Il presidente boliviano incontra i rappresentanti di alcuni movimenti sociali italiani. Alla ricerca di un terreno comune per relazioni più giuste tra nord e sud del mondo.
L’edificio occupato di via De Lollis, vicino al Verano, non aveva mai visto
tanto trambusto, forse. E sicuramente non aveva mai ricevuto la visita di un
presidente. Evo Morales arriva in ritardo, dopo il colloquio con il presidente
del consiglio Romano Prodi. Ad attenderlo, una ventina di persone, per un
incontro/confronto tra la situazione boliviana e quella italiana, dal punto di
vista di alcuni movimenti e organizzazioni sociali come Action, il Forum dei
movimenti per l’acqua, la Fiom, Attac, sindacati di base [Cub], centri sociali,
l’associazione Asud, tra gli altri.
Morales ascolta, con pazienza e
attenzione, la descrizione delle vertenze territoriali e delle lotte locali, da
quella contro gli inceneritori in Campania, alla Val di Susa, da Vicenza alle
proteste degli studenti, dei lavoratori precari, dei senza casa.
Con il
procedere degli interventi, si assiste a una sorta di paradosso: qualcuno arriva
a chiedere a Evo farsi portavoce delle istanze dei movimenti italiani con Prodi.
Alle spalle del presidente boliviano, un alto funzionario militare, si guarda
attorno un po’ spaesato e suda sotto la pesante giacca bianca con alamari e
nastrini. I «benvenuto presidente» sono sicuramente più calorosi di quelli
ricevuti a Palazzo Chigi, e l’Italia che emerge dagli interventi è di certo più
familiare, per Morales, che nel suo discorso ricorda con piacere gli anni da
sindacalista, tra i braccianti del Chaco e poi tra i cocaleros del Chapare.
«Credevo che dopo essere diventato presidente non sarei stato più invitato a
riunioni come questa – dice Morales all’inizio del suo discorso – invece mi fa
molto piacere conoscere la realtà dei movimenti italiani». Il presidente
boliviano riesce a cogliere, al di là dei dettagli tutti italiani [e a volte un
po’ autoreferenziali] degli interventi iniziali, quali sono i temi sui quali è
possibile costruire «una lotta comune, che è molto più della solidarietà».
Acqua, energia, beni comuni: Morales dice che il suo governo, pur tra molte
difficoltà, intende trasferire l’esperienza dei movimenti di lotta in difesa
dell’acqua di Cochabamba sul terreno della difesa di altri beni comuni. «Non
solo l’acqua – dice – ma anche le risorse energetiche e tutte le risorse
naturali devono essere dichiarati diritto umano e dunque indisponibile per la
mercificazione».
Per questo, Morales ha chiesto ai movimenti italiani un
aiuto per la campagna lanciata dal suo governo contro il Ciadi, l’organo di
arbitrato della Banca mondiale che interviene quando ci sono dispute sugli
investimenti esteri: «Danno sempre ragione alle multinazionali, mai ai governi,
a meno che non sia quello degli Stati uniti».
Morales non ha nascosto le difficoltà del suo governo, ha accusato le
oligarchie che controllano l’economia boliviana «di voler impedire il
cambiamento del paese». Di più, secondo il presidente, dietro il rafforzarsi del
fronte conservatore di destra, «ci sono interessi oscuri degli Stati uniti».
Morales accusa la Casa bianca di usare UsAid, il braccio della cooperazione
governativa, per creare dei «contrappesi» al governo nazionale, tra i settori
sociali, non solo legati all’oligarchia, più disponibili ad accettare
l’influenza Usa sulla Bolivia.
«Abbiamo avuto forse troppa fretta
nell’avviare il processo dell’assemblea costituente – spiega Morales – Adesso
procede a rilento e rimane bloccata dall’ostinazione con cui le elite vogliono
rimanere attaccate ai loro privilegi. Ma il processo va avanti». Così come vanno
avanti i programmi sociali del governo: alcuni mesi fa è stato istituito un
fondo per i bambini, e ora Morales ha annunciato «l’istituzione di un programma
di reddito garantito per tutti gli anziani». «In Bolivia – ha spiegato – l’80
per cento della popolazione non va in pensione. Lavora fino alla morte.
Soprattutto nelle campagne, ma anche nelle città, la maggior parte delle persone
non ha alcuna pensione». Il governo, «se riusciamo a trovare i soldi», ha
intenzione di creare una pensione minima, dignitosa, per tutti.
«Lavoriamo
per l’estensione dei diritti – ha detto ancora Morales – compatibilmente con le
nostre risorse, ma lavoriamo anche per cercare di creare un meccanismo di
proposta e risposta che tenga in contatto il governo, composito quanto a
provenienza dei ministri, con i movimenti sociali del paese». Si tratta, in
sostanza, di cercare di riprodurre in una struttura necessariamente verticistica
e gerarchica come quella di un governo, i meccanismi di democrazia orizzontale
dei movimenti sociali, contadini, indigeni dai quali proviene il presidente e da
cui sono stati scelti molti dei ministri del suo governo. La sfida è tutt’altro
che facile, e la scommessa dell’assemblea costituente, che dovrebbe riscrivere
l’architettura istituzionale della Bolivia, lo dimostra ampiamente. «Mi costa
molto essere presidente – dice Morales, non senza una certa emozione – mi costa
molto perché mi sento parte di voi, dei movimenti. E per questo posso
assicurarvi che ci saranno sicuramente degli errori, in quello che abbiamo fatto
e in quello che faremo, ma non ci sarà mai il tradimento dei nostri principi».
L’applauso arriva quasi prima che finisca la frase.
Prima di salutare e
andare all’incontro pubblico all’aula magna della Sapienza, Morales non
risparmia una frecciata: «Non voglio fare da mediatore tra voi e Prodi», dice.
Un’invito diretto a «sbrigarsela da soli», cioè a non lasciare che tutti i temi
elencati siano solo un quaderno di
doglianze.