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Sent: Monday, January 18, 2010 8:49 PM
Subject: Terremoto ad Haiti: nuovi aiuti da Cuba
L'Avana, 18 gennaio 2010
LE RIFLESSIONI DEL COMPAGNO FIDEL: Haiti pone a prova lo spirito di
cooperazione
Le notizie che giungono da Haiti
riflettono il grande caos che ci si poteva aspettare nella situazione
eccezionale creata dalla catastrofe.
Sorpresa, stupore e commozione nei
primi istanti, desiderio di aiutare immediatamente dai più lontani angoli della
Terra.
Cosa inviare e come farlo verso un angolo dei Caraibi, dalla
Cina, dall’India, dal Vietnam e da altri punti situatati a decine di migliaia di
chilometri?
La violenza del terremoto e la povertà del paese generano
nei primi istanti idee di necessità immaginarie, che danno luogo ad ogni tipo di
promesse possibili, da inviare per qualsiasi via.
Noi cubani
comprendiamo che la cosa più importante è, in questi istanti, salvare vite
umane, e per questo siamo allenati non solo di fronte a catastrofi come questa,
ma anche contro altre catastrofi naturali relazionate alla salute. Lì cerano
centinaia di dottori cubani, oltre ad un buon numero di giovani haitiani
d’origine umile, divenuti professionisti della salute ben preparati, un compito
che realizziamo cooperando da molti anni con questo fraterno e vicino paese.
Una parte dei nostri compatrioti erano in vacanza ed altri di’origine
haitiana si specializzavano o studiavano in Cuba.
Il terremoto ha
superato qualsiasi calcolo; le povere case di mattoni e fango di una città con
quasi due milioni d’abitanti non potevano resistere e sono crollate; le
installazioni del governo, molto più solide, interi isolati di edifici sono
crollati sugli abitanti che, a quell’ora già serale, erano in casa e sono stati
sepolti sotto le rovine, vivi o morti.
Le strade piene di persone ferite
che chiedevano aiuto.
La MINUSTAH, forza delle Nazioni Unite, il Governo
e la Polizia sono restati senza centri di comando. Nei primi istanti il compito
di queste istituzioni, con migliaia di persone è stato sapere chi era ancora
vivo e dove si trovava.
La decisione immediata dei nostri abnegati
medici che lavoravano ad Haiti, e dei giovani specialisti della sanità, laureati
in Cuba, è stata di comunicare tra di loro, sapere come stavano e su cosa
contavano per dare assistenza al popolo haitiano in quella tragedia.
Quelli che erano in vacanza a Cuba si sono immediatamente preparati a
partire, così come i medici haitiani che si stanno specializzando nella nostra
Patria.
Altri esperti cubani in chirurgia, che hanno compiuto difficili
missioni, si sono offerti di partire con loro: basta dire che in meno di 24 ore
i nostri medici avevano già assistito più di cento pazienti. Oggi 16 gennaio, a
soli tre giorni e mezzo dalla tragedia il numero delle persone assistite era già
di varie migliaia.
A mezzogiorno di oggi, sabato 16, la dirigenza della
nostra brigata ha comunicato, tra l’altro, i dati seguenti:
“È davvero
lodevole quello che stanno facendo i compagni; è opinione unanime che il
Pachistan è diventato piccolo. Lì ci fu un altro terribile terremoto, dove
lavorarono diversi medici cubani, In quel paese si presentarono molte fratture
ed anche alcune vecchie e mal consolidate, alcune persone schiacciate, ma qui è
stato superato l’immaginabile. Abbondanti mutilazioni. Le operazioni praticate
vanno eseguite in pubblico. Qusta è l’immagine che avevamo di una guerra”.
“…l’ ospedale Delmas 33 sta già funzionando e dispone di tre sale
operatorie con generatori elettrici, aree di consultazione, eccetera, ma è già
assolutamente pieno...”
“…12 medici cileni si sono incorporati, uno è
anestesista, ed inoltre ci sono otto dottori venezuelani e nove monache
spagnole: si attende l’incorporazione da un momento all’altro di 18 spagnoli, ai
quali la ONU e la Sanità Pubblica avevano consegnato l’ospedale, ma mancavano le
risorse per le urgenze, che non erano arrivate, per cui hanno deciso di sommarsi
a noi e cominciare a lavorare d’immediato”...
“… 32 medici residente
haitiani sono stati inviati qui e sei sono andati direttamente a Carrefour, un
luogo completamente devastato. Inoltre sono giunti ieri tre strumenti
chirurgici”.
“…stiamo operando nelle seguenti installazioni ospedaliere
di Port au Prince:
Hospital La Renaissance.
Hospital del Seguro
Social.
Hospital de la Paz.”
“…funzionano già quattro CDI
(Centri di Diagnosi Integrale).”
Con queste informazioni si trasmette
solo un’idea di quello che sta facendo ad Haiti il personale medico cubano ,
come gli specialisti di altri paesi che lavorano con loro, tra i primi che sono
giunti in questa nazione.
Il nostro personale è disposto a cooperare e
unire le sue forze a quelle di tutti gli specialisti della salute che sono stati
inviati per salvare le vite di questo popolo fraterno.
Haiti potrebbe
divenire un esempio di quello che l’umanità può fare per sè stessa: le
possibilità ed i mezzi esistono, ma manca la volontà.
Quanto più si
dilateranno le sepolture e gli incenerimenti dei morti, la distribuzione degli
alimenti e di altri prodotti vitali, tanto più aumenteranno i rischi di epidemie
e violenze sociali.
Ad Haiti si metterà a prova quanto può durare lo
spirito di cooperazione, prima che l’egoismo, il sciovinismo, gli interessi
meschini e il disprezzo per altre nazioni, prevalgano.
Un cambio
climatico minaccia tutta l’umanità.
Il terremoto di Port au Prence, dopo
tre sole settimane, ricorda a tutti noi in che modo egoista e autosufficiente ci
siamo comportati a Copenaghen.
I paesi osservano da vicino quello che
sta accadendo in Haiti.
L’opinione mondiale ed i popoli saranno sempre
più severi e implacabili nelle loro critiche!
Fidel Castro Ruz – 16 gennaio del 2010 Ore 19.46
(Traduzione Gioia Minuti)
http://www.granma.cu/italiano/2010/enero/lun18/RIFLESSIONI-16enero.html
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L'Avana, 18 gennaio 2010
Nuovi aiuti di Cuba per Haiti
Raymundo Gómez Navia
AIN - Aerei
cubani con medicinali ed altri risorse, specialisti della salute e di situazioni
d’emergenza naturale continuano ad arrivare all’ aeroporto internazionale di
Port au Prence.
Sabato 16 sono giunti altri medici e strumenti per
rafforzare gli integranti della brigata Henry Reeve, che lavorano in diversi
punti della capitale.
Nel Campo di Marte, in Piazza della Repubblica ed
altri luoghi di questa capitale, sono sistemati punti all’aria aperta per
offrire assistenza d’urgenza ai traumatizzati, curare ferite e soprattutto agire
preventivamente contro le infezioni. I casi più gravi di fratture, come i più
complessi, sono inviati negli ospedali in funzione.
Gli specialisti
cubani ricevono manifestazioni di gratitudine per l’appoggio e la solidarietà di
Cuba, ed è comune sentire - e non senza emozione – in creolo, francese, inglese
ed anche in spagnolo, gridare Viva Cuba, Viva Fidel, Grazie Raul.
Tra
gli aerei giunti dall’Isola cubana, uno ha portato dieci tonnellate di
medicinali e prodotti d’alta domanda, per aiutare la critica situazione che si
vive in Haiti.
Ora sono 447 i componenti del contingente sanitario
cubano presenti in Haiti, e 220 sono concentrati a Port au Prence.
BAMBINA DI 18 MESI TROVATA VIVA
DOPO 3 GIORNI
Un miracoloso riscatto di una piccola di 18 mesi
ad Haiti, Zinnie, strappata dalla tomba di rovine di un edificio è avvenuto dopo
ben 3 giorni che vi era sepolta. Un gruppo di persone ha sentito il suo pianto
ed un gruppo di giornalisti di un canale TV dell’Australia è riuscito a
riscattarla viva.
Si ignora dove si trovano i genitori o i familiari
della bambina.
CUBA APRE LO SPAZIO AEREO AGLI USA
Il governo
cubano ha aperto lo spazio aereo per consentire agli aerei statunitensi di
portare aiuti ad Haiti ed evacuare i feriti.
Un portavoce della Casa
Bianca ha spiegato noto che è stato raggiunto un accordo perché gli aerei che
partono dalla base statunitense nella baia cubana di Guantanamo diretti in
Florida passino sopra l'isola; e in tal modo possono accorciare il tradizionale
tragitto di circa 90 minuti.
Le squadre di soccorso inviate da
Washington stanno portando le vittime bisognose di cure nell'ospedale militare
di Guantánamo; ma alcuni sopravvissuti devono poi essere trasferiti in Florida
per ulteriori terapie.
(Traduzione Granma Int.)
http://www.granma.cu/italiano/2010/enero/lun18/Nuovi.html
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L'Avana, 18 gennaio 2010
Cuba non
esiste nei rapporti USA sulla risposta al terremoto di Haiti
Dave
Lindorff
Solo due media degli Stati Uniti hanno informato
sulla risposta di Cuba al terribile terremoto di 7.0 gradi, che ha devastato
Haiti.
Uno è il Fox News, che afferma, sbagliandosi, che i cubani erano
assenti dalla lista dei paesi vicini dei Caraibi, che sono accorsi a prestare
aiuto.
L’altro è il Christian Science Monitor (uno spazio di notizie con
molta credibilità, che di recente ha chiuso la sua edizione cartacea) ha
informato correttamente che Cuba aveva inviato 30 medici nella nazione colpita.
Il The Christian Science Monitor, in un secondo articolo, citando
Laurence Korb, ex vicesegretario alla Difesa ed ora vincolato al Center for
American Progress, ha assicurato che gli Stati Uniti sono i leaders nello sforzo
dei soccorsi per Haiti, ma che si deve considerare la possibilità d’approfittare
dell’ esperienza di un vicino come Cuba, che dispone di alcuni dei migliori
corpi medici del mondo e “dobbiamo imparare da loro”.
Il resto dei media
degli Stati Uniti ha ignorato il ruolo di Cuba e le sue azioni di solidarietà.
Di fatto, hanno tralasciato di comunicare un fatto reale: che c’erano
già 400 medici cubani in Haiti per aiutare quotidianamente e risolvere le
necessità sanitarie della nazione più povera delle Americhe, e che questi medici
sono stati tra i primi a rispondere al disastro ed hanno creato immediatamente
un ospedale proprio a lato del principale ospedale di Port-au-Prince, crollato
con il terremoto.
Ben lontani dal non far nulla di fronte al disastro.
come afferma la propaganda di destra della televisione FOX, Cuba è stata uno
delle nazioni più efficaci e attive nel dare una risposta alla crisi, con una
infrastruttura per assistere immediatamente le vittime, mobilitandosi
immediatamente e cominciando ad assistere i sopravvissuti.
La risposta
d’emergenza degli Stati Uniti, com’era prevedibile, si è concentrata soprattutto
in termini di personale e di denaro, con l’invio di militari, di una
incredibilmente costosa ed inefficiente flotta di arerei ed una portaerei. Un
fattore che va considerato, se si esamina che nella cifra di 100 milioni di
dollari che l’amministrazione Obama ha reclamato per assegnare aiuti d’emergenza
ad Haiti vanno sommati il costo per operare della portaerei, includendo
l’equipaggio, che è di circa 2 milioni di dollari al giorni, e che il solo invio
d’una compagnia a Port-au-Prince, incide tanto sul totale che non basta per
contenere le spese; in una settimana se ne va la quarta parte degli sforzi
dell’annunciato aiuto degli Stati Uniti per Haiti.
Mentre molti tra i
militari ed il personale inviato certamente potrebbero svolgere aiuti reali,
come la consegna delle provviste e la loro protezione, moltissimi, come dimostra
la lunga storia degli USA di brutalità militare e controllo coloniale di Haiti,
inevitabilmente passeranno il loro tempo cercando d’assicurare la sopravvivenza
ed il controllo dei parassiti pro-USA scelti tra l’elite politica di Haiti.
La verità è che gli Stati Uniti hanno ignorato, alla base, il corso
quotidiano della crisi umanitaria in Haiti, mentre Cuba sta facendo il lavoro
quotidiano di apportare assistenza sanitaria a questo popolo, ma questa è una
storia che i media corporativi statunitensi non vogliono raccontare.
DAVE Lindorff è un giornalista di Filadelfia. Il suo ultimo libro è “The
Case for Impeachment” (St. Martin’s, 2006). I suoi lavori si leggono in
www.thiscantbehappening.net
http://www.granma.cu/italiano/2010/enero/lun18/terremoto-Haiti.html
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L'Avana, 18 gennaio 2010
CARICOM protesta: i nordamericani impediscono di
portare aiuti ad Haiti
La Comunità dei Caraibi,
(CARICOM), ha presentato una protesta dopo l’impossibilità di far giungere ad
Haiti una missione umanitaria dell’ organizzazione degli Stati dei Caraibi
anglofobi e francofoni.
La missione, guidata da vari Capi di Governo
della regione e dal Segretario Generale di CARICOM, non ha ottenuto il permesso
d’atterraggio nell’ Aeroporto di Port au Prence, che è controllato dall’esercito
degli Stati Uniti.
I partecipanti hanno dovuto ritornare in Giamaica e
da lì nei loro rispettivi paesi.
Varie nazioni, come Francia, Brasile,
Nicaragua e altre, hanno già protestato per la gestione arbitraria che gli Stati
uniti applicano nel controllo dell’ aeroporto haitiano.
Il Primo
Ministro della Giamaica, Bruce Holding, ha offerto l’Aeroporto Internazionale
“Michael Manley” de Kingston perchè sia il centro delle operazioni fondamentali
per gli aiuti internazionali, data la sua ubicazione a soli 45 minuti di volo da
Haiti.
(Traduzione Granma Int.)
http://www.granma.cu/italiano/2010/enero/lun18/CARICOM.html
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La Habana, 15 de enero de 2010
Con los médicos cubanos en Haití La peor
tragedia es no poder hacer más
Leticia Martínez Hernández
Fotos: Juvenal Balán (Enviados
especiales)
Los
lesionados llegan a todas horas. Desgarra ver la cantidad de
niños.
PUERTO PRÍNCIPE, Haití.— El pequeño no paraba de
temblar, de su manita endeble colgaba un suero que a estas alturas muy poco
podía ayudarle. Por sus venas colapsadas ya no pasaba el fluido que en otra
circunstancia, quizás, le devolvería el aliento. Acostadito sobre un cartón la
vida se le iba, mientras a sus pies un médico cubano lamentaba no poder hacer
más.
Los médicos trabajan de manera continua y lo más frecuente son las
amputaciones. "A este angelito lo trajeron hoy por la mañana. Llevaba tres
días bajo los escombros. Lo trajo un rescatista, no tiene familia y es muy
probable que no se salve. Le hemos puesto de todo, lo limpiamos, curamos sus
heridas, ya no sé cómo seguir ayudándolo. Esta tragedia se ha ensañado con los
niños, es insoportable el dolor".
Con solo 28 años ya Sergio sabe qué
cara tiene la muerte. Estos últimos días han sido funestos para este médico
santiaguero que por primera vez sale de su tierra para salvar vidas. A la
pregunta de qué ha sido lo más terrible, dispara dos ráfagas salidas del
mismísimo corazón: el sufrimiento de los pequeños y no poder socorrerlos a
todos. Así hablaba Sergio Otero González, cuando de su mano se aferró una mujer
con el rostro magullado.
Es hora de apartarse del niño y auxiliar a los
que llegan. Quizás cuando regrese, este inocente sin nombre haya dejado de
respirar, no le quedará más que conformarse con haber hecho lo imposible por
devolverle la vida a un ser que nació marcado por la tragedia.
De estas
tristes historias está repleta hoy la tierra haitiana. Centros hospitalarios
como Delma 33 (paradójicamente nombrado La Paz) y La Renaissance (renacimiento
en francés), tienen mucho horror que contar; pero allí los médicos cubanos
siguen empeñados en escribir con mayúsculas la palabra VIDA, aunque las agencias
de noticias se encarguen de minimizarlos y hasta de negarlos, como la cadena de
TV norteamericana Fox News. ¿Será que tendremos que poner altavoces en la Luna
para que se acaben de enterar que muchos años antes del sismo ya Haití sabía de
los médicos cubanos?
De los escombros sale una
fetidez insoportable, mientras la gente deambula por las
calles
RENACIMIENTO EN HAITÍ
La paradoja se apodera de Haití, con cada mirada descubro un
contraste, otro más. Creí que la contradicción entre la felicidad de la caras
que muestran las vallas publicitarias y el rostro ajado de quienes por debajo de
ellas pasan, era la mayor ironía, pero me equivocaba. Hallar las palabras paz y
renacimiento en la fachada de los hospitales más tétricos que he visto en mi
vida, superó cualquier incongruencia¼ Me empeñé entonces en encontrar la
respuesta en el ondear de la bandera de mi tierra a la puerta de estos.
De los escombros sale una fetidez insoportable, mientras la gente
deambula por las calles. Pareciera que los haitianos se acercan a los
hospitales donde están los cubanos para encontrar sosiego. No paran de llegar,
todos quieren ser atendidos de inmediato, el irresistible dolor de sus cuerpos
se mezcla con una enraizada falta de cariño, que parece curarse de inmediato
cuando uno de nuestros galenos los acaricia con ternura¼ Hasta los predios de
los hospitales se mueven familias enteras. Montan allí el quimbo, ubican al
enfermo en el centro, amontonan lo poco que les quedó, y la familia, cuando
todavía queda, sale a buscar atención. A otros los transportan en cartones,
tablas, colchones hasta casi acorralar al médico.
Así, entre muchos,
encontré a la doctora Madelaine en el centro hospitalario La Renaissance. Llegar
hasta ella se convirtió en una demostración de malabarismo. Un pie primero, otro
después¼ un descanso para recobrar el equilibrio: debajo de mí agonizaban de
dolor varios haitianos, solo rozarlos hubiera sido imperdonable. Sin embargo,
allí no terminaba la odisea. Tocaba ahora convencerla de que me contara sus
vivencias. Esta granmense de 32 años es una experta curando, pero frente a una
grabadora tiembla.
Continúan los rescates aunque
las posibilidades de sobrevivir disminuyen.
Los lesionados llegan a todas horas.
Desgarra ver la cantidad de niños.
"Esto no se compara con nada de lo que
he visto. Cuando llegué sentí miedo, pero no tuve tiempo de dejarlo crecer.
Todavía no olvido el rostro de una pequeña de dos años, que sacaron de los
escombros y llegó agonizando. A muchos los traen así, pero cuando se trata de un
niño, el corazón se nos estruja aún más".
-¿No se desespera cuando le
llaman de todos lados y a toda hora para que los auxilie?
"Ellos están
desesperados, lo que han vivido no es para menos. Pero nosotros hemos aprendido
a tener calma y tratarlos con delicadeza aunque estemos estresados. Si te
desesperas no ayudas ni a uno ni a otro, y terminas siendo inútil"..
Con
esa misma ecuanimidad sale la cirujana Abrahana del Pilar Cisneros Depestre del
improvisado salón de operaciones. Desde dentro de este lugar, parapetado entre
sábanas, se escucha un sonido aterrador. Estamos amputando una pierna, dice y me
convida a pasar. Pero hasta allí no llegan mis fuerzas, prefiero entonces
esperarla fuera para conversar. De ella solo sé que acortó sus vacaciones para
retornar a Haití y ayudar.
"Todo es muy triste y desolador. Las heridas
son en extremo graves. Lo más frecuente son las traumatologías, muchas personas
llegan prácticamente autoamputadas, con los miembros casi desgarrados, con
quemaduras incompatibles con la vida, como las de esa niña que ahora mismo cuida
una vecina pues su mamá falleció y no se ha encontrado algún otro familiar".
Continúan los rescates aunque las posibilidades de sobrevivir
disminuyen. Han transcurrido varios días, las posibilidades de salvación van
siendo mínimas para los que recién son encontrados, dice esta doctora que ya ha
perdido la cuenta de los que han pasado por sus manos. "El viernes operamos a 15
personas, hoy sábado ya vamos por 17 y no hemos terminado el día, son uno detrás
del otro. La severidad de las lesiones es mayor, los casos son extremadamente
sépticos".
-¿Y los familiares, doctora, qué le dicen?
"Muchos
llegan solos, pero cuando las familias los traen, es tanto el dolor y la
tristeza que solo nos miran, creo que con eso lo dicen todo, no hace falta la
palabra gracias".
-¿Está cansada?
"Es verdad que hemos trabajado
mucho, que los días se juntan, pero es tanto el deseo de ayudar que no nos
permite sentir el cansancio, al contrario, ojalá consiguiéramos dar más".
Se pudiera sospechar que tanta energía y deseos de hacer se dan solo
aquí en La Renaissance. Sin embargo, en el otro extremo de la ciudad la historia
se repite.
¿PAZ EN DELMA 33?
En el Hospital Universitario La Paz, conocido como Delma 33,
más médicos confirman las palabras de Abrahana, Sergio y Madelaine. Allí otra
bandera cubana ondea, y da paso a un escenario más estremecedor. Casi todos los
lesionados están ubicados en las afueras del recinto. Los lamentos hacen doler
el corazón, las tremendas heridas obligan a voltear el rostro, la desolación
conmueve, las miradas que buscan compasión calan hasta los huesos. Todos
parecieran preguntar: ¿tendrá fin tanta desdicha?
La réplica de la noche
anterior, los hizo salir despavoridos del hospital, coyuntura "aprovechada" por
los médicos para organizar mejor el local y evaluar la fortaleza de la
edificación.
Acondicionando nuevos espacios, poniendo carteles que
delimitan las áreas, desinfectando el piso, clasificando a los enfermos y
entrando a los más graves, estaban los médicos cuando llegamos. Sorprendió ver
tanta gente ayudando. Codo a codo colaboraban especialistas chilenos, cubanos,
españoles, canadienses, mexicanos¼ Todos hablaban un mismo idioma: el de la
salvación. Todos repetían una misma frase: el trabajo en equipo.
El
doctor cubano Carlos Guillén, director del centro, así lo definía: "Ha sido una
cooperación perfecta, ellos vienen hasta nosotros, nos buscan espontáneamente
para tomar cualquier decisión, tenemos una reunión en la mañana y otra en la
tarde con los representantes de cada nación, donde definimos qué estamos
necesitando, cuáles son las prioridades y lo compartimos todo".
A
Heriberto Pérez, médico chileno, lo que más le preocupaba era el desorden
inicial, por eso defiende la cohesión entre todos, no importa de dónde vengan,
lo que de verdad vale es salvar vidas.
Acariciando a una pequeña que
tenía la piernita en peligro por la gangrena, estaba la monja Rosalía. Vino
desde España y se sumó al tremendo equipo que conforma también, entre otros, el
residente haitiano Asmyrrehe Dollin. Para este muchacho graduado en Cuba,
auxiliar a sus coterráneos es lo más grande que la vida le ha deparado. Agradece
entonces a la mayor de las Antillas la posibilidad de haberle enseñado a
hacerlo. Compartir con los médicos, que en algún momento fueron sus maestros, es
un orgullo inmenso.
