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La sparizione forzata di Rosendo Radilla: il Messico davanti alla Corte Interamericana dei Diritti Umani
- Subject: La sparizione forzata di Rosendo Radilla: il Messico davanti alla Corte Interamericana dei Diritti Umani
- From: annalisa melandri <annalisamelandri at yahoo.it>
- Date: Tue, 28 Jul 2009 21:26:40 +0000 (GMT)
La sparizione forzata di Rosendo Radilla: il Messico davanti alla Corte Interamericana dei Diritti Umani
di Annalisa Melandri
www.annalisamelandri.it Lo scorso 7 luglio si è tenuta a
San José di Costa Rica presso la Corte Interamericana di Difesa dei
Dirtti Umani un’udienza che per il Messico può essere considerata
storica.
Per la prima volta nella
storia dell’Esercito e del paese, lo Stato messicano si trova al banco
degli imputati per la politica repressiva applicata dal governo e dalle
Forze Armate durante la così detta guerra sucia. Il
caso preso in esame, della sparizione forzata di Rosendo Radilla
Pacheco, avvenuta il 25 agosto del 1974 ad Atoyac de Álvarez, stato del
Guerrero, e del quale quella del 7 luglio è stata soltanto l’udienza
preliminare, è considerato infatti emblematico di centinaia di altri
avvenuti in quegli stessi anni, nel decennio compreso tra la fine degli
anni ’60 e la fine degli anni ’70, quando la sparizione forzata era
una modalità repressiva applicata sistematicamente in Messico con lo
scopo di rompere l’unità del tessuto sociale organizzato e di
annientare fisicamente qualsiasi forma di protesta e di dissidenza.
Di Rosendo Padilla, arrestato ad un
posto di blocco militare mentre viaggiava su un bus insieme a suo
figlio di appena 11 anni (successivamente liberato) ad oggi non se ne
sa più nulla e si teme sia stato gettato in mare insieme ad
altre 122 persone in uno dei tanti “voli della morte” con cui si
facevano sparire anche in Messico, come nel resto dell’America latina,
i corpi degli oppositori politici.
La guerra sucia fu
particolarmete intensa e violenta proprio nello stato del Guerrero,
che divenne in quegli anni uno dei più militarizzati dell’intero
paese. Degli oltre 1200 casi di sparizioni di persone avvenuti allora
in Messico, la metà avvenne in Guerrero e di queste, più di 400 soltanto ad Atoyac de Álvarez.
Verso la fine degli anni’60, in
quella regione, i movimenti di Lucio Cabañas e di Genaro Vázquez ,
passarono alla clandestinità e alla lotta armata dopo anni di lotte
civili pacifiche e organizzate, duramente e violentemente represse nel
sangue, con le quali chiedevano alle autorità l’adozione di misure
politiche e sociali più giuste rispetto alla distribuzione delle terre,
al credito agrario, ai prezzi dei prodotti agricoli in particolar modo
del caffè, e soprattutto contro la violenza strutturale della
società di allora e il potere dei caciques, i signorotti locali.
L’evento detonante fu il massacro
compiuto dalla polizia il 18 maggio 1967 nella piazza centrale di
Atoyac, in occasione di una protesta organizzata da genitori e
insegnanti contro la scuola Juan Alvarez.
“Niente fu più come prima dopo di
allora ad Atoyac”, hanno raccontato in varie occasioni i dodici figli
di Rosendo Radilla durante gli incontri avuti con la Commissione
Messicana di Difesa e Promozione dei Diritti Umani che, insieme all’
Associazione dei Familiari dei Detenuti, Scomparsi e Vittime delle
Violazioni dei Diritti Umani in Messico (AFADEM) ha portato il caso
davanti alla Corte Interamericana dei Diritti Umani.
Si installò nel paese un quartier
generale dell’Esercito, proprio vicino alla casa dei Radilla. I soldati
erano dappertutto e cominciarono a circolare voci, di lì a breve
confermate dai fatti, di arresti di massa, di donne violentate, di
casi di tortura e di persone uccise, di deportazioni di intere comunità
accusate di simpatizzare con la guerriglia.
Rosendo sapeva benissimo di essere in pericolo.
Una delle sorelle maggiori racconta che l’ultima volta che vide suo
padre questi le disse: “ti dico una cosa, la situazione è molto brutta
là, ho paura che non ci vedremo mai più, stanno prendendo persone, le
fanno sparire anche se non hanno fatto niente [...] Se non torno vuol
dire che mi hanno già ammazzato, perchè io non ho niente da nascondere
e non ho fatto nulla. Le uniche cose che so io le canto e sono i miei corridos, e questo so che non è un delitto perchè la Costituzione mi garantisce la libertà d’espressione”.
Scriveva e musicava corridos
Rosendo Radilla, quella particolare forma di canzone
popolare improvvisata, con la quale cantare la quotidianitá del popolo
e questa fu la sua colpa, come gli confermò anche un soldato al
momento del suo arresto, secondo la testimonianza del figlio Rosendo.
Accompagnato
dalla sua chitarra solidarizzava con la guerriglia, con Genaro
Vázquez, suo grande amico e con Lucio Cabañas senza tuttavia aver mai
impugnato un’arma. Era piuttosto un leader contadino stimato e
rispettato per il suo impegno e per la sua dedizione per gli altri da
tutta la comunitá di Atoyac de Álvarez di cui fu sindaco dal 1955 al
1956. Terminó il suo mandato più povero di quando aveva iniziato. La
sua casa era sempre piena di gente: “per una fidanzata rapita o
fuggita, per le spese di un matrimonio, per tirar fuori qualcuno dal
carcere o per pagare una multa, per un malato che non aveva denaro,
per registrare un bambino o per sotterrare un defunto al quale i
familiari non potevamno pagare un funerale”. Questa era la vita di
Rosendo Radilla fino a quel 25 agosto del 1974.
