Senza addentrami nella controversia sull'interpretazione dei fatti
ecuadoriani , segnalo che il termine "gollismo" nell'articolo d
Latinoamerica è con buona probabilità un refuso e sta per "golpismo".
A presto.
Francesco
Il 08/10/2010 18.46, Aldo Zanchetta ha scritto:
MININOTIZIARIO AMERICALATINA DAL BASSO - n. 95 del 9
ottobre 2010
A cura della Fondazione Neno Zanchetta - Gragnano (Lucca)
AMERICA LATINA IN CAMMINO
I dossier su temi latinoamericani si accumulano sul mio tavolo
aggiungendosi ad altre riflessioni e iniziative "nostrane", e dagli
amici dell'altra faccia del mondo si accrescono anche le richieste di
aiuto, finanziario o politico, con l'impossibilità evidente di
affrontarle tutte. Cercando di dare un aiuto concreto la dove si può,
continuo a credere che sia importante proseguire anche nell'impegno di
decifrazione la più corretta possibile degli avvenimenti, anche come
esercizio salutare per la propria autocritica.
I tre fatti politici rilevanti su cui vogliamo proporre alcune prime
riflessioni parziali sono, in ordine cronologico:
- elezioni parlamentari in Venezuela (26 settembre)
- presunto "golpe" in Ecuador (30 settembre)
- primo turno elezioni presidenziali in Brasile (4 ottobre)
rinviando di nuovo al futuro una analisi sulle elezioni colombiane. I
tre temi scelti sono temi caldi. Il primo ha confermato l'appoggio
popolare al partito del presidente Chavez, il PSUV, alleato del Partito
Comunista Venezuelano. Ma di stretta misura, evidenziando i punti
deboli del governo e del partito. Il secondo sarà fonte di
interminabili polemiche ("golpe" o "protesta"?) non prive di risvolti
politici. Il terzo sembrava avere esito scontato con conclusione al
primo turno, ma così non è stato. Data l'importanza che va assumendo
restringeremo lo spazio sul primo e sul terzo per concentrarsi sul
secondo come caso critico esemplare di riflessione.
ELEZIONI PARLAMENTARI IN VENEZUELA
Le non facili e non scontate elezioni venezuelane meritano un
prossimo più lungo separato commento sulla situazione del paese. Dove
stanno andando il "processo bolivariano" e il "socialismo del XXI
secolo"? Due domande consistenti su cui potremo fare alcune riflessioni
con più calma. Parliamo intanto dei risultati delle elezioni del 26
settembre per il rinnovo del Parlamento.
Non facili e non scontate per il malcontento crescente e perché
l'opposizione di destra a Chavez, che aveva disertato le precedenti
elezioni, si è presentata ora unita pur se con una "Mesa de Unidad
Democratica" (MUD) piuttosto riottosa. Partiamo dal risultato. I
deputati da eleggere erano 165 (52 con criteri proporzionali e 110
secondo criteri maggioritari uninominali) dei quali tre riservati ai
popoli indigeni. Il PSUV (Partito Socialista Unitario del Venezuela)
assieme all'alleato PCV (Partito Comunista Venezuelano) ha ottenuto la
maggioranza semplice di 98 deputati all'Assemblea Nazionale, non
raggiungendo la maggioranza qualificata di 110 che deteneva dal 2005 e
quindi non potrà far approvare "leggi abilitanti" senza ricorrere a
accordi con l'opposizione, che ha ottenuto 65 seggi. 2 seggi sono
andati al partito PPT (Patria para Todos), fuoriuscito dalla
maggioranza. La differenza in voti fra le due coalizioni però è stata
minima, inferiore all'1% (5,423 milioni alla coalizione PSUV-PCV, 5,320
alla Mesa, 0,353 al PPT). Il paese appare quindi spaccato a metà, come
del resto anche in precedenti elezioni parlamentari, salvo le ultime
dove l'opposizione non si era presentata. Alla coalizione di governo
sono mancati, rispetto al referendum costituzionale del 2009, quasi 1,5
milioni di voti, ma anche questo fatto potrebbe ridimensionarsi
considerando che alle parlamentari i votanti sono sempre stati meno che
alle presidenziali o referendari, dove il carisma personale di Chavez
ha sempre giocato un ruolo centrale. Questa volta si è trattato di un
record rispetto alle altre precedenti parlamentari: 66,45% di votanti.