Es solo este apretón de manos entre médicos lo que
aliviará el dolor haitiano. Vuelve a anochecer, pero quizás mañana los lamentos
sean menos. Será una bendición que comiencen a desaparecer los carteles de "we
need help" que como sombra están colgados por todos los lugares.
http://www.granma.cu/espanol/2010/enero/lun18/la-peor.html
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La ley del más fuerte prima en
Haití para obtener alimentos y agua.
La Habana, 16 de enero de
2010
El FMI anuncia como “ayuda” un nuevo préstamo
para Haití
• Andrés Pérez, corresponsal en Puerto
Príncipe del diario Público
El director general del Fondo Monetario
Internacional, Dominique Strauss Kahn, acaba de anunciar su firme intención de
“movilizar ayuda” para Haití “muy rápidamente”, con el desbloqueo de 100
millones de dólares. Strauss Kahn dijo que el objetivo es “acompañar a Haití en
la difícil tarea”, y expresó su “profunda simpatía para con las víctimas”. Lo
que olvidó de decir el director general es que los 100 millones de euros no son
ayuda. En la letra pequeña pone que la suma será desbloqueada en forma de
“facilidad ampliada de crédito”. Es decir que los haitianos tendrán que
devolverla, aunque estén bajo los escombros. Y con intereses.
Desde hace
dos siglos, es una costumbre de eso que se suele llamar la comunidad financiera
internacional. Auténtica ayuda y auténtica anulación de la deuda externa de
Haití son irremediablemente las asignaturas pendientes del Norte con este país
desde su nacimiento, en 1804.
Aprovechando uno de los episodios de
restauración monárquica que sufrió Francia en la primera mitad del siglo XIX,
los ex colonos blancos impusieron su venganza. El rey Carlos X envió un emisario
a la no reconocida república negra en 1825 con un mensaje claro: o Haití
aceptaba endeudarse para “indemnizar a los agraviados colonos”, o Francia
impondría un bloqueo naval férreo, seguido de una invasión.
Los
haitianos tuvieron que capitular, y así cargaron con una deuda de 150 millones
de francos-oro de la época debidos a Francia. Un monto que, proyectado a cifras
actuales, equivaldría a imponer unos 23.000 millones de dólares de deuda de
golpe a un país como Bosnia-Herzegovina recién salido de la guerra.
MILICIA FASCISTA
Roto el primer sueño de libertad de los ex
esclavos haitianos, Francia, exhausta, pasó el relevo a EEUU. La ocupación de
Haití por los marines (1915-34) no sólo sirvió para que Washington
deslocalizara, rumbo a la república negra, a soldados procedentes de familias
del Sur, capaces de aplastar la rebelión campesina de Los Cacos. También sirvió
para formar a una milicia auxiliar haitiana fascista.
EEUU desocupó
Haití en 1934, pero dejó a la milicia, bautizada Ejército regular, y siguió
administrando la economía y las aduanas hasta 1945, para cobrarse. Ese cobro
tuvo la forma de una tasa sobre el café exportable que era repercutida a los
campesinos.
Ese Ejército haitiano sirvió para sustentar décadas tras
décadas dictaduras como la de los Duvalier, que desviaron unos 900 millones de
dólares a cuentas numeradas suizas y monegascas, dinero que nadie ha devuelto a
los haitianos.
Actualmente, las remesas de los emigrantes haitianos son,
con mucho, la principal fuente de ingresos del país, seguido por el textil y el
café. Pero no logran equilibrar la balanza de pagos del país.
Consecuencia: 1 885 millones de euros de deuda externa bruta en 2008.
Pese a los anuncios de la “comunidad financiera internacional” en julio pasado,
sólo una pequeña parte de esa deuda ha sido anulada. Buena parte ha sido
“calificada cancelable”, pero no anulada. Los haitianos deben sólo en intereses
unos 430 millones de euros.
Consciente de ello, Christine Lagarde, la
ministra francesa de Economía dijo ayer que ha contactado con el resto de
miembros del Club de París para anular la deuda de Haití.
http://www.granma.cu/espanol/2010/enero/sabado16/FMI-ayuda-haiti.html
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