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Monitoraggio Elezioni dello Stato del Chiapas (Messico)



Monitoraggio Elezioni dello Stato del Chiapas (Messico)   17-21/08/2000

Articolo dell'obiettore di coscienza Domenico Convertino (in servizio
presso la Comunità Papa Giovanni XXIII - Operazione Colomba)


Il 22 dicembre 1997, nella comunità di Acteal, Los Altos, Chiapas, Messico,
45 persone, raccolte nella loro piccola 'chiesa', furono trucidate da un
gruppo di uomini armati irregolari, ingombrante e minacciosa presenza con
la quale le popolazioni indigene da parecchi mesi a quella parte dovevano
quotidianamente convivere. Era il prezzo da pagare per la rivendicazione
(talvolta pacifica e nonviolenta, talvolta armata e guerrigliera) di
diritti, che noi occidentali chiameremmo fondamentali e universali, di cui
il Governo messicano ha sempre negato il riconoscimento effettivo e
sostanziale (spesso andando contro la stessa Costituzione nazionale).
La pressione violenta e intimidatoria di questi gruppi di paramilitari,
insieme alla massiccia presenza militare (40% dell'intero organico
dell'esercito messicano stanziato in Chiapas) e all'opera di divisione
delle comunità, rientrava nella cosiddetta strategia di guerra a bassa
intensità, cioè una situazione di conflitto silenzioso ma letale, che
mirava a distruggere la capacità di resistenza non solo militare, ma
soprattutto psicologica e comunitaria che le popolazioni indigene
chiapaneche mettevano in atto contro il sistema di oppressione sociale e di
sfruttamento economico (del loro lavoro, ma soprattutto delle risorse della
loro terra) a cui da sempre sono stati sottoposti.
La loro richiesta d'aiuto al mondo intero, lanciata dal vescovo Samuel
Ruiz, chiedeva che in questo conflitto nascosto giungessero occhi
dall'esterno, sensibili al loro bisogno di maggior rispetto dei diritti
umani e di vera partecipazione democratica alle istituzioni dello Stato di
cui facevano e volevano continuare a far parte, e che potessero denunciare
la situazione in cui erano costretti a vivere.
A questo grido d'aiuto ha risposto l'Operazione Colomba (corpo di pace
della Comunità Papa Giovanni XXIII che aveva già effettuato interventi non
violenti e di interposizione pacifica nei territori di guerra della
ex-Jugoslavia e in Sierra Leone) all'inizio del 1998, andando a condividere
la vita delle vittime di questo conflitto nelle comunità divise dalle
conseguenze della guerra a bassa intensità, cercando di trovare insieme a
loro, con la conoscenza reciproca e la condivisione quotidiana, spazi di
dialogo e momenti di riconciliazione.
Cercando di ascoltare le richieste di aiuto e di collaborazione della
società civile chiapaneca, l'Operazione Colomba ha deciso di partecipare
con propri operatori e volontari alla delegazione di osservatori
internazionali che ha monitorato lo svolgimento delle elezioni per la
carica di governatore del Chiapas lo scorso 20 agosto. La delegazione a cui
ha preso parte l'Operazione Colomba è stata organizzata da una ONG
statunitense molto attiva nel campo dei diritti umani, Global Exchange, da
anni presente in Messico, ed era composta da 21 persone provenienti dagli
Stati Uniti, Canada, Svezia, Messico e Italia. Il gruppo di osservatori
italiani era formato da due operatori a tempo pieno dell'Operazione
Colomba, Daniele Aronne di Viterbo e Samuele Filippini di Rimini, da una
volontaria, Cinzia Ballerini di Como, e da me, obiettore di coscienza in
servizio civile presso la Comunità Papa Giovanni XXIII di Rimini. I 21
osservatori di Global Exchange facevano parte di un piccolo "esercito" di
osservatori (circa 4000), sia nazionali che internazionali, che hanno
ricevuto l'accreditazione del Consejo Estatal Electoral (Consiglio Statale
Elettorale), che garantiva la possibilità di svolgere il monitoraggio di
tutto il processo elettorale.
