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Campagna continentale contro l'ALCA
- Subject: Campagna continentale contro l'ALCA
- From: "Gucio" <ruggerid at tiscali.it>
- Date: Sun, 20 Feb 2005 14:30:50 +0100
L’ALCA: una grande truffa –tratto da “Latinamerica e
tutti i sud del mondo”,
di Gianni Minà “L’unica scelta razionale nella situazione attuale e in vista delle apocalissi del futuro, è ritornare alla messa sotto tutela degli stati del terzo mondo che minacciano la sicurezza dell’occidente”, Sebastian Mallaby, editorialista del Washington Post, sulla rivista “Foreign Affairs” lo scorso marzo. “Un’entità politica che dispone di una potenza militare schiacciante e che utilizza questo potere per influire sul comportamento di altri stati, non può che definirsi impero…Il nostro scopo non è combattere un rivale, poiché non ve ne sono, ma conservare la nostra posizione imperiale e mantenere l’ ordine imperiale”, Stephen Rosen, direttore dell’Istituto Olin per gli studi strategici presso l’Università di Harvard, sulla rivista dell’istituto lo scorso maggio-giugno. La legittimazione di questa nuova ideologia imperiale ed il suo mantenimento, sono gli elementi base che spiegano la necessità dell’ istituzione dell’ALCA (accordo di libero scambio delle Americhe). L’Alca è un trattato commerciale tra i 34 paesi di tutte le Americhe incluso i paesi caraibici, con la sola eccezione di Cuba. Il numero di cittadini che andrebbero a costituire questa area è di oltre 800 milioni, segnando un primato senza precedenti in termini di mercato potenziale. L’Alca è anche, e soprattutto, un trattato economico che consente agli investimenti ed ai capitali di circolare in assoluta libertà e senza nessuna limitazione. Questo progetto ha incontrato le fortissime resistenze di fasce ampissime della società latinoamericana, spaziando da vasti settori della chiesa, a quelli delle piccole e medie imprese, per arrivare a tutte quelle realtà politiche e sociali che si riconoscono nel cammino iniziato a Porto Alegre con il Foro Sociale Mondiale. Questa grandissima ed eterogenea alleanza contro l’Alca, si regge essenzialmente su ragioni molto semplici: se il trattato entrasse in vigore gli effetti sarebbero devastanti da tutti i punti di vista. L’accordo di libero commercio siglato fra Stati Uniti, Canada e Messico il primo gennaio del 1994 (NAFTA) testimonia i tragici effetti delle politiche economiche neoliberiste di integrazione, avendo lasciato il Messico in una condizione molto peggiore rispetto al suo ingresso nell’area, avendone condizionato completamente la sua politica commerciale e avendone ridotto i salari medi. Quello che è stato definito il “Nafta-Plus”, cioè l’Alca, rappresenta un trattato ben più ampio ed integrale. Nove sono i gruppi di negoziazione implementati sul trattato che si occupano di altrettanti temi, tra i quali non figurano: ambiente, lavoro, diritti umani, condizione femminile e altri temi ancora, fondamentali per una politica di reale integrazione dei popoli. Il lavoro dei gruppi di negoziazione, invece, si svolge fra i ministeri del commercio con l’estero dei 34 paesi ed avviene a porte chiuse. E’ facile immaginare i pesanti condizionamenti subiti da paesi in situazione di debolezza e dipendenza economica. Dei 34 paesi, 32 detengono solo il 20% del prodotto interno lordo dell’intero continente, lasciando il restante 80% all’economie statunitensi e canadesi. Condizione oggettiva, questa, che evidenzia già di partenza una grande asimmetria. In questo contesto sarebbero stati indispensabili delle politiche di integrazione in grado di colmare o quantomeno diminuire le differenze in termini industriali, economici e tecnologici così come fece in parte l’Unione Europea con l’ingresso di Spagna e Grecia, comprendendo i pericoli di una instabilità sociale che avrebbe causato un’integrazione in blocco senza nessuna politica di accompagnamento. Di questo nell’Alca non vi è traccia, trasformando di fatto il significato di integrazione in “annessione”, avendo come effetto quello di impedire lo sviluppo autonomo dei singoli paesi con la conseguenza che aumenta per l’economia più forte la possibilità di offerta delle proprie imprese, generando maggiore esclusione sociale, più disoccupazione, più povertà e più indebitamento. Le aspirazioni delle grandi “corporation” si evincono dal discorso pronunciato dal segretario di stato USA, Colin Powell, durante il Terzo Vertice delle Americhe a Quebec, il quale dice chiaramente come “l’obiettivo dell’Alca è di garantire alle imprese statunitensi il controllo di un territorio che va dal polo nord fino all’Antartide ed il libero accesso senza alcun ostacolo o difficoltà per prodotti, servizi, tecnologie e capitali statunitensi in tutto l’emisfero”. Le dichiarazioni e le intenzioni trovano riscontro anche nei nove gruppi di negoziazione costituiti per elaborare il trattato. Nel gruppo sul “libero accesso dei prodotti importati” viene sancita la progressiva riduzione e infine abolizione delle barriere tariffarie e non, o altri mezzi restrittivi come le clausole ambientali o sanitarie per il commercio. Si garantisce libero accesso agli investitori stranieri obbligando i governi nazionali a non fare differenze nel trattamento tra le imprese straniere e quelle nazionali, rinunciando ai meccanismi regolatori a favore dei settori più deboli o per adeguare le esportazioni alle necessità interne o per aumentare le risorse strategiche o per