Caso Becerra: perché rinuncio a far parte della redazione della rivista ALBAinformazione
- Subject: Caso Becerra: perché rinuncio a far parte della redazione della rivista ALBAinformazione
- From: annalisa melandri <annalisamelandri at yahoo.it>
- Date: Sun, 15 May 2011 23:07:58 +0100 (BST)
Cari amici e colleghi, la presente per comunicarvi di aver deciso, dopo
un difficile momento di riflessione, di
rinunciare a far parte della redazione
della rivista ALBAinformazione. Tale decisione, sicuramente non facile,
nasce per quanto accaduto al
compagno e giornalista, Joaquín Pérez
Becera, direttore della rivista ANCOLL e tra i
fondatori dell’ Agenzia Bolivariana di Comunicatori (ABC). Il suo arresto, il 23 aprile
scorso, da parte del governo venezuelano e la successiva deportazione due
giorni dopo in Colombia, avvenuta violando il Diritto Nazionale e
Internazionale, mi hanno profondamente
ferita, come militante anti-imperialista e antifascista, come attivista per la
difesa dei diritti umani, come internazionalista ma soprattutto come persona sempre solidale verso la Rivoluzione bolivariana, il processo
politico in corso in Venezuela di cui il
presidente Chávez è promotore e
anima e verso il quale proprio per
questo, tutti noi abbiamo un debito
morale innegabile ma anche aspettative significative. Oltre a questo, sono avvenuti altri
fatti che considero forse anche più gravi dell’arresto e della
detenzione di Joaquín e che hanno fatto in modo che confermassi la mia
decisione. Il primo, la dichiarazione del presidente Chávez che ha detto che
tutti noi che appoggiamo Joaquín siamo un “movimento
infiltrato fino al midollo” e che lo abbiamo “seminato in Venezuela come una patata bollente”. Questo è
semplicemente offensivo e inaccettabile e non c’ è altro da aggiungere se non
che si tratta di affermazioni completamente gratuite. Secondo, i gravi
fatti di censura avvenuti in
TeleSUR e la destituzione del presidente
della Radio del Sur Cristina Gonzáles da
parte del ministro del Potere Popolare per la Comunicazione e
Informazione, Andrés Izarra. Radio del
Sur è stata tra i mezzi di comunicazione indipendenti che hanno appoggiato
Joaquín e hanno dato copertura alle proteste contro la decisione del governo. Purtroppo le stesse posizioni del governo di Chávez verso Joaquín, e
cioè il qualificarlo come “patata bollente” o rivoluzionario irresponsabile, se
non infiltrato, o quasi considerandolo un danno collaterale necessario per il
proseguimento del processo rivoluzionario, le ho rilevate ion varia misura in
questi giorni tra gli stessi membri della redazione della rivista. Anche se
a molti di loro mi unisce amicizia e
impegno rivoluzionario, non posso non sentire queste accuse come se fossero
dirette contro me stessa o contro altri amici, compagni e giornalisti che si trovano
in serio rischio che accada loro quanto accaduto a Joaquín. Il mio se pur minimo impegno nella redazione della rivista
ALBAinformazione, (alla quale era dedicata anche una apposita sezione nel mio
sito personale), l’ho inteso fin dall’
inizio come forma con la quale poter esprimere
praticamente quell’ internazionalismo
militante, che credo sia anche una
delle forme con le quali si manifesta la
solidarietà sentita come “tenerezza dei
popoli”. Ero convinta che, nel caso del Venezuela e di quel governo che ho sempre
considerato “amico”, questa fosse
anche la
forma con la quale poter coniugare oltre alla solidarietà ai popoli in
lotta, quella verso un governo che
proprio quelle lotte afferma di voler difendere e proteggere contro il capitalismo
e l’ imperialismo, ma soprattutto contro le potenti oligarchie dei paesi
