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Gli indios di Venaus e la Pachamama (di Pietro Luppi)
- Subject: Gli indios di Venaus e la Pachamama (di Pietro Luppi)
- From: "CONTROPIANO" <cpiano at tiscali.it>
- Date: Tue, 20 Dec 2005 13:08:55 +0100
Da Sucumbios alla Val di Susa: verso il panindigenismo globale Gli indios di Venaus e la Pachamama di Pietro Luppi* Agosto 2005: le popolazioni indigene delle province ecuadoriane di Sucumbios e Orellana insorgono contro a causa degli impatti ambientali ed economici negativi provocati dalle perforazioni di Petroecuador. Autunno 2005: le popolazioni autoctone della Val di Susa si sollevano per impedire le prevedibili devastazioni ambientali che si accompagneranno alla realizzazione di un irresponsabile progetto di linea ferroviaria ad alta velocità. Gli indigeni piemontesi e quelli ecuadoriani hanno preoccupazioni simili: i progetti contro i quali combattono compromettono o comprometteranno falde acquifere e sorgenti, disperdono o disperderanno sostanze tossiche nell'ambiente, sono pericolosi per la salute dei residenti, danneggiano le economie tradizionali e, infine, distruggono le bellezze naturali che da tempi ancestrali sono parte integrante dell'identità di ciascuna delle due etnie. Violentano la Pachamama. A Sucumbios e Orellana, dopo proteste di una forza impressionante, la convocazione dello stato d'emergenza, scontri, feriti e numerosi arrestati (tra i quali un sindaco), gli indigeni hanno costretto il governo a trattare. Ma lo scorso 5 Dicembre la governatrice della provincia di Orellana, dopoaver criminalizzato e minacciato i portavoce del popolo, ha sospeso il dialogo annunciando nuovamente militarizzazione e repressione.Negli stessi giorni gli indigeni di Val di Susa, dopo aver invaso con proteste di massa i cantieri dai quali si vuole dare inizio alla devastazione, hanno obbligato il loro governo a dare inizio ainegoziati. I primi risultati del tavolo delle trattative sono confusi e poco chiari, e gli abitanti della Valle, che come in Ecuador ricevono la solidarietà attiva di gente che abita in altre parti della nazione, rimangono in piedi.Dall'Ecuador all'Italia l'antifona è la stessa: gli indigeni sono contro il progresso e ostacolano la realizzazione di grandi progetti ben più importanti di antiquate e incomprensibili istanze localistiche. In nome della parola "modernizzazione" gli indigeni del Sud del mondo sono stati discriminati, repressi, e uccisi per decenni. E in nome della stessa parola le popolazioni autoctone della Sardegna, del Meridione, del vecchio triangolo industriale ed ora della Val di Susa, hanno dovuto subire e accettare fabbriche inquinanti e mortali (a Seveso e Marghera), depositi di scorie nucleari sotto le "oasi della Plasmon" (alla Trisaia di Rotondella/Scanzano), poligoni di tiro e basi militari che hanno lasciato la terra e il mare contaminati per secoli dall' uranio impoverito o dal cesio. La visione "modernizzatrice", nel Nord come nel Sud del mondo, non appartiene solo a chi governa ma anche alle altre forze politiche, che fanno opposizione per principio a chi temporaneamente occupa la poltrona al posto loro, ma che danno sempre prova di "realismo" quando gli interessi sono "superiori". Da un lato all'altro del pianeta i contesti sono sempre più uniformi, e lo scollamento tra gli interessi del potere economico e politico e gli interessi della popolazione è sempre maggiore. Mentre a Hong Kong i negoziati tra potenze e neopotenze sul commercio internazionale infuriano, gli indigeni del Piemonte e delle province di Sucumbios e Orellana lottano per i medesimi diritti e contro il medesimo modello. Ponendo le basi dell'unica strategia vincente contro il nuovo neoliberismo multipolare: il panindigenismo globale. * (Radio Città Aperta, autore di "Colombia. Un paradiso insagnguinato)
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