Mininotiziario A.L. n 95 - VENEZUELA , ECUADOR, BRASILE



MININOTIZIARIO AMERICALATINA DAL BASSO  - n. 95 del 9 ottobre 2010



A cura della Fondazione Neno Zanchetta - Gragnano (Lucca)









AMERICA LATINA IN CAMMINO




I dossier su temi latinoamericani si accumulano sul mio tavolo aggiungendosi ad altre riflessioni e iniziative "nostrane", e dagli amici dell'altra faccia del mondo si accrescono anche le richieste di aiuto, finanziario o politico, con l'impossibilità evidente di affrontarle tutte. Cercando di dare un aiuto concreto la dove si può, continuo a credere che sia importante proseguire anche nell'impegno di decifrazione la più corretta possibile degli avvenimenti, anche come esercizio salutare per la propria autocritica.


I tre fatti politici rilevanti su cui vogliamo proporre alcune prime riflessioni parziali sono, in ordine cronologico:


-          elezioni parlamentari in Venezuela (26 settembre)

-          presunto "golpe" in Ecuador (30 settembre)

-          primo turno elezioni presidenziali in Brasile (4 ottobre)



rinviando di nuovo al futuro una analisi sulle elezioni colombiane. I tre temi scelti sono temi caldi. Il primo ha confermato l'appoggio popolare al partito del presidente Chavez, il PSUV, alleato del Partito Comunista Venezuelano. Ma di stretta misura, evidenziando i punti deboli del governo e del partito. Il secondo sarà fonte di interminabili polemiche ("golpe" o "protesta"?) non prive di risvolti politici. Il terzo sembrava avere esito scontato con conclusione al primo turno, ma così non è stato. Data l'importanza che va assumendo restringeremo lo spazio sul primo e sul terzo per concentrarsi sul secondo come caso critico esemplare di riflessione.




                                ELEZIONI PARLAMENTARI IN VENEZUELA





Le non facili e non scontate elezioni venezuelane meritano un prossimo più lungo separato commento sulla situazione del paese. Dove stanno andando il "processo bolivariano" e il "socialismo del XXI secolo"? Due domande consistenti su cui potremo fare alcune riflessioni con più calma. Parliamo intanto dei risultati delle elezioni del 26 settembre per il rinnovo del Parlamento.

Non facili e non scontate per il malcontento crescente e perché l'opposizione di destra a Chavez, che aveva disertato le precedenti elezioni, si è presentata ora unita pur se con una "Mesa de Unidad Democratica" (MUD) piuttosto riottosa. Partiamo dal risultato. I deputati da eleggere erano 165 (52 con criteri proporzionali e 110 secondo criteri maggioritari uninominali) dei quali tre riservati ai popoli indigeni. Il PSUV (Partito Socialista Unitario del Venezuela) assieme all'alleato PCV (Partito Comunista Venezuelano) ha ottenuto la maggioranza semplice di 98 deputati all'Assemblea Nazionale, non raggiungendo la maggioranza qualificata di 110 che deteneva dal 2005 e quindi non potrà far approvare "leggi abilitanti" senza ricorrere a accordi con l'opposizione, che ha ottenuto 65 seggi. 2 seggi sono andati al partito PPT (Patria para Todos), fuoriuscito dalla maggioranza. La differenza in voti fra le due coalizioni però è stata minima, inferiore all'1% (5,423 milioni alla coalizione PSUV-PCV, 5,320 alla Mesa, 0,353 al PPT). Il paese appare quindi spaccato a metà, come del resto anche in precedenti elezioni parlamentari, salvo le ultime dove l'opposizione non si era presentata. Alla coalizione di governo sono mancati, rispetto al referendum costituzionale del 2009, quasi 1,5 milioni di voti, ma anche questo fatto potrebbe ridimensionarsi considerando che alle parlamentari i votanti sono sempre stati meno che alle presidenziali o referendari, dove il carisma personale di Chavez ha sempre giocato un ruolo centrale. Questa volta si è trattato di un record rispetto alle altre precedenti parlamentari: 66,45% di votanti. L'opposizione ha avuto da parte sua gli stessi voti avuti in passato quindi i voti mancati ai governativi sono finiti in astensioni e non alla opposizione.



