Auto-bomba



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*Scritto per noi da*
*Simone Bruno*
“Con la rabbia non si può governare... le parole di Uribe sono state peggiori della bomba”. Con questa frase sussurrata tra i denti, Yolanda Pulecio, mamma di Ingrid Betancourt, ha commentato il discorso del presidente Uribe dello scorso venerdì. Il presidente ha gridato le sue invettive da un microfono posizionato poco distante dalle macerie ancora fumanti di una auto-bomba esplosa il giorno prima nella scuola militare di Bogotà. Parole livide di odio contro gli acerrimi nemici delle Farc, insulti a livello personale, quasi un mea culpa per aver usato negli ultimi mesi toni moderati “che non funzionano e confondono le nostre forze armate”, insulta, paonazzo in volto, i suoi nemici: “Codardi, terroristi, fantocci!!!”, grida alle forze armate di uscire dalle caserme, dalle scuole e dalle basi per andare a combattere, per andare a liberare i prigionieri politici con la forza. La bomba esplode nel momento di maggior vicinanza tra il governo Uribe e le Farc, le quali come da prassi sono state accusate sin dalle prime ore di essere i responsabili dell’attentato. Il risultato è l’immediata rottura di ogni dialogo e l’unica vittima è lo scambio umanitario, ossia quel processo di scambio di prigionieri di guerra. *I quesiti.* Viene da domandarsi quale vantaggio avevano le Farc nel compiere questo attentato e se lo domandano in molti, per esempio il senatore Vargas Lleras, saltato in aria due volte per due bombe attribuite erroneamente alle Farc, se lo domanda il sindaco di Bogotà, ma anche il senatore Gustavo Petro del polo Democratico, che ha affermato: “Gli autori dell’attentato contro la scuola superiore di guerra vogliono interrompere l’avvicinamento tra il governo e le Farc e distrarre l’attenzione dell’ opinione pubblica dai legami tra alcuni politici uribisti e gruppi paramilitari”. Se lo chiedono anche i magistrati incaricati dell’inchiesta, i quali affermano di non avere prove per poter confermare che gli autori siano esponenti del gruppo guerrigliero, prove che invece sembra avere il ministro della difesa Juan Manuel Santos, che scavalcando il ramo giudiziario del paese afferma di essere certo della matrice dell’attentato e di averne le prove. Juan Manuel Santos, definito dall’ex presidente Samper come “colui che avvelena il presidente riguardo all’accordo umanitario”, è il ministro che rappresenta l’esercito, da un anno travolto da una serie di scandali senza precedenti. Ma del resto sono state le stesse Farc attraverso un comunicato a essersi dichiarate estranee a questo attentato. * Anche altre sono le domande.* Perché far esplodere una bomba in una base militare in un’area dove era evidente non avrebbe fatto danni materiali o a persone? Perché le otto telecamere di sorveglianza non hanno registrato nulla proprio quel giorno e proprio a quell’ora? Come è possibile che le Farc abbiano potuto mettere una bomba all’interno del complesso militare più importante di Bogotà? Se fosse vero tutte le belle parole sull’efficienza del Plan Patriota, ossia quell’insieme di azioni militari poderose contro i guerriglieri per sconfiggerli sul piano militare, non ha avuto alcun risultato. Allora perché il presidente venerdì gridava di voler concentrare tutti i suoi sforzi proprio in queste azioni e di tornare alla guerra? Non si può credere seriamente all’idea che l’esercito possa andare a liberare i sequestrati politici mitragliatrici alla mano, le famiglie delle vittime si oppongono e il paese chiede un accordo tra le parti, in questo clima il costo politico di prigionieri morti nel tentativo di riscatto sarebbe insostenibile per il governo. Eppure la speranza di vedere i propri cari a casa per Natale, che stava crescendo nelle famiglie è stata frustrata e rimandata a tempo indeterminato. Al momento nel governo, o meglio in alcuni settori di esse, sta prevalendo il calcolo che il discorso militarista e lo scontro frontale con le Farc sia più vantaggioso che sedersi a negoziare un accordo che potrebbe nascondere rischi per il governo. Eppure questo accordo non potrà essere rimandato a lungo, è una necessità per entrambi gli attori.