LATINOAMERICA - I padroni delle bollicine



I Padroni delle Bollicine

di Maurizio Chierici




Vent’anni fa Emanuele Pirella - giocoliere dell’ironia che ha trasformato
la pubblicità italiana - doveva lanciare un’acqua minerale per bambini.

Non era conveniente sedurre le madri spargendo dubbi sulla trasparenza
della minerale che bevevano gli adulti, anche perchè nella bottiglia dei
poppanti c’era la stessa acqua offerta al consumo familiare in ogni
supermercato.

Cambiava solo l’etichetta; fantasia sublime del marketing. Vedrai che
funziona, ma come farla funzionare ? Alla fine Pirella ha avuto l’idea:
raddoppiate il prezzo. Chi compra la crederà un portento. Vendite alle
stelle. Aveva capito chi siamo. Siamo i più tenaci consumatori di acqua
minerale nel mondo.

Ogni italiano ne beve 218 litri l’anno, quasi il triplo degli austriaci.
Meraviglia il secondo posto della Svizzera dove l’acqua arriva al rubinetto
dalle montagne che abbracciano le vallate: 106 litri a persona, non importa
se parla italiano, francese o tedesco.

Bisogna dire che la vecchia l’Europa adora l’acqua in bottiglia con o senza
bollicine: 38 miliardi di litri, un terzo del consumo mondiale anche se la
popolazione è appena il 6 per cento della gente sparsa nei continenti.
Privilegiati e un po’ sfiziosi, ma non proprio accorti. Ci lasciamo
trascinare dalla pubblicità che rinfresca giornali e televisori.
Nel 2004 gli investimenti su pagine e spot sono cresciuti del 10 per cento:
379 milioni di euro.

Corpo a corpo senza il tempo di tirare il fiato. Ed ecco che pur avendo a
disposizione in quasi tutte le città l’acqua buona degli acquedotti,
anziché interessarsi alla revisione delle tubature, metodi di depurazione e
filtraggio, insomma, dedicare ad un bene prezioso la stessa attenzione
riservata ai marciapiedi rotti, gli italiani si lasciano catturare dalla
retorica: acqua in bottiglia sinonimo di purezza, bontà garantita
dall’etichetta, fa bene alla salute perché raccolta alla fonte. Si vuota il
bicchiere con l’illusione di passeggiare nei giardini delle terme anche se
l’acqua è finita in bottiglia decine di chilometri lontano da dove sgorga.
Camion e autostrade.

Non è facile spiegare che l’acqua del rubinetto è potabile e controllata
con la pignoleria che la legge non impone alle minerali. Voci flebili
sovrastate dal tam tam pubblicitario.

Quando gli addetti ai lavori dell’acqua pubblica protestano per la
pubblicità da loro ritenuta ingannevole e che, indirettamente, invita a
diffidare dal liquido che vien fuori dal rubinetto, i colossi minerali
fanno causa. Guai minacciare il loro mercato.

Può il funzionario dell’ente locale o il dignitario di stato sfidare i
signori delle bollicine ? Se per caso la spunta - dopo carte bollate, spese
d’avvocati e gironi di tribunali - appena due righe vaganti fra le pagine
dell’enfasi pubblicitaria: questo il destino dei kamikaze dell’acqua
pubblica. Qualcuno insiste, i volontari danno una mano, ma la lotta è
dispari. 

Appena un giornalista si interroga sulle acque minerali, il suo giornale
rischia di perdere le inserzioni. Se è una Tv, gli spot. Meglio non
parlarne.

Le pressioni arrivano fino al ministero della Sanità come quando ho mandato
un fax al ministro e lo stesso giorno mi chiama Mineracqua, associazione
che riunisce gli imbottigliatori . Nel 2003 ( governo Berlusconi ), Luca
Martinelli giornalista di  Altra Economia- l’informazione per agire, manda
un fax all’ufficio stampa del professor Sirchia: chiede un’intervista,
vorrebbe dare un’occhiata alle analisi delle dieci marche più vendute,
Mineracqua si fa viva dopo poche ore. Ammette d’essere stata informata dal
ministro e spedisce una lettera al direttore del giornale: diffida di
insistere con l’inchiesta.