L'opposizione ha avuto da parte sua gli stessi voti avuti in passato
quindi i voti mancati ai governativi sono finiti in astensioni e non
alla opposizione.
E' la 12ma elezione consecutiva in cui i sostenitori di Chavez hanno
vinto, e senza ombra di manipolazioni, come gli osservatori
internazionali hanno sempre testimoniato. Unica bocciatura su 13 il
referendum costituzionale del 2008 poi recuperata con un testo
modificato nel 2009. Un buon auspicio dunque per le presidenziali del
2012 come molti analisti hanno detto? Probabilmente, ma senza
dimenticare i problemi aperti che avevano fatto temere per il
risultato. Possiamo riassumerli brutalmente così:
- l'elevatissimo tasso di omicidi nelle strade dovuti a
criminalità corrente
- l'aumento dell'inflazione (sul 35%)
- un non trascurabile tasso di corruzione negli uffici
pubblici (vecchio problema del paese)
- la scarsità di alcuni generi alimentari, dovuta al recente
abbassamento del tasso di cambio col dollaro che per lungo tempo era
stato irragionevolmente alto rendendo più conveniente importare che
produrre alimenti, per cui il paese è tremendamente dipendente
dall'estero (in particolare dalla Colombia, dove però un contenzioso
lungo circa 1 anno e solo ora risolto aveva incrementato l'importazione
illegale).
Ma il problema più preoccupante è quello della proliferazione di una
"boliborghesia" ("borghesia bolivariana") di arrampicatori sociali
mascherati da rivoluzionari, incuneati all'interno della burocrazia
statale, da sempre corrotta e inefficiente. Fenomeno che si è
manifestato anche all'interno del PSUV, partito nato nel 2007 per
iniziativa dall'alto e dove confluirono non senza reticenze vari
movimenti che avevano fino ad allora sostenuto Chavez, privo di un
proprio partito di riferimento (Movimiento Quinta República,[] partiti
minori come il Movimiento Electoral del Pueblo, il Movimiento
Independiente Ganamos Todos, Unidad Popular Venezolana, Independientes
por la comunidad Nacional, la Liga Socialista e altri che tutti assieme
avevano totalizzato il 45,99% dei voti ottenuti da Chávez durante
l'elezione presidenziale del 2006. Altri partiti come Patria Para
Todos, Por la Democracia Social , il Movimiento Tupamaro e il Partido
Comunista de Venezuela -che avevano ottenuto un 14,6%- con motivazioni
diverse rifiutarono invece di entrare da subito nel PSUV. Oggi, con le
adesioni anche di persone non provenienti da questi movimenti il PSUV
conta oltre 5 milioni e mezzo di tessere Più dei voti ottenuti il 26
settembre scorso!)
Ovviamente accanto ai punti deboli sopra ricordati, ve ne sono altri
che giustificano la continuità del voto, dei quali abbiamo parlato in
precedenti mininotiziari e sui quali torneremo a parlare più
estesamente. In realtà Chavéz dovrebbe avere colto gli avvertimenti e
le critiche provenienti da parte dei militanti più vivi e queste
elezioni dovrebbero aprire un serio dibattito, del resto già iniziato.
PRESUNTO "GOLPE" IN ECUADOR
Sono cosciente che l'aggettivo "presunto" procurerà qualche
frecciata, e qualcuna al curaro. Leggendo cosa già hanno scritto alcune
voci di riferimento di prima grandezza dell'informazione
latinoamericana rivolta alla sinistra movimentistica italiana, non ho
difficoltà a prevedere la natura e i bersagli dei dardi. Ma procediamo
con ordine e leggiamo i pareri di alcuni autorevoli analisti sui fatti
occorsi a Quito il 30 settembre quando il presidente Correa, accorso
coraggiosamente in una caserma di polizia dove era in corso un
ammutinamento al fine di sedarla, è stato oggetto di lanci di
lacrimogeni e costretto a rifugiarsi nell'attiguo ospedale (testi che
andrebbero letti per intero, ovviamente):
Guillermo Almeyra: Sobre el cuasi golpe ecuatoriano pubblicato il 5.10
sul sito di elpueblosoberano.net, ribadito nell'interno: no se puede
hablar de un golpe de Estado porque nada estaba organizado ni previsto
por sus protagonistas.
