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KISSINGER sulla STAMPA
- Subject: KISSINGER sulla STAMPA
- From: "Martinerrico" <martinerrico at libero.it>
- Date: Tue, 29 May 2001 14:00:07 +0200
LA STAMPA INTERNI Giovedì 24 Maggio 2001 KISSINGER «Berlusconi per l¹Italia come la Thatcher a Londra» inviato a ROMA DOTTOR KISSINGER, ha incontrato dunque l¹onorevole Silvio Berlusconi? «E¹ vero, ho visto Silvio Berlusconi, ho parlato anche con il suo predecessore, l¹ex presidente del Consiglio, Massimo D¹Alema e l¹ex direttore del Wto, l¹Organizzazione del Commercio, Renato Ruggiero» dice tranquillo Henry KISSINGER, nel suo hotel a picco sul Pincio. «E oggi, martedì, vedrò il Papa». Non sperate di estrarre al maestro della diplomazia confessioni o indiscrezioni: sola ci riuscì Oriana Fallaci, ai tempi del Vietnam, in un¹intervista che a KISSINGER non piacque e che si studia ancora nelle scuole di giornalismo. Tanti anni fa Henry KISSINGER visitava la Cappella Sistina, in Vaticano, naso in su come ogni turista, di qua il Paradiso di Michelangelo, di là l¹Inferno. Passa per caso Gore Vidal, il caustico scrittore americano, e osserva: «Henry cerca casa». Sergente nell¹esercito Usa che liberò la Germania, docente ad Harvard di un celebre International Seminar nei primi Anni Sessanta, consigliere per la Sicurezza nazionale e poi segretario di Stato con i presidenti Nixon e Ford, inviato in missione segreta a Pechino nel 1971 e protagonista della storica apertura Cina-Usa del 1972, KISSINGER continua ad appassionare i suoi connazionali come nessun altro leader contemporaneo. La rivista «Harper¹s» lo denuncia ancora oggi per i bombardamenti in Cambogia del 1970 e il rivale mensile «Atlantic» lo celebra come il maggior diplomatico del secolo. Il suo manuale «Diplomacy» viene definito dallo storico Simon Schama «un formidabile sguardo sul presente». Inferno o Paradiso? Henry KISSINGER torna a Roma e le prime pagine si imbizzarriscono. «Ci sono stato per la prima volta nel 1946, reduce di guerra. Niente smog, automobili, motorini. A piedi ovunque. Era una città bellissima. Chi avrebbe mai detto che sareste diventati ricchi così in fretta?». Com¹è andata con Berlusconi? «Abbiamo avuto un lungo colloquio lunedì, ma c¹eravamo incontrati in altre occasioni». La stampa internazionale, dall¹Economist a Le Monde, contesta al futuro premier il conflitto di interessi tra politica ed aziende. Gli ha dato qualche suggerimento? «Mi lasci dire che il conflitto di interessi è una questione interna italiana e tocca agli italiani risolverla, non agli stranieri che devono astenersi dal dare lezioni. Berlusconi rappresenta un cambiamento e ha ottenuto la sua maggioranza, dopo aver creato un nuovo partito. E¹ quindi più indipendente di altri vostri leader nella gestione politica. In politica estera, da sempre il mio interesse principale, non vedo possibili preoccupazioni. Credo sia opportuno dare a Berlusconi la possibilità di dimostrare quanto siano davvero efficaci le sue strategie». Altri osservatori guardano con preoccupazione alla Lega Nord di Umberto Bossi e ad Alleanza nazionale di Gianfranco Fini. Lei? «I partiti moderni includono a volte personaggi bizzarri. Non ho seguito da vicino il caso della Lega Nord e degli altri partiti della coalizione. Mi sono concentrato sul ruolo di Silvio Berlusconi. Io mi sforzo da sempre di migliorare le relazioni tra Italia e Stati Uniti. Lavorerò a questo obiettivo anche con l¹amministrazione di Berlusconi». Quali novità prevede, rispetto ai governi Prodi, D¹Alema e Amato? «E¹ chiaro che le elezioni hanno mutato nettamente la direzione del vostro paese verso il centrodestra. Berlusconi potrebbe avere in Italia lo stesso