E' la 12ma elezione consecutiva in cui i sostenitori di Chavez hanno vinto, e senza ombra di manipolazioni, come gli osservatori internazionali hanno sempre testimoniato. Unica bocciatura su 13 il referendum costituzionale del 2008 poi recuperata con un testo modificato nel 2009. Un buon auspicio dunque per le presidenziali del 2012 come molti analisti hanno detto? Probabilmente, ma senza dimenticare i problemi aperti che avevano fatto temere per il risultato. Possiamo riassumerli brutalmente così:

- l'elevatissimo tasso di omicidi nelle strade dovuti a criminalità corrente

-          l'aumento dell'inflazione (sul 35%)

- un non trascurabile tasso di corruzione negli uffici pubblici (vecchio problema del paese)

- la scarsità di alcuni generi alimentari, dovuta al recente abbassamento del tasso di cambio col dollaro che per lungo tempo era stato irragionevolmente alto rendendo più conveniente importare che produrre alimenti, per cui il paese è tremendamente dipendente dall'estero (in particolare dalla Colombia, dove però un contenzioso lungo circa 1 anno e solo ora risolto aveva incrementato l'importazione illegale).

Ma il problema più preoccupante è quello della proliferazione di una "boliborghesia" ("borghesia bolivariana") di arrampicatori sociali mascherati da rivoluzionari, incuneati all'interno della burocrazia statale, da sempre corrotta e inefficiente. Fenomeno che si è manifestato anche all'interno del PSUV, partito nato nel 2007 per iniziativa dall'alto e dove confluirono non senza reticenze vari movimenti che avevano fino ad allora sostenuto Chavez, privo di un proprio partito di riferimento (Movimiento Quinta República,[] partiti minori come il Movimiento Electoral del Pueblo, il Movimiento Independiente Ganamos Todos, Unidad Popular Venezolana, Independientes por la comunidad Nacional, la Liga Socialista e altri che tutti assieme avevano totalizzato il 45,99% dei voti ottenuti da Chávez durante l'elezione presidenziale del 2006. Altri partiti come Patria Para Todos, Por la Democracia Social , il Movimiento Tupamaro e il Partido Comunista de Venezuela -che avevano ottenuto un 14,6%- con motivazioni diverse rifiutarono invece di entrare da subito nel PSUV. Oggi, con le adesioni anche di persone non provenienti da questi movimenti il PSUV conta oltre 5 milioni e mezzo di tessere Più dei voti ottenuti il 26 settembre scorso!)

Ovviamente accanto ai punti deboli sopra ricordati, ve ne sono altri che giustificano la continuità del voto, dei quali abbiamo parlato in precedenti mininotiziari e sui quali torneremo a parlare più estesamente. In realtà Chavéz dovrebbe avere colto gli avvertimenti e le critiche provenienti da parte dei militanti più vivi e queste elezioni dovrebbero aprire un serio dibattito, del resto già iniziato.



                                    PRESUNTO "GOLPE" IN ECUADOR



Sono cosciente che l'aggettivo "presunto" procurerà qualche frecciata, e qualcuna al curaro. Leggendo cosa già hanno scritto alcune voci di riferimento di prima grandezza dell'informazione latinoamericana rivolta alla sinistra movimentistica italiana, non ho difficoltà a prevedere la natura e i bersagli dei dardi. Ma procediamo con ordine e leggiamo i pareri di alcuni autorevoli analisti sui fatti occorsi a Quito il 30 settembre quando il presidente Correa, accorso coraggiosamente in una caserma di polizia dove era in corso un ammutinamento al fine di sedarla, è stato oggetto di lanci di lacrimogeni e costretto a rifugiarsi nell'attiguo ospedale (testi che andrebbero letti per intero, ovviamente):