Raúl Zibechi: Sudamérica para los sudamericanos pubblicato su La
Jornada di sabato 2.10, in cui si legge: Con el paso de las horas, la
insubordinación policial se convirtió en crisis política e
institucional que forzó al presidente a decretar el estado de
excepción, primero, y más tarde a negociar con representantes de los
policías una salida a la crisis. No se trata, en rigor, de un golpe de
Estado.
Pablo Davalos (ex sottosegretario all'economia quando Correa era
ministro, che abita a Quito quindi sul luogo degli avvenimenti):
Alianza País: De la teoría de la conspiración a la real politik,
pubblicato in rete sul Capitulo Ecuador in cui si legge: Sin embargo,
los hechos, como alguna vez dijo Lenin, son tenaces y evidencian una
realidad más bien prosaica y diferente: al parecer y tal como lo
confirman todos los datos existentes, nunca se trató de un golpe de
Estado porque no hubo un pronunciamiento político en ese sentido de los
sectores de la policía y de las fuerzas armadas involucradas en el
conflicto. (Ora in italiano Dávalos da Quito sul sito
http://antoniomoscato.altervista.org/)
Per contro altri, la maggioranza, sono di avviso contrario: fu colpo di
stato (ma a un lettore attento col passare dei giorni alcuni già netti
ora specificano "secondo quanto sostiene il governo ecuadoriano",
aprendosi una via di fuga...)
Eva Golinger : Detrás del golpe en Ecuador - La derecha al ataque
contra Alba: Organizaciones financiadas por USAID y NED piden la
renuncia del Presidente Correa en apoyo al golpe de Estado promovido
por sectores de la policía ecuatoriana, profundamente penetrada por
Estados Unidos.....(vivacubalibera.blogspot. .com/)
Atilio A. Boron (un analista stimato) : ¿Qué pasó ayer en Ecuador? -
Hubo una tentativa de golpe de Estado. No fue, como dijeron varios
medios en América Latina, una "crisis institucional", como si lo
ocurrido hubiera sido un conflicto de jurisdicciones entre el Ejecutivo
y el Legislativo, sino una abierta insurrección de una rama del
primero, la Policía Nacional, cuyos efectivos constituyen un pequeño
ejército de 40.000 hombres, en contra del Comandante en Jefe de las
Fuerzas Armadas del Ecuador, que no es otro que su presidente
legítimamente electo. (www.rebelion.org)
Fausto della Porta: Ecuador, golpe contro Correa su Il Manifesto dell'1
ottobre
Paese nel caos: chiusi scuole e aeroporti. Chavez: andiamo a salvarlo
La polizia circonda il Parlamento, ferito il presidente. L'esercito:
gli siamo fedeli. Situazione di caos in Ecuador. Una protesta della
polizia scatenata dall'approvazione di una legge che prevede tagli è
degenerata ieri mattina a Quito in una vera e propria rivolta, che il
presidente eletto Rafael Correa ha definito un «tentativo di colpo di
stato».(www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20101001/)
Gennaro Carotenuto : Colpo di stato in Ecuador: l'America latina
integrazionista è più forte del gollismo (sul sito di Latinoamerica
dell'1.10). [.] Conflitto sindacale un corno! Le parole e i fatti
devono avere ancora un senso, anche per chi di mestiere lavora sempre
per edulcorare. Il presidente è stato malmenato, colpito con gas
lacrimogeni, infine sequestrato per 11 ore in un'ospedale all'interno
di una caserma, con almeno un tentativo solido di portarlo altrove,
frustrato solo perché nel frattempo migliaia di cittadini avevano
circondato la caserma, riproducendo per molti versi l'epopea dei giorni
dell'aprile 2002 in Venezuela, quando il popolo si sollevò contro il
golpe riportando Hugo Chávez a Miraflores. Il popolo pacifico che non
accetta più la prepotenza è la cifra dell'America latina del XXI
secolo. Anche dove la violenza infine trionfa, come è successo in
Honduras, nessuno abbassa più la testa.[.] Ma non è solo il sequestro
del presidente, che pure è la prova provata e legale dell'avvenuto
colpo di stato.
