E alla fine anche Chavez supera l'esame del Social Forum



di Piero Sansonetti http://www.unita.it/

 DALL'INVIATO
PORTO ALEGRE. Il presidente venezuelano Ugo Chavez domenica notte ha
conquistato Porto Alegre. Era arrivato tra molte polemiche e parecchio
scetticismo, se ne va dopo aver ottenuto applausi lunghissimi e tante
adesioni. A partire da quelle di Ignacio Ramonet e di Bernard Cassen (i
leader dei no global francesi) e di Fausto Bertinotti, uomo politico che ha
una forte influenza sui no-global italiani. E soprattutto ha ottenuto l'ok
del fortissimo movimento no-global brasiliano. Non è poco se si considera
che Francia, Italia e Brasile sono i tre paesi-guida, per dire così, del
movimento no-global. Sono i soci fondatori. Chavez ha tenuto un discorso
fiume nell'auditorium del palazzo del Parlamento dello Stato, e ha
dimostrato doti insospettabili: di leader, di uomo di sinistra, di uomo di
stato e di personaggio dotato di notevolissimo carisma. È un leader che non
ha niente a che fare con Lula. Chavez è un ex soldato, e anche nella sua
retorica, nella sua spavalderia, nel piglio, si sente l'eredità militare.
Lula è un operaio, si sa, e anche se non lo si sa lo si capisce dopo cinque
minuti che parla. Lula è solido, sobrio, ama la sostanza e non lo
spettacolo. Il trionfalismo non lo sfiora nemmeno. Chavez è un indio
impertinente e spettacolare, spiritoso, abbastanza pieno di se ma molto meno
rozzo di come si potrebbe immaginare.

Ha parlato per due ore e quindici minuti, evidentemente ispirandosi ai
famosi discorsi di Castro. Ma è bravissimo a parlare, ha tenuto l'attenzione
di tutti fino all'ultimo. Ha dato di se un'immagine assolutamente di
sinistra, fortemente antilibersita, e solidamente democratica. Ha ricordato
che sebbene tutti lo chiamino golpista lui è l'unico uomo che negli ultimi
secoli ha vinto in Venezuela cinque elezioni democratiche di seguito, ed è
pronto ad affrontare nuove elezioni - se l'opposizione vorrà - anche fra tre
mesi. Non è uno statalista, non è un socialista, però nella sua politica
pone i diritti della collettività sopra i diritti dell'individuo. Tuttavia
crede nel ruolo del mercato e dell'iniziativa privata, purché il mercato e
l'iniziativa privata restino subordinati allo Stato e agli interessi
generali. Dice di essere bolivariano e cita spessissimo frasi celebri di
Bolivar. Ha raccontato il suo primo incontro con Castro. Chavez ha detto a
Castro: il nostro programma è quello di creare un paese dove gli interessi
del capitale siano secondari rispetto agli interessi dei lavoratori, dove i
diritti siano più grandi dei profitti, dove nessuno muoia di fame e dove la
ricchezza sia giustamente distribuita. E vogliamo creare un paese
indipendente, basato su un potere popolare e su una democrazia
partecipativa. Noi - ha detto Chavez - tutto questo lo chiamiamo
bolivarismo. Castro gli ha risposto: noi lo chiamiamo socialismo, ma i nomi
non mi importano, se vuoi possiamo anche chiamarlo «cristianismo».

Chavez ha parlato in un'aula che conteneva circa duemila persone e in un
clima di grandissimo entusiasmo. Fuori dall'aula, perché non c'era posto,
sono rimaste altre due o temila persone che gridavano slogan per Chavez. Il
pubblico era in gran parte brasiliano e venezuelano. Alle pareti della sala
decine di bandiere del Venezuela e di bandiere rosse con la falce e il
martello.

Chavez ha detto che il neoliberismo è il nemico da battere. «È una minaccia
per il mondo, perché è un modello distruttivo. O lo sconfiggiamo in fretta o
lui sconfigge il nostro futuro». Poi ha iniziato a raccontare la lunga
storia della sua avventura politica. È partito dall'89, quando in Europa
cadeva il muro di Berlino e in Venezuela scoppiava la rivolta popolare. «In
Venezuela l'ingiustizia sociale era grandissima, un piccolo gruppo di
oligarchi aveva tutta la ricchezza. La nostra terra è ricchissima di
petrolio e oro, e i bambini morivano di fame. Il 27 febbraio ci fu il
massacro di Caracas, la polizia e l'esercito uccisero centinaia di persone
che si erano ribellate. Allora una parte dell'esercito si sollevò». È il
famoso tentativo di golpe che fallì e costò a Chavez alcuni mesi di
prigione.
Quasi 10 anni dopo, nel '98, Chavez decise di presentarsi alle elezioni. Con
un programma populista e soprattutto con l'idea di fermare la
privatizzazione del petrolio e cioè di colpire gli interessi dell'altissima
borghesia. «I sondaggi ci davano all'otto per cento, e davano al 45 per
cento il partito del governo. La polizia rese quasi impossibile la nostra
campagna elettorale: tutti i miei collaboratori furono arrestati. Le urne
però ci diedero ragione: 55 per cento, maggioranza assoluta, destra
pesantemente sconfitta e io andai al governo. Era difficile governare,
perché il potere reale non era nostro: loro controllavano i giudici, i
sindaci, le banche, i mass-media. Allora io proposi di riformare la
costituzione e proposi un referendum che decidesse se era il caso di
eleggere un'assemblea costituente per riformare la Costituzione. Vinsi il
referendum, con l'80 per cento di sì. Eleggemmo l'assemblea costituente e
prendemmo 121 seggi su 131. La Costituente lavorò per un anno e scrisse una
Costituzione che sancisce il divieto di privatizzare il petrolio, l'obbligo
e la gratuità della scuola, l'illegalità del latifondo, la priorità del
cooperativismo e dell'artigianato rispetto ad altre forme di impresa, il
diritto all'idioma indio, la libertà sindacale assoluta, la libertà
religiosa, l'obbligo per gli ufficiali a disobbedire ad ordini che prevedano
la scomparsa di liberi cittadini, la prevalenza dei diritti dei bambini su
quelli di qualunque altro individuo o gruppo, la progressività fiscale (che
non c'era: i ricchi erano praticamente esentasse). Scritta la Costituzione
la sottoponemmo di nuovo al voto, fu approvata con l'86 per cento dei voti.
In un anno votammo quattro volte e vincemmo quattro volte: vi sembra un
colpo di stato?».
E la violenza? Chavez ha dichiarato che lui batterà la cospirazione della
destra («è ancora in corso ed è una cospirazione internazionale») con il
consenso e non con la violenza. Ha detto che lui il fucile lo sa usare, ma
lo ha messo via da parecchio tempo. Ha fatto una pausa, ha riso, poi ha
aggiunto: «però so dov'è, non è lontano dal mio letto...».

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Nello

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