impatto che la signora Margaret Thatcher ha avuto in Gran Bretagna: certamente questa è la sua strategia, la meta che si prefigge. Si tratta quindi di uno scenario nuovo, un cambiamento radicale rispetto ai governi di centrosinistra degli anni passati. Lady Thatcher ha trascinato il partito laburista verso le sue posizioni, sradicandolo dalla sinistra al centro e mutando l¹intero panorama politico del paese. Paradossalmente ha messo nei guai anche il partito conservatore, perché adesso le differenze tra destra e sinistra inglesi sono minime. Vedremo se Berlusconi riuscirà a suscitare in Italia un processo analogo». Dopo la vittoria, Berlusconi ha annunciato una serie di posizioni simili a quelle prese dal presidente George W. Bush, la critica al trattato di Kyoto per esempio. Altri leader europei sono invece scettici sulla nuova amministrazione Usa. La preoccupa la tensione Europa-Usa? «C¹è stress, ma gli Stati Uniti non ne sono i maggiori responsabili. L¹amministrazione Clinton era vittima della sindrome del Vietnam e non amava le istituzioni sorte durante la Guerra Fredda, come la Nato. Preferiva il multilateralismo alle scelte di Washington. L¹amministrazione di George W. Bush è composta da uomini che vengono dalla Guerra Fredda e da ministri maturati invece quando già il trauma del Vietnam era assorbito. Sono cresciuti in una stagione di grandi successi per la politica americana e possono trovarsi a disagio con i coetanei europei». Come giudica la politica estera dell¹Unione Europea? «Le critiche europee agli americani sono tattiche, non strategiche. E¹ vero che talvolta dalla Casa Bianca viene un messaggio troppo immediato, non perfettamente levigato. Ma è anche vero che la sola strada resta il dialogo: non vedo alternative. Spesso gli europei, per affermare la propria identità, non trovano altro mezzo che criticare gli americani. Credetemi: la nuova amministrazione Usa vuol cooperare con l¹Unione europea. Ma mentre per Washington è facile discutere con la Francia, l¹Italia o la Gran Bretagna, discutere con l¹Unione è difficile. Perché l¹Unione europea manca di centro, talvolta non si sa con chi negoziare finché non è stata raggiunta una decisione: e a quel punto è troppo tardi. Io sono nato in Europa, se nella mia formazione si trovano elementi europei sono lusingato. Ho passato la vita cercando la cooperazione politica tra i due continenti. Oggi, con preoccupazione, la vedo declinare. L¹Alleanza atlantica è considerata una semplice rete di sicurezza, non un sistema di valori coeso. E l¹amministrazione americana è dunque tentata di guardare all¹area del Pacifico più che all¹Atlantico». Nel merito dei problemi: sì o no al protocollo di Kyoto sull¹ambiente? «Finora lo ha ratificato solo la Romania. Danneggia sia gli americani che voi europei». Tribunale internazionale: sì o no? «Temo che alla tirannia degli Stati si possa sostituire la tirannia dei giudici». Esercito europeo, sì o no? «Nessuno vieta agli europei di formare un loro esercito, come ce l¹hanno già gli Stati, e di impiegarlo come fecero gli inglesi alle Falkland, i francesi in Algeria e noi americani nel Golfo. Il problema sorge se questa forza è costituita a prescindere dalla struttura militare della Nato. Tutto si può risolvere creando un coordinamento tra esercito europeo e Nato». Scudo antimissile spaziale: sì o no? «Non sono un esperto di tecnologia militare, ma nessun leader può dire agli elettori: rinuncio a difendervi da un attacco nucleare. Lo scudo spaziale era una cattiva idea quando le superpotenze erano due, Usa e Urss. Finita la Guerra Fredda la minaccia viene da molti centri rivali e quindi l¹opportunità dello scudo va discussa». Il punto maggiore di attrito