Gli squallidi articoli di Liberazione su Cuba (30-5-2007)



Mie/i care/i corrispondenti,

con un profondo senso di disgusto, ma nella consapevolezza che occorre
talvolta mettere le mani nel sudiciume, vi accludo gli squallidi articoli
di Liberazione su Cuba (30-5-2007) di tale " A.N.", al secolo, pare, Angela
Nocioni. Questo è davvero uno di quei di quei casi dove bisogna leggere per
credere...

A me sembra che chiunque abbia non già un senso di adesione o di simpatia
per il comunismo o per la causa dei lavoratori, ma semplicemente non sia
stato del tutto annebbiato dalla propaganda della CIA (o dai suoi soldi)
dovrebbe protestare, e con forza, per questi pezzi di infamia e disumanità.

Potete scrivere sia a Liberazione, che al suo direttore Piero Sansonetti,
che al PRC e al suo segretario Francesco Giordano, nonché al lider maximo
Fausto Bertinotti, oggi Presidente della Camera, per dirgli quello che
pensate. Non siate reticenti.

Grazie,
Cordialmente,

Luciano Dondero

PS: mi scuso con coloro coi quali ci stiamo scambiando questo materiale a
ripetizione attraverso varie liste pubbliche e private

+++
[ dal sito ufficiale dell'organo del PRC, Liberazione:
<http://www.liberazione.it/a_giornale_index.php?DataPubb=30/05/2007>http://www.liberazione.it/a_giornale_index.php?DataPubb=30/05/2007
]
  

La via più semplice per andarsene dall'isola degli «uomini nuovi», a parte
il matrimonio, è ancora la carta d'invito all'estero. Ma il governo ha
cambiato le norme in senso restrittivo  