A parte il riferimento al gollismo forse non confacente, qui c'è un
salto di qualità: lo stato di accusa per chi sostiene una tesi non
conforme: Far finta di non vedere una regia dietro questa giornata che
si conclude con un bilancio di due morti e una settantina di feriti e
descrivere gli avvenimenti di Quito come casuali e spontanei è un
cosciente atto di disinformazione.
E il salto diviene acrobatico con Fulvio Grimaldi: "Dall'Ecuador, per
Colombia, Honduras e Messico la rotta della droga e del petrolio Usa"
[.] Il coraggio di Correa, la mobilitazione di popolo e la fedeltà dei
militari sventano l'ennesimo golpe della Cia in Latinoamerica. [.] La
solita canea venduta e, a sinistra, velinara (leggi l'indecente cronaca
"equidistante" e con fatti falsi dettati dalla disinformazione, sul
"manifesto") ha voluto far passare il tentativo di eliminare il
presidente Rafael Correa come una specie di modesta jacquerie di pochi
poliziotti scontenti della sacrosanta abolizione (dopo un aumento del
100% dei salari) di privilegi e decorazioni riservati alle sole forze
dell'ordine. I tg addirittura s'inventavano, per dar credibilità alla
misera motivazione dei "premi di produzione e delle medaglie perduti",
che Correa aveva ridotto i salari delle forze dell'ordine.Tutti i dati
pervenuti in gran flusso dall'Ecuador ci parlano, invece, di
un'operazione analoga a quelle contro Chavez o Zelaya
(fulviogrimaldi.blogspot.com)
Ma la dose qui è ancora più forte, ed è destinata agli indigeni e ai
loro simpatizzanti nostrani: L'ambiguità delle organizzazioni delle
comunità native si era affacciata una prima volta nel sostegno
all"indio" Lucio Guiterrez, che poi aveva venduto il paese agli Usa con
tutti gli indigeni dentro, e nella successiva imbarazzata loro assenza
dal moto di popolo che aveva cacciato questo guitto di stampo
berlusconiano. Racconto questo anche in risposta a certi "indigenisti"
nostrani che, magari dimenticando orrori storici come quelli, sì subiti
dai conquistatori, ma anche inflitti dagli imperi che ne furono
cancellati, praticano la filosofia del "buon selvaggio", appena
corretta dalla giusta considerazione per il suo protagonismo ecologico.
Un paternalismo riveduto all'insegna dei valori indigeni assoluti,
presentati come preminenti su multinazionalità e unità di classe. Per
fortuna questi innamoramenti, acritici come lo è sempre quella
psicopatologia (ricordiamoci l'infatuazione per Marcos, poi scomparso
dalla scena), sono ampiamente sovrastati da una davvero impressionante
rinascita indigena che corre per tutto il continente, dai Mapuche
cileno-argentini ai Lenca del Honduras, ai Triqui del Messico e che
lavora in unità e sintonia con tutte le realtà antimperialiste,
rivoluzionarie, progressiste, qualunque sia la forza impiegata. Con il
valore aggiunto di una coscienza umana e biologica, forse ignota ai
lontani antenati, ma maturata in cinque secoli di stragi,
emarginazione, autodifesa, salvaguardia ecologica, conoscenza del
nemico.
Compaiono qui elementi interessanti, ed è per questo che ho tirato in
ballo Grimaldi, non per una avversione alla persona ma come caso
esemplare, rivelatore di una diffusa mentalità emersa nuovamente in
questa occasione in molti interventi: quello di liquidare in poche
parole "comunità native" e "indigenisti nostrani" nonché di saper
dividere nelle prime fra "buoni" e "cattivi" (Grimaldi fra l'altro non
ha gradito il nostro interessamento per gli indigeni Yukpa del
Venezuela, così "tanto gratificati" da Chavez, né quello in favore
degli zapatisti: gli indios cattivi).
