La parola agli esclusi. La riflessione dei movimenti
popolari su Terra, Pane e Casa
Si è svolta attorno a tre grandi tematiche - Terra
(contadini, problematica ambientale e sovranità
alimentare, agricoltura); Pane (lavoratori dell'economia
informale, giovani precari e nuova problematica del mondo
del lavoro); Casa (insediamenti informali, abitazioni
precarie e problematica delle periferie urbane) - la
riflessione del primo giorno dell’incontro globale dei
movimenti popolari, dedicato al compito di mettere a fuoco
la realtà di esclusione attraverso le testimonianze dei
partecipanti (secondo il metodo latinoamericano del
vedere-giudicare-agire). E a prendere la parola sono stati
i/le rappresentanti del popolo degli esclusi, a cominciare
dalla cilena Luz Francisca Rodriguez, di Via Campesina
Internazionale, la quale ha espresso nel suo intervento
tutto l’orgoglio dell’identità contadina, della
missione – la più nobile che vi sia - di garantire
alimenti sani per tutta l’umanità, proteggendo al
contempo la Madre Terra (e persino mitigando il
riscaldamento globale). Ma anche denunciando l’avanzata
senza freni del capitale sulle campagne - l’accaparramento
della terra, dell’acqua, delle risorse naturali, sempre
più concentrate nelle mani di poche transnazionali, le
stesse, ha affermato, che “prima ci fanno ammalare e poi
ci vendono i farmaci con cui curarci” -; la mancanza di
adeguate politiche agrarie da parte dei governi, i quali, al
contrario, costruiscono ponti d’oro alle grandi imprese;
il disprezzo nei confronti delle conoscenze e delle culture
contadine, delle millenarie prassi di cura e di scambio
delle sementi; il ruolo di una scienza al servizio del
capitale, disposta persino a mettere a repentaglio la vita,
attraverso per esempio l’imposizione delle colture
transgeniche. “Ci troviamo di fronte – ha affermato –
a un processo di massiccia distruzione della vita, a una
strategia diretta non più ad alimentare l’umanità, ma
ad aumentare i profitti. Ma noi continuiamo a resistere, a
difendere la nostra funzione sociale, che è quella di
alimentare i nostri popoli; a custodire il sogno di
continuare ad essere contadini e contadine al servizio del
buen vivir”. Ed è in questo che consiste il paradigma
della sovranità alimentare, il diritto dei popoli, cioè,
a decidere in materia di agricoltura e di alimentazione,
puntando sulla produzione locale per il mercato locale, la
produzione sostenibile di alimenti su piccola scala che,
sola, permetterebbe di rigenerare i suoli, di risparmiare
combustibile e di ridurre il riscaldamento globale, dando
lavoro a milioni di agricoltori, pescatori e piccoli
allevatori. La sovranità alimentare, ha affermato la
rappresentante di Via Campesina, “è principio di vita,
diritto alla terra, all’acqua, alle sementi, alle nostre
conoscenze, alle nostre forme culturali di produzione”.
Perché, ha concluso, “non possiamo più accettare che
anche una sola persona in questo mondo soffra la fame”.
Del resto, come ha sottolineato, il contadino indiano
Kommara Thimmarayagowda Gangadhar della Krrs (Karnataka
State Farmers Union), l’Agricoltura non è solo
un’attività economica, ma una cultura del mondo, non
offre solo la sicurezza del lavoro, ma preserva la salute
umana, e protegge la natura per l’umanità presente e per
quella futura. “La mia responsabilità come cittadino
globale – ha concluso – è custodire la terra per le
generazioni future”.
E a prendersi cura dell’ambiente sono anche i raccoglitori
e riciclatori dei rifiuti (“quanti sopravvivono con i
rifiuti dell’umanità, come ha evidenziato mons. Luis
Infanti, vescovo di Haysén, nella Patagonia cilena), sulla
cui lotta per l’inclusione sociale si è soffermato
Sergio Sanchez, della Federazione argentina dei cartoneros e
dei riciclatori: una lotta comune ai venditori ambulanti, ai
lavoratori delle fabbriche recuperate e in fondo a tutta la
classe lavoratrice e a tutta l’umanità, perché
“tutti – ha detto – chiediamo le stesse cose: terra,
casa, lavoro”.
