Cuba: I brutti processi dell'Avana



Chieste pene pesantissime, fino all'ergastolo, per 79 dissidenti. Il ruolo
di Mr. James Cason

MAURIZIO MATTEUZZI www.ilmanifesto.it

Giovedì si sono svolti all'Avana e altre città di Cuba i processi contro 78
o 79 dissidenti cubani. Processi fin troppo rapidi - un giorno e via -, a
porte chiuse - l'ingresso consentito solo ai familiari, fuori stampa e
diplomatici stranieri -, con poco tempo e garanzie per i difensori - sovente
d'ufficio -, di cui i media cubani - dopo che sul Granma del 19 marzo era
stata data notizia degli arresti di «varie decine di persone» - non hanno
fatto parola. L'accusa era «atti contro l'indipendenza e la integrità
territoriale dello Stato». Non essendoci nulla di pubblico non c'è nulla di
ufficiale e di certo. Sembra tuttavia che l'accusa abbia chiesto l'ergastolo
per 11 o 12 degli imputati e fra i 10 e i 30 anni per gli altri. Forse
lunedì le sentenze. La conferma di queste condanne sarebbe un colpo
gravissimo. Per Cuba e anche per quanti sono suoi amici. Come noi del
Manifesto.

Fra gli imputati ci sono nomi più o meno noti del dissenso, sovente già
passati per le carceri cubane, esponenti di gruppi o gruppetti formalmente
illegali ma - finora - generalmente tollerati: Martha Beatriz Roque,
economista «liberale», giornalisti e sindacalisti «indipendenti».

Voci da dentro e da fuori si sono subito levate contro gli arresti e i
processi. Il presidente della Conferenza episcopale cubana, mons. Adolfo
Rodriguez, Amnesty e Human Rights Watch, la Federazione internazionale dei
Diritti umani, la Commissione mondiale per la libertà di stampa, l'Unione
europea e - ovviamente - gli Stati uniti.

Che farebbero meglio a tacere. La stangata sui dissidenti - che si
definiscono «pacifici» -, è una conseguenza diretta delle indecenti attività
del nuovo responsabile della Sezione di interessi Usa all'Avana, James
Cason. Aveva ragione il governo cubano a pubblicare una nota ufficiale -
apparsa sempre sul Granma del 19 marzo - in cui si diceva che «nessun paese,
per potente che sia, ha il diritto di convertire la sua rappresentanza
diplomatica in quartier generale per sovvertire l'ordine costituzionale».
Questo ha fatto Mr. Cason, aprendo la sua sede alle riunioni dei dissidenti,
dando loro radio a onde corte, computer, fax e anche - dicono i cubani e non
è difficile crederlo - dollari. Così da consentire all'accusa di definirli
«mercenari al soldo dell'Impero» pur se «mascherati da agnelli
apparentemente inoffensivi». E' stato Mr. Cason che ha provocato la fine
degli anni di relativa tolleranza del regime (specie dopo la visita di
Woytjla, nel `98).

Detto questo, va detto anche che condanne a decine d'anni di prigione, e
all'ergastolo, per dissidenti magari «mercenari» ma non terroristi, non sono
concepibili. E svilirebbeanche la sacrosanta protesta di Cuba contro gli Usa
per le condanne a pene pesantissime, compreso l'ergastolo, dei 5 cubani -
«los Cinco Heroes Cubanos Prisioneros del Imperio» - che a Miami si erano
infiltrati nell'esilio anti-castrista per contrastarne le attività - quelle
sì - terroriste. «La rivoluzione è stata generosa e tollerante», diceva il
Granma del 19 marzo. Dovrebbe avere la forza di continuare ad esserlo, anche
di fronte a un Impero di cow-boys e fanatici.