Far passare la versione se è stato colpo di stato o no è un fatto
gravido di conseguenze. Se di colpo di stato si tratta, verranno
ulteriormente criminalizzate le varie proteste sociali da tempo in atto
in Ecuador, e già represse militarmente da parte del presidente
"socialista del XXI secolo". Mi sia consentito di riportare due brani
di un testo di Natalia Serra, sociologa e cattedratica ecuadoriana,
scritto per l'occasione: A propósito de la revuelta de los uniformados:
Hace menos de un mes el gobierno de Alianza País mandó a la policía y
al ejército a reprimir la protesta de los mineros artesanales en el sur
del país, esté hecho se sumaba a la larga práctica represiva anti
popular que el gobierno de la Revolución Ciudadana viene aplicando en
el país, desde que tomó posesión en el 2007. Recordemos lo acontecido
en Dayuma en diciembre del 2007 cuando la población fue brutalmente
reprimida por la policía y el ejército en respuesta a sus legítimas
demandas sociales; o el de Azuay y Loja en diciembre del 2008 y enero
del 2009 donde los aparatos represivos del estado nuevamente se
lanzaron contra la población campesina e indígena que se opone a la
nefasta Ley Minera, la cual atenta contra su vida y la de todos los
ecuatorianos; la represión de Mayo del 2010 en Quito y otras ciudades
del país en contra de los indígenas, campesinos y ecologistas que
rechazaban la Ley de Aguas, la misma que da paso a formas camufladas de
privatización; la represión contra los maestros de la UNE en el 2009,
en el 2010 contra los estudiantes universitarios que rechazan la Ley de
Universidades; las amenazas contra cualquier protesta de los
trabajadores públicos en contra de la Ley de Servidores Públicos. [.]
No hay que olvidar que en éste gobierno han sido seriamente atacadas y
destruidas conquistas laborales, tanto de los empleados públicos como
de los privados, dentro de la mejor versión neoliberal. Que han sido
aprobadas leyes anti-populares que atentan, no solo contra el
trabajador del campo y de la ciudad, sino contra la naturaleza: como la
ley minera, la ley de soberanía alimentaria, la ley de universidades,
la ley de servidores públicos, etc. Que este gobierno ha ofendido la
dignidad de todos los ecuatorianos con su discurso profundamente
racista, con el que ha intentado degradar nuestra matriz cultural
andino-indígena. Que ha insultado y ridiculizado a los grupos
ecologistas por defender la vida. Que ha traicionado la memoria de
todas las generaciones de luchadores populares de la izquierda
latinoamericana, usurpando un discurso que lo ha utilizado para
encubrir su política antipopular. Que ha impuesto una política
autoritaria propia de gobiernos de derecha. Que ha cerrado todos los
canales de diálogo y de alianzas con los movimientos sociales
organizados. (www.migrantelatino.com/)
Queste cose sembrano non fanno parte del bagaglio informativo di una
certa sinistra, molto sensibile alla retorica delle parole e poco
all'analisi dei fatti. Di tutti i conflitti sociali in atto da quando
Correa è presidente, non una parola, se non, come visto, per denigrare
i popoli nativi. Pablo Davalos, a mio parere una mente lucida e onesta
della sinistra ecuadoriana, nell'articolo sopra citato (da leggere con
attenzione), illustrando le due tesi golpe, no golpe, scrive, scrive
concludendo la prima: Fino a qui un'interpretazione che ha come asse
direttivo il governo ecuadoriano e che in vario modo consta di vari
pronunciamenti e analisi di settori identificati con la sinistra
politica del continente. In questa visione la realtà è semplice e
contundente e le linee di demarcazione che definiscono la sinistra (i
buoni) e quelli che non lo sono, appaiono chiare e trasparenti.
E concludendo la seconda scrive: Il fatto che un reclamo amministrativo
abbia generato la crisi politica più importante dell'Ecuador negli
ultimi anni, provoca alla riflessione perchè questo fatto ha permesso
che affiorino vari fenomeni apparentemente dissimili e contraddittori.
