BRASILE: NOBEL MISSIONARIO': DALL'ITALIA CON LA VALIGIA DI CARTONE



  25/10/2003 18:18
Church/Religious Affairs, Standard


È partito negli anni Cinquanta con la valigia di cartone da un paesino del
bresciano, è approdato tra le paludi di uno sterminato Stato brasiliano e in
quasi mezzo secolo di missione ha aperto scuole, un centro per disabili,
organizzato comunità agricole e gruppi di animazione parrocchiale. È stata
questa la vita di padre Lorenzo Franzoni, missionario della congregazione
'Sacra Famiglia di Nazareth', che insieme a una suora comboniana e una
missionaria laica ha vinto l'edizione 2003 del 'Premio Cuore Amico', il
tradizionale 'Nobel missionario'. Il piamartino (così chiamato perché la
congregazione alla quale appartiene è stata fondata dal beato Giovanni
Piamarta) racconta alla MISNA i suoi 74 anni di vita, di cui 46 dedicati al
Brasile, con un tono di voce e una scelta di parole che sembrano provenire
da un passato lontano, molto più lontano di quanto sia in realtà e molto più
semplice e genuino dei giorni che stiamo vivendo. "La mia vocazione
missionaria - rievoca padre Franzoni, che verrà premiato a Brescia il
prossimo 25 ottobre - è dovuta all'esempio dei sacerdoti del paese in cui
sono nato, Vobarno. Fin da piccolo sono stato grato a questi preti per l'
attenzione che dedicavano alla mia povera famiglia. Li accompagnavo spesso,
soprattutto nelle visite agli ammalati più bisognosi, e osservavo che di
nascosto lasciavano scivolare sotto il guanciale i pochi spiccioli di cui
disponevano". Con il tempo il giovanissimo Lorenzo ha scoperto la figura di
padre Piamarta, la sua passione per i più poveri e abbandonati e, attraverso
questa ricerca, è riuscito a dare risposta alle molte domande che lo
assillavano, fino a scegliere di entrare nella 'Sacra Famiglia di Nazareth'.
Nel 1957 la congregazione ha deciso di inviare il primo gruppo missionario
all'estero e, con sua grande sorpresa, Franzoni è stato chiamato a
parteciparvi. "Partimmo in quattro - ricorda - tre sacerdoti e un fratello
laico. Nessuno sapeva con esattezza quale sarebbe stato il nostro destino:
conoscevamo solo la destinazione, il Brasile. Ci imbarcammo l'otto ottobre
1957 sulla vecchia nave 'Conte Biancamano', che, tra l'altro, in quell'
occasione fece l'ultima traversata". Con sé il missionario aveva soltanto
una valigia di cartone, la stessa con cui per buona parte del Novecento
erano partiti i milioni di emigranti italiani in cerca di fortuna all'
estero, e quel piccolo bagaglio conteneva appena l'indispensabile
biancheria. Sembrava tutto improvvisato, al punto che il giovane bresciano
non parlava neppure una parola di portoghese, imparato in seguito sul posto.
"Dopo due mesi di passaggi in comunità religiose di altre congregazioni,
giungemmo a São Bento, nello Stato del Maranhão: è un insieme di palmeti -
racconta padre Lorenzo Franzoni alla MISNA - che durante le piogge emergono
dalla grande palude, mentre nei sei mesi di clima secco il paesaggio
assomiglia a quello di un deserto". Su una superficie di 521 chilometri
quadrati abitano circa 32 mila persone, quasi tutti meticci - tra indios e
discendenti di africani giunti in Brasile a seguito della tratta degli
schiavi - e tutti battezzati, ma attratti dal sincretismo religioso. "All'
epoca non c'erano strade - ricorda ancora il piamartino - mancava l'energia
elettrica e le comunicazioni con la città avvenivano solo attraverso
snervanti viaggi marittimi o aerei. L'occupazione principale era l'
agricoltura, limitata però alla stretta sussistenza". Padre Franzoni ricorda
quelle prime esperienze "infarcite di stranezze" con una buona dose di
auto-ironia: per lui il Brasile era un mondo sconosciuto, e certo avrà
pagato più volte il prezzo della propria inesperienza. Presto però imparò
come muoversi e dove andare. "Le piogge - spiega - non ci permettevano di
recarci in tutti i villaggi e parecchi si potevano visitare solo una volta
all'anno. Erano lunghi viaggi a cavallo, una novità per me che non avevo mai
cavalcato prima, oppure inchiodati per ore e ore su minuscole canoe.Abbiamo
rianimato le associazioni che già c'erano, concentrandoci sui ragazzi e sui
giovani, secondo il nostro carisma, e costruendo qualche scuola elementare,
dove si insegnavano anche dei mestieri". In 46 anni padre Franzoni e i
confratelli hanno organizzato 35 comunità nelle quali la vita parrocchiale è
animata da laici formati dai sacerdoti. "Abbiamo sviluppato le scuole -
continua - e siamo arrivati ad avere un migliaio di alunni, molti dei quali
li andiamo a prelevare nelle zone più sperdute. Cerchiamo di aiutare quelli
che hanno terminato gli studi ad avviare qualche attività redditizia, in
base al mestiere che hanno appreso sui banchi scolastici. Non risolviamo
certo il problema della disoccupazione dilagante - specifica - ma diamo un
piccolo segno. Con i terreni donati alla parrocchia - prosegue il
sacerdote - abbiamo potuto garantire un appezzamento di terra a 128
famiglie, organizzandole in comunità agricole.
Con l'aiuto della Divina Provvidenza abbiamo anche allestito un centro per
disabili, che attualmente ne ospita 85. Tra l'altro Dio ci ha benedetti con
le vocazioni: due dei nostri giovani sono ora sacerdoti". Il missionario che
veniva dal paesino del bresciano ha costruito grandi cose eppure è convinto
che non sia abbastanza. "C'è ancora molto da fare, ma ci sostiene la
passione iniziale", conclude padre Franzoni, e certo ripensa a quel ragazzo
speranzoso e sprovveduto che un bel giorno si è imbarcato per il Brasile e
non è più tornato. (a cura di Luciana Maci)
[LM]


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