv Cnn,
KISSINGER ha osservato che «dal 1971 a oggi il governo di Pechino non è mai
stato così intento alla cooperazione con gli Usa. I militari possono invece
prendere posizioni più dure», ndr). Il Medio Oriente offre gli stessi titoli
di sempre: agguati, ritorsioni, violenze. Eppure con l¹accordo siglato da
Rabin e Arafat, auspice il presidente Bill Clinton, la pace sembrava vicina.
Qui Henry KISSINGER lo statista che ha elevato il Cardinal Richelieu a
padrino della moderna politica estera, cultore della ragione di Stato,
l¹uomo che ha scritto: «Gli interessi nazionali non si fondano
sull¹altruismo» perché «il paese che basa la politica estera sulla
perfezione morale non otterrà né perfezione né sicurezza», si rizza sulla
poltrona di damasco rosso dell¹hotel, punta il dito indice in accusa e
sbotta «Illusioni», la parola più severa per la sua filosofia della
Realpolitik: «Illusioni. Alla base del conflitto ci sono questioni
religiose, era ovvio che si sarebbe arrivati all¹impasse sui Luoghi Santi.
Mi pare una migliore base di partenza il rapporto stilato da George
Mitchell: si pongano le fondamenta per uno Stato palestinese; si fermi la
creazione di nuovi insediamenti israeliani nei Territori». Quando lei era
segretario di Stato i giovani protestavano per la pace. Oggi i dimostranti
antiglobalizzazione si danno appuntamento al G8 di Genova, a luglio. Cosa
pensa del «popolo di Seattle»? «L¹intensità della loro rabbia è
sproporzionata agli obiettivi che si prefiggono, limitare questo o quel
commercio. Credo però che le proteste derivino anche dal nostro modello di
vita occidentale. Offriamo a questi ragazzi solo materialismo e
competizione. Abbiamo dimenticato i valori spirituali, gli ideali e lasciamo
che parte della nostra gioventù cada preda del nichilismo». La
globalizzazione sarà motore di sviluppo nelle aree povere del pianeta?
«Dobbiamo convivere con il mercato globale, è un fatto quotidiano, crea
lavoro. Ma se il mondo economico è diventato globale, il mondo politico non
lo è affatto. Quando un contadino povero lascia la campagna e si trasferisce
in una metropoli, in cerca di una vita migliore, trova magari un lavoro, ma
perde gli affetti, la cultura, la tradizione, la famiglia, la religione». Le
torna in mente l¹Italia 1946, povera ma bella? «Sì. Meno benessere, meno
sviluppo, un paese arretrato: ma quanto calore e quanta bellezza».
Sull¹agenda di Henry KISSINGER il prossimo appuntamento è con Karol Wojtyla.
Non si può ritardare: ma il ragazzino tedesco in fuga dalla storia del
Novecento, finito a fare la storia del Novecento, non resiste a tirare il
bilancio della sua vita, ultimo stratega del secolo più terribile: «Se mi
guardo indietro sono fiero dell¹apertura alla Cina. Sono orgoglioso di aver
contribuito al ritorno della libertà nell¹Europa orientale. E di aver
lavorato alla pace in Medio Oriente. Ma non sono riuscito a persuadere gli
americani a seguire con passione le vicende del mondo. La civiltà
occidentale ha raggiunto grandi traguardi ideali nella storia umana, ma ha
sempre avuto una debolezza, fin dai tempi dei Greci. Le rivalità interne
possono scatenare guerre e devastazioni. Quando il mondo occidentale rivolge
la propria energia contro se stesso è l¹ora delle distruzioni. Questo è il
pericolo che vedo davanti a noi». KISSINGER si affretta in Vaticano. Si
fermerà anche stavolta a scrutare la Cappella Sistina, in cerca come sempre
di un presagio: Inferno o Paradiso? gianni.riotta@lastampa.it