Guillermo Almeyra: Sobre el cuasi golpe ecuatoriano pubblicato il 5.10 sul sito di elpueblosoberano.net, ribadito nell'interno: no se puede hablar de un golpe de Estado porque nada estaba organizado ni previsto por sus protagonistas. Raúl Zibechi: Sudamérica para los sudamericanos pubblicato su La Jornada di sabato 2.10, in cui si legge: Con el paso de las horas, la insubordinación policial se convirtió en crisis política e institucional que forzó al presidente a decretar el estado de excepción, primero, y más tarde a negociar con representantes de los policías una salida a la crisis. No se trata, en rigor, de un golpe de Estado. Pablo Davalos (ex sottosegretario all'economia quando Correa era ministro, che abita a Quito quindi sul luogo degli avvenimenti): Alianza País: De la teoría de la conspiración a la real politik, pubblicato in rete sul Capitulo Ecuador in cui si legge: Sin embargo, los hechos, como alguna vez dijo Lenin, son tenaces y evidencian una realidad más bien prosaica y diferente: al parecer y tal como lo confirman todos los datos existentes, nunca se trató de un golpe de Estado porque no hubo un pronunciamiento político en ese sentido de los sectores de la policía y de las fuerzas armadas involucradas en el conflicto. (Ora in italiano Dávalos da Quito sul sito http://antoniomoscato.altervista.org/)



Per contro altri, la maggioranza, sono di avviso contrario: fu colpo di stato (ma a un lettore attento col passare dei giorni alcuni già netti ora specificano "secondo quanto sostiene il governo ecuadoriano", aprendosi una via di fuga...)



Eva Golinger : Detrás del golpe en Ecuador - La derecha al ataque contra Alba: Organizaciones financiadas por USAID y NED piden la renuncia del Presidente Correa en apoyo al golpe de Estado promovido por sectores de la policía ecuatoriana, profundamente penetrada por Estados Unidos.....(vivacubalibera.blogspot. .com/)



Atilio A. Boron (un analista stimato) : ¿Qué pasó ayer en Ecuador? - Hubo una tentativa de golpe de Estado. No fue, como dijeron varios medios en América Latina, una "crisis institucional", como si lo ocurrido hubiera sido un conflicto de jurisdicciones entre el Ejecutivo y el Legislativo, sino una abierta insurrección de una rama del primero, la Policía Nacional, cuyos efectivos constituyen un pequeño ejército de 40.000 hombres, en contra del Comandante en Jefe de las Fuerzas Armadas del Ecuador, que no es otro que su presidente legítimamente electo. (www.rebelion.org)



Fausto della Porta: Ecuador, golpe contro Correa su Il Manifesto dell'1 ottobre

Paese nel caos: chiusi scuole e aeroporti. Chavez: andiamo a salvarlo La polizia circonda il Parlamento, ferito il presidente. L'esercito: gli siamo fedeli. Situazione di caos in Ecuador. Una protesta della polizia scatenata dall'approvazione di una legge che prevede tagli è degenerata ieri mattina a Quito in una vera e propria rivolta, che il presidente eletto Rafael Correa ha definito un «tentativo di colpo di stato».(www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20101001/)

Gennaro Carotenuto : Colpo di stato in Ecuador: l'America latina integrazionista è più forte del gollismo (sul sito di Latinoamerica dell'1.10). [.] Conflitto sindacale un corno! Le parole e i fatti devono avere ancora un senso, anche per chi di mestiere lavora sempre per edulcorare. Il presidente è stato malmenato, colpito con gas lacrimogeni, infine sequestrato per 11 ore in un'ospedale all'interno di una caserma, con almeno un tentativo solido di portarlo altrove, frustrato solo perché nel frattempo migliaia di cittadini avevano circondato la caserma, riproducendo per molti versi l'epopea dei giorni dell'aprile 2002 in Venezuela, quando il popolo si sollevò contro il golpe riportando Hugo Chávez a Miraflores. Il popolo pacifico che non accetta più la prepotenza è la cifra dell'America latina del XXI secolo. Anche dove la violenza infine trionfa, come è successo in Honduras, nessuno abbassa più la testa.[.] Ma non è solo il sequestro del presidente, che pure è la prova provata e legale dell'avvenuto colpo di stato.