A volte la difesa delle minerali scivola nell’avanspettacolo. < Che acqua
minerale e acqua del rubinetto siano concorrenti lo ha stabilito
l’Antitrust. E dall’Antitrust esce una sentenza che condanna l’Acea (
gestisce l’acquedotto di Roma ) per aver pubblicizzato la sua acqua come ‘
pura e di montagna’ quando le sorgenti sono a soli 409 metri>. In Australia
sarebbe un picco irraggiungibile; in Italia può finire in galera chi si
traveste da scalatore di una altura considerata ragguardevole collina. La
mazza dell’Antitrust si abbatte implacabile: per caso favorisce i padroni
delle bollicine. Come mai i gestori degli acquedotti non fanno un po’ di
pubblicità ? < Non ne hanno interesse. Dei 230 0 240 litri consumati al
giorno da ogni italiano, solo due o tre vengono utilizzati per bere o
cucinare >. Il resto docce e sciacquoni.

Sfogliando i numeri del grande mercato, qualche dubbio: l’acqua italiana è
la più gustosa del mondo oppure le nostre leggi consentono il saccheggio di
risorse fino a ieri preziose e nel futuro strategiche ? Le aziende che
imbottigliano sono 181; 226 etichette diverse; 8 mila dipendenti, giro
d’affari un miliardo e 750 milioni di euro.

Dei 11 miliardi e 800 mila litri di acqua minerale raccolti, poco più di un
miliardo di litri attraversa ogni anno le frontiere.

L’ export vola, nessuna sindrome cinese; bilancia commerciale sempre più
rosa: 25 per cento in più dal 2001. Dissetiamo i raffinati del mondo
serviti a tavola da quattro multinazionali: Nestlé, Danone, Coca Cola e San
Benedetto.

La Nestlé si presenta con undici etichette, dalla Perrier alla San
Pellegrino, Panna, Levissima: tante ancora. Giro d’affari 870 milioni. La
San Benedetto si ferma a 490. L’Uliveto e la Rocchetta della Congedi, 236
milioni; 196 la Danone con Ferrarelle, Vitasnella eccetera; la Spumador
della Lombardia, 96 milioni; Sangemini, Fiuggi, 90. Rendiconti superati,
risalgono al 2001 quando il grande mercato non era ancora invaso.

Non paghiamo solo l’acqua ( e molto cara ): chi consuma o non consuma le
minerali è obbligato, e non lo sa, a finanziare lo smaltimento dei rifiuti.
Far sparire una bottiglia di plastica nel 2001 costava agli enti pubblici
30 centesimi al chilo. Oggi di più. Ogni anno 150 mila tonnellate di Pet (
un tipo di plastica ) sono a carico della collettività senza contare che il
prezzo pagato per l’acquisto delle confezioni impone la tassa invisibile di
40 euro al mese per persona. Ma l’elenco non é finito: oltre alla
pubblicità, trasporto e locazione. Esempio dell’Emilia-Romagna. Due immensi
depositi privati accolgono duemila autotreni l’anno, uno a Cattolica
l’altro verso la Lombardia. Stivano le bottiglie in depositi che sembrano
palazzi dello sport ed ogni giorno distribuiscono ai supermercati la
quantità richiesta. Rete capillare che funziona. Routine collaudata: ai
magazzinieri rende più o meno un miliardo di euro da aggiungere agli euro
di prima.

Pagano sempre le ragazze che vanno in ufficio impugnando la bottiglietta o
gli ultras della curva e i loro bottiglioni proporzionalmente meno cari. Le
confezioni mignon, coccolata dalle abitudini delle italiane, costano
proporzionalmente il 25 per cento in più delle confezioni da un litro e
mezzo. < Senza voler ridurre la libertà del drenare le fonti per vendere,
si potrebbe mettere un tetto all’invasione pubblicitaria responsabile di
abitudini artificiali che cambiano la vita a milioni di inconsapevoli. La
legislazione ammette limitazioni: in quasi tutto il mondo è illegale
promuovere il latte in polvere per la prima infanzia perché danneggia un
bene primario come l’allattamento al seno >: proposta- provocazione di
Miriam Giovanazza e Luca Martinelli nella lunga inchiesta di Altra
Economia- L’informazione per agire.

