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discorso di Marcos



tratto dal manifesto

   
                                                      L'uovo del serpente 

  Nell'incubatrice del neoliberismo si nascondono le radici di un nuovo
fascismo. E della moderna ingiustizia sociale: meno persone hanno
  più ricchezze prodotte da più persone con meno ricchezze. E' l'ossimoro
della globalizzazione.

  Una versione ridotta di questo testo - che il subcomandante Marcos ha
inviato a Il manifesto, Carta e Liberazione - è stata pubblicata su Il
  manifesto del 21 maggio. 

                
                         Subcomandante Marcos 
                  IL NOSTRO PROSSIMO PROGRAMMA : OSSIMORO !
                 (LA DESTRA INTELLETTUALE E IL FASCISMO LIBERALE)
                            testo integrale 






   
                                                                



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  Subcomandante Marcos 

  IL NOSTRO PROSSIMO PROGRAMMA : OSSIMORO ! 
  (LA DESTRA INTELLETTUALE E IL FASCISMO LIBERALE) 


                                                                  "Nella
figura retorica chiamata ossimoro,
                                                                   si
applica a una parola un aggettivo che
                                                                    sembra
contraddirla ; così gli gnostici

contraddirla ; così gli gnostici

parlavano di una luce oscura ; gli

parlavano di una luce oscura ; gli

alchimisti di un sole nero."



     Jorge Luis Borges

  Avvertenza, introduzione e promessa 

  Attenzione: Se non avete letto l'epigrafe, è meglio che lo facciate
adesso, altrimenti non capirete alcune cose.
  Un fatto incontestabile : la globalizzazione c'è. Non la giudico
(ancora), semplicemente indico una realtà. Però, come primo ossimoro,
  occorre segnalare che si tratta di una globalizzazione frammentata.
  La globalizzazione è stata resa possibile, fra le altre cose, da due
rivoluzioni : quella tecnologica e quella informatica. Ed è stata, ed è,
  diretta dal potere finanziario. La tecnologia e l¹informatica (e con esse
il capitale finanziario) hanno fatto scomparire le distanze e hanno
  rotto le frontiere. Oggi è possibile avere informazioni su qualunque
parte del mondo, in qualunque momento e simultaneamente. Ma
  anche il denaro ha ora il dono dell¹ubiquità : va e viene a velocità
vertiginosa, come se fosse in ogni luogo nello stesso momento. Di più,
  il denaro dà uno nuova forma al mondo, la forma di un mercato, di un
mega-mercato.
  Tuttavia, nonostante la ³mondializzazione² del pianeta, o meglio, proprio
a causa di questa, l¹omogeneità è ben lungi da essere la
  caratteristica di questo passaggio di secolo e di millennio. Il mondo è
un arcipelago, un rompicapo i cui pezzi si trasformano in altri
  rompicapo, e l¹unica cosa davvero globalizzata è la proliferazione
dell¹eterogeneità.
  Se la tecnologia e l¹informatica hanno unito il mondo, il potere
finanziario che le utilizza lo ha spezzato usandole come armi, come armi in
  una guerra. Abbiamo detto in precedenza (il testo si chiama "La quarta
guerra mondiale è cominciata", EZLN - il manifesto, 1997) che con
  la globalizzazione si porta a termine una guerra mondiale, la quarta, e
si sviluppa un processo di distruzione/spopolamento e
  ricostruzione/riordino (sto cercando di riassumere concisamente, siate
comprensivi) in tutto il pianeta. Per la costruzione del "nuovo
  ordine mondiale" (Planetario, Permanente, Immediato e Immateriale,
secondo Ignacio Ramonet), il potere finanziario conquista territori e
  abbatte frontiere, e lo fa con una guerra, una nuova guerra. Una delle
vittime di questa guerra è il mercato nazionale, base fondamentale
  dello Stato-Nazione. Quest¹ultimo è in via di estinzione, o quantomeno lo
è nella sua forma tradizionale o classica. Al suo posto sorgono
  mercati integrati, o meglio ancora i negozi del grande "centro
commerciale" mondiale, il mercato globalizzato.
  Le conseguenze politiche e sociali di questa globalizzazione sono un
Ossimoro reiterato e complesso : meno persone con più ricchezze,
  prodotte da più persone con meno ricchezze, "la povertà del nostro secolo
non è confrontabile con nessun'altra. Non è, come è accaduto
  a volte, il risultato naturale di carestie, ma di un insieme di priorità
imposte dai ricchi al resto del mondo" (John Berger, "Cada vez que
  decimos adiós" Ediciones de la Flor, Argentina, 1997. Pp. 278-279.). Per
alcuni potenti il pianeta si è spalancato ; per milioni di persone il
  mondo è un non-luogo, e vagano errabondi da una parte all¹altra. La
criminalità organizzata costituisce la spina dorsale dei sistemi
  giudiziari e dei governi (gli illegali fanno le leggi e "conservano
l'ordine pubblico"), e l'"integrazione" mondiale moltiplica le frontiere.
  Così, volendo mettere in risalto alcune delle principali caratteristiche
dell¹epoca attuale, dovremmo dire : supremazia del potere finanziario,
  rivoluzione tecnologica e informatica, guerra, distruzione/spopolamento e
ricostruzione/riordino, attacco allo Stato-Nazione, conseguente
  ridefinizione del potere e della politica, il mercato come figura
egemonica che permea tutti gli aspetti della vita umana in ogni luogo,
  maggior concentrazione della ricchezza in poche mani, maggior
distribuzione della povertà, aumento dello sfruttamento e della
  disoccupazione, milioni di persone in esilio economico, delinquenti che
si fanno governo, disintegrazione del territorio. Riassumendo :
  globalizzazione frammentata.
  Bene, secondo queste premesse, nel caso degli intellettuali (posto che
abbiano a che vedere con la società, il potere e lo stato) sarebbe il
  caso di domandarsi : hanno subito lo stesso processo di
distruzione/spopolamento e ricostruzione/riordino ? Quale ruolo assegna
loro il
  potere finanziario ? Come usano (o sono usati da) i progressi tecnologici
e informatici ? Che posizione hanno in questa guerra ? Come si
  rapportano con questi minacciati Stati-Nazione ? Qual è il loro legame
con questo potere e con questa politica così ridefiniti ? Che posto
  occupano nel mercato ? e che posizione prendono di fronte alle
conseguenze politiche e sociali della globalizzazione ? Insomma : come si
  inseriscono in questa globalizzazione frammentata ?
  Il mondo sarebbe cambiato da e per questa guerra. Se così fosse, gli
intellettuali "classici" non esisterebbero più, e nemmeno le loro
  tradizionali funzioni. Al loro posto una nuova generazione di "teste
pensanti" (per usare un termine coniato dal comandante zapatista
  Tacho) sarebbe emersa (o starebbe per emergere) e avrebbe nuove funzioni
nei propri compiti intellettuali.
  Anche se cercheremo qui di limitarci agli intellettuali di destra,
saranno evidenti alcune indicazioni a proposito degli intellettuali in genere
  e sui loro rapporti con il potere. Dato che questo testo si propone di
partecipare e di alimentare la polemica fra intellettuali di destra e di
  sinistra, una riflessione più profonda su intellettuali e potere e su
intellettuali e trasformazione, è rinviata a futuri e improbabili scritti.
  Bene. Salve, e tenete a portata di mano il vostro telecomando. Fra un
minuto cominciamo...