A parte il riferimento al gollismo forse non confacente, qui c'è un salto di qualità: lo stato di accusa per chi sostiene una tesi non conforme: Far finta di non vedere una regia dietro questa giornata che si conclude con un bilancio di due morti e una settantina di feriti e descrivere gli avvenimenti di Quito come casuali e spontanei è un cosciente atto di disinformazione.

E il salto diviene acrobatico con Fulvio Grimaldi: "Dall'Ecuador, per Colombia, Honduras e Messico la rotta della droga e del petrolio Usa" [.] Il coraggio di Correa, la mobilitazione di popolo e la fedeltà dei militari sventano l'ennesimo golpe della Cia in Latinoamerica. [.] La solita canea venduta e, a sinistra, velinara (leggi l'indecente cronaca "equidistante" e con fatti falsi dettati dalla disinformazione, sul "manifesto") ha voluto far passare il tentativo di eliminare il presidente Rafael Correa come una specie di modesta jacquerie di pochi poliziotti scontenti della sacrosanta abolizione (dopo un aumento del 100% dei salari) di privilegi e decorazioni riservati alle sole forze dell'ordine. I tg addirittura s'inventavano, per dar credibilità alla misera motivazione dei "premi di produzione e delle medaglie perduti", che Correa aveva ridotto i salari delle forze dell'ordine.Tutti i dati pervenuti in gran flusso dall'Ecuador ci parlano, invece, di un'operazione analoga a quelle contro Chavez o Zelaya (fulviogrimaldi.blogspot.com)

Ma la dose qui è ancora più forte, ed è destinata agli indigeni e ai loro simpatizzanti nostrani: L'ambiguità delle organizzazioni delle comunità native si era affacciata una prima volta nel sostegno all"indio" Lucio Guiterrez, che poi aveva venduto il paese agli Usa con tutti gli indigeni dentro, e nella successiva imbarazzata loro assenza dal moto di popolo che aveva cacciato questo guitto di stampo berlusconiano. Racconto questo anche in risposta a certi "indigenisti" nostrani che, magari dimenticando orrori storici come quelli, sì subiti dai conquistatori, ma anche inflitti dagli imperi che ne furono cancellati, praticano la filosofia del "buon selvaggio", appena corretta dalla giusta considerazione per il suo protagonismo ecologico. Un paternalismo riveduto all'insegna dei valori indigeni assoluti, presentati come preminenti su multinazionalità e unità di classe. Per fortuna questi innamoramenti, acritici come lo è sempre quella psicopatologia (ricordiamoci l'infatuazione per Marcos, poi scomparso dalla scena), sono ampiamente sovrastati da una davvero impressionante rinascita indigena che corre per tutto il continente, dai Mapuche cileno-argentini ai Lenca del Honduras, ai Triqui del Messico e che lavora in unità e sintonia con tutte le realtà antimperialiste, rivoluzionarie, progressiste, qualunque sia la forza impiegata. Con il valore aggiunto di una coscienza umana e biologica, forse ignota ai lontani antenati, ma maturata in cinque secoli di stragi, emarginazione, autodifesa, salvaguardia ecologica, conoscenza del nemico.

Compaiono qui elementi interessanti, ed è per questo che ho tirato in ballo Grimaldi, non per una avversione alla persona ma come caso esemplare, rivelatore di una diffusa mentalità emersa nuovamente in questa occasione in molti interventi: quello di liquidare in poche parole "comunità native" e "indigenisti nostrani" nonché di saper dividere nelle prime fra "buoni" e "cattivi" (Grimaldi fra l'altro non ha gradito il nostro interessamento per gli indigeni Yukpa del Venezuela, così "tanto gratificati" da Chavez, né quello in favore degli zapatisti: gli indios cattivi).