è stato però di recente tra Washington e Pechino, con la vicenda dell¹aerospia sequestrato. «Meglio non discuterne mentre si è all¹estero: troppo delicato» (alla rete tv Cnn, KISSINGER ha osservato che «dal 1971 a oggi il governo di Pechino non è mai stato così intento alla cooperazione con gli Usa. I militari possono invece prendere posizioni più dure», ndr). Il Medio Oriente offre gli stessi titoli di sempre: agguati, ritorsioni, violenze. Eppure con l¹accordo siglato da Rabin e Arafat, auspice il presidente Bill Clinton, la pace sembrava vicina. Qui Henry KISSINGER lo statista che ha elevato il Cardinal Richelieu a padrino della moderna politica estera, cultore della ragione di Stato, l¹uomo che ha scritto: «Gli interessi nazionali non si fondano sull¹altruismo» perché «il paese che basa la politica estera sulla perfezione morale non otterrà né perfezione né sicurezza», si rizza sulla poltrona di damasco rosso dell¹hotel, punta il dito indice in accusa e sbotta «Illusioni», la parola più severa per la sua filosofia della Realpolitik: «Illusioni. Alla base del conflitto ci sono questioni religiose, era ovvio che si sarebbe arrivati all¹impasse sui Luoghi Santi. Mi pare una migliore base di partenza il rapporto stilato da George Mitchell: si pongano le fondamenta per uno Stato palestinese; si fermi la creazione di nuovi insediamenti israeliani nei Territori». Quando lei era segretario di Stato i giovani protestavano per la pace. Oggi i dimostranti antiglobalizzazione si danno appuntamento al G8 di Genova, a luglio. Cosa pensa del «popolo di Seattle»? «L¹intensità della loro rabbia è sproporzionata agli obiettivi che si prefiggono, limitare questo o quel commercio. Credo però che le proteste derivino anche dal nostro modello di vita occidentale. Offriamo a questi ragazzi solo materialismo e competizione. Abbiamo dimenticato i valori spirituali, gli ideali e lasciamo che parte della nostra gioventù cada preda del nichilismo». La globalizzazione sarà motore di sviluppo nelle aree povere del pianeta? «Dobbiamo convivere con il mercato globale, è un fatto quotidiano, crea lavoro. Ma se il mondo economico è diventato globale, il mondo politico non lo è affatto. Quando un contadino povero lascia la campagna e si trasferisce in una metropoli, in cerca di una vita migliore, trova magari un lavoro, ma perde gli affetti, la cultura, la tradizione, la famiglia, la religione». Le torna in mente l¹Italia 1946, povera ma bella? «Sì. Meno benessere, meno sviluppo, un paese arretrato: ma quanto calore e quanta bellezza». Sull¹agenda di Henry KISSINGER il prossimo appuntamento è con Karol Wojtyla. Non si può ritardare: ma il ragazzino tedesco in fuga dalla storia del Novecento, finito a fare la storia del Novecento, non resiste a tirare il bilancio della sua vita, ultimo stratega del secolo più terribile: «Se mi guardo indietro sono fiero dell¹apertura alla Cina. Sono orgoglioso di aver contribuito al ritorno della libertà nell¹Europa orientale. E di aver lavorato alla pace in Medio Oriente. Ma non sono riuscito a persuadere gli americani a seguire con passione le vicende del mondo. La civiltà occidentale ha raggiunto grandi traguardi ideali nella storia umana, ma ha sempre avuto una debolezza, fin dai tempi dei Greci. Le rivalità interne possono scatenare guerre e devastazioni. Quando il mondo occidentale rivolge la propria energia contro se stesso è l¹ora delle distruzioni. Questo è il pericolo che vedo davanti a noi». KISSINGER si affretta in Vaticano. Si fermerà anche stavolta a scrutare la Cappella Sistina, in cerca come sempre di un presagio: Inferno o Paradiso? gianni.riotta at lastampa.it
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