                                                         

  Subcomandante Marcos 

  IL NOSTRO PROSSIMO PROGRAMMA : OSSIMORO ! 
  (LA DESTRA INTELLETTUALE E IL FASCISMO LIBERALE) 


  1 - LA MONDIALIZZAZIONE : PAY PER VIEW

  In bilico sulla cerniera del calendario, il duemila pencola fra il XX e
il XXI secolo e fra il secondo e il terzo millennio. Non so quanto sia
  importante questo computo del tempo, ma mi pare comunque che sia il
momento appropriato perché da ogni parte sorga OSSIMORO. Per
  non andare troppo lontano, si può dire che quest'epoca è il principio
della fine o la fine del principio di "qualcosa". "Qualcosa" : modo
  irresponsabile di eludere un problema. Ma già si sa che la nostra
specialità non è quella di risolvere i problemi, ma di crearli. Crearli ?
No, è
  troppa presunzione : diciamo proporli. Sì, la nostra specialità e
proporre dei problemi.
  Lassù tutto sembra essere già accaduto in precedenza, come se un vecchio
film si ripetesse con altre immagini, altre risorse
  cinematografiche, persino altri attori, ma con lo stesso soggetto. Come
se la "modernità" (o "postmodernità" : lascio la distinzione a chi
  se ne voglia prendere il disturbo) della globalizzazione si vestisse del
suo OSSIMORO e ci si presentasse come una modernità arcaica,
  ammuffita, antica.
  Se quello che sto dicendo vi sembra una valutazione meramente soggettiva,
addebitatelo al nostro stare in montagna, resistenti e ribelli,
  ma concedeteci il lusso di leggerci e deciderete poi se si tratta di un
nuovo sintomo del "mal di montagna" o se condividete questa
  sensazione di déjà-vu che fluisce attraverso quell'ipercinema che è il
mondo globalizzato.
  Il mondo non è quadrato, o almeno questo si insegna a scuola. Però, sul
discrimine della cerniera fra due millenni, il mondo non è neppure
  rotondo. Non so quale sia la figura geometrica adatta a rappresentare la
forma attuale del mondo, ma dato che siamo nell¹epoca della
  comunicazione digitale audiovisiva, potremmo tentare di definirla come un
gigantesco schermo. Voi potete aggiungere "uno schermo
  televisivo", anche se io opterei per "uno schermo cinematografico". Non
solo perché preferisco il cinema, ma anche (e soprattutto)
  perché ho l¹impressione che ci troviamo davanti a un film, a un vecchio
film, modernamente vecchio (per continuare con ossimoro).
  E poi è uno di quegli schermi su cui è possibile programmare la
proiezione simultanea di varie immagini (la chiamano "Picture In Picture").
  Nel caso del mondo globalizzato, si tratta di immagini che si succedono
in qualsiasi angolo del pianeta. Ma non sono tutte le immagini. E
  questo non perché sullo schermo manchi lo spazio, ma perché "qualcuno" ha
scelto quelle immagini e non altre. Come dire che stiamo
  guardando uno schermo con diversi riquadri che ci presentano immagini
simultanee da diverse parti del mondo. E¹ vero, ma non tutto il
  mondo è lì.
  A questo punto uno inevitabilmente si domanda : "chi ha in mano il
telecomando di questo schermo audiovisivo ? e chi fa la
  programmazione ?". Buone domande, ma qui non troverete le risposte. E non
solo perché non le conosciamo con certezza scientifica, ma
  anche perché non sono l¹argomento centrale di questo scritto.
  Dato che non possiamo cambiare canale ( o sala), vediamo alcuni dei
riquadri che ci presenta il megaschermo della globalizzazione.
  Andiamo nel continente americano. In questo angolo abbiamo l¹immagine
dell¹Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM)
  occupata da un gruppo paramilitare governativa : la cosiddetta Policía
Federal Preventiva. Non sembra che stiano studiando, questi
  uomini in uniforme grigia. Più in là, incorniciata dalle montagne del
Sudest messicano, una colonna di grigi blindati attraversa una
  comunità indigena chiapaneca. A fianco, l'immagine grigia ci mostra un
poliziotto statunitense che arresta, con scialo di violenza, un
  giovane in una città che potrebbe essere Seattle o Washington.
  Anche nel riquadro europeo prolifera il grigio. In Austria Joerg Haider e
il suo fervore filonazista. In Italia, con l'aiuto disinteressato di
  D'Alema, Silvio Berlusconi si aggiusta il nodo della cravatta. In Spagna
Felipe González fa il maquillage alla faccia di José Maria Aznar.
  Dalla Francia è Le Pen che ci sorride.
  Asia, Africa e Oceania, nei loro rispettivi angoli, ci presentano lo
stesso grigio che si ripete.
  Mmh... Quanti grigi... Mmh... Possiamo protestare... Dopo tutto ci
avevano promesso un programma a colori... Alziamo almeno il volume e
  cerchiamo di sentire di che si tratta.


  Subcomandante Marcos 

  IL NOSTRO PROSSIMO PROGRAMMA : OSSIMORO ! 
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  2 - UN OBLIO MEMORABILE