Far passare la versione se è stato colpo di stato o no è un fatto gravido di conseguenze. Se di colpo di stato si tratta, verranno ulteriormente criminalizzate le varie proteste sociali da tempo in atto in Ecuador, e già represse militarmente da parte del presidente "socialista del XXI secolo". Mi sia consentito di riportare due brani di un testo di Natalia Serra, sociologa e cattedratica ecuadoriana, scritto per l'occasione: A propósito de la revuelta de los uniformados:

Hace menos de un mes el gobierno de Alianza País mandó a la policía y al ejército a reprimir la protesta de los mineros artesanales en el sur del país, esté hecho se sumaba a la larga práctica represiva anti popular que el gobierno de la Revolución Ciudadana viene aplicando en el país, desde que tomó posesión en el 2007. Recordemos lo acontecido en Dayuma en diciembre del 2007 cuando la población fue brutalmente reprimida por la policía y el ejército en respuesta a sus legítimas demandas sociales; o el de Azuay y Loja en diciembre del 2008 y enero del 2009 donde los aparatos represivos del estado nuevamente se lanzaron contra la población campesina e indígena que se opone a la nefasta Ley Minera, la cual atenta contra su vida y la de todos los ecuatorianos; la represión de Mayo del 2010 en Quito y otras ciudades del país en contra de los indígenas, campesinos y ecologistas que rechazaban la Ley de Aguas, la misma que da paso a formas camufladas de privatización; la represión contra los maestros de la UNE en el 2009, en el 2010 contra los estudiantes universitarios que rechazan la Ley de Universidades; las amenazas contra cualquier protesta de los trabajadores públicos en contra de la Ley de Servidores Públicos. [.] No hay que olvidar que en éste gobierno han sido seriamente atacadas y destruidas conquistas laborales, tanto de los empleados públicos como de los privados, dentro de la mejor versión neoliberal. Que han sido aprobadas leyes anti-populares que atentan, no solo contra el trabajador del campo y de la ciudad, sino contra la naturaleza: como la ley minera, la ley de soberanía alimentaria, la ley de universidades, la ley de servidores públicos, etc. Que este gobierno ha ofendido la dignidad de todos los ecuatorianos con su discurso profundamente racista, con el que ha intentado degradar nuestra matriz cultural andino-indígena. Que ha insultado y ridiculizado a los grupos ecologistas por defender la vida. Que ha traicionado la memoria de todas las generaciones de luchadores populares de la izquierda latinoamericana, usurpando un discurso que lo ha utilizado para encubrir su política antipopular. Que ha impuesto una política autoritaria propia de gobiernos de derecha. Que ha cerrado todos los canales de diálogo y de alianzas con los movimientos sociales organizados. (www.migrantelatino.com/)

Queste cose sembrano non fanno parte del bagaglio informativo di una certa sinistra, molto sensibile alla retorica delle parole e poco all'analisi dei fatti. Di tutti i conflitti sociali in atto da quando Correa è presidente, non una parola, se non, come visto, per denigrare i popoli nativi. Pablo Davalos, a mio parere una mente lucida e onesta della sinistra ecuadoriana, nell'articolo sopra citato (da leggere con attenzione), illustrando le due tesi golpe, no golpe, scrive, scrive concludendo la prima: Fino a qui un'interpretazione che ha come asse direttivo il governo ecuadoriano e che in vario modo consta di vari pronunciamenti e analisi di settori identificati con la sinistra politica del continente. In questa visione la realtà è semplice e contundente e le linee di demarcazione che definiscono la sinistra (i buoni) e quelli che non lo sono, appaiono chiare e trasparenti.

E concludendo la seconda scrive: Il fatto che un reclamo amministrativo abbia generato la crisi politica più importante dell'Ecuador negli ultimi anni, provoca alla riflessione perchè questo fatto ha permesso che affiorino vari fenomeni apparentemente dissimili e contraddittori.