Cuba, si salvi chi può...
I giovani sognano la fuga  
Angela Nocioni
L'Avana nostra inviata
Fino a due anni fa erano in sei, poi sono arrivati gli zii dall'Oriente.
«Abbiamo costruito un soppalco e li abbiamo messi lì, cosa dovevamo fare?»,
racconta Manolo stringendo le spalle.
Marco, cooperante di Grosseto, nel quartiere ha progetti di restauro
finanziati dall'Arci, l'unico grande accordo di cooperazione sopravvissuto
al gelo diplomatico con la Ue con cui Cuba reagì alle proteste europee per
la fucilazione di tre cittadini cubani del 2003. Spiega: «La ragione per
cui il Centro Habana rischia di crollare ha molto a che fare con questa
storia dei soppalchi. C'è un grande problema abitativo in città, gli
edifici coloniali del centro hanno soffitti di sei metri ma sono
fatiscenti. Nessuno li ripara. Non ci sono i soldi e manca il materiale.
Gli inquilini costruiscono un soppalco nel mezzo, il "barabacoa". Lo
caricano di gente e vanno avanti così finché non viene giù tutto».
La ricerca di un'organizzazione internazionale registra nel Centro Habana
una media di 1,4 crolli quotidiani. Crolli interni, non vuol dire che viene
giù un palazzo al giorno, ma se li metti insieme all'acqua da portare con
le autobotti, al cibo che non basta e a tutti i problemi relativi al
sovraffollamento, il paradiso tropicale si tinge di toni foschi.
Eccezion fatta per il perfetto restauro conservativo di buona parte
dell'Avana vecchia, dichiarata dall'Unesco patrimonio culturale
dell'umanità e affidata da Castro al fedelissimo Eusebio Leal, nel centro
della capitale il 15% degli edifici è destinato al crollo. «Bisogna
aggiungere un 35% di palazzi in equilibrio miracoloso. Prima o poi crollano
pure quelli» prevede Marco, ottimo conoscitore delle strade senza ombra che
si spalancano come la bocca di una grotta oltre il muretto del lungomare.
Su quel muro eternamente bagnato dalle onde Manolo è cresciuto. Ha
trent'anni, da dieci pensa di andarsene. Ma non vuole imbarcarsi verso la
Florida. «Voglio uno di quei bei passaporti rosso scuro che avete voi -
dice senza sorridere - quella scritta d'oro "Unione europea" con cui ti
muovi tranquillo per il mondo».
Il passaporto a Cuba non è un diritto, non lo è mai stato. Per ottenerlo
devi avere un motivo considerato plausibile dal governo. Se sei un
«soggetto con tendenze asociali» te lo scordi. Per essere considerato tale
basta rifiutarsi di lavorare per lo Stato (un insegnante guadagna 500
pesos, 20 euro, il costo di due pacchi di assorbenti igienici e un succo di
frutta). Se poi, alle tendenze asociali si accompagnano comportamenti
controrivoluzionari, non se ne parla nemmeno. I comportamenti
controrivoluzionari possono andare dalla frequentazione con i figli di un
diplomatico straniero (sospetti di intelligenza col nemico) alla mancanza
di rispetto al lìder maximo (grandissime complicazioni).
La separatezza tra cubani e stranieri, con qualche tolleranza riservata a
periodi alterni al turismo sessuale, è un valore della rivoluzione.
Impossibile iscrivere un bambino straniero, figlio di uno straniero
residente, a un asilo cubano. Deve andare alla scuola internazionale
insieme ai figli dei non cubani.
Quel passaporto che non si può avere è l'oggetto del desiderio per chiunque
abbia meno di quarant'anni. I giovani se ne vogliono andare quasi tutti:
quelli che lo dicono (pochi), quelli che lo ammettono a mezza bocca e
quelli che alzano gli occhi al cielo e poi, rapidissimi, colgono la prima
occasione per prendere il volo. Negli intervalli delle lezioni
all'università dell'Avana, la Gloriosa collina, non si parla d'altro.
«E' il principale problema di questi tempi incerti - racconta uno scrittore
cubano di successo, uno di quelli che vuole vivere all'Avana, ogni volta
che l'invitano all'estero va e ogni volta torna - è la grande crisi di
valori della rivoluzione, i giovani colti, laureati, sono disposti a tutto
pur di andarsene. Non c'è modo di fermarli, qui non vedono possibilità di
futuro».
Fino agli anni Novanta era sostanzialmente impossibile uscire dall'isola.
Chi fuggiva perdeva tutto. Si poteva solo con un permesso di studio
all'estero, quasi sempre nei Paesi del blocco sovietico. O con
un'autorizzazione speciale per ragioni professionali, riservata agli
obbedienti del partito (il partito comunista, l'unico permesso sull'isola).
Poi con la grave crisi economica seguita al crollo di Mosca e la
conseguente apertura al turismo sono spuntate le carte di invito.
La carta d'invito è da anni la principale via per andarsene. Ci si fa
invitare da uno straniero che si prende la briga di farsi responsabile
dell'invitato e di pagargli biglietto, assicurazione, una fideiussione
bancaria e balzelli vari. Si può restare fino a un massimo di undici mesi.
La norma è stata cambiata a fine aprile. In senso restrittivo.
La risoluzione 87/2007 del ministero degli esteri prevede che la lettera
d'invito si formalizzi nella sede consolare cubana all'estero. «I tempi
così diventano più lunghi e c'è la possibilità che il console rifiuti
l'autorizzazione» si lamenta un diplomatico straniero. Un impiegato di un
consolato del Nord Europa spiega: «I cubani che stanno organizzandosi per
andar via sono preoccupati perché prima era possibile presentare la lettera
d'invito alla Consultoria juridico-internacional dell'Avana. La
legalizzavano qui, con tutte le scappatoie possibili in una città dove i
dollari fanno gola a molti. Ora invece tutto deve avvenire davanti al
console cubano del Paese che invita. Così Cuba evita le lettere false,
obbliga chi invita a prendersi un impegno formale davanti all'autorità
consolare e si riserva l'ultima parola». Le ambasciate dei Paesi del Nord
Europa sono ora molto più frequentate che negli anni '90 dai cubani, che
aggirano così l'inasprimento della prassi spagnola per i visti. Entrano da
un aeroporto del Nord Europa e poi si trasferiscono a Madrid.
In ogni caso per uscire ci si deve muovere in difficile equilibrio tra due
diverse burocrazie per avere due diversi documenti: il visto del Paese
straniero per entrare e il permesso di Cuba per uscire. Nessuno dei due
vale senza l'altro. Se uno dei due scade è come se fosse scaduto anche
l'altro. E ricomincia la peregrinazione per uffici, a partire dal temibile
Dipartimento per l'Immigrazione la cui principale utenza è costituita da
aspiranti emigranti. La strada più sicura per andarsene rimane il
matrimonio. I tempi sono lunghi, il percorso costoso, ma l'esito sicuro.
Nell'ultimo anno ci sono stati mille matrimoni tra cittadini italiani e
cubani.
I cubani all'estero sono una fonte di valuta per il governo dell'isola. Una
volta fuori chiedere qualsiasi documento all'Avana diventa un'impresa. Per
avere un certificato di nascita o di matrimonio bisogna pagare alla
rappresentanza consolare cubana 20 dollari all'atto della richiesta, 80
quando arriva il documento, 60 per la legalizzazione in ambasciata. Per
rinnovare il passaporto: 200 dollari. Il permesso di viaggio all'estero è
prorogabile per dieci mesi, oltre al mese concesso all'inizio, con un
pagamento di 40 dollari ogni trenta giorni.
Per le carte d'invito, i matrimoni e il cambiamento di categoria dei
permessi (dal Pvt, il permesso di viaggio temporaneo, all'irraggiungibile
Pre, permesso di residenza all'estero) diventa una jungla di cifre.
Complicato, ma sempre meglio che imbarcarsi su un motoscafo diretto a
Miami. Costo: fino a diecimila dollari a testa. Se si è intercettati in
mare dalle autorità cubane o dalla guardia costiera statunitense (che in
questa materia collaborano) si è rispediti indietro. Se si tocca territorio
americano, invece, si hanno ottime possibilità di essere accolti a braccia
aperte. E' la legge del "pié mojado" e del "pié seco", (del piede bagnato e
dell'asciutto) il compromesso raggiunto nel braccio di ferro tra l'Avana,
che brandisce i suoi potenziali profughi come un'arma diplomatica e
Washington che non vuole le coste della Florida assaltate dai "balseros".
Secondo dati diffusi la settimana scorsa dall' Associated press che ha
incrociato dichiarazioni della guardia costiera di Miami con documenti sui
soccorsi in mare, dall'ottobre del 2002 all'ottobre del 2006 si è duplicato
il numero dei cubani che hanno tentato di raggiungere la Florida e Puerto
Rico. L'anno scorso la cifra è stata di 7mila e 27 persone. Più della metà
è riuscita nell'intento.
Introvabili i dati sui medici cubani che si sono rifiutati di tornare
indietro alla fine delle missioni internazionaliste. Tanti. Ne sa qualcosa
il Venezuela che si è ritrovato a dover accogliere migliaia di medici della
missione "Barrio adentro", l'accordo tra Hugo Chavez e Fidel Castro per la
sanità gratuita per tutti. Molti medici hanno compiuto il lavoro, ma poi a
casa non sono voluti tornare.
La versione ufficiale racconta che da Cuba nessuno se ne vuole andare, a
parte gli asociali. E' una di quelle verità che non si discutono. E' così e
basta.
Il silenzio del cimitero Colon, però, il monumentale cimitero dell'Avana,
racconta un'altra storia. Nei suoi viali si schiude la realtà parallela che
sfugge alle statistiche. Oltre il grande cancello d'ingresso, all'incrocio
tra la strada 12 e la calle Zapata, si apre una strada bianca che va dritta
fino alla chiesa. Quasi in fondo, a sinistra, in una stradina laterale, c'è
una tomba coperta di fiori. E' la tomba più visitata dell'Avana: lì giace
Amelia, morta giovanissima nel 1901. Il poliziotto di guardia dice che fu
sepolta insieme al bimbo, appena nato. Il corpo del figlio, creduto morto,
fu appoggiato ai piedi della madre. Quando riaprirono la tomba per
l'esumazione le trovarono il bimbo in braccio. «Si erano sbagliati, capito?
- dice lui accorato asciugandosi il sudore col fazzoletto - il bambino ha
risalito il corpo della madre e le si è messo in braccio». La leggenda
narra invece la storia di una giovane donna incinta morta in circostanze
tragiche.
Fatto sta che Amelia fa miracoli. Bisogna percorrere il perimetro della
tomba in senso antiorario, chiederle la grazia offrendo fiori freschi e
allontanarsi fissando lo sguardo della statua col bimbo in braccio.
C'è la fila. Quasi tutte donne.
Biglietti a matita, un tappeto di gladioli e la verità semplice degli ex
voto incisa sulla pietra: «Grazie per aver concesso il viaggio a mia
figlia». Sotto le due fioriere più belle, ricoperte di rose rosse e
orchidee, c'è scritto: «Amelia, vergine miracolosa, grazie per il visto».