  Proprio come la globalizzazione frammentata, gli intellettuali "ci sono",
sono una realtà della società moderna. E il loro "esserci" non si
  limita all'epoca attuale, risale ai primi passi della società umana. Ma
l'archeologia degli intellettuali sfugge alle nostre possibilità di
  conoscenza ; quindi partiamo dal fatto che "ci sono". In ogni caso quello
che cerchiamo di scoprire è la forma che acquista adesso il loro
  "esserci". 
  "Gli intellettuali, si sa, come categoria sono qualcosa di assai vago.
Altra cosa è, invece, definire la funzione Rintellettuale'. Essa consiste
  nel determinare criticamente quel che si considera una soddisfacente
approssimazione al proprio concetto di verità ; e può svilupparla
  chiunque, persino un emarginato che rifletta sulla propria condizione e
in qualche modo la esprima, mentre può tradirla uno scrittore che
  reagisca di fronte agli avvenimenti con passione, senza imporsi il filtro
della riflessione." (Umberto Eco, "Cinque scritti morali"). Se le
  cose stanno così, allora il compito degli intellettuali è
fondamentalmente analitico e critico. Di fronte a un accadimento sociale (per
  limitarci a questo universo) l'intellettuale analizza l'evidenza, ciò che
è positivo e ciò che è negativo, cercando ciò che è ambiguo, che non
  è né una cosa né l'altra (anche se lo sembra), e mostra (comunica,
rivela, denuncia) ciò che non solo non è evidente, ma addirittura
  contraddice l'evidenza. 
  Si deve supporre che nelle società umane ci siano persone che si dedicano
professionalmente a questa analisi critica e a comunicarne il
  risultato (con le parole di Norberto Bobbio : "Gli intellettuali sono
tutti quelli per cui trasmettere messaggi è l'occupazione abituale e
  cosciente (...) e per dirla in un modo che può sembrare brutale, quasi
sempre rappresenta anche il modo di guadagnarsi il pane").
  Atteniamoci a questa definizione dell'intellettuale, del professionista
dell'analisi critica e della comunicazione.
  Siamo già stati avvertiti del fatto che l'intellettuale non sempre
esercita la sua funzione intellettuale. "La funzione intellettuale si esercita
  sempre in anticipo (su ciò che potrebbe accadere) o in ritardo (su ciò
che è accaduto) ; raramente su ciò che sta succedendo, per motivi di
  ritmo, perché gli avvenimenti sono sempre più rapidi e incalzanti della
riflessione sugli avvenimenti stessi" (Umberto Eco, Op. Cit.). 
  Per la sua funzione intellettuale, questo professionista dell'analisi
critica e della sua comunicazione sarebbe una specie di coscienza
  scomoda e impertinente della società (in questa epoca, della società
globalizzata) nel suo insieme e nelle sue varie parti. Una persona che
  non si accontenta di nulla, né delle forze politiche e sociali, né dello
stato, del governo, dei mezzi di comunicazione, della cultura, dell'arte,
  della religione, né dell'eccetera che il lettore voglia aggiungere. Se
l'attore sociale dice "Ecco fatto !", l'intellettuale mormora scettico :
  "Manca questo, c'è troppo di quest'altro." 
  Diciamo allora che l'intellettuale, nel suo ruolo, è un critico
dell'immobilità, un promotore del cambiamento, un progressista. Tuttavia
  questo comunicatore di idee critiche è inserito in una società
polarizzata, combattuta al proprio interno in molti modi e su diversi
  argomenti, ma fondamentalmente divisa tra coloro che utilizzano il potere
per fare in modo che le cose non cambino e coloro che lottano
  per il cambiamento.
  "L'intellettuale deve comprendere, per un elementare senso del ridicolo,
che non gli viene conferito il ruolo di stregone dello spirito
  intorno al quale girerà l'essere o non essere della realtà storica, ma
che evidentemente possiede dei saperi (...) che lo possono allineare in
  un senso o nell'altro della realtà storica. Può schierarsi a favore della
ricerca di una spiegazione delle ingiustizie presenti nel mondo
  attuale o in favore della complicità con la paralisi e l'insediamento nel
limbo." (Manuel Vázquez Montalbán, "Pamphlet dal pianeta delle
  scimmie". Feltrinelli, 1995. Pp. 44-45). 
  Ed è qui che l'intellettuale opta, sceglie tra la sua funzione
intellettuale e la funzione che gli propongono gli attori sociali. Compare
così la
  divisione (e la lotta) fra intellettuali progressisti e reazionari. Gli
uni e gli altri continuano a lavorare sulla comunicazione delle analisi
  critiche, ma mentre i progressisti persistono nella critica
dell'immobilità, della permanenza, dell'egemonia e dell'omogeneizzazione, i
  reazionari inalberano la critica del cambiamento, del movimento, della
ribellione e della diversità. L'intellettuale reazionario "dimentica" la
  propria funzione intellettuale, rinuncia alla riflessione critica e
ritaglia la propria memoria in modo che non ci sia né passato né futuro : il
  presente e l'immediato sono le uniche realtà che è possibile cogliere e,
pertanto, sono indiscutibili. 
  Dicendo "intellettuali progressisti e reazionari", ci riferiamo agli
intellettuali "di destra e di sinistra". Conviene aggiungere, qui, che
  l'intellettuale di sinistra esercita la sua funzione intellettuale, cioè
l'analisi critica, anche nei confronti della sinistra (sociale, ideologica, di
  partito) ; ma nel momento attuale la sua critica si applica
fondamentalmente al potere egemone : quello dei signori del denaro e di coloro
  che li rappresentano nel campo della politica e delle idee. 
  Lasciamo adesso gli intellettuali progressisti e di sinistra, e passiamo
agli intellettuali reazionari, alla destra intellettuale. 



  Subcomandante Marcos 

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  3 - IL PRAGMATISMO INTELLETTUALE 