Sono queste riflessioni che il prevalere della tesi del golpe cercherà
di impedire ma sulle quali noi caparbiamente torneremo. La parola
"indigenista", Grimaldi certamente lo sa, è una parola che denota un
certo atteggiamento storico di stampo paternalista oggi superata.
Essere aperti al dialogo coi popoli indigeni e alla loro sabiduria è
altra cosa, e non impedisce di vedere limiti e contraddizioni politiche
di alcuni gruppi e dirigenti indigeni, e non impedisce in ogni caso di
sostenere i loro diritti quando vengono violati.
Cosa cambia di fatto se è stato un golpe o una insubordinazione di
reparti di polizia e dell'esercito motivata da problemi retributivi?
Molto, ovviamente, nella sostanza, ma anche nelle conseguenze
politiche. Di fronte a un serio tentativo di golpe è inevitabile
l'appello all'unità popolare ed è facile criminalizzare le proteste
indigene in corso da tempo per l'inesorabile procedere della
moltiplicazione delle miniere, per la legge della privatizzazione di
fatto dell'acqua e per le contraddizioni sul recupero della sovranità
alimentare. A causa delle profonde contraddizioni del governo è in atto
un forte malessere sociale, non solo indigeno, che sta provocando
difficoltà al governo Correa, incapace di incanalarlo nell'alveo di un
dialogo sociale costruttivo. Per questo Correa, e altri governanti
nella sua situazione, stanno avvalorando la tesi del golpe. Perchè
contraddizioni e violazioni dei diritti indigeni sono presenti nella
stessa Bolivia di Morales, come cercheremo di dimostrare in altro
documento. E tentare di rinsaldare l'unità intorno al proprio progetto
denunciando tentativi di sovvertimento è cosa non nuova.
Un'ultima riflessione. Varie testimonianze attendibili confermano che
il presidente "sequestrato" nel corso della prigionia ha ricevuto in
ospedale ministri e alti funzionari ed è stato in permanente contatto
telefonico con gli alti comandi militari coi quali ha concertato il
blitz. Lo stesso Grimaldi scrive nel citato testo: <<Il
presidente sta governando la nazione da questo ospedale, da
sequestrato. Da qui io esco o come presidente, o come cadavere, ma non
mi farete perdere la mia dignità.(Correa a un'emittente presente al
sequestro)>> Avete mai visto emittenti ammesse dai golpisti a
intervistare il "defenestrando"? Il giorno seguente alla liberazione il
governo ha decretato aumenti salariali per tutti i graduati di esercito
e polizia. Avete mai visto golpisti beneficati monetariamente da parte
del presidente che hanno tentato di rovesciare? Durante il "sequestro"
tutti i mezzi di informazione radio e TV sono stati messi sotto
controllo governativo emettendo solo comunicati del governo; si è mai
visto un colpo di Stato in cui il primo obbiettivo non sia quello di
impossessarsi dei mezzi di comunicazione? Lo stesso Correa, appena
"liberato" ha detto essersi trattato di un "golpe da operetta". Rientra
nello stile CIA organizzare simili sceneggiate? Che poi nel disordine
generale creatosi qualcuno sia stato tentato di inserirsi,
improvvisando, con un obbiettivo più ampio, questo è probabile. Ma una
cosa è organizzare un golpe, una cosa infiltrarsi in una situazione di
caos, improvvisando e quindi fallendo.
Come mi pare evidente il problema è assai più serio, e riguarda
l'incapacità dei governi "progressisti" latinoamericani di attuare
politiche economiche e sociali alternative, senza di che gli entusiasmi
si spengono, i risentimenti si acuiscono e allora i colpi di stato,
quelli veri, si rendono veramente possibili. Questo forse meriterebbe
una analisi più attenta.
Sul tema delle contraddizioni e degli equivoci di Correa e di Alianza
País è possibile consultare anche i mininotiziari n.35-50-75-76,
scritti in tempi insospettabili, disponibili a giorni sul sito
www.kanankil.it come pure l'incisivo testo di Raúl Zibechi
<<Bolivia-Ecuador: lo Stato contro le popolazioni
indigene>> (in italiano sul sito
http://antoniomoscato.altervista.org/ che ora ha anche una riflessione
sulle versioni "ottimistiche": Pericoli reali e immaginari).