Sono queste riflessioni che il prevalere della tesi del golpe cercherà di impedire ma sulle quali noi caparbiamente torneremo. La parola "indigenista", Grimaldi certamente lo sa, è una parola che denota un certo atteggiamento storico di stampo paternalista oggi superata. Essere aperti al dialogo coi popoli indigeni e alla loro sabiduria è altra cosa, e non impedisce di vedere limiti e contraddizioni politiche di alcuni gruppi e dirigenti indigeni, e non impedisce in ogni caso di sostenere i loro diritti quando vengono violati.



Cosa cambia di fatto se è stato un golpe o una insubordinazione di reparti di polizia e dell'esercito motivata da problemi retributivi? Molto, ovviamente, nella sostanza, ma anche nelle conseguenze politiche. Di fronte a un serio tentativo di golpe è inevitabile l'appello all'unità popolare ed è facile criminalizzare le proteste indigene in corso da tempo per l'inesorabile procedere della moltiplicazione delle miniere, per la legge della privatizzazione di fatto dell'acqua e per le contraddizioni sul recupero della sovranità alimentare. A causa delle profonde contraddizioni del governo è in atto un forte malessere sociale, non solo indigeno, che sta provocando difficoltà al governo Correa, incapace di incanalarlo nell'alveo di un dialogo sociale costruttivo. Per questo Correa, e altri governanti nella sua situazione, stanno avvalorando la tesi del golpe. Perchè contraddizioni e violazioni dei diritti indigeni sono presenti nella stessa Bolivia di Morales, come cercheremo di dimostrare in altro documento. E tentare di rinsaldare l'unità intorno al proprio progetto denunciando tentativi di sovvertimento è cosa non nuova.



Un'ultima riflessione. Varie testimonianze attendibili confermano che il presidente "sequestrato" nel corso della prigionia ha ricevuto in ospedale ministri e alti funzionari ed è stato in permanente contatto telefonico con gli alti comandi militari coi quali ha concertato il blitz. Lo stesso Grimaldi scrive nel citato testo: <<Il presidente sta governando la nazione da questo ospedale, da sequestrato. Da qui io esco o come presidente, o come cadavere, ma non mi farete perdere la mia dignità.(Correa a un'emittente presente al sequestro)>> Avete mai visto emittenti ammesse dai golpisti a intervistare il "defenestrando"? Il giorno seguente alla liberazione il governo ha decretato aumenti salariali per tutti i graduati di esercito e polizia. Avete mai visto golpisti beneficati monetariamente da parte del presidente che hanno tentato di rovesciare? Durante il "sequestro" tutti i mezzi di informazione radio e TV sono stati messi sotto controllo governativo emettendo solo comunicati del governo; si è mai visto un colpo di Stato in cui il primo obbiettivo non sia quello di impossessarsi dei mezzi di comunicazione? Lo stesso Correa, appena "liberato" ha detto essersi trattato di un "golpe da operetta". Rientra nello stile CIA organizzare simili sceneggiate? Che poi nel disordine generale creatosi qualcuno sia stato tentato di inserirsi, improvvisando, con un obbiettivo più ampio, questo è probabile. Ma una cosa è organizzare un golpe, una cosa infiltrarsi in una situazione di caos, improvvisando e quindi fallendo.



Come mi pare evidente il problema è assai più serio, e riguarda l'incapacità dei governi "progressisti" latinoamericani di attuare politiche economiche e sociali alternative, senza di che gli entusiasmi si spengono, i risentimenti si acuiscono e allora i colpi di stato, quelli veri, si rendono veramente possibili. Questo forse meriterebbe una analisi più attenta.



Sul tema delle contraddizioni e degli equivoci di Correa e di Alianza País è possibile consultare anche i mininotiziari n.35-50-75-76, scritti in tempi insospettabili, disponibili a giorni sul sito www.kanankil.it come pure l'incisivo testo di Raúl Zibechi <<Bolivia-Ecuador: lo Stato contro le popolazioni indigene>> (in italiano sul sito http://antoniomoscato.altervista.org/ che ora ha anche una riflessione sulle versioni "ottimistiche": Pericoli reali e immaginari).