  In principio i giganti intellettuali di destra erano progressisti. E
parlo dei grandi intellettuali, dei "think tanks" della reazione, non dei nani
  che sono andati iscrivendosi ai loro club "pensanti". Octavio Paz, ottimo
poeta e saggista, il più grande intellettuale di destra degli ultimi
  anni in Messico, ha dichiarato : "Vengo dal pensiero definito di
sinistra. E' stato qualcosa di molto importante nella mia formazione. Non
  so adesso... l'unica cosa che so è che il mio dialogo - a volte la mia
discussione - è con loro (gli intellettuali di sinistra). Non ho molto di
  cui parlare con gli altri" (Braulio Peralta, "El poeta en su tierra.
Dialogos con Octavio Paz".) E casi come quello di Paz vanno ripetendosi
  sul megaschermo globale. 
  L'intellettuale progressista, in quanto comunicatore di analisi critiche,
si trasforma in oggetto e obiettivo per il potere dominante. Oggetto
  da comprare e obiettivo da distruggere. Per l'una cosa e per l'altra,
viene posta in campo una quantità di risorse. L'intellettuale
  progressista "nasce" nel bel mezzo di questo clima di seduzione
persecutoria. Alcuni resistono e si difendono (quasi sempre in solitudine
  : la solidarietà di categoria non sembra essere caratteristica degli
intellettuali progressisti) ; ma altri, forse stremati, cercano nel proprio
  bagaglio di idee e tirano fuori quelle che possano essere al tempo stesso
alibi e motivo per legittimare il potere. Il nuovo esige molto ; il
  vecchio è già lì, quindi basta inalberare l'argomento dell'"inevitabile"
perché il sistema offra loro una comoda poltrona (di volta in volta
  sotto forma di borsa di studio, posto, premio, spazio, ecc.) alla corte
del Principe ieri tanto criticato. 
  "L'inevitabile" oggi si chiama : globalizzazione frammentata, pensiero
unico ( e cioè, "la traduzione in termini ideologici e con pretese
  universali degli interessi di un insieme di forze economiche, in
particolare quelle del capitale internazionale" Ignacio Ramonet, "Un mondo
  senza direzione. Crisi di fine secolo"), fine della storia, onnipresenza
e onnipotenza del denaro, sostituzione della politica con la polizia, il
  presente come unico futuro possibile, razionalizzazione della
diseguaglianza sociale, giustificazione del supersfruttamento degli esseri
  umani e delle risorse naturali, razzismo, intolleranza, guerra.
  In un'epoca segnata da due nuovi paradigmi, comunicazione e mercato,
l'intellettuale di destra (ed ex di sinistra) capisce che essere
  "moderno" significa adempiere alla parola d'ordine : Adattatevi o perdete
i vostri spazi di privilegio ! 
  Non deve nemmeno essere originale ; l'intellettuale di destra ha già la
cava da cui dovrà spaccare le pietre che adorneranno la
  globalizzazione frammentata : la cava del pensiero unico. L'asepsi non ha
molta importanza : il pensiero unico ha le sue principali "fonti"
  nella Banca Mondiale, nel Fondo Monetario Internazionale,
nell'Organizzazione per il Commercio e lo Sviluppo Economico,
  nell'Organizzazione Mondiale del Commercio, nella Commissione Europea,
nella Bundesbank, nella Banca di Francia, "che attraverso i
  loro finanziamenti arruolano al servizio delle loro idee, in tutto il
pianeta, numerosi centri di ricerca, università e fondazioni che, a loro
  volta, rifiniscono e diffondono la buona novella" (Ignacio Ramonet, Op.
Cit.).
  Con tanta abbondanza di risorse, è facile che fioriscano delle élites che
"da anni si impegnano a fondo nel tessere le lodi del Rpensiero
  unico' ; che esercitano un vero e proprio ricatto contro ogni riflessione
critica in nome della 'modernizzazione', del Rrealismo', della
  'responsabilità' e della 'ragione' ; che affermano il 'carattere
ineluttabile' dell'attuale evolversi delle cose ; che predicano la
capitolazione
  intellettuale e consegnano alle tenebre dell'irrazionale tutti quelli che
rifiutano di accettare 'lo stato naturale della società e del mercato'"
  (Ibidem).
  Lontani dalla riflessione, dal pensiero critico, gli intellettuali di
destra diventano i pragmatisti per eccellenza, snaturano la funzione
  intellettuale e si trasformano in echi, più o meno fedeli, degli spot
pubblicitari che inondano il mega-mercato della globalizzazione
  frammentata.
  Rifunzionalizzati nella globalizzazione frammentata, gli intellettuali di
destra modificano il loro essere e acquisiscono nuove virtù (tra le
  quali ricompare Ossimoro) : un'audace vigliaccheria e una profonda
banalità. Entrambe brillano nelle loro "analisi" del presente
  globalizzato e delle sue contraddizioni, nelle loro rivisitazioni del
passato storico, nella loro chiaroveggenza. Si possono concedere il
  lusso dell'audace vigliaccheria e della profonda banalità perché
l'egemonia universale quasi assoluta del denaro li protegge con torri di
  vetro antiproiettile. Per questo la destra intellettuale è
particolarmente settaria e ha, per di più, il sostegno di non pochi mezzi di
  comunicazione e governi. L'ingresso in quelle alte torri intellettuali
non è facile : bisogna rinunciare all'immaginazione critica e autocritica,
  all'intelligenza, all'argomentazione, alla riflessione, e optare per la
nuova teologia, la teologia liberista.
  Dato che la globalizzazione viene venduta come il migliore dei mondi
possibili ma soffre una carenza di esempi concreti dei vantaggi che
  elargisce all'umanità, si deve ricorrere alla teologia e supplire con
dogmi e fede neoliberista alla mancanza di argomenti. Il ruolo dei teologi
  neoliberisti comprende il denunciare e perseguire gli "eretici", i
"messaggeri del male", cioè gli intellettuali di sinistra. E quale modo
  migliore di combattere i critici che accusarli di "messianismo" ?
  Di fronte all'intellettuale di sinistra, quello di destra infligge
l'etichetta lapidaria di "messianismo stantio". Chi mai può mettere in
  questione un presente pieno di libertà, in cui chiunque può decidere che
cosa compra, che siano articoli di prima necessità, ideologie,
  proposte politiche o condotte per ogni occasione ?
  Ma paradosso non perdona. Se c'è del messianismo da qualche parte, è
nella destra intellettuale. "Il Grande Circo degli Intellettuali
  Neoliberisti Chimicamente Puri o degli Ex Marxisti Pentiti o la
Trilateral, possono essere messianici quando prefigurano la fatalità di un
  universo basato sulla verità unica, sul mercato unico e sull'esercito
gendarme unico che vigila sulla raffica di flash che accompagna la
  fotografia finale della Storia, scattata davanti ai migliori paesaggi
delle migliori società aperte." (Manuel Vázquez Montalbán. Op. Cit. P.
  43).
  La fotografia finale. O la scena clou del film della globalizzazione
frammentata. 



  Subcomandante Marcos 

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  4 - I CHIAROVEGGENTI CIECHI 

  Parafrasando Régis Debray ("Croire, Voir, Faire", Ed. Odile Jacob, Parigi
1999), il problema qui non è perché o come la globalizzazione sia
  irrimediabile, ma perché e come mai tutti, o quasi, siano d'accordo sul
fatto che è irrimediabile. Una possibile risposta : "La tecnologia del
  fare-credere (...). Il potere dell'informazione... In-formare : dare
forma, formattare. Con-formare : dare conformità. Tras-formare : modificare
  una situazione" (Ibidem). 
  Con la globalizzazione dell'economia si globalizza anche la cultura. E
l'informazione. Così le grandi imprese della comunicazione "tendono"
  la loro rete sul mondo intero senza che nessuno glielo impedisca. "Né Ted
Turner della CNN, né Rupert Murdoch della News Corporation
  Limited, né Bill Gates della Microsoft, né Jeffrey Vinik della Fidelity
Investments, né Larry Rong della China Trust and International
  Investments, né Robert Allen della ATT, esattamente come George Soros e
decine di altri nuovi padroni del mondo, hanno mai
  sottoposto i loro progetti al suffragio universale" (Ignacio Ramonet, Op.
Cit.) 
  Nella globalizzazione frammentata le società sono fondamentalmente
società mediatiche. I media sono il grande specchio, non di ciò che
  la società è, ma di ciò che deve mostrare di essere. Piena di tautologie
e di ovvietà, la società mediatica è avara di ragioni e argomenti. In
  essa ripetere è dimostrare. 
  E quello che viene ripetuto sono le immagini, come quelle grigie che ci
mostra ora lo schermo globalizzato. Debray ci dice : "L'equazione
  dell'era visuale è qualcosa di simile a : visibile = reale = vero. Ecco
l'idolatria rivisitata (e sicuramente ridefinita)" (Regis Debray, Op. Cit.).
  E gli intellettuali di destra hanno imparato bene la lezione. Anzi, ne
hanno fatto uno dei dogmi della loro teologia. 
  Dove è avvenuto il salto che identifica visibile con vero ? Trucchi dello
schermo globalizzato. 
  Il mondo intero, meglio ancora, la conoscenza intera adesso è a portata
di mano di chiunque abbia una televisione o un computer
  portatile. Sì, ma non qualunque mondo e non qualunque conoscenza. Debray
spiega che il centro di gravità delle informazioni si è
  spostato dallo scritto al visuale, dalla differita alla diretta, dal
segno all'immagine. I vantaggi per gli intellettuali di destra (e gli
svantaggi
  per i progressisti) sono ovvi. 
  Analizzando il comportamento dell'informazione in Francia durante la
Guerra del Golfo Persico, si rivela il potere dei media : all'inizio del
  conflitto il 70% dei francesi si mostrava ostile, mentre alla fine la
stessa percentuale la approvava. Sotto i colpi dei media, l'opinione
  pubblica francese si è "ribaltata" e il governo ha ottenuto il
beneplacito per la partecipazione alla guerra. 
  Siamo nell'"era visuale". Così le informazioni ci si presentano con
l'evidenza dell'immediatezza, pertanto è reale ciò che ci viene mostrato,
  pertanto è vero ciò che vediamo. Non c'è posto per la riflessione
intellettuale critica, al massimo c'è spazio per commentatori che
  "completino" la lettura dell'immagine. Il visuale non è fatto, in
quest'epoca, per essere visto, ma per dare "conoscenza". Il mondo è
  diventato una mera rappresentazione multimediale - che sopprime il mondo
esterno - in grado di essere conosciuta nella misura in cui
  viene vista. Sì : inizio del terzo millennio, XXI secolo, e la filosofia
emergente nel nostro mondo "moderno" è l'idealismo assoluto. 
  Si possono già trarre alcune conclusioni : il nuovo intellettuale di
destra deve svolgere la sua funzione legittimatrice nell'era visuale ;
  optare per ciò che è diretto e immediato ; passare dal segno all'immagine
e dalla riflessione al commento televisivo. Non deve neppure
  sforzarsi per legittimare un sistema totalitario, brutale, genocida,
razzista, intollerante ed escludente. Il mondo che è oggetto della sua
  "funzione intellettuale" è quello offerto dai media : una
rappresentazione virtuale. Se nell'ipermercato della globalizzazione lo
  Stato-Nazione si ridefinisce come impresa fra le imprese, i governanti
come direttori delle vendite e gli eserciti e le polizie come corpi di
  vigilanza, allora alla destra intellettuale compete l'area delle
Pubbliche Relazioni. 
  In altre parole, nella globalizzazione gli intellettuali di destra sono
"multiuso" : becchini dell'analisi critica e della riflessione, giocolieri con
  le macine da mulino della teologia neoliberista, suggeritori dei governi
che dimenticano lo "script", commentatori dell'ovvio, mazzieri di
  soldati e polizie, giudici gnoseologici che distribuiscono etichette di
"vero" o "falso" a seconda delle convenienze, guardaspalle teorici
  del Principe e mezzibusti della "nuova storia". 



  Subcomandante Marcos 

  IL NOSTRO PROSSIMO PROGRAMMA : OSSIMORO ! 
  (LA DESTRA INTELLETTUALE E IL FASCISMO LIBERALE) 


  5 - IL FUTURO PASSATO 

  "Bruciare libri ed erigere fortificazioni è normale lavoro dei prìncipi"
dice Jorge Luis Borges. E aggiunge che ogni Principe vuole che la
  storia cominci da lui. Nell'era della globalizzazione frammentata non si
bruciano i libri (sebbene si erigano fortificazioni), però li si
  sostituisce. Così, più che sopprimere la storia precedente alla
globalizzazione, il Principe neoliberista istruisce i suoi intellettuali
perché la
  rifacciano in modo tale che il presente sia il culmine dei tempi. 
  "I Truccatori della storia", così Luis Hernández Navarro ha intitolato un
articolo dedicato al dibattito con gli intellettuali di destra in
  Messico (In La Jornada del 10 aprile 2000). Oltre a stimolare il presente
testo (scritto con l'intenzione di dar seguito alle sue premesse),
  Hernández Navarro ci avverte di una nuova offensiva : la nuova destra
intellettuale punta le sue batterie contro le figure rappresentative
  dell'intellettualità progressista messicana. "Redditiera tardiva della
prosperità planetaria del "pensiero unico", rinnegatrice della propria
  identità, erede a contratto della caduta del muro di Berlino, socia ed
emula del circuito culturale conservatore statunitense, questa destra
  è convinta che la critica culturale conceda credenziali sufficiente a
emettere, senza argomentazioni, giudizi sommari contro i suoi avversari
  in campo politico" (Ibidem). 
  Le ragioni non-ideologiche di questo attacco sono da ricercare nella
contesa per uno spazio di credibilità. In Messico gli intellettuali di
  sinistra hanno grande influenza nella cultura e nell'accademia.
Disturbano, questo è il loro delitto. 
  No, è piuttosto uno dei loro delitti. Un altro è l'appoggio che questi
intellettuali progressisti danno alla lotta zapatista per una pace giusta
  e dignitosa, per il riconoscimento dei diritti dei popoli indio e per la
fine della guerra contro gli indigeni del paese. Questo "peccato" non
  è veniale. "La ribellione zapatista inaugura una nuova tappa, quella
dell'irruzione dei movimenti indigeni come attori dell'opposizione alla
  globalizzazione neoliberista" (Ivon Le Bot, La Jornada del 6 marzo 2000).
Non siamo i migliori né gli unici : ci sono gli indigeni dell'Ecuador
  e del Cile, le proteste di Seattle e di Washington (e quelle che
seguiranno nel tempo, non nell'importanza). Però siamo una delle immagini
  che distorcono il megaschermo della globalizzazione frammentata e, come
fenomeno sociale e storico, richiediamo riflessione e analisi
  critica. 
  E la riflessione e l'analisi critica non si trovano nell'"arsenale" della
destra intellettuale. Come cantare le glorie del nuovo ordine mondiale
  (e il suo imporsi in Messico) se un gruppo di indigeni "premoderni" non
solo sfidava il potere, ma si conquistava anche la simpatia di
  un'importante frangia di intellettuali ? Di conseguenza il Principe ha
dettato i suoi ordini : attaccate gli uni e gli altri, io ci metto l'esercito,
  voi metteteci le idee. E così la nuova destra intellettuale ha dedicato
ironie e calunnie al suo contraltare di sinistra. A noi indigeni ribelli
  zapatisti ha dedicato... una nuova storia. 
  E, dato che lo zapatismo aveva un impatto internazionale, la destra
intellettuale si è dedicata a questo compito in varie parti del mondo
  (non solo in Messico). Gli intellettuali di destra non solo imbellettano
la storia, ma la rifanno, la riscrivono a convenienza del Principe e
  secondo la loro funzione intellettuale. 
  Ma torniamo in Messico. "Nel corso di questo secolo gli intellettuali in
Messico hanno svolto diverse funzioni : cortigiani di lusso del
  potere di turno, decorazione statale, voci dissidenti (che vengono
chiamate, per istituzionalizzarle, 'Coscienze Critiche'), interpreti
  privilegiati della storia e della società, spettacoli di per sé" (Carlos
Monsiváis, in Viento del Sur 8, 1996). 
  L'ultimo grande intellettuale di destra in Messico, Octavio Paz, ha
assolto fino alle estreme conseguenze l'incarico affidatogli dal Principe.
  Non ha lesinato le parole per screditare gli zapatisti e coloro che
avevano dimostrato simpatia per la loro causa (attenzione : non per le
  loro forme di lotta). Una delle migliori dimostrazioni del Paz al
servizio del Principe si trova nei suoi scritti e nelle sue dichiarazioni
degli
  inizi del 1994. Qui Octavio Paz definiva, non l'EZLN, ma gli argomenti
che avrebbero dovuto approfondire i suoi "soldati" intellettuali :
  maoismo, messianismo, fondamentalismo e alcuni altri "ismi" che adesso mi
sfuggono. Nei confronti degli intellettuali progressisti, Paz
  non ha lesinato le accuse : loro erano i responsabili del "clima di
violenza" che aveva segnato l'anno 1994 (e anche tutti gli altri anni del
  Messico moderno, ma la destra intellettuale non ha mai brillato per la
sua memoria storica), in sostanza, dell'assassinio del candidato
  ufficiale alla presidenza della Repubblica Colosio. Anni dopo, prima di
morire, Paz avrebbe rettificato, segnalando che il sistema era in
  crisi e che, anche senza la ribellione zapatista, quei fatti sarebbero
ugualmente accaduti (v. Braulio Peralta Op. Cit.) 
  Nessuno degli eredi attuali di Paz possiede la sua statura, anche se non
manca loro l'ambizione di prendere il suo posto. Non come
  intellettuale, dato che a questi mancano intelligenza e prestigio, ma per
il posto privilegiato che occupava accanto al Principe. Tuttavia,
  fanno la sua stessa lotta. E continuano nel suo impegno di confezionare
allo zapatismo una storia che faccia loro comodo, non solo per
  attaccarlo, ma soprattutto per eludere un'analisi critica e una
riflessione serie e responsabili. 
  Ma non è solo la storia dello zapatismo e dei popoli indio che stanno
riscrivendo gli intellettuali di destra. Si sta rifacendo l'intera storia
  del Messico, per dimostrare che siamo ormai nel migliore dei Messichi
possibili. E così i nani della destra intellettuale rivisitano il passato
  e ci vendono una nuova immagine di Porfirio Díaz, di Santa Ana, di
Calleja, di Cárdenas. 
  E questa ansia di rimodellare la storia non è esclusiva del Messico.
Sullo schermo della globalizzazione ci viene già proposta una nuova
  versione in cui l'Olocausto nazista contro gli ebrei è una specie di
Disneyland selettiva e Adolf Hitler una specie di simpatico Mickey
  Mouse ariano, e, in tempi più recenti, le guerre del Golfo e del Kossovo
sono state "umanitarie". Nel futuro passato che ci prepara la
  destra intellettuale, la globalizzazione è il deus ex machina che lavora
sul mondo per preparare il proprio stesso avvento. 
  Ma quelle immagini grigie che ci mostra adesso il megaschermo della
globalizzazione, di che cosa annunciano l'arrivo? 