IL PRIMO TURNO DELLE PRESIDENZIALI IN BRASILE
Alle elezioni brasiliane avevamo dedicato due recenti mininotiziari (nn
91 e 92) a cui rinviamo per una analisi approfondita della situazione
brasiliana. Le previsioni di un voto torrenziale per Dilma Roussef tale
da farla eleggere al primo turno non si sono verificate anche se la
prima posizione è stata occupata saldamente (47% contro il 32,5% del
principale rivale José Serra), e malgrado l'alta percentuale di votanti
(88%). Il trascinamento sperato dell'effetto Lula, con il gradimento
popolare altissimo stimato in oltre l'80%, è stato parziale.
A rompere le uova nel paniere la sorpresa infatti del circa 20% di voti
conquistato da Marina Silva (ben 31,52% nello Stato di Rio de Janeiro),
accreditata invece nei sondaggi fra il 10 e il 15%, che ha sottratto
voti a Dilma e ora crea qualche apprensione per il secondo turno. A
quale dei due contendenti andranno infatti le indicazioni di Marina ai
suoi elettori, principalmente giovani o della media borghesia urbana?
Il corteggiamento è iniziato in termini anche non dignitosi: dalla
demonizzazione alla santificazione! Il voto per Marina è stato
probabilmente assai composito (voto verde ma anche voto di protesta,
voto di avvertimento, di attesa, di indecisione..), e non è affatto
detto che i suoi elettori seguiranno tutti le sue indicazioni, quali
che siano. Una ipotesi è che il 5% si trasformerà in voto nullo, il 5%
in voto per Serra e il 10% a Dilma, che verrebbe così eletta salvo
altri movimenti e sorprese. Anche il solito tentativo dei grandi media
alla vigilia di coinvolgere i candidati di sinistra in uno scandalo di
favori concessi da una sua collaboratrice può avere contribuito al non
raggiungimento del quorum. Il partito verde capeggiato da Marina, a cui
essa non appartiene ma dal quale è stata ingaggiata con intuito felice,
si colloca al centro o al centro-destra (Guillermo Almeyra : Los
desafios para la segunda vuelta brasilena, La Jornada) e anche se
Marina ha "una politica verde con cuore rosso", il partito che la ha
candidata ha una storia di alleanze statali con il partito di Serra il
PSDB, Partito Social Democratico Brasiliano. E questo non potrà non
pesare sulle sue indicazioni per il secondo turno.
La seconda sorpresa è stata l'alta percentuale di assenteismo e di
schede bianche o nulle nel nord-est del Brasile (20% bianche o nulle),
che era stato invece un sensibile serbatoio di voti per Lula nelle
precedenti elezioni presidenziali grazie all'imponente programma Bolsa
familia che aveva tirato fuori dalla miseria almeno una quarantina di
milioni di persone. Per ora non ho letto spiegazioni plausibili e provo
ad avanzarne una: l'estesa corruzione nell'assegnazione della Bolsa e
in altre attività assistenziali potrebbe avere una parte in questa
"disaffezione" che probabilmente rientrerà in parte al secondo turno.
Del resto anche nella seconda elezione di Lula le previsioni di un
successo al primo turno non vennero rispettate e servì un forte impegno
dello stesso, fino ad allora un po' distaccato, per acquisire
definitivamente il risultato.
Una cosa che vari osservatori hanno sottolineato è stata l'assenza di
un dibattito sul "progetto paese" da parte dei tre principali
candidati, impegnati soprattutto alla distruzione della figura morale
dei concorrenti.
