Bolivia, frana su un villaggio 400 morti vicino la miniera



La tragedia è avvenuta domenica scorsa a Chima
E' un'aspra località interna, difficili i soccorsi


Gli abitanti accusano: "E' un tragedia annunciata"
Le frane si susseguono da anni e hanno già fatto molti morti


LA PAZ (BOLIVIA) - Un intero villaggio sommerso dal fango, dalla terra e
dalle pietre. Oltre trecento, forse addirittura 400, i morti. Vittime
condannate al silenzio mentre gli occhi del mondo sono puntati sulla guerra
in Iraq. Eppure la tragedia che domenica scorsa si è abbattuta nel villaggio
minerario aurifero di Chima, in Bolivia, è stata - secondo i sopravvissuti -
"una tragedia annunciata". Una strage che, come accade sempre in questi
casi, ha seminato la morte su gente povera, lavoratori condannati a
sopportare un duro lavoro in gallerie nel cuore della montagna.

Pur trovandosi a 180 chilometri da La Paz, capitale dello stato
sudamericano, Chima è una località inaccessibile, motivo per cui dopo
quattro giorni dallo smottamento di parte del monte Pucaloma (chiamato dagli
abitanti del posto Janko Kala), ancora si continua a cercare di recuperare i
cadaveri utilizzando pochi strumenti a disposizione: "La gente scava ancora
quasi solo con le mani", dice Raul Rojas, funzionario del comune di Tipuani
da cui la zona della miniera dipende, e tutti sanno che in queste condizioni
non si potrà proseguire a lungo, perchè dopo la grande frana gran parte
delle abitazioni è stato sepolto da uno strato di otto-dieci metri di terra.
"La guerra in Iraq sarà drammatica - aggiunge Rojas - - ma qui la
disperazione non è minore, per le decine di orfani, per le mogli che cercano
i mariti, per le famiglie distrutte".

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I mezzi inviati dalla prefettura della capitale non sono potuti giungere a
Chima, e anche due elicotteri che trasportano cibo e materiale da scavo sono
bloccati a Caranavi per mancanza di combustibile e per il maltempo. Intanto,
il dolore e la rabbia prendono il sopravvento. Ieri, in cinquecento
familiari e amici delle vittime hanno chiesto che il luogo "sia trasformato
in un cimitero e che così si ricordi per sempre la tragedia", sostengono i
familiari delle vittime. "Vogliamo giustizia!", hanno gridato ancora ieri
pomeriggio le persone che si sono incolonnate lungo quello che resta della
avenida Sorata, dove già si avverte l'odore dei corpi in decomposizione.

Così molti abitanti del villaggio ora trovano anche il coraggio di
denunciare l'uso indiscriminato della dinamite nelle gallerie. E ancora:
pressioni, ritorsioni e ricatti di cui erano vittime. "Siamo costretti a
pagare i servizi di luce e acqua a una cooperativa - assicurano - che ci ha
fatto credere che eravamo padroni delle terre su cui abbiamo costruito le
nostre case".

Ma i concessionari della miniera respingono le accuse: "Davamo tutto gratis
alla gente che lavorava per noi. Comunque il lavoro deve riprendere perché
abbiamo investito due milioni di dollari e per di più avevamo avvisato
ripetutamente la prefettura dei pericolo evidenti di smottamento dal fianco
della montagna".

Sfogliando i documenti, comunque, si scopre che l'area è fra le più
pericolose della Bolivia, e che smottamenti e valanghe sono state registrate
ufficialmente dal Servizio geologico della Bolivia (Geobol) fin dal 1949. Fu
proprio in quest'anno che una gran massa di terra seppellì la popolazione
che viveva alla base della collina. E soltanto tre anni dopo un gigantesca
frana causò la morte di 400 persone, così come accadde nel 1971 (20 morti),
nel 1991 (ancora 20 vittime).

"Non si può andare avanti così", dice sconfortato un minatore, e spiega che
"questo è l'ultimo avvertimento della Pachamama (la Madre Terra degli indios
locali) che è furiosa per il vorace sfruttamento dell'oro dalle sue
viscere". Tanto furiosa da aver seppellito, in questa ennesima ribellione,
quasi 400 persone.