latinoamericani ancora asservite agli Stati Uniti e all' Europa. La solidarietà al governo venezuelano mi sembra un atto dovuto e
necessario proprio perché per queste sue posizioni e per le riforme sociali importanti, che sta attuando nel paese, si trova continuamente sotto attacco da più
fronti, non ultimo quello della minaccia di aggressione militare che gli Stati
Uniti possono dispiegare proprio dalle
loro basi situate in Colombia. Il Venezuela rappresenta per
molti di noi la speranza per la realizzazione del sogno
grande di Simón Bolívar, l’
integrazione latinoamericana, la
costruzione della Patria Grande; un’
oasi di resistenza e creatività politica e umana nel Sud del mondo contro la
prepotenza e il predominio economico ma anche culturale del Nord. Per tutto ciò considero la deportazione in Colombia di Joaquin Perez
Becerra una gravissima ingiustizia, sia dal punto di vista giuridico, (contraria alla Convenzione di Ginevra del
1951 che proibisce la consegna di una persona che gode di asilo politico al
paese dal quale tale persona è dovuta
fuggire), ma anche e soprattutto un atto contrario ai principi
della solidarietà rivoluzionaria. Infine, consegnare un uomo nelle mani dei
suoi carnefici non e’ etico e non e’
civile. Joaquin, è stato costretto a
fuggire dalla Colombia molti anni fa,
per non diventare un numero in
più degli oltre 4000 morti del genocidio
politico della Unión Patriótica, conosciuto con il macabro nome di Baile Rojo. Prima di trovare rifugio in
Svezia, paese che gli ha concesso poi lo status di rifugiato politico, i paramilitari e l’esercito colombiano sequestrarono e ammazzarono la sua prima
moglie. Vorrei far presente al presidente Chávez che perfino l’attuale governo
reazionario dell’ Italia, si è rifiutato
appena qualche mese fa di consegnare nelle mani della Turchia, che ne reclamava
l’estradizione, un leader del PKK-KURDO arrestato nel proprio territorio, di nazionalità olandese. Un’ altra scelta è sempre possibile. Esiste sempre una via d’uscita diversa
dalla ragion di Stato, “spaventoso cancro che tutto divora”, come ha
recentemente scritto l’intellettuale argentino Néstor Kohan proprio rispetto a
questa vicenda. No, presidente Chávez, compagni e
colleghi di redazione, non me ne
vogliate, ma io non me la sento di avallare
questa ingiustizia in silenzio, come non
me la sento di accettare in silenzio le
accuse che ci sono state mosse di “
essere un movimento infiltrato fino al midollo”. Questa accusa colpisce in modo
basso e infamante tante persone, movimenti sociali e politici ai quali sono
vicina e con i quali sono solidale. Joaquín non è un terrorista come noi non siamo infiltrati né dalla CIA né tanto meno dal DAS (i servizi segreti colombiani). Non
vogliamo mettere in difficoltà nessuno, al contrario abbiamo sempre difeso il
processo in corso in Venezuela e lo continueremo a fare. Joaquín Becerra è stato invitato
tante volte a Caracas per tenere conferenze,
dibattiti e incontri. Proprio da
uno di questi incontri pubblici è nata
la Agencia Bolivariana de Comunicadores
(ABC) della quale lui è stato uno
dei fondatori, della quale fa parte
anche il mio sito e che voleva essere uno spazio comunicazionale che desse
voce alle nuove esperienze di
costruzione del socialismo in Venezuela, alle lotte del popolo colombiano, alle
notizie occultate dai media capitalisti, alle lotte di liberazione dei popoli
di altri paesi, come per esempio quello palestinese e libico. Capisco quindi e non sono indifferente ai tanti segnali di inquietudine, smarrimento,
disorientamento e rabbia che quotidianamente mi giungono da amici, colleghi
e compagni di Joaquín, proprio perché in
quei segnali si riflettono le mie inquietudini e il mio smarrimento.