Il nostro lavoro di preparazione all'osservazione elettorale è cominciato
il 17 agosto, a Tuxtla Gutierrez, la capitale amministrativa del Chiapas,
dove abbiamo incontrato i due candidati alla carica di governatore dello
Stato (il Messico è una repubblica federale), Sami David David, del Partito
Rivoluzionario Istituzionale finora al potere, e Pablo Salazar Mendiguchia,
che reggeva un cartello di tutti i partiti dell'opposizione, l'Alianza por
Chiapas. I due incontri sono serviti per mettere a fuoco in particolare
alcuni aspetti dei programmi dei due candidati, soprattutto riguardo alla
pacificazione e alla smilitarizzazione della regione, e alla loro
valutazione della possibilità di frodi e brogli elettorali e della nostra
presenza come garanti di un più libero svolgimento delle elezioni. Il
candidato del PRI sembrava considerasse molto marginale la possibilità di
intimidazione dei militari e dei paramilitari (e in un certo senso, quindi,
anche la nostra presenza moderatrice), mentre Pablo Salazar lo riteneva un
problema grave, potenzialmente un grosso ostacolo alla libertà e sicurezza
del voto. Uno degli obiettivi cardine del suo programma, infatti, è
tagliare tutti i canali di sostentamento dei gruppi paramilitari, come
primo passo per la riconciliazione e pacificazione del conflitto, insieme
al rispetto degli Accordi di S. Andrés (riconoscimento dei diritti delle
popolazioni indigene..., punto nodale anche del conflitto con l'EZLN) del
1996, della cui commissione redattrice aveva fatto parte egli stesso.
Il 18 agosto abbiamo invece avuto un interessante incontro con un analista
del CIEPAC, un centro di indagini economiche, sociologiche e politiche di
S. Cristòbal de Las Casas, la città più importante del Chiapas, che è stata
anche la nostra base operativa. Ci ha descritto i possibili scenari
derivanti dalla vittoria dell'uno e dell'altro candidato, e i rischi
potenziali della giornata elettorale in alcune zone "calde" dello Stato. Il
pomeriggio abbiamo svolto un incontro con il Consejo Estatal Electoral, per
definire al meglio il nostro ruolo di osservatori, i nostri diritti e i
nostri limiti, sottolineando la nostra posizione di assoluta neutralità.
Il giorno successivo, dopo esserci divisi in tre gruppi che avrebbero
monitorato alcuni seggi particolarmente problematici in tre zone diverse
del Chiapas (Zona Norte, Selva Lacandona, Los Altos), siamo partiti per le
nostre rispettive mete. Il gruppo di cui facevamo parte noi dell'Operazione
Colomba si è diretto ai Los Altos, in particolare a X'oyep. X'oyep è una
comunità dove vivono più di 1100 persone, la maggior parte delle quali
desplazados (cioè profughi provenienti da comunità della stessa regione, da
cui sono stati cacciati dai paramilitari in particolare dopo la "mattanza"
di Acteal), e per questa sua particolarità, così come era successo il 2
luglio per le elezioni federali, ci si aspettava l'installazione di un
seggio speciale per il voto dei profughi. Invece per il 20 agosto non era
stato previsto alcun seggio speciale a X'oyep, e ciò significava dover
andare a votare nelle proprie comunità d'origine, dove, dopo essere stati
cacciati dai paramilitari da più di 2 anni, quasi nessuno era più tornato.
La gente era molto preoccupata da questa eventualità diventata ormai
certezza, che li avrebbe costretti a compiere ore di cammino con la paura
di poter incontrare i paramilitari che li avevano costretti ad abbandonare
le loro case. Nonostante ciò, dopo un'animata riunione, ci è stata espressa
la ferma intenzione di andare a votare nelle cinque comunità d'origine,
tutti in gruppo, a testimonianza della volontà di dire basta, attraverso lo
strumento democratico del voto, alla situazione esasperante di cui sono da
troppo tempo vittime.
Il momento di incontro con la comunità di X'oyep è stato davvero
coinvolgente, e soprattutto per chi, come me, era al suo primo contatto con
una realtà indigena, peraltro molto particolare, assistere ai loro intensi
momenti comunitari (che pervadono praticamente ogni parte della loro vita)
e rimanere stupiti di fronte alla dignità con cui affrontano la situazione
estrema della povertà materiale e della condizione di profughi, è stato
molto significativo, forte, seppur breve. Di forte impatto è stato anche
ascoltare le calme ma determinate parole del rappresentante della comunità
mentre ci riferiva la decisione (a quel punto irrevocabile) che tutti i
desplazados di X'oyep sarebbero andati a votare il giorno dopo, in ogni caso.