Fu arrestato insieme a suo figlio
di appena 11 anni, ma ottenne e chiese la liberazione del bambino, che
porta il suo stesso nome e che è stato uno dei principali testimoni,
insieme alla sorella Tita Radilla nell’udienza preliminare di San Josè
di Costa Rica.
Il 7 luglio dinanzi alla Corte Interamericana, in difesa del governo messicano era presente il
Ministro degli Interni Fernando Gómez Mont, che accettando “senza
riserve la privazione della libertà e la morte di don Rosendo Radilla”
35 anni fa, e considerandola come “una violazione ai suoi diritti
umani e a quelli della sua famiglia” ha espresso però il rifiuto
ufficiale da parte del governo della competenza della Corte
Interamericana, adducendo il presunto principio secondo il quale i
trattati internazionali non si possono considerare retroattivi (il
Messico ha accettato la competenza della Corte Interamericana soltanto
nel 1998). Il delitto di sparizione forzata tuttavia, essendo
un crimine contro l’umanità è un delitto continuativo e
imprescrittibile, sebbene il Messico favorisca l’impunità per i
militari che si macchiano di tali crimini e sebbene sia carente nel
paese una legislazione che tuteli le vittime e i loro familiari da tali
gravi violazioni dei diritti umani.
E’
stata quindi una debole e vana difesa quella dello Stato messicano. Non
è servito al ministro Gómez Mont aver esposto i progressi compiuti
dall’Esercito nella lotta contro il narcotraffico, non è servito aver
comunicato l’impegno formale da parte delle Forze Armate al rispetto
dei Diritti Umani e delle convenzioni internazionali in materia.
Quello che è stato maggiormente contestato al governo da parte del
Presidente della Corte Interamericana Cecilia Medina Quiroga , ma che
da tempo fanno anche numerose associazioni internazionali, è
l’applicazione della giurisdizione penale militare ai casi di giustizia
ordinaria e al contrario, lasua disattenzione nelle indagini che
riguardano militari implicati in gravi violazioni dei Diritti Umani,
creando uno stato di immunità permanente e favorendo l’uso del
Tribunale Militare come potere politico.
Il ministro Gómez Mont ha parlato
di Messico “riformato” e ha detto che non è possibile “giudicare il
passato con gli occhi del presente”. Queste dichiarazioni
hanno provocato grande indignazione in alcuni presenti all’udienza tra
i quali Cristina Paredes, la figlia di Francisco Paredes scomparso nella città di Morelia il 26 settembre del 2007.
La incontriamo a Città del Messico
appena di ritorno dal Costa Rica. Nutre speranze rispetto al fatto che
l’aver portato il caso di Rosendo Radilla davanti alla Corte
Interamericana possa contribuire ad accendere i riflettori sugli
altri casi di sparizioni forzate avvenute recentemente in Messico,
quali per esempio quello di Lauro Juàrez, attivista scomparso da Oaxaca
il 10 dicembre 2007 e quello dei due militanti dell’Esercito Popolare
Rivoluzionario, Edmundo Reyes Amaya e Gabriel Alberto Cruz Sànchez,
arrestati e poi scomparsi sempre in Oaxaca il 25 maggio 2007, oltre
ovviamente a quello di suo padre.
E’ evidente la mancanza di volontà
politica da parte del governo di rendere giustizia ai familiari di
Rosendo Radilla e soprattutto il tentativo di lasciare nell’impunità
gli autori materiali e intellettuali di tale crimine. Il governo
dovrebbe accettare oltre alla sparizione forzata di Rosendo Radilla
anche la responsabilità del crimine, essendo questo un crimine
continuativo e imprescrittibile. Accettando la morte di Rosendo
Radilla dovrebbe dare notizie certe rispetto al suo arresto, rispetto
alla sua detenzione o alla data della sua morte nel caso il corpo non
fosse più recuperabile in quanto gettato in mare. Dovrebbe rendere
noti nomi e cognomi degli ufficiali e dei militari responsabili in quel
periodo degli operativi dell’Esercito nella zona.
La giustizia passa per la lotta contro l’impunità e come sottolinea Adrián Ramírez, presidente della Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani (LIMEDDH)
“il rifiuto da parte di tutti i vari governi che si sono succeduti in
Messico dall’epoca della sparizione di Rosendo Radilla fino all’attuale
posizione del ministro degli Interni Gómez Mont di rendere noti i nomi
e i cognomi dei militari (dai vertici ai soldati semplici),
responsabili di tale crimine e della sparizione di tanti altri
cittadini messicani e quindi la loro protezione, rileva la sua
complicità in tali crimini di Stato e quindi andrebbe perseguito
penalmente”. “Se qualcosa va stabilito – continua – è la catena di
comando, agli autori materiali della sparizione forzata di Rosendo
Radilla va dato un nome e un cognome”.
Solo questo dimostrerebbe il reale
impegno dello Stato messicano nella lotta contro l’impunità. Tuttavia,
tutto lascia supporre che la battaglia che in tal senso stanno portando
avanti i familiari delle persone scomparse e le associazioni civili di
difesa dei Diritti Umani che li sostengono, sia ancora molto lunga.
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