In questo quadro non sono mancate sollecitazioni alla
Chiesa, quella Chiesa che, come ha affermato il mozambicano
Agostinho Bento dell’Unione nazionale dei contadini del
Mozambico, ha taciuto sui programmi della Banca Mondiale e
del Fondo Monetario Internazionale, e che non si è opposta
come avrebbe dovuto allo sfruttamento da parte delle
multinazionali. Quella Chiesa che egli ha invitato ad agire
concretamente a favore del popolo spogliato delle sue
risorse.
E non ha risparmiato critiche all’istituzione
ecclesiastica neanche Jockin Arputham, leader di Slum
Dwellers International, il quale vive in uno slum di Mumbai,
lottando contro gli sgomberi delle comunità: “La Chiesa
parlava di giustizia sociale, ma quando sono arrivati gli
sgomberi, in India come in Kenya e in Cambogia, non ha fatto
nulla, per non ‘mischiarsi con la politica’”, ha
denunciato Arputham, ringraziando tuttavia il papa per aver
invitato in Vaticano, finalmente, i rappresentanti, e
soprattutto le rappresentanti, delle persone che lottano e
che spesso pagano questa lotta con la vita. Una lotta che
può essere a volte anche semplicemente per ottenere dei
bagni, di fronte al dramma che può rappresentare il fatto
di avere una toilette per 800 persone in una baraccopoli di
500mila abitanti. “Il mondo non cambia – ha concluso –
se i poveri non si organizzano unendo le loro forze e
dicendo basta con le elemosine. Come ci hanno insegnato gli
antenati, se si lotta si otterrà latte e miele, se non si
lotta non si conquisterà un bel niente”.
Non si può tuttavia parlare di Terra, di Pane e di Casa,
senza affrontare il nodo dell’emergenza ambientale e
climatica, “un problema che – come ha sottolineato
l’esperto di cambiamenti climatici Veerabhadran Ramanathan
– si trasformerà ben presto in un disastro”. Se in
appena 30-40 anni abbiamo cambiato il clima più che negli
ultimi 2 milioni di anni, non è tuttavia troppo tardi, si
è detto convinto Ramanathan, per risolvere il problema:
occorre però operare profondi cambiamenti nel nostro
atteggiamento nei confronti della natura e nei confronti gli
uni degli altri, in una mobilitazione che non può fare a
meno dell’aiuto dei leader religiosi. E’ un problema,
peraltro, che chiama fortemente in causa la giustizia, dal
momento che, ha evidenziato, i tre miliardi di poveri che
contribuiscono alle emissioni di gas ad effetto serra per
meno del 5% sono anche quelli che pagheranno maggiormente le
conseguenze del riscaldamento globale. E a indicare i veri
colpevoli ci ha pensato Silvia Ribeiro dell’Etc Group,
ricordando come l’1% più ricco dell’umanità
controlli quasi il 50% della ricchezza globale e come al 70%
della popolazione mondiale resti meno del 3% delle
ricchezze. Ma è la stessa classifica dei Paesi
responsabili del più alto livello di emissioni
climalteranti a chiarire la situazione: se per quantità di
emissioni la Cina, con il 23%, batte gli Stati Uniti,
responsabili del 15,5%, a livello pro-capite gli Usa non
hanno concorrenti (17 tonnellate contro le 5,4 della Cina).
Per non parlare delle responsabilità storiche, che vedono
gli Stati Uniti dominare la classifica degli inquinatori a
tal punto che le loro emissioni, da sole, superano quelle
dei cinque Paesi che seguono (Unione Europea, Cina, Russia,
Giappone e Canada). E colpevole è anche il sistema
agroindustriale, responsabile dal 44 al 57% delle emissioni
di gas ad effetto serra, a cui è chiamata sempre più ad
opporsi quell’agricoltura contadina a cui già spetta il
merito di alimentare il 70% della popolazione mondiale.
“Gli esperti chiamano Antropocene l’attuale fase
planetaria, per sottolineare l’impatto dell’umanità
sulla vita della Terra. Non sono d’accordo: quella attuale
– ha concluso Silvia Ribeiro - è l’era della
plutocrazia, quella in cui 85 miliardari, da soli, consumano
risorse quanto la metà della popolazione mondiale”.
Claudia Fanti - Adista