Il giorno delle elezioni ci siamo recati in una di queste comunità
d'origine dei profughi (Los Chorros) per assistere alle operazioni di
installazione del seggio. La situazione era piuttosto spartana e
rudimentale, davanti ad una scuola, ma la cosa che più risaltava era la
partecipazione di massa alle operazioni di installazione, nonostante
dovessero essere svolte solo dai quattro funzionari accreditati per ogni
seggio. Tutti i seggi dovevano disporre di una lista nominale in cui erano
registrati i nomi, i dati anagrafici e le foto di tutti i votanti assegnati
a quel seggio (e su cui doveva segnare chi aveva votato), e di un
pennarello di inchiostro indelebile con cui marcare il pollice destro di
ogni elettore dopo la votazione, per evitare che fosse ripetuta per più di
una volta. Insomma, sembrava che fosse stato tutto predisposto perché la
votazione si svolgesse nel migliore dei modi e in un clima di relativa
trasparenza e limpidezza burocratica, anche se la gente votava in maniera
piuttosto confusa e disordinata. Le stesse impressioni le abbiamo avute
nelle altre comunità dove siamo andati a monitorare le operazioni di voto.
Una costante, in questa parte del Chiapas fortemente militarizzata e con
una tradizionale simpatia per il PRI, era la presenza di militari e
paramilitari in borghese, una presenza che a noi poteva apparire discreta
(anche se in alcuni casi hanno rilevato i nostri dati pur non presentando
alcuna credenziale), ma che alla gente del posto che se li ritrovava
davanti all'urna dovevano apparire molto più minacciosi e intimidatori.
Non del tutto libero, il voto non è stato certamente segreto, a dispetto
della frase stampata sulle urne di tutti i seggi: "Il voto è libero e
segreto", appunto. La gente si accalcava intorno ai seggi, circondava il
tavolo dei funzionari ( che spesso erano addirittura "aiutati" da persone
non accreditate e che quindi non avrebbero potuto essere lì). Mamme che
andavano a votare con i bambini, donne che votavano insieme, persone che
agitavano le schede col voto chiedendo come fare per piegarle e inserirle
nell'urna, urne (trasparenti) che a volte regalavano alla vista schede
piegate dalla parte sbagliata e quindi col voto ben visibile… In una
situazione simile, è difficile distinguere tra procedure approssimative e
irregolarità vere e proprie: non sono mancate entrambe. Certo, in un
contesto in cui si mischiano ignoranza, pseudo-diritti "concessi" piuttosto
che garantiti, tradizioni autoritaristiche e scarsa dimestichezza con
pratiche veramente democratiche, è facilmente possibile manipolare queste
"debolezze" e approssimazioni degli elettori in correzioni organizzate del
voto, come peraltro è avvenuto finora.
La giornata elettorale si è conclusa nella tarda nottata con la
proclamazione ufficiosa del nuovo governatore dello Stato sulla base della
quasi totalità dei seggi scrutinati, Pablo Salazar, il candidato
dell'opposizione, a cui si indirizzano le speranze di cambiamento del
Chiapas stanco di soprusi, schiavitù e guerra che lo ha votato e fatto
vincere.
Le elezioni del 20 agosto però, nonostante siano state registrate parecchie
irregolarità durante il voto e il conteggio delle schede (a favore del PRI,
o meglio a svantaggio dell'opposizione), non sono state oggetto di brogli
su larga scala. Anzi, il voto è stato più tranquillo delle volte passate, e
ha visto vincere soprattutto la volontà degli elettori di esprimere le loro
preferenze e di andare a votare a dispetto delle intimidazioni. Come ci
facevano notare i profughi di X'oyep, chiedendoci con ansia se saremmo
stati presenti nei seggi quando loro sarebbero andati a votare, questo
piccolo passo verso una più vera democrazia è anche in parte merito della
presenza degli osservatori della società civile messicana e internazionale.
E' giusto mettersi in mezzo in queste faccende: non sono private, i diritti
dei chiapanechi, come quelli di tutti i popoli di questo mondo, ci
riguardano in prima persona, in quanto esseri umani e cittadini di una
società "globalizzata".
Io credo fortemente che il mio essere lì come obiettore di coscienza sia un
importante segnale, soprattutto per le nostre istituzioni, perché in Italia
si possa pensare meglio al significato da dare al servizio civile e
conseguentemente all'obiezione di coscienza, che può diventare, come
fortunatamente è stato il mio caso, esperienza e testimonianza di
cittadinanza attiva, anche a livello internazionale (come peraltro previsto
dalla nuova legge 230/98).



Samuele, Maddalena, Giacomo Filippini
Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII