Per una lotta senza frontiere. Aperto l’incontro dei movimenti popolari in VaticanoChe sia una lotta senza frontiere, come senza frontiere è l’offensiva del capitale: questa l’esigenza espressa in apertura dell’incontro globale dei movimenti popolari in Vaticano – Terra, Labor, Domus – promosso, dal 27 al 29 ottobre, dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e da esponenti di vari movimenti, su esplicito invito di papa Francesco. Un incontro inteso come una grande esperienza di dialogo e di incontro, punto di partenza del processo di costruzione di una sorta di coordinamento delle organizzazioni popolari, con il sostegno e la collaborazione della Chiesa, come ha affermato il card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, introducendo i lavori dinanzi ai delegati di organizzazioni popolari di circa 40 Paesi dei diversi continenti (in rappresentanza dei contadini senza terra, degli indigeni, dei precari, dei lavoratori del settore informale e dell’economia popolare, dei migranti, di quanti vivono nelle periferie urbane e in insediamenti di fortuna, come pure dei loro alleati) e a numerosi vescovi di varie parti del mondo e della Curia Romana. Un incontro, ha spiegato il cardinale, che non può non richiamarsi all’insegnamento di Giovanni XXIII, il quale “voleva che la Chiesa tenesse le finestre spalancate sul mondo”, in maniera da poterci guardare dentro e da vedere così “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono”, nella convinzione che “nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco” nel cuore dei discepoli di Cristo. E, a distanza di quasi 50 anni dalla chiusura del Concilio, “è questo – ha evidenziato Turkson – il motivo principale per cui vi abbiamo invitato qui”, rispondendo all’esortazione rivolta dal papa alla Chiesa e al mondo tutto ad ascoltare il grido dei poveri e degli esclusi, i quali devono essere, ha sottolineato il cardinale, “non semplici e passivi destinatari di elemosine altrui”, ma artefici della propria vita, protagonisti della ricerca di una vita più dignitosa e di un diverso modello di sviluppo.
Un protagonismo di cui i rappresentanti dei movimenti presenti hanno dato senz’altro grande prova, raccontando le proprie esperienze di lotta e di liberazione, in base al programma del primo giorno dei lavori, quello destinato a mettere a fuoco la realtà di esclusione attraverso le testimonianze dei partecipanti, secondo il metodo, proprio della teologia latinoamericana, del vedere-giudicare-agire. E se - come ha sottolineato, nel suo discorso di introduzione, Juan Grabois, della Confederazione dei Lavoratori dell’Economia Popolare – a molti dei presenti (per i quali non era scontato neppure uscire dal proprio quartiere, e tanto meno dal proprio Paese o addirittura dal proprio continente) deve risultare “quasi surreale” fare ingresso in Vaticano, “questo – ha affermato - non è che il segno dei venti di cambiamento che non soffiano solo sulla Chiesa, ma su tutto il mondo”, portando la voce dei movimenti di quel popolo degli esclusi che “chiede ora di essere ascoltato” e di diventare “artefice della costruzione del proprio destino”. Ed è un auspicio comune a tutti quello a cui vuole rispondere questo incontro dei movimenti popolari: che a nessuno manchi la terra, un lavoro e un tetto sulla propria testa, “tre diritti sacri, tre diritti elementari che tuttavia, sempre di più, vengono sottratti a una parte maggioritaria dei nostri popoli”, calpestati da “un mostro idolatrato come un dio, il dio Denaro, a cui tutto viene sacrificato, compresa la natura e compresa la dignità degli esseri umani.
Ma è stato un vescovo congolese, mons. Fridolin Ambongo, il primo a entrare nel cuore della realtà di esclusione, denunciando il passaggio distruttivo del dio Denaro nel continente africano, considerato a livello globale una sorta di “riserva di risorse naturali da cui tutti possono attingere”, come se non esistessero abitanti, come se si trattasse di “una terra di nessuno”. E se i regimi politici locali sembrano fare di tutto per alimentare il dilagante “afropessimismo”, calpestando ogni regola democratica e mettendo a tacere la voce dei popoli, è dal punto di vista economico che meglio si comprende la realtà di esclusione africana: “l’economia del continente – ha spiegato – è essenzialmente centrata sullo sfruttamento delle risorse naturali senza valore aggiunto e destinate alle esportazioni. Uno sfruttamento, accompagnato da conflitti e violenze, di cui sono massimamente responsabili le multinazionali, le quali preferiscono però passare attraverso il circuito mafioso degli sfruttatori locali – a cui sono peraltro lasciate appena le briciole -, in un lunga catena simile a una nebulosa su cui diventa difficile far luce”. Un quadro reso ancora più grave dai cosiddetti aiuti umanitari, il cui effetto è quello di inondare i mercati africani con riso e mais a un costo assai più basso di quello locale, “con la conseguente rovina dell’agricoltura contadina”. Vi sono, è vero, ha concluso Ambongo, persone che lottano per la giustizia e la dignità, ma “il problema dell’Africa, è che non presenta movimenti popolari organizzati come in altre parti del mondo, ma solo timide iniziative di organizzazione. Per questo la nostra presenza qui può rappresentare una benedizione per il Continente: siamo qui per imparare dagli altri”.
Claudia Fanti - Adista