Il problema fondamentale è un altro: la quantità succhiata dalle holding
minerali, quanto pesa sulla popolazione che vive attorno alla fonte ? tante
storie, ne racconta una: storia di un paese umbro – Boschetto – in lotta
con Rocchetta: vuole lanciare un nuova etichetta da affiancare a Brio Blu,
Elisir e Rocchetta, appunto.

E’ stata autorizzata a pompare 300 milioni di litri dal pozzo di Corcia.
Teoricamente non ha nulla a che vedere col rio Fergia che alimenta gli
acquedotti di Gualdo Tadino e Nocera Umbra, acqua stupenda.

Ecco il giallo: uno studio dell’Azienda Regionale per la Protezione
dell’Ambiente dimostra che sarà proprio l’acqua del rio Fergia a finire in
bottiglia.

Cominciano i rubinetti secchi: due frazioni di Gualdo Tadino – Boschetto e
Gaifana – verranno staccate dall’acquedotto e a spese dell’Azienda,
allacciate ad un altro bacino. Soldi pubblici per agevolare gli interessi
privati. Devono rendere bene alla regione e ai comuni se si è deciso così.
Rendono, ma non come dovrebbero.

La legge Regia delle concessioni risale al 1927, è stata corretta dalla
Galli: fa entrare nella casse pubbliche 5 miliardi e 160 milioni l’anno. La
Basilicata incassa 0,30 euro ogni mille litri; 0,51 la Lombardia; la
Sicilia riceve 0,0010 euro fino a 35 mila litri; 0,65 il Veneto che con le
sue montagne cede 2 miliardi e 647 milioni di litri l’anno. Le proposte del
Comita Acqua chiede di estendere il regolamento regionale lombardo a tutti
i posti d’Italia: prelievo di 0,0516 centesimi di euro, da aggiungere al
vecchio canone di concessione, ogni 100 litri. Sarebbero 5 milioni e 68
mila euro, non un capitale ma potrebbe servire ad aprire fontanelle
pubbliche. Poi il prelievo fiscale di un centesimo al litro da destinare a
progetti di cooperazione: scavare pozzi nelle regioni di sabbia dove
l’acqua è oro blu. E’ il suggerimento della Commissione Europea per lo
Sviluppo e la Cooperazione. In fine una tassa sui prelievi per coprire i
costi indiretti, riciclaggio plastica e smaltimento rifiuti.
Il viaggio nel mondo dell’acqua finisce qui. Mi accorgo di aver dato solo
un’occhiata e ascoltato voci che rimbombano nel silenzio distratto di tutti
quando sarebbe bene mobilitare esperti e università non chiamate a firmare
solo etichette che promettono miracoli.

Anche la gente con la bottiglietta in mano ha il diritto-dovere di
incuriosirsi di più. Ma è noioso; un altro pensiero da aggiungere ai
pensieri che girano attorno. Stappiamo, beviamo e buona notte.

Il fatalismo mediterraneo invita ad avere fiducia negli specchi Tv, mentre
la praticità francese sta cambiando idea.

Per la prima volta dal 1999 i parigini sono tornati all’acqua del
rubinetto. Sette anni fa erano secondi solo all’ Italia:

il 78 per cento beveva dalla bottiglia almeno una volta la settimana. Il
numero è rimpicciolito al 60 per cento.

E la discesa continua: < Mai abbiamo avuto tanta fiducia nell’acqua che
arriva in casa >, parole di Monique Chotard, direttrice della Commissione
per l’Acqua. A cosa si deve la conversione ? < La gente si è resa conto che
l’acqua è un bene limitato. E se proprio bisogna pagare, meglio investire
nelle ricerche che possano prolungare il godimento di un bene
indispensabile alla vita. Nostra e degli altri >.

<mailto:mchierici2 at libero.it>mchierici2 at libero.it



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