            

  Subcomandante Marcos 

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  6 - IL LIBERALE FASCISTA 

  Io dico che questo film lo abbiamo già visto, e se non ce ne ricordiamo è
perché la storia non è un articolo di richiamo nel mercato
  globalizzato. Quei grigi possono significare qualcosa : la ricomparsa del
fascismo. 
  Paranoia ? Umberto Eco, in un testo intitolato "Il fascismo eterno" (Op.
Cit.), fornisce alcune chiavi per capire che il fascismo è sempre
  latente nella società moderna, e che sebbene appaia poco probabile il
ripetersi dei campi di sterminio nazisti, in ogni angolo del pianeta
  sta in agguato quello che Eco chiama "Ur Fascismo". Dopo averci fatto
presente che il fascismo era un totalitarismo "fuzzy", cioè
  disperso, diffuso in tutta la società, ci propone alcune delle sue
caratteristiche : rifiuto dei progressi del sapere, irrazionalismo, la cultura
  viene sospettata di fomentare atteggiamenti critici, il disaccordo con
ciò che è egemone è un tradimento, paura della differenza e razzismo,
  aumento della frustrazione individuale o sociale, xenofobia, i nemici
sono contemporaneamente troppo forti e troppo deboli, la vita è una
  guerra permanente, elitarismo aristocratico, sacrificio individuale per
il bene della causa, maschilismo, populismo qualitativo diffuso
  attraverso la televisione, "neo lingua" (di lessico povero e sintassi
elementare). 
  Tutte queste caratteristiche si possono ritrovare nei valori difesi e
diffusi dai media e dagli intellettuali di destra nell'era visuale, nell'era
  della globalizzazione frammentata. "Oggi, quasi come ieri, non si sta
forse utilizzando la stanchezza democratica, la nausea di fronte al
  nulla, lo sconcerto davanti al disordine come avallo di una nuova
situazione storica eccezionale che richiede un nuovo autoritarismo
  persuasivo, che unifichi la cittadinanza in clienti e consumatori di un
sistema, di un mercato, di una repressione centralizzata ?" (M.
  Vázquez Montalbán. Op. Cit. pp. 70-71). 
  Guardate il megaschermo : tutti quei grigi sono la risposta al disordine,
quello che è necessario per affrontare coloro che si rifiutano di
  godere del mondo virtuale della globalizzazione e fanno resistenza. E
tuttavia sembra che il numero dei resistenti cresca. Uno dei nani
  messicani che aspirano a occupare la poltrona vuota di Octavio Paz
constatava, atterrito, che in un'inchiesta dell'Instituto de
  Investigaciones Sociales della UNAM (Università Autonoma di Città del
Messico), nel 1994, il 29% dei messicani intervistati rispondeva
  che non si deve ubbidire alle leggi se sono ingiuste. Nel novembre del
'99, sulla rivista "Educación 2001" era il 49% che alla domanda
  "Può il popolo disubbidire alle leggi se gli sembra che siano ingiuste ?"
rispondeva "sì". Dopo aver riconosciuto che è necessario
  risolvere i problemi di crescita economica, di istruzione, occupazione e
salute, concludeva : "tutte queste cose si possono raggiungere
  solo se la società si regge su un terreno di base, quello della sicurezza
pubblica e dell'osservanza delle leggi. In Messico quel terreno è
  pieno di buchi e tende a peggiorare." (Héctor Aguilar Camín, in Esquina,
23 aprile 2000). Il ragionamento è sintomatico : a mancanza di
  legittimità e consenso, poliziotti. 
  Il clamore della destra intellettuale che chiede "legge e ordine" non è
esclusivo del Messico. In Francia il fascista Le Pen si è preparato
  per rispondere alla chiamata. In Austria il neonazista Haider è già
pronto, proprio come il franchista Aznar nello Stato Spagnolo. In Italia
  Berlusconi (alias il "Duce Multimediale") e Gianfranco Fini si preparano
per quando verrà il momento. 
  L'Europa affacciata di nuovo al balcone del fascismo ? Suona duro... e
lontano. Ma ci sono le immagini del megaschermo. Quegli
  skinheads i cui manganelli spuntano da dietro quell'angolo, sono in
Germania, in Inghilterra, in Olanda ?"Sono gruppi minoritari e sotto
  controllo" ci tranquillizza l'audio del megaschermo. A quanto pare il
fascismo rinnovato non ha sempre la testa rasata né si adorna il
  corpo con svastiche tatuate, ma anche così non cessa di essere una destra
sinistra. 
  Se dico "destra sinistra" vi sembrerà che stia giocando con le parole e
che sto solo ricorrendo di nuovo a ossimoro, invece tento di
  richiamare la vostra attenzione su qualcosa. Dopo la caduta del muro di
Berlino, lo spettro politico europeo si è, nella sua maggioranza,
  avventato verso il centro. Questo è evidente nella sinistra europea
tradizionale, ma è successo anche ai partiti di destra (vedi : Emiliano
  Fruta, "La nueva derecha europea", e Hernán R. Moheno, "Más allá de la
vieja izquierda y la nueva derecha". In Urbi et Orbi", Aprile
  2000). Con una maschera moderna, la destra fascista comincia a
conquistare spazi che ormai sorpassano di molto quelli dei rapporti
  polizieschi nei media. E' stato possibile perché si sono sforzati di
costruirsi una nuova immagine, lontana dal passato violento e
  autoritario. 
  Anche perché si sono appropriati della teologia neoliberista con una
facilità stupefacente (un motivo ci sarà), e perché nelle loro
  campagne elettorali hanno molto insistito sui temi della sicurezza
pubblica e dell'occupazione (mettendo in guardia contro la "minaccia"
  degli immigrati). Qualche differenza con le proposte della
socialdemocrazia o della sinistra tradizionale ? 
  Dietro la "terza via" europea sta in agguato il fascismo, e anche dietro
alla sinistra che non si definisce (in teoria e in pratica) contro il
  neoliberismo. Invece la destra può rivestirsi di stracci di sinistra. In
Messico, nel recentedibattito televisivo fra i sei candidati alla
  presidenza della Repubblica, il candidato che ha ottenuto il beneplacito
della destra intellettuale è stato Gilberto Rincón Gallardo, del
  Partido Democracia Social, di sinistra apparente. Guardacaso la
televisione non ha mostrato che alcuni militanti e candidati del PDS in
  Chiapas sono capi di vari gruppi paramilitari, responsabili, tra l'altro,
del massacro di Acteal. 
  Che la destra fascista e la nuova destra intellettuale siano pronte per
mostrare le proprie "capacità" ai signori del denaro non sorprende.
  Ciò che sconcerta è che qualche volta sono la socialdemocrazia o la
sinistra istituzionale che preparano loro la strada. 
  Se nello Stato Spagnolo Felipe González (quel politico tanto applaudito
dalla destra intellettuale) lavorò per il trionfo del Partido Popular
  di José Maria Aznar, in Italia l'autostrada lungo la quale la destra si
avvia verso il potere si chiama Massimo D'Alema. Prima di dimettersi,
  D'Alema ha fatto tutto il necessario per far naufragare la sinistra.
"D'Alema e i suoi hanno finanziato con il denaro di tutti l'istruzione
  religiosa e hanno preparato la privatizzazione di quella pubblica, hanno
partecipato pienamente all'avventura NATO contro la Yugoslavia
  e all'occupazione virtuale dell'Albania, hanno privatizzato quel che
hanno potuto, hanno attentato alle pensioni, hanno represso gli
  immigrati, si sono sottomessi a Washington, hanno "riciclato" i corrotti
e lo stesso Bettino Craxi, sfilando nella sua residenza d'esilio, in
  fuga dalla giustizia, per chiedergli aiuto, hanno fatto una legge sui
carabinieri ispirata dal comando golpista degli stessi..." (Guillermo
  Almeyra, "La sinistra della destra, La Jornada, 23 aprile 2000).
Risultato ? Buona parte dell'elettorato di sinistra si è astenuta dal voto. 
  Nella complicata geometria politica europea, la cosiddetta "terza via"
non solo è risultata letale per la sinistra, ma è stata anche la rampa di
  lancio del neofascismo. 
  Forse sto esagerando, ma "la memoria è una strana facoltà. Quanto più è
acuto e isolato è lo stimolo che riceve, più ricorda ; quanto più è
  vasto lo stimolo, minore è l'intensità del ricordo." (John Berger, Op.
Cit.) E sospetto che questa valanga di immagini grigie sullo schermo
  serve a farci ricordare con minore intensità, con pigrizia, con voglia di
dimenticare. 
  E se i libri non mentono, fu il fascismo italiano a risultare attraente
per molti leader liberali europei, perché consideravano che stesse
  portando a termine interessanti riforme sociali e poteva essere
un'alternativa alla "minaccia comunista". (Vedi U. Eco. Op. Cit.) 
  Nell'agosto del 1997, Fausto Bertinotti scriveva in una lettera all'EZLN
: "Si è aperta in Europa una vera crisi di civiltà. Si potrebbero,
  purtroppo, raccontare centinaia e migliaia di episodi di barbarie
quotidiana, di violenza gratuita, di aggressione alle persone, al corpo, di
  traffico di persone, di corpi, di organi, senza senso alcuno. E sopra
tutto questo una spessa cappa di indifferenza, come se la vita avesse
  perso di senso. Le potrei raccontare cose che accadono nella periferia
urbana, realtà e metafora della tragedia umana in cui si è
  trasformato questo nuovo ciclo dello sviluppo capitalista." 
  Di fronte a questa vita senza senso, il liberale fascista presenta la sua
faccia gentile e, facendo leva sulle proprie virtù, argomenta in
  favore del ricorso alla violenza legalizzata, istituzionale. 
  L'orizzonte annuncia tempesta, e la destra intellettuale cerca di
tranquillizzarci presentandola come un piovasco senza importanza. Tutto
  per assicurarsi il pane, il sale... e il posto accanto al Principe.
Proteggetelo ! Non importa che la sua camicia sia grigia e nel suo caldo seno
  si incùbi l'uovo del serpente. 
  "L'uovo del serpente" Se non ricordo male è il titolo di un film di
Bergman che descrive l'ambiente in cui ebbe gestazione il fascismo. E noi
  che cosa facciamo ? Restiamo seduti fino alla fine del film ? Sì ? No ?
Un momento ! Guardate gli altri spettatori ! Molti si sono alzati e
  fanno capannelli ! Il mormorio cresce ! Alcuno lanciano oggetti contro lo
schermo e fischiano ! E guardate quegli altri ! Invece di
  rivolgersi allo schermo guardano in alto, come se cercassero quello che
proietta il film ! Sembra che lo abbiano trovato, perché indicano
  con insistenza un angolo lassù ! Chi sono queste persone e con che
diritto interrompono la proiezione ? Uno di loro innalza un cartello
  che recita : "Prendiamo quindi noi, cittadini comuni, la parola e
l'iniziativa. Con la stessa veemenza e la stessa forza con cui rivendichiamo
  i nostri diritti, rivendichiamo anche il dovere dei nostri doveri." (José
Saramago. "Discorsi di Stoccolma".) Il dovere dei nostri doveri ?
  Che qualcuno ci spieghi perché non capiamo nulla !Silenzio ! Qualcuno
prende la parola... 

