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La strategia del contenimento politico/militare degli stati imperialisti.
- Subject: La strategia del contenimento politico/militare degli stati imperialisti.
- From: retebolivariana <retebolivariana at yahoo.it>
- Date: Wed, 31 Oct 2007 10:26:12 +0100 (CET)
New Statesman (London)
29 October 2001
Non è una
guerra al terrorismo
Se lo fosse, la SAS* starebbe
attaccando le spiagge
della Florida
John Pilger
*Special Air Service britannico
Se delle persone non venissero uccise proprio ora e non
stessero cominciando a morire di fame, l’attacco americano
all’Afganistan potrebbe sembrare una farsa. Eppure in quello
che stanno facendo c’è una logica. A leggere tra le linee
appare chiaro che non stanno bombardando intensamente le
truppe in prima linea dei talebani. Perché? Perché vogliono
salvaguardare quella che il segretario di stato USA, Colin
Powell, chiama la parte “moderata” dei talebani, che si
unirebbe alla “vasta federazione” di “ricostruttori della
nazione” alla fine della guerra. I talebani moderati si
unirebbero agli “elementi della resistenza” dell’Alleanza del
Nord, i semina-bombe, stupratori e spacciatori di eroina che
furono addestrati dalla SAS e pagati da Washington.
Questa idea corrisponde ad una strategia vecchia come l’imperialismo, nota come “divide et impera”, e consentirà agli
Americani—così sperano—di ristabilire il controllo sulla regione che hanno “perso”. Altri paesi, come il
Pakistan e le
repubbliche ex-sovietiche confinanti, si sta cercando di corromperli per ottenerne la sottomissione. La “guerra al
terrorismo”, con le sue incursioni alla Rambo, è un mero circo ad uso e consumo della gente in patria e dei media.
Questa idea mi riporta indietro agli anni ’80 quando Margaret Thatcher annunciava che esistevano Khmer Rossi
“ragionevoli”. L’obiettivo era appoggiare una coalizione guidata dai Khmer Rossi, in esilio, che Washington voleva guidasse
la Cambogia in modo da tenerne fuori il Vietnam, che l’aveva da poco umiliato, e l’Unione Sovietica. La SAS fu spedita ad
addestrare gli assassini di Pol Pot in Tailandia, insegnando loro come far saltare la gente sulle mine nascoste sottosuolo in
maniera più efficiente. Essi fecero tali progressi insieme che quando le Nazioni Unite alla fine rivolsero la loro attenzione
altrove, i Khmer Rossi chiesero ai loro vecchi compagni britannici di unirsi a loro nelle zone che controllavano. La stessa
cosa potrebbe succedere in Afganistan quando l’ONU si presentasse come il mezzo per agevolare la “costruzione” da parte
americana di un regime
obbediente.
Tra i cattedratici delle relazioni internazionali che stabiliscono il gergo e l’apologia della politica estera anglo-americana, il
“divide et impera” è noto anche come “contenimento”.
L’obiettivo è distruggere la capacità delle nazioni di mettere in
discussione il dominio USA, consentendo allo stesso tempo ai loro regimi di conservare l’ordine interno. La natura del
regime non è rilevante.
In questo modo, popoli in tutto il mondo sono stati divisi, dominati e “contenuti”, spesso con
mezzi
violenti: la distruzione della Yugoslavia è un esempio recente, i territori amministrati dalle autorità palestinesi un
altro.
Raramente si riportano le ragioni reali dietro la politica delle grandi potenze e si preferisce una commedia della moralità.
Quando George Bush senior attaccò Panama nel 1990, le sue intenzioni dichiarate erano “snidare” il generale Noriega, “un
corriere di droghe e pedofilo”, ma le vere ragioni non erano riportate nei notiziari. Il canale di Panama era sul punto di
tornare sotto il controllo del
governo panamense e gli USA volevano un delinquente meno arrogante e più compiacente di Noriega che badasse ai loro interessi una volta che il canale non fosse stato più ufficialmente loro.
Allo stesso modo, la ragione reale per l’attacco dell’Iraq nel 1991 non aveva molto a che fare con la difesa
dell’inviolabilità territoriale degli sceicchi del Kuwait e tutto a che vedere con l’obiettivo di “azzoppare”, o contenere, il
moderno Iraq, sempre più potente. Gli Americani non avevano intenzione di consentire a Saddam Hussein, una volta
“amico” e che aveva nutrito idee di un suo dominio imperiale, di mettersi tra i piedi ed impedire i loro progetti di un
protettorato del petrolio dalla Turchia fino al Caucaso.
Indubbiamente, una ragione primaria per
l’attacco all’Afganistan è l’installazione di un regime che sorveglierà un oleodotto
di proprietà americana che porti petrolio e metano dal bacino caspico, la maggior riserva non utilizzata di combustibili
fossili sulla terra ed abbastanza, secondo alcune stime, per soddisfare il vorace fabbisogno energetico degli USA per trenta
anni. Un simile oleodotto può attraversare la Russia, l’Iran o l’Afganistan e solo in Afganistan gli Americani possono
controllarlo.
Inoltre, il già distrutto Afganistan è un obiettivo facile, un posto ideale per una “guerra dimostrativa”—una manifestazione
di ciò che l’America è preparata a fare “laddove richiesto”, come l’ambasciatore USA all’ONU ha recentemente dichiarato. Il
razzismo è implicito. Chi si preoccupa dei contadini afgani? Non ci sarà un concerto di Paul McCartney per loro.
In più, si possono irrorare le persone con delle piccole bombe che fanno saltare la testa ai bambini, e a noi in occidente ce ne è risparmiata, o negata, l’evidenza. È chiaro che la maggior parte dei media sta cercando di non divulgare immagini di orrore, come si fece nella carneficina del Golfo. Con poche eccezioni degne di rispetto, ciò che si riporta rispecchia, come sempre, l’ esatto contrario della verità di Claud Cockburn: “non credere a niente fino a che non sia negato ufficialmente”.
I giornali della domenica riportano ben poco al di là
delle favole del Pentagono e del Ministero della Difesa. Un compito
molto importante per i media è difendere la cause dell’invasione di un paese, come già nel caso del Golfo e della
Yugoslavia. Sostenere che l’Iraq sia fonte della minaccia carbonchio, e prossimo bersaglio, un altro. Marc Urban,
corrispondente diplomatico del Newsnight, ha riferito recentemente a Jeremy Paxman che gli Americani stavano studiando
“informazioni riservate” secondo cui Saddam Hussein era sul punto di “lanciare un missile”. Prove? Urban non disse nulla,
Paxman non lo incalzò.
Non è una “guerra contro il terrorismo”. Se lo fosse, la SAS starebbe facendo incursioni sulle spiagge della Florida, dove si
trovano rifugiati più terroristi, tiranni e torturatori che in ogni altro luogo del mondo. Se l’acuto Blair
fosse davvero ostile al
terrorismo, farebbe ogni cosa in suo potere per mettere in pratica politiche in grado di liberare le persone dalla minaccia
del terrorismo allo stesso modo nel suo stesso paese e in quelli del terzo mondo, invece di dargli amplificazione, come lui
e Bush stanno facendo. Ma questi sono uomini violenti, indipendentemente dalla distanza che li separa dalle carneficine che avviano. La reazione entusiastica di Blair al bombardamento con le bombe a grappolo dei civili in Iraq e Serbia e
all’uccisione di decine di migliaia di bambini in Iraq è documentata. La violenza della famiglia Bush, dal Nicaragua a
Panama, dal Golfo ai bracci della morte del Texas, è materia d’archivio. La loro guerra al terrorismo non è più che la
continuazione della guerra dei potenti contro gli impotenti, con nuove scuse, nuovi imperativi
nascosti, nuove bugie.
Il problema per i popoli in occidente, che non vedono la violenza di Bush e Blair e dei loro predecessori, è che essi non
possono apprezzare il rapporto azione/reazione. “Noi abbiamo seminato il vento; questa è la tempesta”, scrisse Jean-Paul
Sartre nella prefazione al libro di Frantz Fanon “I miserabili della terra”, “e tutto ciò che è eccitato in essi è una furia
vulcanica la cui forza è uguale a quella della pressione su di essi [e] la stessa violenza è rilanciata indietro contro di noi
come la nostra immagine riflessa si muove verso di noi quando andiamo incontro ad uno specchio”.
Il grande storico dei popoli Howard Zinn, professore alla Boston University e ex pilota di un caccia nella seconda guerra
mondiale, ci aiuta a capire tutto ciò in suo nuovo libro, “Howard Zinn sulla guerra”.
L’attacco alle Twin Towers di New York,
scrive, ha una relazione morale agli attacchi americani e israeliani sul Medio Oriente arabo. Se le azioni dei nemici ufficiali
dell’occidente ricevono enorme attenzione in quanto atrocità terroristiche, mentre le atrocità terroristiche degli USA e dei
loro alleati e clienti soffrono la mancanza di attenzione a livello politico e dei media, “è impossibile emettere un giudizio
morale equilibrato” per trovare una soluzione al ciclo di vendetta e rappresaglia e per affrontare le questioni sottostanti di
ingiustizia ed oppressione economica.
Solo Saddam Hussein è messo fuori legge, non
Bush senior.
La propaganda è il nemico dentro. “In quantità e a ripetizione”, un fuoco di fila di notizie filtrate e di parte è diffuso da
media
addomesticati, notizie isolate dal contesto politico (come il curriculum sanguinoso della superpotenza in tutto il
mondo). In assenza di prospettive alternative, non sorprende che la “reazione moderata” della gente sia il “dobbiamo fare
qualcosa” e che ciò porti alla veloce conclusione che “noi” dobbiamo bombardarli. E quando tutto ciò sarà finito, e i
cadaveri messi l’uno sull’altro, “solo Milosevic sta alla sbarra, non Clinton.
Solo bin Laden ha una taglia di 50 milioni di dollari sulla testa, non Bush junior ed i suoi predecessori”. “È”, dice Zinnn, “un tributo all’umanità della gente ordinaria che atti orribili debbano essere camuffati [con parole] come sicurezza, pace, libertà, democrazia, ‘interesse nazionale’.
Una delle bugie spesso ripetute da Bush e Blair è: “l’opinione mondiale è con noi”. No, non lo è. Su 30 paesi presi in
esame da Gallup International, solo in Israele e negli USA una maggioranza di persone concorda sul fatto che gli attacchi
militari siano preferibili al ricercare la giustizia in maniera non violenta attraverso la legge internazionale, per quando
tempo possa richiedere. Questa è la buona notizia.
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