IL PRIMO TURNO DELLE PRESIDENZIALI IN BRASILE



Alle elezioni brasiliane avevamo dedicato due recenti mininotiziari (nn 91 e 92) a cui rinviamo per una analisi approfondita della situazione brasiliana. Le previsioni di un voto torrenziale per Dilma Roussef tale da farla eleggere al primo turno non si sono verificate anche se la prima posizione è stata occupata saldamente (47% contro il 32,5% del principale rivale José Serra), e malgrado l'alta percentuale di votanti (88%). Il trascinamento sperato dell'effetto Lula, con il gradimento popolare altissimo stimato in oltre l'80%, è stato parziale.



A rompere le uova nel paniere la sorpresa infatti del circa 20% di voti conquistato da Marina Silva (ben 31,52% nello Stato di Rio de Janeiro), accreditata invece nei sondaggi fra il 10 e il 15%, che ha sottratto voti a Dilma e ora crea qualche apprensione per il secondo turno. A quale dei due contendenti andranno infatti le indicazioni di Marina ai suoi elettori, principalmente giovani o della media borghesia urbana? Il corteggiamento è iniziato in termini anche non dignitosi: dalla demonizzazione alla santificazione! Il voto per Marina è stato probabilmente assai composito (voto verde ma anche voto di protesta, voto di avvertimento, di attesa, di indecisione..), e non è affatto detto che i suoi elettori seguiranno tutti le sue indicazioni, quali che siano. Una ipotesi è che il 5% si trasformerà in voto nullo, il 5% in voto per Serra e il 10% a Dilma, che verrebbe così eletta salvo altri movimenti e sorprese. Anche il solito tentativo dei grandi media alla vigilia di coinvolgere i candidati di sinistra in uno scandalo di favori concessi da una sua collaboratrice può avere contribuito al non raggiungimento del quorum. Il partito verde capeggiato da Marina, a cui essa non appartiene ma dal quale è stata ingaggiata con intuito felice, si colloca al centro o al centro-destra (Guillermo Almeyra : Los desafios para la segunda vuelta brasilena, La Jornada) e anche se Marina ha "una politica verde con cuore rosso", il partito che la ha candidata ha una storia di alleanze statali con il partito di Serra il PSDB, Partito Social Democratico Brasiliano. E questo non potrà non pesare sulle sue indicazioni per il secondo turno.



La seconda sorpresa è stata l'alta percentuale di assenteismo e di schede bianche o nulle nel nord-est del Brasile (20% bianche o nulle), che era stato invece un sensibile serbatoio di voti per Lula nelle precedenti elezioni presidenziali grazie all'imponente programma Bolsa familia che aveva tirato fuori dalla miseria almeno una quarantina di milioni di persone. Per ora non ho letto spiegazioni plausibili e provo ad avanzarne una: l'estesa corruzione nell'assegnazione della Bolsa e in altre attività assistenziali potrebbe avere una parte in questa "disaffezione" che probabilmente rientrerà in parte al secondo turno. Del resto anche nella seconda elezione di Lula le previsioni di un successo al primo turno non vennero rispettate e servì un forte impegno dello stesso, fino ad allora un po' distaccato, per acquisire definitivamente il risultato.



Una cosa che vari osservatori hanno sottolineato è stata l'assenza di un dibattito sul "progetto paese" da parte dei tre principali candidati, impegnati soprattutto alla distruzione della figura morale dei concorrenti.





