Gli indios di Venaus e la Pachamama (di Pietro Luppi)




Da Sucumbios alla Val di Susa: verso il panindigenismo globale
Gli indios di Venaus e la Pachamama
di Pietro Luppi*

Agosto 2005: le popolazioni indigene delle province ecuadoriane di
Sucumbios e Orellana
insorgono contro a causa degli impatti ambientali ed economici negativi
provocati dalle perforazioni di Petroecuador.
Autunno 2005: le popolazioni autoctone della Val di Susa si sollevano per
impedire le prevedibili
devastazioni ambientali che si accompagneranno alla realizzazione di un
irresponsabile progetto di linea ferroviaria ad alta velocità.
Gli indigeni  piemontesi e quelli ecuadoriani hanno preoccupazioni simili:
i progetti contro i quali combattono compromettono o comprometteranno falde
acquifere e sorgenti, disperdono o disperderanno sostanze tossiche
nell'ambiente, sono pericolosi per la salute dei residenti, danneggiano le
economie tradizionali e, infine, distruggono le bellezze naturali che da
tempi ancestrali sono parte integrante dell'identità di ciascuna delle due
etnie. Violentano la Pachamama.
A Sucumbios e Orellana, dopo proteste di una forza impressionante, la
convocazione dello stato d'emergenza, scontri, feriti e numerosi arrestati
(tra i quali un sindaco), gli indigeni hanno costretto il governo a
trattare. Ma lo scorso 5 Dicembre la governatrice della provincia di
Orellana, dopoaver criminalizzato e minacciato i portavoce del popolo, ha
sospeso il dialogo annunciando nuovamente militarizzazione e
repressione.Negli stessi giorni gli indigeni di Val di Susa, dopo aver
invaso con proteste di massa i cantieri dai quali si vuole dare inizio alla
devastazione, hanno obbligato il loro governo a dare inizio ainegoziati. I
primi risultati del tavolo delle trattative sono confusi e poco chiari, e
gli abitanti della Valle, che come in Ecuador ricevono la solidarietà
attiva di gente che abita in altre parti della nazione, rimangono in
piedi.Dall'Ecuador all'Italia l'antifona è la stessa: gli indigeni sono
contro il progresso e ostacolano la realizzazione di grandi progetti ben
più importanti di antiquate e incomprensibili istanze localistiche. In nome
della parola "modernizzazione" gli indigeni del Sud del mondo sono stati
discriminati, repressi, e uccisi per decenni.
E in nome della stessa parola le popolazioni autoctone della Sardegna, del
Meridione, del vecchio
triangolo industriale ed ora della Val di Susa, hanno dovuto subire e
accettare fabbriche inquinanti e mortali (a Seveso e Marghera), depositi di
scorie nucleari sotto le "oasi della Plasmon" (alla Trisaia di
Rotondella/Scanzano), poligoni di tiro e basi militari che hanno lasciato
la terra e il mare contaminati per secoli dall' uranio impoverito o dal
cesio.
La visione "modernizzatrice", nel Nord come nel Sud del mondo, non
appartiene solo a chi governa ma anche alle altre forze politiche, che
fanno opposizione  per principio a chi temporaneamente occupa la poltrona
al posto loro, ma che danno sempre prova di "realismo" quando gli interessi
sono "superiori".
Da un lato all'altro del pianeta i contesti sono sempre più uniformi, e lo
scollamento tra gli interessi del potere economico e politico e gli
interessi della popolazione è sempre maggiore.
Mentre a Hong Kong i negoziati tra potenze e neopotenze sul commercio
internazionale infuriano,
gli indigeni del Piemonte  e delle province di Sucumbios e Orellana lottano
per i medesimi diritti e contro il medesimo modello. Ponendo le basi
dell'unica strategia vincente contro il nuovo neoliberismo multipolare: il
panindigenismo globale.

* (Radio Città Aperta, autore di "Colombia. Un paradiso insagnguinato)