30/05/2007  


L'irresistibile ascesa di Giustino Di Celmo, da padre della vittima d'una
bomba a star del regime  

La propaganda ai tempi di Raul, la Pizza Fabio e i Cinque Eroi  

L'Avana nostra inviata
«La verità, una volta risvegliata, non torna a dormire» sta scritto sul
bianco accecante di un monumento a José Martì, nel quartiere Vedado. Sarà
per questo che al chiosco all'angolo vendono solo Granma e Juventud rebelde
, il mondo secondo Castro. Un cittadino habanero vuol sapere cosa è
successo dopo la sparatoria all'aeroporto di qualche giorno fa, come è
andata a finire con i due soldatini presi mentre tentavano di dirottare un
aereo per fuggire dall'isola - hanno ucciso, rischiano la pena di morte - e
in prima pagina su 'Granma trova una foto di Raul che riceve il ministro
della Difesa cinese e un'illuminante "lettera di José Martì alla madre".
Per carità. E' il giorno della mamma. Festa grande a Cuba. Ma le ipotesi
sulla fuga dei soldati di leva dalla caserma circolano solo sul porta a
porta di "Radio Bemba", il passaparola, il pettegolezzo del vicinato,
l'unico mezzo di comunicazione dell'Avana che racconta i brandelli, assai
fantasiosi, di ciò che la verità di Stato nasconde. La stampa estera è
introvabile.
Neanche a Internet ci si può affidare. Solo gli stranieri possono. I cubani
no. Hanno una rete loro, Intranet. Una rete interna con un servizio di
messaggeria e un accesso limitato ai siti. Si entra in Cubasì, si legge
Granma online , si trova Telesur . Il Miami herald non si apre. La Bbc
nemmeno.
Internet vera esiste in alcuni centri postali e negli alberghi per turisti,
dove i cubani non possono entrare (qualche impiegato, dietro lauta mancia,
chiude un occhio). Tariffe fino a dodici dollari l'ora. Per averla a casa
bisogna avere un permesso speciale, per ragioni di lavoro. Costa comunque
molto: 80 dollari, 60 ore mensili. E il collegamento è lentissimo. Chi può
risolve con gli allacci in nero, installati per lo più dagli stessi operai
Entel (proprietà Telecom) che durante il giorno si occupano delle
connessioni legali e nel fuoriorario notturno del resto, ricompensati in
dollari. Se la polizia si accorge sono dolori.
L'informazione è lacunosa, la comunicazione complicata, la propaganda
invece gode di ottima salute. E di lauti finanziamenti. Prendiamo i cinque
eroi. Li chiamano così. Sono Antonio Guerrero, Fernando Gonzales, Gerardo
Hernandez, Ramon Labanino e René Gonzales, sorpresi in territorio
statunitense mentre lavoravano per i servizi segreti cubani e condannati a
lunghe detenzioni con processi contro cui si è pronunciata la Corte di
Atlanta.
Come ai tempi di Elian, il bambino cubano conteso tra Cuba e i parenti di
Miami, rispedito all'Avana e trasformato nella mascotte del regime, i
cinque eroi sono diventati pane quotidiano per la propaganda castrista.
Fanno capolino alle fermate degli autobus, alle stazioni della radio,
all'entrata della gelateria. Gli dedicano letture, serate, concerti. «Che
sei stato a vedere l'atto per i cinque eroi?», «Bisogna andare al presidio
per i cinque eroi» si ascolta all'uscita di una scuola secondaria.
I cinque eroi di mestiere facevano le spie. Da quando sono famosi, però,
sono scrittori, poeti, caricaturisti. A Gerardo Hernandez gli pubblicano
libri di vignette. E' uscito anche un libro di corrispondenze. "El dulce
abismo" si chiama, "il dolce abisso". «Cartas de amor y de esperanza de
cinco familias cubanas».
All'Uneac, l'unione degli artisti e degli scrittori cubani, c'è chi mastica
amaro. Uno degli iscritti più anziani si rigira il libro tra le mani: «Non
abbiamo carta. Per pubblicare racconti bisogna raccomandarsi a tutti i
santi e se va bene ti fanno duemila copie e un'unica edizione. Quando è
finita, chiuso. Nessuna ristampa. Ai cinque eroi invece li pubblicano come
fossero Garcia Marquez ».
Così come ai tempi del piccolo Elian, dopo l'emozione iniziale, c'era chi
avrebbe volentieri fatto a meno di vedere quel bambino portato a spasso per
tutta l'isola sulle ginocchia di Fidel, la solidarietà con i cinque eroi va
scemando, sopraffatta dall'onnipresenza dei cinque faccioni eternamente
sorridenti.
«Le mogli hanno vinto alla lotteria - commentano acidi al mercato
agropecuario - viaggiano, scrivono, vanno in tv. C'è da sperare per loro
che non li rilascino mai. Obiettivamente, ma chi l'ha mai vista la moglie
di un agente che fa la vita di quelle lì?».
Nella propaganda ai tempi di Raul il posto d'onore tocca a un italiano.
Giustino Di Celmo. Padre di Fabio, ucciso da un attentato in un hotel di
lusso organizzato da Posada Carriles, il Bin Laden dei Carabi scarcerato
con una decisione scandalosa da una giudice statunitense e al momento
libero a Miami.
Di Celmo, addolorato, è andato a vivere all'Avana. Il regime ne ha fatto un
testimonial. Se lo portano dappertutto. In tv, ai comizi, anche sul palco
del primo maggio. Gli hanno dato una laurea honoris causa. Lui, grato,
parla di Cuba come se fosse il migliore dei paradisi possibili. Si è anche
candidato alle ultime elezioni politiche in Italia. Nella lista dei
Comunisti italiani per la Camera dei deputati. Di mestiere fa
l'imprenditore.
A Cuba è vietato aprire ristoranti privati. Ma Di Celmo ha una pizzeria nel
miglior quartiere dell'Avana. Si chiama Fabio, come il figlio morto e come
la pizza della casa, con cipolla e olive. Pizza Fabio, quattro dollari e
sessantacinque.
A.N.