A rinforzare il giudizio di assenza di dibattito politico la giornalista Elaine Tavares così inizia un suo articolo (Um pitaco sobre as eleições - www.adital.com): "Le elezioni in Brasile non si sono rivestite di un manto morale. Quasi nessuno ha discusso i progetti di nazione rappresentati dalle candidature. Ciò che importava maggiormente è stato lavorare alla distruzione della persona, in ciò che essa aveva di "sudicio e riprovevole". E Frei Betto ha rincarato nuovamente (Reflexiones de un elector indignado - www.adital.com.br/ site/tema.asp?lang=ES&cod=85): "questo (i modi della campagna elettorale ndt) rivela qualcosa di molto grave: i partiti rappresentano ogni volta meno una parte o un segmento della società. Si autorappresentano. Si sono convertiti in clubs politici destinati a beneficare i propri soci. Vivono separati dalla base sociale, si vantano di non avere ideologie, solo interessi, e in tutto ciò che fanno cercano innanzi tutto di rinforzare il proprio potere. E funzionano sulla base di azioni fra amici, infatti chi risulta eletto si adopera per nominare chi non è stato eletto ad un incarico pubblico ben remunerato." Non è qualcosa che accade anche da noi?








Progetto paese che secondo il giornalista Igor Ojeda di Brasil de fato (http://alainet.org/active/41369) è stato invece presente nei dibattiti dei 4 concorrenti di sinistra, però "invisibilizzati" dai media. Anche questo ha contribuito ad un loro modestissimo risultato: il PSOL, pur rappresentato da Plinio de Arruda Sampaio (Valentissimo, ma penalizzato dall'età: 80 anni, che ha pesato a suo sfavore in una polarizzazione basata sull'immagine) ha ottenuto solo lo 0,9%. Questo dimostra quanto debole e frazionata sia la sinistra, tema affrontato prima delle elezioni in una molto interessante e disincantata analisi, non priva di autocritica per il proprio movimento,fatta dal dirigente dei Sem terra Gilmar Mauro nel corso di una intervista al Correio da Cidadania (Brasil: el MST no será rehén del próximo gobierno - www.albatv.org/El-MST-no-sera-rehen-del-proximo.html) , della quale consigliamo vivamente la lettura per chi vuole approfondire questo aspetto. Ne riportiamo l'inizio bruciante: Alla vigilia della contesa elettorale più vuota di idee da tempo immemorabile, i movimenti sociali e la sinistra devono confrontarsi con un periodo nuovo delle proprie lotte. Devono fare un'ampia riflessione sulle sconfitte accumulate che, contrariamente a ciò che si sperava, sono state approfondite nel periodo Lula. Segnaliamo anche il buon commento analitico sul primo turno fatto dalla direzione Sem terra ( Risultato delle elezioni 2010 e loro influenza sui rapporti tra le forze politiche, leggibile in italiano sul sito www.comitatomst.it/).



A livello degli Stati il Pt da solo o con il suo alleato PMDB (Partido Movimento Democrático Brasileño) ha conquistato al primo turno quattordici stati ed è in buona posizione in almeno altri tre mentre a livello parlamentare ha conquistato il 60% dei seggi sia alla Camera che al Senato aumentando quindi la sua rappresentanza (54 senatori, cioè + 15, contro i 17 dell'opposizione di destra, 161 deputati federali contro 95 dell'opposizione). Ma ha perso a San Paolo, il cuore industriale e finanziario del paese. Questo aumento consentirà al PT di non ricorrere alle scandalose pratiche di corruzione di parlamentari dell'opposizione di cui ha fatto uso giustificandole con la necessità di governare?



La parola ora al secondo turno, ma prima di chiudere l'argomento vogliamo fare una piccola nota sulla intervista a Lula a piena pagina de Il Manifesto del 3 ottobre chiosata così da Matteuzzi: Lula si lascia dietro molti «debiti» pendenti - la riforma agraria, l'aborto, l'oblio sui crimini della dittatura, la politica ambientale quantomeno controversa o decisamente brutta... - che sembra poco probabile possa onorare Dilma Rousseff, la sua candidata e la prossima presidente (già da oggi o al ballottaggio del 17). Non è stato il presidente della svolta contro il neo-liberismo. Ma è stato un grande presidente, che a ragione dice di aver fatto «una rivoluzione in 8 anni». Un unicum che nonostante la guerra dei media contro di lui, se ne va con più dell'85% di gradimento.. La nostra unica piccola nota si limita alla sottolineatura.