                                                              

  Subcomandante Marcos 

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  7 - LA SCETTICA SPERANZA 

  Gli intellettuali progressisti. Quelli della scettica speranza. Il
sociologo francese Alain Touraine ne propone una classificazione
  ("Comment sortir du libéralisme ?" Ed. Fayard, Parigi, 1999) : La più
classica è quella dell'intellettuale denunciante, ove tutta l'attenzione si
  concentra sulla critica del sistema dominante. Il secondo tipo di
intellettuale si identifica con quella lotta o quella forza di opposizione
e si
  trasforma in intellettuale organico. Il terzo crede nell'esistenza, nella
coscienza e nell'efficacia degli attori sociali, e al tempo stesso ne
  conosce i limiti. Il quarto tipo comprende gli utopisti che si
identificano con le nuove tendenze culturali, della società o dell'esistenza
  individuale. Tutti loro (e tutte loro, perché essere intellettuali non è
un privilegio maschile) impegnano i propri sforzi nel comprendere
  criticamente la società, la sua storia e il suo presente, e tentano di
decifrare l'incognita del suo futuro. 
  Non è per niente facile il compito degli intellettuali progressisti.
Nella loro funzione intellettuale si sono resi conto di come vanno le cose
  e, noblesse oblige, devono svelarlo, esibirlo, denunciarlo, comunicarlo.
Ma per farlo devono affrontare la teologia neoliberista della
  destra intellettuale, e dietro di essa ci sono i media, le banche, le
grandi imprese, gli stati (o quel che resta di essi), i governi, gli
eserciti, le
  polizie. 
  E per di più devono farlo nell'era visuale. Qui si trovano francamente in
svantaggio, dato che occorre tener conto delle grandi difficoltà
  che implica l'affrontare il potere dell'immagine con la sola risorsa
della parola. Ma il loro scetticismo nei confronti dell'evidente gli ha già
  permesso di scoprire la trappola. E con lo stesso scetticismo armano le
loro analisi critiche per smontare concettualmente la macchina
  delle bellezze virtuali e delle miserie reali. C'è speranza ? 
  Fare della parola un bisturi e un megafono è già una sfida straordinaria.
E non solo perché in quest'epoca la regina è l'immagine. Anche
  perché il dispotismo dell'era visuale confina la parola nei bordelli e
nei negozi di trucchi e scherzi. "Anche così, possiamo solo confessare
  la nostra confusione e la nostra impotenza, la nostra rabbia e le nostre
opinioni, con le parole. Con le parole nominiamo anche le nostre
  perdite e la nostra resistenza, perché non abbiamo altre risorse, perché
gli uomini sono indefettibilmente aperti alla parola e perché poco a
  poco sono queste a modellare il nostro giudizio. Il nostro giudizio,
sempre temuto da coloro che detengono il potere, si modella
  lentamente, come l'alveo di un fiume, per mezzo di correnti di parole. Ma
le parole producono correnti solo quando risultano
  profondamente credibili." (John Berger. Op. Cit.) 
  Credibilità. Cosa di cui è carente la destra intellettuale e che,
fortunatamente, abbonda fra gli intellettuali progressisti. Le loro parole
  hanno prodotto, e producono, in molti prima la sorpresa, poi
l'inquietudine. Perché questa inquietudine non venga schiacciata dal
  conformismo prescritto dall'era visuale, occorrono altre cose, che
sfuggono al compito dell'intellettuale. 
  Ma anche quando la parola si è fatta corrente impetuosa, la funzione
intellettuale non ha termine. I movimenti sociali di resistenza o di
  protesta contro il potere (in questo caso contro la globalizzazione e il
neoliberismo) devono percorrere ancora un lungo cammino, non
  diciamo per ottenere i loro fini, ma almeno per consolidarsi come
alternativa organizzativa per altri. "Alla fine bisogna riconoscere la
  particolare responsabilità degli intellettuali. Dipende da loro, più che
da ogni altra categoria, che la protesta vada sprecata in denuncia
  senza prospettive o, al contrario, conduca alla formazione di nuovi
attori sociali e, indirettamente, a nuove politiche economiche e
  sociali". (A. Touraine. Op. Cit.) 
  L'intellettuale progressista si sta dibattendo continuamente fra Narciso
e Prometeo. A volte l'immagine nello specchio lo afferra e
  comincia il suo inesorabile percorso di mutazione in un nuovo impiegato
del mega mercato neoliberista. Ma a volte rompe lo specchio e
  scopre non solo la realtà che sta dietro al riflesso, ma anche altri che
non sono come lui, e che però come lui hanno rotto i loro rispettivi
  specchi. 
  La trasformazione di una realtà non è compito di un solo attore, per
forte, intelligente, creativo e visionario che sia. Né i soli attori politici
  e sociali, né i soli intellettuali possono portare a buon fine questa
trasformazione. E' un lavoro collettivo. E non solo nell'azione, anche
  nelle analisi di questa realtà, e nelle decisioni riguardo a direzioni e
priorità del movimento di trasformazione. 
  Raccontano che Michelangelo Buonarroti abbia realizzato il suo David con
seri limiti materiali. "Il pezzo di marmo su cui lavorò
  Michelangelo era già stato lavorato da qualcun altro e aveva già dei fori
; il talento dello scultore consistette nel costruire una figura che
  si adattasse a quei limiti invalicabili e ristretti. Di qui la postura,
l'inclinazione dell'opera compiuta." (Pablo Fernández Christlieb. "La
  afectividad colectiva". Ed. Taurus). 
  Allo stesso modo, il mondo che vogliamo trasformare è stato lavorato
dalla storia è ha molte perforazioni. Dobbiamo trovare il talento
  necessario per trasformarlo, con quei limiti, e farne una figura semplice
e schietta : un mondo nuovo. 
  Salute, e non dimenticate che un'idea è anche uno scalpello. 

  Dalle montagne del Sudest messicano. 

  Subcomandante Insurgente Marcos 

  Messico, aprile 2000 

  P.S. Qualcuno ha un martello a portata di mano ? 






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                ASSOCIAZIONE NICARAGUA NICARAGUITA
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   E-MAIL <nicaragua@sirt.pisa.it>  <presidente_ass_nica@yahoo.it>


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