Smarrimento che nasce anche dalla sensazione che da tempo qualcosa stia
cambiando in Venezuela, soprattutto rispetto alle relazioni con la vicina
Colombia. Non posso che rallegrarmi se nel
progetto di integrazione latinoamericana la Colombia trovi il suo naturale spazio politico, economico e
sociale. Il popolo colombiano non può che trarne giovamento. Non accetto però
che questo venga fatto sacrificando ideali, e soprattutto persone. Qui la vittima
sacrificale è un compagno, un giornalista e un militante che ha sempre difeso
la Rivoluzione bolivariana dagli attacchi statunitensi, dalle potenti
oligarchie latinoamericane, dai gruppi imprenditoriali legati alle forze
conservatrici europee, dai monopoli della comunicazione mainstream. E’ pertanto sul “nuovo corso” del
governo venezuelano rispetto alla
solidarietà rivoluzionaria che ho bisogno di riflettere con calma e
obiettività. Soltanto un paio di anni fa il presidente Chávez di fronte all’
Assemblea Nazionale parlava in questi termini : “Le FARC e l’ ELN sono forze insorgenti che hanno un progetto politico
e bolivariano che qui rispettiamo.” Adesso invece vengono consegnati
nelle mani del governo colombiano membri della guerriglia o giornalisti come
fossero criminali comuni e terroristi paragonandoli addirittura a terroristi
veri come Chávez Abarca accusato di
essere il mandante e l’esecutore materiale di alcuni dei più gravi attentati contro
civili a Cuba. Oppure allo stesso modo
espulsi internazionalisti baschi come Walter Wendelin. Sappiamo che questo “nuovo corso”
non è iniziato con la vicenda di Joaquín. Spero non corrisponda al vero quanto dichiarato dal
ministro della Difesa della Colombia
Rodrigo Rivera al quotidiano colombiano El Tiempo, e cioè che per
distruggere le FARC bisogna chiudere “ogni
possibilità alla soluzione politica al conflitto” e che questo si ottiene
“attraverso la cooperazione internazionale”, aggiungendo che “il caso di Joaquín Pérez Becerra è
illuminante … i servizi segreti della Polizia riescono a stabilire che lui
andrà in Venezuela, e in forma sbrigativa, senza tentennamenti, ci hanno
risposto mandandocelo in Colombia. E ci hanno detto che di fronte a qualsiasi
informazione come questa che gli abbiamo
dato, risponderanno nello stesso modo”. Bene, vorremmo tutti avere delle risposte dal governo venezuelano
rispetto a dichiarazioni inquietanti di questo tipo. Dobbiamo aspettarci che ogni
volta che la Colombia richiede al Venezuela
un militante, un rifugiato politico, un giornalista, magari sulla base
di accuse costruite ad arte, magari
tirate fuori dal “famoso”
computer di Raúl Reyes, il Venezuela deporterà d’ ufficio? Voglio continuare ad appoggiare
il processo rivoluzionario in corso in Venezuela da una posizione più defilata, ma non meno solidale. Non riesco più a dare il mio contributo a una rivista che
è nata come forma di sostegno
internazionalista e appoggio intellettuale a un governo che si dice
rivoluzionario e socialista, ma che non esita a
consegnare nelle mani dei suoi carnefici una potenziale vittima. Oltre alla possibilità di
rimanere solidali a un governo a qualsiasi condizione e a qualsiasi costo,
anche a prezzo della vita e della sicurezza di un nostro compagno, sento di avere la possibilità e anche il dovere di
farlo verso chi lotta dal basso, con
tenacia e forse sofferenza e non si
piega a giochi di potere e logiche di Stato. La Rivoluzione bolivariana, quel magnifico progetto politico che fa
sperare in una America latina capace di uscire a testa alta dalle infamie delle
dittature del passato e dei crimini contro l’umanità, va oltre l’azione del governo, è attività dei
tanti collettivi, tante persone e forze
politiche che senza compromessi di
sorta, continuano a lottare contro il capitalismo internazionale, contro
l’imperialismo di ogni colore e bandiera, contro la prevaricazione del più
forte sul più debole. Continuerò a sostenere quel
progetto comune e coltivare la speranza
che esso rappresenta, al fianco di chi lotta dal basso. “Non esistono poteri buoni”, diceva una celebre canzone di Fabrizio De
Andrè. Forse aveva ragione… Annalisa Melandri Repubblica Dominicana, 22 maggio
2010 Annalisa Melandri L'uomo è nato libero ed è ovunque in catene. J.J. Rousseau La rivoluzione è un fiore che non muore La revolución es una flor que no muere www.annalisamelandri.it http://boicottaisraele.wordpress.com http://conferenzamondialedonne.wordpress.com |
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