salvaguardare gli interessi e la salute pubblica. Questa clausola la si stipula mentre paradossalmente lo scorso maggio gli USA hanno garantito sussidi per 180 miliardi di dollari al loro comparto agricolo per i prossimi dieci anni, settore già enormemente più avanzato rispetto a quello latinoamericano. Sull’agricoltura l’Alca prevede proprio la limitazione degli appoggi dei governi locali ai piccoli e medi agricoltori in modo da rafforzare il potere agroindustriale. La conseguenza sarebbe il fallimento di milioni di coltivatori latinoamericani che si vedrebbero incapaci di competere con le transnazionali del settore. Scomparirebbero l’agricoltura familiare e indigena ed aumenterebbero le dipendenze dai prodotti agricoli statunitensi; un ulteriore conseguenza sarebbe la dislocazione di produzioni industrializzate e standardizzate ad alto rendimento basate sulla biotecnologia e sulle manipolazioni genetiche ed una totale liberalizzazione della coltivazione dei consumi di semi e prodotti transgenici. Questo porterebbe inevitabilmente ad una perdita della sovranità alimentare e della sicurezza alimentare di ogni paese coinvolto dall’Alca. Nel gruppo di negoziazione sugli “investimenti”, invece, si sta cercando di far passare un capitolo molto simile a quello dell’accordo multilaterale sugli investimenti (MAI) rifiutato nel 1998, in cui si concede il potere alle transnazionali di processare i governi per il mancato profitto. Anche nel campo del “commercio dei servizi” gli interessi sono enormi. La lista dei servizi è stata ampliata al punto da includervi settori pubblici essenziali come educazione, forniture e distribuzione di acqua ed energia, salute, telecomunicazioni, trasporti, ambiente, assicurazioni, pubblicità, turismo ed altro ancora. I paesi dell’Alca dovranno aprirsi in tutti questi “settori”, in modo che i “servizi” elencati possano diventare semplici merci che obbediscono alle leggi del mercato. Basterebbe pensare che la spesa mondiale per la sanità ammonta a circa 3,5 trilioni di dollari per capire il giro d’affari che creerebbe la privatizzazione di certi servizi pubblici. Per quello che riguarda l’energia in quanto servizio, è già in vigore un accordo anticipato di totale liberalizzazione che non tiene conto di nessun criterio di protezione o conservazione della natura. Nel gruppo di negoziazione sulla “proprietà intellettuale” si procede verso la brevettabilità di tutti gli esseri viventi, comprese le piante delle comunità locali, che vedranno brevettate e commercializzate le loro conoscenze millenarie al solo scopo da parte delle multinazionali di ricavare il massimo profitto possibile. Sul campo delle “politiche di concorrenza” l’Alca assicura il principio della libera concorrenza e impedisce pratiche di protezione e anticoncorrenziali delle imprese nazionali o pubbliche, colpendo pesantemente i settori parastatali che dovranno limitarsi a perseguire esclusivamente fini commerciali, slegando lo sviluppo economico da qualsiasi impegno di natura pubblica o sociale. Nell’ultimo gruppo di negoziazione, quello sulla “soluzione di controversie” , come per il Nafta, viene concessa alle multinazionali la capacita di dirimere eventuali conflitti con gli stati attraverso l’utilizzo di “istanze supernazionali di arbitrio” che tecnicamente consentirebbe alle grandi corporations di sfuggire al controllo dei cittadini e delle autorità dei governi i quali non potrebbero più bloccare produzioni o merci che violino le leggi locali o pregiudichino la salute pubblica o l’ambiente. Alla luce dei fatti l’Alca si tradurrebbe in un’annessione commerciale e produttiva, in una dipendenza dai capitali stranieri, in un maggiore indebitamento, a cui si accompagnerebbe una diffusa militarizzazione, requisito fondamentale per garantirsi il controllo delle risorse naturali del continente. In questa ottica ci appaiono più comprensibili le reali motivazioni alla base del “Plan Colombia” o “dell’iniziativa Andina regionale” o del “Plan Puebla Panamà” o del fallimento del vertice di Johannesburg. La volontà dell ’Alca di raddoppiare lo sfruttamento petrolifero per il 2005 spiegherebbe il perché sia stato “impossibile” a Johannesburg trovare un accordo per ridurre le emissioni di anidride carbonica in atmosfera, così come il rifiuto da parte degli Stati Uniti di firmare la Corte Penale Internazionale sia da considerarsi una scelta “conseguente”, visto l’aumento della militarizzazione necessaria per il controllo del continente, e non solo. Quello che conta, come ci spiegano i saggisti o gli editorialisti o i centri di studi strategici negli USA, è il mantenimento e la conservazione dell’ ordine attuale e per farlo si deve procedere alla realizzazione di un nuovo ordine giuridico internazionale, dove vengono fatti salvi unicamente i trattati internazionali che rispondono alla logica del “mantenimento dell’ ordine imperiale” e vengono stralciati tutti quegli accordi ritenuti sconvenienti. In questo quadro di riferimento l’Accordo di libero scambio delle Americhe assomiglia piuttosto ad un “ossimoro”; non è un “accordo” perché è imposto; non è “libero” perché schiaccia ed annichilisce la libertà di vivere secondo le proprie tradizioni, economie, culture, stili di vita; non è uno “scambio” perché c’è solo una parte che prende ed in cambio non dà nulla. Giuseppe De Marzo Campagna Continentale contro l'Alca Per info: www.asud.net info at asud.net |
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