A rinforzare il giudizio di assenza di dibattito politico la
giornalista Elaine Tavares così inizia un suo articolo (Um pitaco sobre
as eleições - www.adital.com): "Le elezioni in Brasile non si sono
rivestite di un manto morale. Quasi nessuno ha discusso i progetti di
nazione rappresentati dalle candidature. Ciò che importava maggiormente
è stato lavorare alla distruzione della persona, in ciò che essa aveva
di "sudicio e riprovevole". E Frei Betto ha rincarato nuovamente
(Reflexiones de un elector indignado - www.adital.com.br/
site/tema.asp?lang=ES&cod=85): "questo (i modi della campagna
elettorale ndt) rivela qualcosa di molto grave: i partiti rappresentano
ogni volta meno una parte o un segmento della società. Si
autorappresentano. Si sono convertiti in clubs politici destinati a
beneficare i propri soci. Vivono separati dalla base sociale, si
vantano di non avere ideologie, solo interessi, e in tutto ciò che
fanno cercano innanzi tutto di rinforzare il proprio potere. E
funzionano sulla base di azioni fra amici, infatti chi risulta eletto
si adopera per nominare chi non è stato eletto ad un incarico pubblico
ben remunerato." Non è qualcosa che accade anche da noi?
Progetto paese che secondo il giornalista Igor Ojeda di Brasil de fato
(http://alainet.org/active/41369) è stato invece presente nei dibattiti
dei 4 concorrenti di sinistra, però "invisibilizzati" dai media. Anche
questo ha contribuito ad un loro modestissimo risultato: il PSOL, pur
rappresentato da Plinio de Arruda Sampaio (Valentissimo, ma penalizzato
dall'età: 80 anni, che ha pesato a suo sfavore in una polarizzazione
basata sull'immagine) ha ottenuto solo lo 0,9%. Questo dimostra quanto
debole e frazionata sia la sinistra, tema affrontato prima delle
elezioni in una molto interessante e disincantata analisi, non priva di
autocritica per il proprio movimento,fatta dal dirigente dei Sem terra
Gilmar Mauro nel corso di una intervista al Correio da Cidadania
(Brasil: el MST no será rehén del próximo gobierno -
www.albatv.org/El-MST-no-sera-rehen-del-proximo.html) , della quale
consigliamo vivamente la lettura per chi vuole approfondire questo
aspetto. Ne riportiamo l'inizio bruciante: Alla vigilia della contesa
elettorale più vuota di idee da tempo immemorabile, i movimenti sociali
e la sinistra devono confrontarsi con un periodo nuovo delle proprie
lotte. Devono fare un'ampia riflessione sulle sconfitte accumulate che,
contrariamente a ciò che si sperava, sono state approfondite nel
periodo Lula. Segnaliamo anche il buon commento analitico sul primo
turno fatto dalla direzione Sem terra ( Risultato delle elezioni 2010 e
loro influenza sui rapporti tra le forze politiche, leggibile in
italiano sul sito www.comitatomst.it/).
A livello degli Stati il Pt da solo o con il suo alleato PMDB (Partido
Movimento Democrático Brasileño) ha conquistato al primo turno
quattordici stati ed è in buona posizione in almeno altri tre mentre a
livello parlamentare ha conquistato il 60% dei seggi sia alla Camera
che al Senato aumentando quindi la sua rappresentanza (54 senatori,
cioè + 15, contro i 17 dell'opposizione di destra, 161 deputati
federali contro 95 dell'opposizione). Ma ha perso a San Paolo, il cuore
industriale e finanziario del paese. Questo aumento consentirà al PT di
non ricorrere alle scandalose pratiche di corruzione di parlamentari
dell'opposizione di cui ha fatto uso giustificandole con la necessità
di governare?
La parola ora al secondo turno, ma prima di chiudere l'argomento
vogliamo fare una piccola nota sulla intervista a Lula a piena pagina
de Il Manifesto del 3 ottobre chiosata così da Matteuzzi: Lula si
lascia dietro molti «debiti» pendenti - la riforma agraria, l'aborto,
l'oblio sui crimini della dittatura, la politica ambientale quantomeno
controversa o decisamente brutta... - che sembra poco probabile possa
onorare Dilma Rousseff, la sua candidata e la prossima presidente (già
da oggi o al ballottaggio del 17). Non è stato il presidente della
svolta contro il neo-liberismo. Ma è stato un grande presidente, che a
ragione dice di aver fatto «una rivoluzione in 8 anni». Un unicum che
nonostante la guerra dei media contro di lui, se ne va con più dell'85%
di gradimento.. La nostra unica piccola nota si limita alla
sottolineatura.
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