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Sent: Thursday, June 13, 2013 1:11 AM
Subject: Honduras, il reality della dittatura di Luca Martinelli -
12 giugno 2013
Honduras, il reality della dittatura
Il
13 giugno va a processo Bertha Caceres, leader indegena del
Copinh. L'accusa è possesso di armi da fuoco, in realtà è stata
fermata durante una manifestazione pacifica contro la costruzione di una
centrale idroelettrica. Più volte in Italia, nel 2012 ha ricevuto in Germania il
premio "Shalom"
di Luca Martinelli - 12 giugno 2013
In
un Paese governato da una dittatura “perfetta” (cioè uscita da irregolari
elezioni), un'attivista per i diritti umani domani va a processo,
sulla base di un'accusa totalmente inventata. Lei si chiamaBertha
Caceres, ed è la Coordinatrice generale del Copinh,
organizzazione indigena honduregna, nonché una delle personalità più in vista
della resistenza al golpe
infinito, quello che dall'estate del 2009 ha preso il posto della già
fragile democrazia nel piccolo Paese centroamericano. Né
cubana, né cinese, ai media italiani non interessa ciò che domani potrebbe
accadere a Bertha. Interessa a me, però, che conosco Bertha da dieci anni, e da
altrettanti (insieme al Collettivo
Italia Centro America) accompagno le azioni del Copinh,
Consejo Cívico de Organizaciones Populares e Indígenas de Honduras (Consiglio
civico di organizzazioni popolari e indigene di Honduras). Manifestazioni
sempre popolari e pacifiche, ma radicali e di massa. Dalle occupazione di strade
e di terre ai girotondi fino a cingere il Parlamento del Paese. Ecco
perché non posso credere all'accusa che parla di “possesso d'arma da fuoco”, e
descrive Bertha come una persona capace addirittura di mettere a rischio la
sicurezza nazionale del Paese. Accuse
che potrebbero portare a una condanna fino a 6 anni di carcere.
La
realtà dei fatti è che Bertha è stata fermata -nella notte tra il 24 e il 25
maggio- nei pressi della comunità di Río Blanco, dove le comunità indigene lenca
del dipartimento di Intibucá stanno protestando, con il sostegno del Copinh,
contro un mega progetto idroelettrico, Agua Zarca: tra le forme della protesta
della comunità, anche una toma de carretera, una occupazione costante della
strada di accesso al cantiere che va avanti da oltre 70 giorni.
L'11
giugno Bertha è stata intervistata da America
Latina in movimiento (ALAI). A Giorgio
Trucchi che le chiedeva il suo stato d'animo ha risposto: “Mi
sento forte e degna, e non mi lascerò intimidire da queste misure repressive.
Ancora più forza me la dà la resistenza del Copinh, quella delle comunità, e
anche la solidarietà nazionale e internazionale. Per tutta la vita ho saputo ciò
che può accadere a chi sceglie di partecipare alle lotte, e sono consapevole che
stiamo affrontando il poter dell'oligarchia, delle banche, della finanza
transnazionale, ma anche lo Stato di Honduras e i suoi corpi repressivi, che
storicamente si sono piegati agli interessi delle grandi imprese”.
È
una donna fiera Bertha, che già nei primi due anni Duemila era stata costretta a
riparare negli Stati Uniti d'America, in seguito a minacce subite; è una donna
intelligente, capace come pochi di “spiegare la finanza” e di portare migliaia
di persone in piazza -in quegli stessi anni- contro “un mostro chiamato BID”,
cioè Banca interamericana di sviluppo, denunciando l'azione della banche
regionali quando in Europa i movimenti sociali erano ancora fermi al Fondo
monetario internazionale e alla Banca mondiale, e non sapevano nemmeno dove
fosse di case la Banca europea degli investimenti. È una pacifista Bertha: la
stessa donna che oggi è accusata di possesso illegale di armi da fuoco durante
la sua ultima visita in Europa, nel giugno del 2012, aveva fatto tappa in
Germania, per ritirare il premio Shalom
per la giustizia e la pace. Pochi
giorni prima ci eravamo incontrati, a Milano. Aveva partecipato
all'inaugurazione di una mostra fotografica, dedicata al Las
Mujeres Rebeldes del Sud-est messicano e dell'istmo centro
americano. Dopo l'incontro, durante la cena, avevo parlato con l'attivista
appassionata ma anche con l'amica, che aveva confidato quant'era stato difficile
-come madre- veder partire i propri figli, emigrati in Argentina non alla
ricerca di un futuro migliore ma solo perché per loro, figli di Berha Caceres,
l'Honduras non è più un Paese sicuro. Perché, checché non ne dicano i media
italiani, l'ex Repubblica delle banane è una dittatura. Che
l'Italia protegge avvolgendo nel silenzio ciò che vi accade, a causa degli
interessi economici di molte imprese italiane. A cominciare da quelle del
settore turistico, che godono ancora della vetrina offerta dal reality show
l'Isola dei famosi. Ma il reality,
purtroppo, non è la realtà.
-- escuchenos: http://giss.tv:8000/guarajambala.mp3.m3u web: copinh.org blog: copinhonduras.blogspot.com fb:
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